TRASCENDENTE e TRASCENDENTALE

Enciclopedia Italiana (1937)

TRASCENDENTE e TRASCENDENTALE

Guido Calogero

. Unica è l'origine, e in certa misura anche la storia, di questi due famosi termini filosofici, giunti d'altronde in età moderna a caratterizzare posizioni speculative sotto certo aspetto assolutamente antitetiche. Già nella più antica tradizione della terminologia filosofica latino-medievale s'incontra il verbo transcendere (o, con grafia meno usata ma più rispondente all'etimologia, transscendere), adoperato nel suo originario senso di "salire al disopra", "superare" per designare ogni rapporto di netta superiorità o superamento realizzato da parte di una sfera della realtà gnoseologica o metafisica rispetto a un'altra. Così, per es., in Boezio la ragione transcendit l'oggetto dell'immaginazione, e Agostino esorta a transcendere anche il se ipsum quando, ritornati in sé stessi, si sia avvertita mutevole anche la propria natura. Originariamente, cioè, il transcendere è proprio dell'attività gnoseologica che oltrepassa, nella sua ascesa, una data sfera reale o ideale per attingerne una superiore. Ma presto questo significato si trasferisce dal campo soggettivo in quello oggettivo, e il transcendere viene riferito alle stesse realtà sia in quanto ontologicamente sovrastano ad altre realtà sia in quanto gnoseologicamente soverchiano la facoltà conoscitiva che dovrebbe attingerle. Così, per Scoto Eriugena, Dio trascende la natura in quanto non è soggetto alle sue limitazioni e si manifesta solo quando si siano dissolte le determinazioni di quella; e per Tommaso d'Aquino le verità della teologia sua altitudine rationem transcendunt, in quanto sfuggono alla pura razionalità della conoscenza filosofica.

Da questo generale ed originario significato del transcendere deriva il senso che del termine "trascendente" è rimasto caratteristico. "Trascendente" è tutto ciò che esiste al difuori e al disopra di un'altra realtà, la quale ne dipende, comunque, in forza della propria inferiorità, mentre l'altra non dipende da essa. La realtà, in confronto della quale tale "trascendenza" si manifesta, può essere ontologica o gnoseologica: così, per es., le idee platoniche sono trascendenti rispetto alle cose empiriche, e il noumeno kantiano è trascendente rispetto alla facoltà intellettiva. Il termine di "trascendente" viene di conseguenza a costituire antitesi rispetto a quello di "immanente", che in origine si contrapponeva invece a "transeunte" (gli scolastici, e poi, per es., Spinoza, distinguono la causa immanens, che permane nel causato, dalla causa transiens, che nel causato si risolve e dissolve): "immanente" infatti è ciò che sussiste senza potersi separare ontologicamente dalla realtà alla cui costituzione contribuisce, mentre "trascendente" è quel che non è soggetto a tale condizione. E se nel pensiero antico e medievale tale antitesi concerne principalmente la posizione della realtà ideale rispetto alla realtà empirica (donde, per es., il contrasto fra la trascendenza dell'idea platonica e l'immanenza dell'universale aristotelico), nell'età moderna essa riguarda soprattutto la posizione della realtà rispetto al pensiero: s'intende quindi come l'osservazione della trascendenza venga a caratterizzare sempre più strettamente ogni forma di realismo, contro la difesa idealistica dell'immanenza.

Ben diversa è invece la storia del termine "trascendentale". Con "trascendente" esso non ha in comune soltanto l'etimologia, ma anche il significato originario di entità che supera, "trascende" i limiti di altre entità: e di fatto gli scolastici adoperano non di rado transcendens anche nel senso di transcendentalis, così come viceversa Kant (da cui pur dipende, come si vedrà, la fondamentale contrapposizione dei due termini) dà tuttavia qualche volta a transzendental il valore stesso che a transzendent. Ma, nel suo significato specifico, transcendentalia, o termini transcendentales, sono per la filosofia scolastica i termini qui praedicamenta transcendunt, ita tamen ut de singulis praedicamentis dici possint. La teoria di tali termini si riferisce, cioè, in generale, alla concezione aristotelica delle categorie come predicati generalissimi delle cose; e anzi si può dire che ne costituisca una specie di reduplicazione, perché come i predicabili aristotelici trascendono, nella loro universalità, ogni realtà singola, così questi "termini trascendentali" trascendono quei predicabili, ed appariscono in questo modo come categorie delle categorie.

L'enumerazione di questi "trascendentali" non è naturalmente concorde negli scolastici, ma più spesso (secondo la formulazione a cui si accosta anche San Tommaso), essi si riducono a sei: res, ens, verum, bonum, aliquid, unum. Comunque, quel che importa non è qui tanto la particolare loro enunciazione, quanto l'aspetto generale che essi vengono assumendo a paragone delle categorie aristoteliche. Queste infatti potevano apparire, per lo meno in forza del platonismo superstite nella loro costituzione ideale, come logicamente trascendenti le realtà empiriche, e quindi anche più lontane di queste ultime rispetto al pensiero movente dalla sua sfera soggettiva verso la sfera oggettiva. Nei termini transcendentales si accentua invece, in virtù della loro stessa costituzione, quel carattere soggettivo-razionale che appariva proprio già delle "categorie" quando esse fossero state considerate dal punto di vista propriamente aristotelico, o, meglio ancora, da quello dell'empirismo postaristotelico: essi tendono infatti a presentarsi non tanto come realtà supreme, quanto come concetti necessarî per il pensamento e l'inquadramento razionale di ogni possibile oggetto. Di fronte al trascendere del "trascendente", che è un salire nella scala dell'essere allontanandosi sempre più dalla soggettività pensante, si delinea così il trascendere del "trascendentale", che è invece un risalire verso le più profonde e universali forme del conoscere e quindi un avvicinarsi alle radici ultime della soggettività. S'intende in tal modo come si sia venuta formando la tradizione terminologica poi consacrata dal Kant con l'opposizione del "trascendentale" che trascende l'esperienza nel senso della soggettività pensante in quanto ne costituisce l'apriori, cioè la condizione universale e necessaria, al "trascendente", che trascende l'esperienza nel senso dell'oggettività noumenica, e quindi induce nell'illusione dialettica il pensiero che crede di potersene impadronire. Donde l'antitesi del "trascendentismo" al "trascendentalismo", che viene ad essere simile a quella del realismo all'idealismo. Da allora in poi il concetto del "trascendentale" è rimasto saldo nella tradizione idealistica, designando sempre, anche nelle più diverse composizioni terminologiche, quella sfera di verità necessarie che il pensante scopre in sé medesimo quando, astraendo da ogni sua determinazione contingente, considera le sue condizioni assolute; e cioè quando, con metodo che da allora in poi appare imprescindibile per il pensiero filosofico nella sua antitesi rispetto alla conoscenza sperimentale della natura, studia non l'Io "empirico" ma, appunto, l'Io "trascendentale".

Bibl.: Per la storia di entrambi i termini v. una serie d'indicazioni in R. Eissler, Wörterb. d. philosoph. Begriffe, III, 4a ed., Berlino 1930, pp. 253-63.