TRANSISTORE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TRANSISTORE

Francesco Paolo Califano-Fabrizio Galluzzi

(App. III, II, p. 971; v. elettronica, App. IV, I, p. 677)

A partire dall'anno della loro invenzione (1948, da parte di J. Bardeen e W. Brittain), i t. hanno continuamente accresciuto la loro presenza nell'elettronica, fino a diventare i dispositivi di base in tutti i tipi di circuiti: analogici, digitali, di potenza, ad alta frequenza, ecc. Come è schematicamente indicato in tab. (v. p. 544), sono oggi disponibili varie strutture di t., basate su differenti principi di funzionamento e su diversi materiali semiconduttori (principalmente il silicio, ma anche l'arseniuro di gallio e altri composti semiconduttori).

L'impiego principale dei t. è comunque nel campo della microelettronica, dove la loro capacità di essere miniaturizzati, mantenendo la funzionalità, ne ha permesso l'integrazione sempre più spinta, facendo passare il contenuto delle piastrine di semiconduttore (ingl. chip) da meno di diecimila componenti nel 1970 a più di un milione di componenti nel 1990 e, probabilmente, a circa cento milioni prima del 2000.

Transistori bipolari (BJT, Bipolar Junction Transistor). − I t. bipolari, così detti perché utilizzano nella conduzione portatori di carica di entrambe le polarità (elettroni negativi e lacune positive), trovano largo impiego nei circuiti integrati monolitici per applicazioni analogiche di bassa e media potenza e per applicazioni digitali veloci. Nei circuiti integrati si usano varie configurazioni di t. bipolari, realizzabili con schemi costruttivi molto simili.

Tipicamente si parte da un substrato di silicio di tipo p, che viene pesantemente drogato n in superficie, e sopra questo viene cresciuto per epitassia da fase vapore (v. semiconduttore, in questa Appendice) uno strato n. Successive diffusioni selettive di droganti di tipo p permettono di realizzare infine la struttura mostrata in fig. 1I, costituita da regioni drogate n, isolate le une dalle altre da zone fortemente drogate p (zone di isolamento p+) e separate dal substrato da strati fortemente drogati n (strati sepolti n+). Gli ulteriori drogaggi delle regioni n così isolate permettono di ottenere vari tipi di t. bipolari. Lo schema di fig. 1II è proprio di un t. p-n-p detto laterale, perché la regione attiva si sviluppa lateralmente tra l'elettrodo di emettitore E e quello di collettore C. Lo schema di fig. 1III corrisponde a un t. n-p-n detto verticale, perché la parte attiva del dispositivo si trova verticalmente al di sotto dell'elettrodo di emettitore E. Infine lo schema di fig. 1IV si riferisce a un t. n-p-n Schottky, nel quale un diodo a giunzione metallo-semiconduttore (detta appunto giunzione Schottky) è posto tra i terminali di base B e di collettore C, per evitare la saturazione del t. e renderne così più veloce la commutazione nei circuiti digitali.

Si noti che i t. bipolari possono essere realizzati con più elettrodi di emettitore o di collettore, dando luogo a strutture multiemettitore o multicollettore, largamente impiegate nei circuiti integrati. I guadagni di corrente ottenibili con le strutture descritte sono usualmente compresi tra 100 e 500. Per ottenere guadagni più elevati occorre ridurre la larghezza della zona di base del t.: portando tale dimensione da circa 0,5÷1 μm a circa 0,1 μm si possono raggiungere guadagni fino a 5000. I dispositivi con queste prestazioni, detti t. a super-beta, hanno tuttavia un uso limitato ad applicazioni particolari (per es. negli stadi d'ingresso degli amplificatori integrati), poiché all'alto guadagno associano una bassa tensione di rottura.

I t. bipolari fin qui descritti sono tutti basati su un solo tipo di semiconduttore, il silicio, variamente drogato. Essi sono quindi detti, propriamente, t. bipolari a omogiunzione e in essi gli unici parametri costruttivi che possono essere modificati sono i livelli di drogaggio delle varie parti costituenti e le loro dimensioni geometriche. Questo vincolo pone serie limitazioni alle prestazioni massime ottenibili, particolarmente per quanto riguarda la risposta in frequenza, che anche con le tecniche di fabbricazione più avanzate non supera il GHz.

Un modo per superare tali limiti, inizialmente proposto da W. Shockley e H. Kroemer negli anni Cinquanta, consiste nell'utilizzare t. che contengano giunzioni p-n tra due diversi tipi di semiconduttori, cioè nel realizzare t. bipolari a eterogiunzione (HBT, Heterojunction Bipolar Transistor). In particolare occorre che il semiconduttore costituente l'emettitore abbia un'ampiezza di banda proibita maggiore di quella del semiconduttore costituente la base, come avviene per es. nel t. n-GaAlAs/p-GaAs/n-GaAs, il cui schema è mostrato in fig. 2A. In questo caso la lega GaAlAs, che può essere cresciuta epitassialmente sull'arseniuro di gallio, possiede un'ampiezza di banda proibita intorno a 1,8÷1,9 eV, ben superiore a quella del GaAs, pari a 1,42 eV. In conseguenza gli elettroni che vengono iniettati dall'emettitore n-GaAlAs verso la base p-GaAs incontrano una barriera di altezza molto inferiore a quella incontrata dalle lacune che passano dalla base all'emettitore (fig. 2B). Viene così fortemente aumentata la cosiddetta efficienza di emettitore, e quindi il guadagno complessivo del transistore. Questi tipi di t., come quelli basati sull'eterogiunzione InGaAs/InP, sono ideali per l'elettronica delle comunicazioni, sia per la facile integrabilità con dispositivi ottici e optoelettronici sia per la possibilità di raggiungere una frequenza di cut-off (inversamente proporzionale al ritardo nella propagazione dei portatori dall'emettitore al collettore) intorno a 100 GHz. Di recente sono stati anche sviluppati t. bipolari a eterogiunzione tra silicio e leghe silicio-germanio, che mostrano frequenze di cut-off di circa 70 GHz, molto superiori a quelle dei t. a omogiunzione in silicio.

Il t. bipolare può anche essere utilizzato come rivelatore di luce e si parla allora di fototransistore. A differenza di un fotodiodo, il fototransistore è un rivelatore con elevato guadagno interno ed è quindi utilizzato in presenza di bassi livelli di luce. Come mostrato in fig. 3, la sua struttura è del tutto analoga a quella di un t. bipolare discreto, con il contatto di emettitore posto frontalmente e quello di collettore posteriormente. Nel fototransistore, tuttavia, l'elettrodo di base è lasciato aperto, sicché l'unica corrente che scorre nella base è quella generata dalla luce. La debole fotocorrente di base induce a sua volta una forte iniezione di corrente dall'emettitore, che viene raccolta in uscita dal collettore, portando così alla desiderata amplificazione del segnale luminoso. La risposta non si mantiene tuttavia buona alle alte frequenze, a causa dell'elevata capacità legata all'estensione della zona fotosensibile.

Transistori a effetto di campo (FET, Field Effect Transistor). − I t. a effetto di campo sono dispositivi unipolari, cioè dispositivi in cui la conduzione è affidata principalmente a un solo tipo di portatore di carica (elettroni nei FET a canale n, lacune nei FET a canale p). Essi possono essere suddivisi in due grandi famiglie: FET a giunzione (sia p-n che Schottky), FET a porta isolata (il cui più noto rappresentante è il FET metallo-ossido-semiconduttore). I FET a giunzione p-n (JFET, Junction Field Effect Transistor) trovano principale applicazione negli stadi iniziali degli amplificatori differenziali, grazie alla loro elevata impedenza d'ingresso e alla possibilità di essere facilmente integrati con i t. bipolari.

Un tipico schema costruttivo di JFET in circuiti integrati di silicio è mostrato in fig. 4I: un canale p di conduzione mette in contatto il terminale di sorgente S (source) e il terminale di collettore D (drain), e la larghezza di questo canale è controllata dalla polarizzazione inversa delle giunzioni p-n formate tra il canale di conduzione stesso e le due regioni n adiacenti, collegate ai terminali di porta G (gate). Si noti la forte somiglianza tra lo schema costruttivo del JFET e quelli dei t. bipolari precedentemente discussi.

Per applicazioni ad alta frequenza, sia nei circuiti digitali che nei circuiti a microonde, laddove il silicio è convenientemente rimpiazzato dall'arseniuro di gallio o dal fosfuro di indio, i FET a giunzione non sono usualmente realizzati con giunzioni p-n, bensì con giunzioni Schottky metallo-semiconduttore (MESFET, MEtal Semiconductor Field Effect Transistor). In tal caso, benché il principio di funzionamento rimanga lo stesso, la struttura del dispositivo viene semplificata, come mostrato in fig. 4II per un MESFET a canale n: su un substrato di GaAs semiisolante viene cresciuto epitassialmente uno strato drogato n e su questo sono formati i due contatti ohmici di drain e di source (con le relative zone drogate n+) e il contatto Schottky di gate. La tensione applicata al contatto Schottky controlla la dimensione effettiva del canale tra drain e source e quindi la corrente circolante.

I dispositivi FET a giunzione possono anche trovare impiego in applicazioni di alta potenza e a questo scopo sono allo studio dispositivi basati su nuovi semiconduttori con grande ampiezza di banda proibita, come il carburo di silicio (SiC) e il diamante, i quali sono utiliz-zabili, in linea di principio, fino a tensioni dell'ordine del kV e possono raggiungere frequenze di cut-off dell'ordine di 100 GHz. Come nei t. bipolari così anche nei FET è possibile ottenere prestazioni più elevate mediante l'utilizzo di eterogiunzioni. Il più diffuso dispositivo a effetto di campo che incorpora un'eterostruttura è noto come FET a drogaggio modulato (MODFET, MOdulation Doped Field Effect Transistor) oppure come t. ad alta mobilità elettronica (HEMT, High Electron Mobility Transistor).

Un tipico schema costruttivo di HEMT è presentato in fig. 4 III: all'interfaccia tra AlGaAs e GaAs (non drogati) si forma uno strato di forte accumulazione di elettroni, lungo il quale i portatori di carica possono muoversi senza risentire degli urti con le impurezze droganti, raggiungendo così mobilità elettriche assai elevate (fino a 8000 cm2 V−1 s−1). In questo canale ad alta mobilità, la cui profondità è controllata dalla tensione applicata all'elettrodo di gate, viene a formarsi un gas bidimensionale di elettroni, che va descritto con i metodi della meccanica quantistica. Affinché tutte le potenzialità della struttura possano essere sfruttate, questi dispositivi richiedono una sofisticata tecnologia di realizzazione, particolarmente per quanto riguarda la formazione dell'eterostruttura. In compenso essi possono raggiungere frequenze di cut-off superiori a 300 GHZ (con eterostrutture InGaAs/InP o InGaAs/InAlAs).

Un'altra classe di dispositivi a effetto di campo è costituita dai FET a porta isolata (IGFET, Insulated Gate Field Effect Transistor). In questo tipo di dispositivi, la polarizzazione dell'elettrodo di gate controlla non la dimensione efficace del canale di conduzione tra source e drain, bensì la concentrazione efficace dei portatori in questo canale. Tale controllo è basato su un fenomeno di induzione elettrostatica tra l'elettrodo metallico di gate e la sottostante superficie di semiconduttore, separati da un sottile strato isolante (v. elettronica, App. IV, i, p. 678). La presenza di una struttura metallo-isolante-semiconduttore fa indicare questi t. anche con l'acronimo MISFET (Metal-Insulator-Semiconductor Field Effect Transistor).

Quando poi ci si riferisce ai t. basati sul silicio e sul suo ossido (come isolante) gli acronimi più specifici divengono MOSFET (Metal-Oxide-Semiconductor Field Effect Transistor), oppure MOST (Metal-Oxide-Semiconductor Transistor). Il MOSFET è attualmente il t. più importante per l'elettronica integrata su larghissima scala (VLSI, Very Large Scale Integration) e la sua fortuna è dovuta a diversi fattori: la bassissima densità di difetti all'interfaccia silicio/ossido di silicio (cresciuto termicamente), che determina la stabilità e l'affidabilità dei dispositivi; l'elevatissima impedenza d'ingresso; il consumo di energia estremamente basso; le alte rese dei processi di fabbricazione; la facilità di miniaturizzazione, che permette di realizzare su una piastrina di silicio di alcuni mm2 fino a un milione di transistori.

Come mostrato in fig. 5, vi sono quattro principali configurazioni di MOSFET: a) con canale di tipo p ad arricchimento; b) con canale di tipo n ad arricchimento; c) con canale di tipo p a svuotamento; d) con canale di tipo n a svuotamento. A essi corrispondono quattro diverse caratteristiche elettriche di trasferimento, cioè di relazioni tra la corrente che scorre nel canale tra source e drain, e la tensione applicata tra gate e source. Nelle configurazioni ad arricchimento non vi è conduzione quando l'elettrodo di gate non è polarizzato, mentre nelle configurazioni a svuotamento la conduzione è possibile (grazie a un drogaggio superficiale della regione di semiconduttore sottostante l'ossido) anche quando al gate non è applicata alcuna tensione.

Queste diverse configurazioni trovano applicazione nei due principali tipi di tecnologie, NMOS e CMOS, usate nei circuiti integrati logici. In essi l'elemento di base non è il singolo t., bensì una coppia di t. che costituiscono un invertitore. In tecnologia NMOS, l'invertitore viene realizzato con due MOSFET a canale n (da cui il nome della tecnologia), uno ad arricchimento e l'altro a svuotamento, mentre in tecnologia CMOS i due t. sono entrambi ad arricchimento, ma uno a canale n e l'altro a canale p (da cui il nome di tecnologia a MOS Complementari). In fig. 6 è rappresentata la struttura di un invertitore CMOS, fabbricato su un substrato di silicio di tipo p, che permette di ottenere direttamente il t. a canale n, mentre richiede un drogaggio locale di tipo n (detto pozzo) per ricavare il t. a canale p. In queste strutture grande attenzione è dedicata all'isolamento elettrico di un t. dall'altro, ottenuto mediante barriere di ossido di silicio anche molto profonde (trench isolation).

Il progresso nel campo delle tecniche litografiche permette di portare la lunghezza del canale di conduzione a valori molto inferiori a 1 μm, fino a circa 0,1 μm. La spinta verso questa miniaturizzazione viene sia dalla necessità di aumentare l'impacchettamento dei circuiti nelle memorie ad alta densità e nelle applicazioni logiche, sia dalle esigenze dei dispositivi per microonde. Con la tecnologia MOS è possibile conservare le principali caratteristiche funzionali dei dispositivi, riducendone le dimensioni, pur di scalare i parametri elettrici e geometrici secondo particolari regole di scala. In linea di principio anche le tensioni di alimentazione andrebbero scalate con le dimensioni, ma esigenze pratiche rendono preferibile mantenere costanti tali tensioni. Ciò porta, tra l'altro, a un aumento dei campi elettrici locali nei MOSFET a canale corto, con una conseguente serie di effetti non voluti, quali la ''perforazione'' del canale di conduzione (cioè il passaggio diretto di corrente tra source e drain, non controllato dalla tensione di gate) oppure la ''rottura'' dielettrica dell'ossido (cioè il passaggio di cariche tra elettrodo di gate e semiconduttore, attraverso l'ossido). La presenza di questi processi potrebbe limitare l'ulteriore miniaturizzazione dei dispositivi, prima ancora del manifestarsi di limitazioni fisiche fondamentali, legate per es. all'insorgere di fenomeni quantistici. Per aumentare la densità dei dispositivi si sta anche ricorrendo allo sviluppo di geometrie tridimensionali, nelle quali i MOSFET vengono realizzati su vari piani sovrapposti, separati da strati isolanti, eventualmente utilizzando substrati del tipo SOI (Silicon On Insulator; v. semiconduttore, in questa Appendice).

I vantaggi ottenibili dall'unire sulla stessa piastrina l'alta densità di dispositivi e il basso consumo di potenza, tipiche dei CMOS, con le basse soglie di tensione e gli alti guadagni di corrente, caratteristici dei t. bipolari, stanno anche spingendo verso l'integrazione tra la tecnologia bipolare e la tecnologia CMOS. Si stanno quindi sviluppando tecnologie miste, dette BiCMOS, per applicazioni di potenza, per applicazioni analogiche a basso consumo.

È opportuno menzionare una recente applicazione dei t. a porta isolata nel campo dei sensori chimici (CHEMFET, Chemical Field Effect Transistor). Il principio di funzionamento consiste nel depositare sopra l'isolante di gate (ossido o nitruro) una sostanza capace di adsorbire selettivamente e reversibilmente degli ioni: in conseguenza dell'adsorbimento cambia lo stato di carica del gate e quindi la conduttanza del canale tra source e drain. Si ha così la trasduzione elettrica di un fenomeno chimico con elevata sensibilità. Basandosi su questo principio si stanno attualmente sviluppando dispositivi sensibili a ioni idrogeno, ioni sodio, ioni potassio, ecc., che possono trovare importanti applicazioni in campo biomedico.

I t. finora considerati, sia bipolari che a effetto di campo, sono basati su substrati massivi di semiconduttore, principalmente silicio o arseniuro di gallio. Tuttavia per applicazioni particolari sono oggi sviluppati anche t. basati su film sottili di semiconduttore (TFT, Thin Film Transistor) con struttura policristallina (CdS, CdSe) o amorfa (silicio amorfo idrogenato). Tali dispositivi appartengono alla famiglia dei t. a porta isolata e possono essere realizzati in varie configurazioni che, come mostrato in fig. 7, differiscono per la disposizione degli elettrodi (coplanari o alternati) e per la posizione del gate (in superficie o sepolto). La configurazione più usata è quella con elettrodi alternati e con gate sepolto (detta inverted staggered), perché garantisce una migliore protezione dello strato isolante e quindi la stabilità del dispositivo. Benché la qualità elettronica degli strati sottili semiconduttori sia molto inferiore a quella delle fette monocristalline di silicio o di GaAs, questo tipo di t. ha il vantaggio di poter essere realizzato su substrati isolanti di basso costo con superficie molto ampia (per es., lastre di vetro di area fino a 1000 cm2). In tal modo i TFT trovano applicazione nel pilotaggio dei visualizzatori d'immagine a cristalli liquidi (LCD, Liquid Crystal Display), in cui a ogni elemento dello schermo (pixel) corrisponde un t. impiegato come interruttore: durante il ciclo di carica rapida del pixel il t. è in conduzione (stato on), mentre durante il ciclo di scarica lenta il t. è interdetto (stato off). Simili schemi d'indirizzamento si impiegano anche nei sensori d'immagine di larga area, costituiti da una matrice di fotodiodi accoppiati a TFT.

Bibl.: S.M. Sze, Physics of semiconductor devices, New York 19812; E.H. Nicollian, J.R. Brews, MOS physics and technology, ivi 1982; S.M. Sze, Semiconductor devices: physics and technology, ivi 1985; R.S. Muller, T.I. Kamins, Device electronics for integrated circuits, ivi 19862; VLSI technology and design, a cura di J.V. McCanny e J.C. White, Londra 1987; M. Shur, GaAs devices and circuits, New York 1987; VLSI technology, a cura di S.M. Sze, Singapore 19882; A.S. Sedra, K.C. Smith, Microelectronic circuits, New York 19913; J. Singh, Semiconductor devices, Singapore 1994.

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