TRATTATI TECNICO-ARTISTICI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

TRATTATI TECNICO-ARTISTICI

S.B. Tosatti

I t. tecnico-artistici rappresentano "la parte più originale di ciò che possiamo chiamare la letteratura artistica del Medio Evo" (Schlosser, 1924, trad. it. p. 26). Tra i testi più noti si ricordano le opere di Teofilo (v.), Cennino Cennini (v.) e Giovanni Alcherio (v.). In questa sede si vuole tuttavia trattare non delle semplici raccolte di ricette, ma di quegli scritti in cui, pur mancando spesso un'esposizione metodica, l'autore o l'assemblatore, anche anonimo, in un prologo e/o nell'organizzazione del materiale mostri qualche finalità pratica, che renda tali testi potenzialmente utili per la conoscenza delle botteghe e delle tecniche artistiche medievali.Premesso che i principali t. dell'Antichità e dei primi secoli cristiani, dal Liber de lapidibus di Teofrasto (ca. 370-287 a.C.) al De architectura di Vitruvio (fine sec. 1° a.C.), dalla Naturalis Historia di Plinio (23-79 d.C.) - che è tra gli autori più citati - al De materia medica di Dioscoride (fine sec. 1° d.C.), fino a Isidoro di Siviglia (ca. 570-636), non furono mai completamente dimenticati, si deve tenere conto che nei t. medievali la compilazione è onnipresente, in percentuale variabile. E negli studi recenti tra gli approcci più promettenti è quello più attento alla critica testuale (Thompson jr., 1972; Settis, 1979; Baroni, 1996; 1998), che invita a grande cautela nell'interpretazione di questi testi.È opportuno iniziare con un cenno alla Mappae clavicula per l'enorme fortuna incontrata da questa raccolta lungo tutto il Medioevo e oltre: vi ha attinto la maggioranza dei t. e ricettari medievali (Johnson, 1935; 1937). Con Mappae clavicula si intende sostanzialmente il codice conservato negli Stati Uniti (sec. 12°; Corning, Corning Mus. of Glass, Phillipps 3715), che raccoglie la tradizione terminale di una serie di testi. Dei tre principali solo il secondo, traduzione di un t. alchemico in greco del sec. 4°, è il nucleo originario del t., risalente al sec. 5° (Halleux, Mayvaert, 1987; Halleux 1990). Il primo, il De coloribus et mixtionibus, del sec. 12° è in versi e ha una fortunata tradizione a sé: si ritrova, allegato per intero, in parte o riecheggiato, in molti t. medievali di tecniche artistiche (Bulatkin, 1954) fra cui il De arte illuminandi. Il terzo, una raccolta di precetti tecnico-artistici, coincide sostanzialmente con il t. noto come Compositiones Lucenses o Compositiones ad tingenda musiva (810 ca.; Lucca, Bibl. Capitolare, 490), anch'esso legato a t. e ricettari di epoca ellenistica e tardoantica, come il Papiro X di Leida, di età costantiniana (Silva 1989).Già citata in età carolingia, la copia più antica della Mappae clavicula in Occidente è in un testo del sec. 10° (Sélestat, Bibl. Humaniste, 17), che comprende copia del De architectura di Vitruvio. Tra i testi più strettamente legati alla Mappae clavicula e alle Compositiones sono due manoscritti del sec. 12° (Madrid, Bibl. Nac., A 19; Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 3) e un codice trecentesco conservato a Parigi (BN, lat. 7418).Rispecchia il fascino dell'Antichità fin dal titolo anche il De coloribus et artibus Romanorum (Raspe, 1781), in versi, di Eraclio, nome dai più ritenuto fittizio, probabilmente composto in Italia verso il sec. 10° o, come prospetta convincentemente Garzya Romano (in Eraclio, 1996), nell'Italia nordorientale nel sec. 8° - con precetti su coloranti e lacche (v. Pittura) per pittura libraria; al III libro, più tardo, in prosa, e contenente fra l'altro precetti su ceramica, vetri e vetrate, attinse anche il monaco Teofilo (o a una fonte comune, se non attinsero entrambi a frammenti staccati aventi matrice comune).

Risale all'età romanica il primo grande t. medievale di tecniche artistiche, il De diversis artibus di Teofilo, identificato con l'orafo Roger di Helmarshausen (v.), guida stilistico-tecnica organicamente congegnata a fini didascalico-pratici. Neanche Teofilo, uomo di cultura medievale, sfugge alla compilazione, ma ne fa uso garbato - in parte riconoscibile e prevalentemente verso la fine di ciascuno dei tre libri di cui l'opera si compone - per contrasto con l'ammirevole precisione dei precetti di prima mano, dal contenuto spesso leggendario. Nella composizione del De auro Hyspanico (III, 48) entrano, oltre al sangue umano, i basilischi, mitici galli con coda di serpente, che con favolosa digressione il t. insegna a ottenere e allevare.Già in Eraclio e in Teofilo, come nel Liber de coloribus faciendis di Pietro di Saint-Omer (Merryfield, 1849), forse della fine del sec. 12°, si trovano indicazioni per pittura a olio: su ciò si fondò la fortuna critica di questi testi, cari alle ricerche dei grandi studiosi del passato (Lessing, 1774; Eastlake, 1847-1869), che di quella ricercavano le origini.Non ha forse ricevuto sinora abbastanza attenzione il citato De coloribus et mixtionibus, di età romanica (Thompson jr., 1933; 1972; Bulatkin, 1954), in cui è teorizzata la stesura del colore secondo uno schema tripartito - tono locale, profilatura di tono più scuro, sfumatura più chiara (campitura-incisiomatizatura) - che è, a ben vedere, consigliato anche da Teofilo (De diversis artibus, I, 14 e 16). Questa resa convenzionale della scala cromatica secondo terne di sfumature di colore, ai fini della scansione plastica, è forse la caratteristica stilistica oltreché tecnica principale della stesura pittorica di età romanica (e non solo). La portata di ciò è stupefacente e se ne trova eco, ancora, nel Libro dell'arte (LXVII) di Cennino Cennini alla fine del Trecento (Tosatti, 1998b).Forse proviene dal fertile milieu della miniatura manfrediana o dei primi tempi del dominio angioino un bellissimo t. dedicato alla pittura libraria, il De arte illuminandi (Napoli, Bibl. Naz., XII E. 27), pervenuto in copia trecentesca di più antico originale, che dopo la dichiarazione iniziale di voler scrivere di miniatura simpliciter et caritative, si apre sostenendo, sull'autorità di Plinio, che tre sono i colori principali: il nero, il bianco, il rosso. Varrebbe la pena indagare in quella direzione, dato che l'autore del t. napoletano, colto, ma fresco e sciolto narratore, trova l'equivalente in splendenti miniature, spigliate, spiritose, e di altissima cultura del tipo del miniatore del codice contenente Tito Livio (Parigi, BN, lat. 5690), come l'Annuncio ai pastori nel messale pontificale di S. Matteo (Salerno, Mus. Diocesano), del 1283, in stile franco-svevo-bolognese di grande efficacia narrativa.Le stesse qualità si trovano, amplificate, in Cennino Cennini, capace anche di entrare nel vivo di un dibattito allora di grande attualità: quale fosse il miglior modo di dipingere. Si è prospettato che i modi di dipingere descritti dall'artista nel Libro dell'arte illustrino diversi metodi attuati da Giotto e dai giotteschi in vari cicli pittorici: da un lato, la maniera più tradizionale, già praticata da Giotto ad Assisi e poi dai giotteschi più diligenti fra cui Agnolo Gaddi e Cennino; dall'altro, il modo più nuovo, osservabile in Giotto maturo, che inaugura il "dipingere dolcissimo e tanto unito" (Tosatti, 1998b).Conferma l'aderenza all'attualità professionale di buona parte del Libro dell'arte, per confronto, un altro ammirevole testo consacrato a una sola arte, la Memoria del magisterio de fare finestre de vetro (Benazzi, 1991) del maestro vetraio Antonio da Pisa. Questo t. è l'altra faccia della medaglia del Libro dell'arte limitatamente al denso e importante capitoletto in cui Cennino Cennini tratta la vetrata. Gravitando entrambi intorno alla bottega di Agnolo Gaddi negli stessi anni, i due si conoscevano. Mentre Cennini spiega il compito progettuale, di pertinenza del pittore - il disegno e la pittura finale dei pezzi di vetro a grisaille - il maestro vetraio dà istruzioni a livello esecutivo. Si ottiene così il quadro della situazione e della divisione del lavoro, in ambito fiorentino, ma non solo, fra Tre e Quattrocento. Ciò nonostante Antonio da Pisa, autore della vetrata con sei santi nella parete nord della terza campata del duomo di Firenze, del 1395, su cartoni di Agnolo Gaddi, oltre a informare con competenza e precisione sulle fasi operative della sua arte, propone notizie e osservazioni originali, consigliando fra l'altro vetri color acquamarina, grisaille color perla, vetri incolori e un'alta percentuale di bianchi, e cioè una tavolozza molto chiara (Tosatti, 1998a). La percentuale di ricette di compilazione è ridotta, lasciando spazio a osservazioni personali, che sono il maggior pregio del trattato. La Memoria è conservata ad Assisi (Sacro Convento, 692) dai probabili committenti del t., presso i quali Antonio da Pisa dovette lavorare al restauro delle antiche vetrate della basilica, forse contribuendo all'introduzione nel S. Francesco di Assisi del tipo di finestra a figure di santi sovrapposte, ben attestata nella basilica assisiate (Benazzi, 1991).Entro il 1300 si data anche il Manoscritto di Strasburgo, distrutto nel 1870, ma recuperato attraverso la copia che Eastlake aveva procurato (Londra, Nat. Gall., A.VI.19; Berger, 1901-1912). L'assemblatore raccoglie tre ricettari, il primo dei quali risale a Enrico da Lubecca, forse un miniatore attivo nel 1262 nell'abbazia di Parc presso Lovanio (Ploss, 1962); il secondo, comprendente tempere per colori per pittura su tela al modo parigino e lanpenese, lo ottiene da Andrea da Colmar, che attinge fra l'altro a un ricettario in latino. Il terzo, comprovante l'uso della pittura a olio, raccoglie prescrizioni tecnico-artistiche al modo lanpenese (con affinità con il De arte illuminandi, il Libro dell'arte di Cennino Cennini e il Manoscritto Veneziano). Se le prime due sezioni sono prevalentemente compilative - si trovano precetti affini nel De coloribus faciendis di Pietro di Saint-Omer e nei ricettari più antichi di Alcherio - più originale è la terza, risalente a un antigrafo germanico. L'assemblatore, altorenano o alsaziano, potrebbe essere un pittore, da come raccoglie e usa disinvoltamente le fonti, traducendo liberamente il ricettario latino e riassumendolo. È ancora aperta la questione dell'interpretazione del 'metodo lanpenese', se londinese (Eastlake, 1847-1869; Borradaile, Borradaile, in The Strasburg Manupscript, 1966) o lombardo (Berger, 19122): farebbe propendere per londinese il vivo interesse in Lombardia per i metodi inglesi per pittura su tela, se pochi anni dopo (1410) il milanese Alcherio procurava copia di ricette inglesi per pittura su tela dal ricamatore fiammingo Tederico. Altri notevoli ricettari per tintura in codici della fine del Trecento, fra cui i manoscritti di Norimberga (Ploss, 1962) e di Bamberga (Ploss, 1964), confermano l'interesse che questa rivestì alla vigilia della grande fioritura quattrocentesca della pittura su tela; per la situazione italiana si può fare riferimento al testo di Brunello (1981).Agli anni a cavallo del 1400 risale un'eccezionale raccolta, la Tabula de vocabulis sinonimis et equivocis colorum (1382-1431; Parigi, BN, lat. 6741; Merryfield, 1849), che il notaio parigino Jean Lebègue (Villéla-Petit, in corso di stampa), colto cancelliere reale, umanista e consulente artistico di Jean de Berry, si procurò dall'agente artistico milanese Giovanni Alcherio, consulente presso il cantiere del duomo di Milano (insieme a numerosi membri della sua stessa famiglia). La collezione comprende sia ricette di grandi pittori contemporanei, come Michelino da Besozzo e Giovanni da Modena, sia grandi t. del passato, come quelli di Eraclio e di Teofilo. Alcherio, oltre a raccogliere ricettari a Milano, Genova, Bologna, Venezia e Parigi, procurò, alla scomparsa di Giovannino de Grassi, direttori artistici nordici per il duomo milanese, fra cui Jacques Coene, alias Maestro delle Ore del maresciallo Boucicaut. Lebègue aggiunse ricette in francese alla fine della raccolta di Alcherio.I t. medievali non sono quasi mai illustrati. L'eccezione più famosa è il Livre de portraiture (Parigi, BN, fr. 19093) dell'architetto piccardo duecentesco Villard de Honnecourt (v.). Un'altra è il taccuino quattrocentesco di modelli per pittura libraria di Gottinga (Niedersächsische Staats- und Universitätsbibl., Uffenb. 51; The Göttingen Model Book, 1970), che illustra le prescrizioni con disegni esemplificativi di carnosi fogliami per decorazioni marginali e un campionario di fondi quadrellati, miniati a vividi colori.Si conservano in un codice senese datato 1437, ma scritto alla fine del Trecento, quattro t. (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, L.XI.41; Lisini, in Della pratica di dipingere finestre colorate, 1885; Tosatti, 1978, pp. 86 ss., 141-149): il primo è un ricettario di colori per miniatura del certosino Bartolomeo da Siena, prevalentemente di compilazione; il secondo contiene altre ricette per miniatura, comprendenti il De coloribus et mixtionibus in volgare; il terzo contiene una scala di misure del corpo umano (sempre ricercate, spesso dipendenti dalle proporzioni vitruviane), di maestro Buono Amico da Firenze, in cui Caleca (1986) propone di riconoscere il pittore Buffalmacco; infine l'ultimo è un t. per maestri vetrai (Addipignere finestre di vetro e cuocerle). Tra altri consimili (Strobl, 1990), è interessante il secondo di tre testi (Firenze, Archivio di Stato, 797), sempre in copia quattrocentesca, ma di formulazione trecentesca, che Milanesi (in Dell'arte del vetro per musaico, 1864) attribuì a Benedetto Embriachi, figlio naturale dell'imprenditore artistico Baldassarre, di cui Schlosser (1899) individuò l'origine veneziana. Egli sottolineò altresì come Baldassarre fosse stato agente di Giangaleazzo Visconti, oltreché artista, e fornì elementi utili a retrodatare l'attività del figlio alla fine del Trecento. Sono tutti elementi che legano curiosamente il t. al Manoscritto Veneziano (sec. 15°; Londra, BL, Sloane 416), grande raccolta di ricettari su varie arti che inizia a Ferrara, passa da Venezia e poi ritorna in terraferma per spostarsi a Milano e a Novara, comprendente anche annotazioni fiorentine, poi svizzere e infine fiamminghe. Nel t. edito da Milanesi e nel ricettario per vetrate del Manoscritto Veneziano si trovano gli stessi termini e nomi (Niccolò di Bertoldo): forse derivano dalla stessa fonte, certamente veneziana. Il ricettario del Manoscritto Veneziano riguarda solo la pittura dei pezzi: sono pochi ma interessanti colori, attuali a quei tempi, come vernici di impermeabilizzazione colorate e un nero per grisaille che non necessitava di ricottura. La raccolta alterna ricettari abbastanza originali, relativi alle sole fasi pittoriche delle varie arti, ad altri di compilazione. I diversi testi, alcuni dei quali forse fogli di bottega appartenuti ad artisti, come Maso da Urbino, e altri di contenuto alchemico, furono raccolti da un assemblatore medico, che iniziò a ricopiarli, più attirato dalle parti alchemiche che da quelle sulle arti, ma non poté terminare il lavoro.Uno dei più ambiziosi ricettari è il Libro dei colori o Manoscritto di Bologna (sec. 15°; Bologna, Bibl. Univ., 2861; Merryfield, 1849), grandiosa compilazione di ricette per pittura, riordinate colore per colore (ottantuno riguardano il solo azzurro), per vetri, mosaici, vetrate e tinture varie. È improbabile che spetti a un artista, anche se riporta brani di ricettari di pittori (per es. Jacopo da Toledo). La probabilità che si tratti di un frate del convento di S. Salvatore in Bologna non è alta, se è vero, come affermano Guerrini e Ricci (in Il libro dei colori, 1887), che il codice vi entrò a metà del sec. 18°, dopo essere stato forse nel 17° nelle mani di Giovanni Battista Nozzi. Oltre a registrare ancora vecchi precetti della tradizione della Mappae clavicula, questi hanno subìto un lieve processo di uniformazione da parte del copista. Si è di fronte a una sistemazione non finita, e il suo interesse sta anche nell'illuminare, a somiglianza della Mappae clavicula, i processi di aggregazione e stratificazione cui questi 'testi viventi' o works in progress erano soggetti. Fra le sue fonti è pure un altro ricettario importante ed esteso, il Manoscritto di Lucca del primo Trecento (Lucca, Bibl. Statale, 1939; Silva, 1978).Se ci si interroga sulle ragioni per cui i segreti delle arti furono scritti e su quelle per cui furono tramandati, si osserva che, salvo i rari casi di veri t., dal contenuto sistematicamente ordinato a fini pratici, quali quelli di Teofilo e di Cennino Cennini, la letteratura tecnica si rivela una miscela di ricette originali e di compilazione, che rispecchia la duplice matrice, teorico-pratica, di questi scritti. Se si va a vedere nel corredo delle grandi botteghe medievali, vi si possono trovare calchi e modelli, disegni, schizzi architettonici, motivi iconografici (v. Disegno architettonico; Modello) e, meno spesso, se l'artista sapeva leggere e scrivere, anche qualche foglio con appuntate particolari ricette - i cahiers de laboratoire - che si era voluto espressamente fermare in forma scritta, di rado in latino, dato che la prassi normale faceva parte di un sapere trasmesso oralmente.Parallelamente correva il grande sforzo di compilazione, visibile in filigrana lungo tutti i secoli medievali: nella letteratura (non solo) tecnica si vollero fermare, e forse tramandare a un futuro meno buio, pratiche di cui a volte ormai si ignorava il senso oltre che l'efficacia, in quanto ponte con il mondo antico, alla cui superiore grandezza si tentava di attingere.I due generi erano naturalmente destinati a intersecarsi. A questi sommari spunti per una risposta alla prima domanda segue un tentativo provvisorio di rispondere alla seconda (per un'impostazione di metodo: Halleux, Cannella, 1998): per ragioni culturali, senza dubbio. Fu un uomo di cultura, il vescovo di Lucca Jacopo, che poco dopo l'800 ordinò copia di una serie di testi, fra cui le Compositiones Lucenses. Ma sapere significa anche potere (tentativo di controllo e/o monopolio nell'impadronirsi di una tecnica). Per questo, i segreti d'arte hanno spesso attratto agenti e impresari d'arte, come Alcherio e Jean Lebègue, che ne furono straordinari raccoglitori. Lebègue, socio finanziatore di un atelier di miniatori, fu autore anche di una dettagliata guida per illustratori con minuziose istruzioni, fin sui colori da usare. A questo si intrecciava il grande valore economico dei materiali, il cui fascino era accentuato anche dai legami con le pratiche alchimistiche, come insegna l'enorme fortuna della Mappae clavicula.Si devono agli artisti i t. veri, i più belli. Il lungimirante Teofilo-Roger, scrivendo agli inizi del sec. 12°, riconosce la supremazia dei Franci nell'arte della vetrata (De diversis artibus, II). Cennino Cennini, dopo le note osservazioni sull'affresco, "il più dolce e il più vago lavorare che sia" (Libro dell'arte, 67), e la pittura su tavola, distingue, per la pittura a tempera, tra rosso d'uovo di galline di campagna e di città, perché il primo è più rosso (ivi, 83; 147); e infine, scrivendo a Padova, e sposato con una padovana, ricorda con nostalgia i belletti delle fiorentine: "accadrebbe in servigio delle giovani donne, spezialmente quelle di Toscana, di dimostrare alcuno colore del quale hanno vaghezza e usano farsi belle [...] Ma perché le Pavane non l'usano, e per non dare loro cagione di riprendermi, [...] per tanto mi tacerò" (ivi, 180). Con sincerità toccante Antonio da Pisa consiglia di risiedere sempre nello stesso luogo, perché "a [...] far bene in questa arte si è: stare fermo", mentre si sa che i maestri vetrai, per esser specialisti molto ricercati, erano accomunati da una carriera itinerante di cattedrale in cattedrale (Acidini Luchinat, 1995). Anche Vasari (Le Vite, II, 1967, pp. 243-250), che pur critica il Libro dell'arte, scritto "poiché forse non gli riuscì imparare a perfettamente dipingere" e che darebbe "avvertimenti dei quali non fa bisogno ragionare, essendo oggi notissime tutte quelle cose che costui ebbe per gran segreti", ha lasciato, nelle Introduzioni alle Vite, un grande t. di tecniche, con finissima sensibilità per i materiali.Come quelli dell'antichità, i t. medievali non furono mai completamente dimenticati: Vasari conosceva il t. di Cennino Cennini (fatto tutt'altro che scontato), Muratori pubblicò nel 1739 le Compositiones Lucenses, Lessing (1774) studiò Eraclio e riscoprì Teofilo. Essi furono studiati da grandi eruditi ottocenteschi come Merryfield (1849) e più vicini a oggi come Thompson jr. (1932). Gli studi recenti dedicano la massima attenzione ai materiali e a diversi tipi di analisi dei testi (Conti, 1986; 1996, Baroni, 1996; in corso di stampa), e ai dati ricavati dall'informatizzazione dei termini tecnici (Tolaini, 1996; in corso di stampa).

Bibl.:

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