TRIBUTI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

TRIBUTI

Amedeo Tagliacozzo

(v. imposte e tasse, XVIII, p. 928; App. I, p. 722; II, II, p. 9; III, I, p. 850)

Sistema tributario italiano. - I t., o entrate fiscali, sono prestazioni pecuniarie obbligatorie che lo stato e alcuni enti pubblici territoriali prelevano dai cittadini e da altri soggetti economici per coprire le spese per i servizi pubblici, per lo più indivisibili e non individualizzabili. Si distinguono pertanto dai contributi sociali, o entrate parafiscali, anch'essi obbligatori, ma prelevati dagli enti previdenziali e di assistenza per la prestazione di servizi specifici, in genere divisibili. Si tratta quindi di entrate derivate e di diritto pubblico, e traggono la loro legittimazione dalla posizione di supremazia dello stato e della pubblica amministrazione. La Costituzione italiana, a tutela del cittadino, fissa dei limiti a tale potere impositivo disponendo (art. 23) che "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"; oltre a ciò introduce (art. 53) il principio secondo il quale la partecipazione del singolo al t. deve avvenire in base alla sua capacità contributiva in un sistema informato a criteri di progressività.

Sotto il profilo economico-finanziario, i t. si distinguono in imposte, tasse e contributi, a seconda della destinazione del t. stesso nella ripartizione delle spese, ma anche per il suo grado di obbligatorietà. L'imposta è un prelievo coattivo destinato a coprire i costi dei servizi generali indivisibili e di quella parte dei servizi divisibili non coperti dalle tasse (per es. le imposte sul reddito). A fronte dell'imposta il cittadino non riceve dall'ente pubblico alcuna controprestazione diretta; il servizio è offerto alla collettività tutt'intera e ogni componente di essa è chiamato a partecipare alla spesa senza alcun riferimento all'utilità ricevuta. La tassa è una controprestazione obbligatoria, quasi sempre inferiore al costo, pagata dal singolo utente che ha fatto richiesta di un determinato servizio all'ente pubblico (per es. le tasse scolastiche). La tassa pertanto, come t., si distingue dal prezzo, che viene pagato dal cittadino in base a una domanda di prestazione formatasi liberamente. Tuttavia, la sua distinzione dal prezzo pubblico è così incerta che non tutta la dottrina è disposta ad accettare la natura tributaria di molte di esse. Il contributo si configura come un prelievo imposto a un gruppo di soggetti che traggono, o potrebbero trarre, vantaggio da una prestazione che l'ente pubblico destina solo a essi. La natura fiscale di tale prelievo deriva dal fatto che il singolo è costretto a pagare anche qualora non intenda avvalersi del servizio (per es. i contributi di miglioria, oggi sostituiti dagli oneri di urbanizzazione). È opportuno osservare che, non di rado, alla difficoltà di definire i t. in base ai parametri sopra indicati, si aggiunge la confusione provocata dallo stesso legislatore il quale, spesso, usa i termini imposta, tassa e contributo in maniera impropria, come nel caso delle cosiddette tasse di successione e tasse di Registro che, per l'esattezza, sono imposte indirette, e in quello della tassa di circolazione che è divenuta una vera e propria imposta diretta patrimoniale. Nell'uso corrente, infine, si tende a usare il termine tassa per tutti i tributi.

Le fonti del diritto tributario italiano. - Il potere d'imporre t. è espressione della sovranità dello stato che la esercita. Anzi, è talmente compenetrata nell'essenza dello stato moderno, che già nel 1918 J.A. Schumpeter scriveva che i termini tassa e stato diventano intercambiabili in quanto si riferiscono allo stesso concetto. Nel nostro ordinamento le fonti di diritto tributario sono: le leggi formali, i decreti legge e le leggi delegate; a queste fonti primarie si aggiungono le cosiddette fonti secondarie, e cioè i regolamenti delegati del governo, alquanto rari in materia tributaria, i decreti ministeriali, le decisioni dei comuni e delle province e di altri enti pubblici non territoriali ai quali la legge concede tale facoltà; infine, le leggi regionali e, per le regioni a statuto speciale, le leggi dello stato che ne hanno approvato lo statuto stesso.

Tra le fonti di norme tributarie occorre accennare a quelle derivanti dal Trattato di Roma del 1957, istitutivo delle Comunità economiche europee, la cui diretta applicazione nel nostro paese è sancita dall'art. 189 della l. 14 ottobre 1957 n. 1203. Tale limitazione della sovranità nazionale rientra nei casi previsti dall'art. 11 della Costituzione che pone soltanto due condizioni, entrambe sussistenti: la parità con gli altri stati e il fine di pace e giustizia fra le nazioni. La natura tributaria di queste norme, comunque, è messa in dubbio da parte della dottrina, ma è stata più volte sancita dagli organi giurisdizionali italiani ed europei (Corte di Cass. 1971 n. 2; Corte Cost. 1973 n. 183; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 1983, causa 168/82).

Le norme tributarie poste in essere dalle Comunità europee (CEE, CEEA e CECA, ora Unione Europea dal Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992) sono di due tipi: quelle che istituiscono t. per le comunità stesse, come i contributi a carico degli stati membri, sostituiti dal 1978 dalle risorse proprie, e quelle che hanno come scopo l'armonizzazione dei sistemi tributari nazionali, come nel caso dell'IVA. Le fonti di tali norme sono pertanto: fonti primarie o costituzionali, rappresentate dai trattati istitutivi, integrativi e modificativi delle comunità, che sono direttamente applicabili anche se in contrasto con le norme nazionali; fonti secondarie o derivate, poste in essere in virtù dei trattati stessi. Esse si distinguono in regolamenti che hanno portata generale, sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli stati membri, e in direttive che impongono agli stati un determinato obiettivo che dev'essere raggiunto tramite la legislazione interna. Fra le direttive più importanti sono la i e la ii dell'aprile 1967 per l'armonizzazione delle imposte indirette, e la vi del 17 maggio 1977 che ha approfondito la materia. Vi sono infine le decisioni, che trovano applicazione soltanto in casi ben determinati e concreti, e le raccomandazioni e i pareri, che però non hanno carattere di obbligatorietà.

Le entrate tributarie erariali (statali). − Nella Contabilità dello stato le entrate tributarie, accertate e incassate dallo stato stesso, sono suddivise in categorie e indicate in bilancio al titolo i. Esse sono: Imposte sul patrimonio e sul reddito; Tasse e imposte sugli affari; Imposte sulla produzione, sui consumi e dogane; Monopoli; Lotto, lotterie e altre attività di gioco. Tali entrate, nel loro complesso, costituiscono più dell'80% del totale e, fra di esse, le prime due categorie assicurano il 90% del gettito tributario. Nel 1993 tale gettito è ammontato a 430.573 miliardi con un incremento del 2,2% rispetto al 1992; la quota percentuale delle II.DD. (Imposte Dirette) è stata 60, mentre il rapporto fra il totale t. e il PIL (pressione tributaria) è stato 27,58% (22,31% nel 1984). Dal 1984 a oggi l'aumento del gettito è stato più che proporzionale rispetto alla crescita del PIL, tanto che la pressione tributaria è aumentata di più di 5 punti percentuali.

Il sistema tributario italiano. - Per sistema tributario s'intende il complesso di t. esistenti in un dato paese, in un determinato periodo, e l'insieme di norme che stabiliscono i presupposti e le modalità di accertamento e di riscossione. I sistemi tributari moderni, e quindi anche quello italiano, sono caratterizzati da una molteplicità di t., sia per numero degli stessi che per la diversità degli enti impositori. Nel nostro paese, il primo tentativo di razionalizzazione e rinnovamento del sistema risale agli anni Cinquanta con la riforma Vanoni, attuata con l. 11 gennaio 1951 n. 25. Da allora, neppure i successivi interventi riuscirono a mettere ordine nella smisurata produzione normativa, né a rendere efficiente l'apparato del fisco in termini sia di strutture che di risorse umane. Soltanto agli inizi degli anni Settanta, anche per le pressioni in sede CEE per l'armonizzazione tributaria negli stati membri, si giunse a una riforma sostanziale che ha rinnovato i più importanti t., ha snellito le procedure e ha introdotto nuovi strumenti di registrazione e controllo come l'Anagrafe tributaria, il Codice fiscale e la Partita IVA. Per i lavori preparatori e il processo di attuazione della riforma stessa, rimandiamo a tributaria, riforma, App. IV, iii, p. 689. In questa sede tratteremo piuttosto i principali t. del nostro sistema, con particolare attenzione a quelli che sono stati introdotti nell'ultimo ventennio.

1. Imposte dirette. -Le imposte dirette colpiscono le manifestazioni immediate della ricchezza, sia essa il reddito o il patrimonio. Esse sono considerate più ''giuste'' delle altre perché realizzano meglio il principio della capacità contributiva, e anche più ''moderne'' per la loro evidente visibilità che, d'altra parte, le rende particolarmente esposte all'evasione e al contenzioso tributario. Le II.DD. hanno raggiunto nel 1993 i 257.343 miliardi, che rappresentano il 58% di tutte le entrate tributarie; dato che nel 1991 il gettito diretto ammontava a 205.605 miliardi su un totale t. di 383.175 miliardi, il peso di queste imposte risulta aumentato in tre anni del 4,3% (tab. 2).

Le norme attuative della l. delega 9 ottobre 1971 n. 825 hanno abrogato i precedenti t. diretti, cioè: l'Imposta fondiaria, l'Imposta sul reddito agrario, l'Imposta sul reddito dei fabbricati, l'Imposta sui redditi di capitale, l'Imposta sui redditi misti di capitale e lavoro, l'Imposta complementare, l'Imposta sulle società e l'Imposta cedolare. Al loro posto sono state introdotte tre sole imposte: l'Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF), l'Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG) e l'Imposta Locale sui Redditi (ILOR).

Le principali fonti normative delle II.DD. sono rappresentate dai decreti di attuazione della l. 825, emanati tutti il 29 settembre 1973: d.P.R. 597 istitutivo dell'IRPEF, d.P.R. 598 istitutivo dell'IRPEG, d.P.R. 599 istitutivo dell'ILOR, d.P.R. 600 (accertamento imposte sui redditi) aggiornato con il decreto legisl. 6 marzo 1993 n. 136 e con il D.L. 2 aprile 1993, d.P.R. 601 (agevolazioni tributarie), d.P.R. 602 (riscossione imposte sui redditi), d.P.R. 605 (disposizioni relative all'Anagrafe tributaria e al Codice fiscale). Successivamente sono stati emanati: il D.L. Visentini, convertito nella l. 17 febbraio 1985 n. 17 (Visentini ter) e il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, che ha sostituito i decreti 597, 598 e 599 e che ha subito numerosi aggiornamenti, gli ultimi dei quali apportati dal D.L. 31 maggio 1994 n. 330, convertito dalla l. 27 luglio 1994 n. 473 e dal D.L. 29 giugno 1994 n. 416, convertito dalla l. 8 agosto 1994 n. 503.

a) Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF). L'IRPEF, introdotta dal d.P.R. 597, entrata in vigore il 1° gennaio 1974 e regolata dal già menzionato TUIR 917, artt. 1-85, è la più importante fra le imposte dirette per numero di soggetti coinvolti e per gettito (nel 1993 ha raggiunto i 158.078 miliardi che rappresentano il 61% delle II.DD. e il 36% di tutti i tributi). È un'imposta generale in quanto colpisce tutti i redditi al momento della loro produzione, personale perché tiene conto delle condizioni personali e familiari del soggetto passivo, e progressiva perché aumenta più che proporzionalmente all'aumentare del reddito. Tale progressività è realizzata mediante aliquote crescenti per scaglioni di reddito (v. tab. 3). Ricadono nei presupposti dell'IRPEF i redditi fondiari, i redditi di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d'impresa e i redditi diversi. I suoi soggetti passivi sono le persone fisiche residenti nel paese, per i redditi prodotti anche all'estero, e quelle non residenti, limitatamente ai redditi prodotti all'interno. Sono equiparate alle persone fisiche le società di persone, quelle in accomandita semplice e le imprese familiari. L'imposta si applica sul reddito complessivo netto annuale della persona e resta separato da quello del coniuge anche in caso di dichiarazione congiunta. Restano esclusi dalla base imponibile i redditi esenti da imposta, quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, gli assegni ricevuti dal coniuge separato per il mantenimento dei figli, i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero, gli assegni familiari e i redditi soggetti a tassazione separata. Possono essere dedotti dal reddito complessivo netto gli oneri e le spese riguardanti la posizione di ciascun contribuente come, per es., gli assegni al coniuge separato, i contributi obbligatori, parte delle spese mediche generiche e di assistenza specifica per i portatori di handicap, ecc.; costituiscono, invece, la base per detrazioni di imposta altri oneri come i familiari a carico, le spese mediche specialistiche, gli interessi passivi sui mutui, i contributi previdenziali non obbligatori e i premi per le assicurazioni volontarie sulla vita, nei limiti fissati dalla legge.

Il calcolo dell'IRPEF e il relativo pagamento vengono effettuati mediante autodenuncia sul mod. 740 entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di riferimento; vengono comunque sottratti sia i versamenti già effettuati a maggio e a novembre dello stesso anno d'imposta per un acconto complessivo del 98% di quanto pagato con la dichiarazione precedente, sia le ritenute subite e gli eventuali crediti pregressi.

L'art. 38 del d.P.R. 600/73 ha previsto la possibilità della ricostruzione induttiva del reddito imponibile partendo da alcuni indicatori della capacità contributiva, come il possesso di beni di lusso. Il 21 luglio 1983, il ministero delle Finanze ha introdotto con proprio decreto il redditometro, dando così rilevanza alla spesa del reddito e non alla sua produzione. Per le imprese, arti e professioni, invece, il D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella l. 27 aprile 1989 n. 154, ha previsto che l'accertamento del reddito possa avvenire anche tramite i coefficienti di congruità dei ricavi e i coefficienti presuntivi di reddito; con la successiva l. 30 dicembre 1991 n. 413 è stato anche introdotto il concetto del contributo diretto lavorativo, detto anche minimum tax, secondo cui il reddito imponibile degli imprenditori, artigiani e professionisti non può essere inferiore al costo del lavoro dipendente dei rispettivi settori. Tale disciplina è stata ulteriormente modificata dal D.L. 19 settembre 1992 n. 384, convertito con modifiche dalla l. 14 novembre 1992 n. 438, e dal D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito con modifiche dalla l. 29 ottobre 1993 n. 427 che ha prorogato la minimum tax fino a tutto il 1994, dopodiché dovranno trovare applicazione gli studi di settore, vale a dire schemi di riferimento contenenti i parametri necessari per consentire, per ogni settore, la ricostruzione ''a tavolino'' del giro d'affari dell'impresa oggetto dell'accertamento.

b) Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG). L'IRPEG, introdotta dal d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, è anch'essa entrata in vigore il 1° gennaio 1974 ed è oggi disciplinata dal TUIR l. 917 del 1986, artt. 86-114. Colpisce il reddito complessivo delle società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni, società cooperative, società di mutua assicurazione e altri enti pubblici o privati che esercitino o meno come residenti, in via esclusiva o principale, un'attività commerciale, o anche non residenti per i redditi prodotti nel territorio dello stato. È un'imposta globale, personale perché tiene conto delle diversità dei soggetti passivi e proporzionale con aliquota fissa del 36%. Il suo gettito nel 1993 è stato di 24.587 miliardi (9,57% del totale II.DD.), con un aumento di 5252 miliardi rispetto all'anno precedente. Anche l'accertamento dell'IRPEG avviene con autodenuncia annuale del soggetto passivo, da presentarsi con mod. 760 entro un mese dall'approvazione del bilancio (entro il 30 giugno per gli enti che non hanno termine di bilancio), e il pagamento dev'essere effettuato con il sistema degli acconti come indicato per l'IRPEF. Per evitare l'eccessiva tassazione risultante dal fatto che il reddito societario, già assoggettato all'IRPEG, diviene poi reddito imponibile IRPEF per i singoli soci, la l. 16 dicembre 1977 n. 904 prevede per questi ultimi un credito d'imposta pari ai 9/16 dei dividendi percepiti da aggiungersi al reddito totale per essere poi detratto dall'imposta finale.

c) Imposta Locale sui Redditi (ILOR). L'ILOR, introdotta dal d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, è entrata in vigore insieme alle altre imposte dirette il 1° gennaio 1974 ed è attualmente disciplinata dal TUIR l. 917 del 1986, artt. 115-121. È un'imposta reale e proporzionale che colpisce i redditi di capitale prodotti nel territorio dello stato e opera una sorta di discriminazione qualitativa dei redditi colpendo, salvo qualche eccezione, quelli patrimoniali ed escludendo quelli da lavoro dipendente e autonomo e dei piccoli imprenditori commerciali. Soggetti passivi del t. sono le persone fisiche, le persone giuridiche, le società di persone e assimilate, ancorché non residenti. L'aliquota è fissa, nella misura del 16,2%. In effetti, l'originario disegno di l., recepito nella legge istitutiva del t., lasciava esclusi soltanto i redditi da lavoro dipendente. Quelli da lavoro autonomo, considerati di difficile accertamento, ricadevano invece nei presupposti del tributo. A seguito delle vivaci proteste delle categorie interessate, fu chiesto il parere della Corte Costituzionale che, con sent. 26 marzo 1980 n. 42, dichiarò l'illegittimità di tale disposizione, cosicché anche i redditi degli autonomi sono restati esclusi dall'ILOR. Nella disciplina originaria, inoltre, l'ILOR era stata concepita come un'imposta locale, tanto che nella relazione governativa al disegno di legge delega si precisava che il gettito sarebbe andato ai comuni, alle province, alle regioni, alle camere di commercio e alle aziende autonome di soggiorno, i quali dovevano anche determinare l'aliquota di propria spettanza, entro dei limiti fissati dalla legge. Tutto ciò non si è realizzato cosicché, nonostante il suo nome, l'imposta continua a essere registrata nel bilancio dello stato. Nel 1993 il gettito dell'ILOR è ammontato a 17.362 miliardi, con una diminuzione di 2194 miliardi rispetto all'anno precedente per il fatto che non colpisce più il reddito immobiliare assoggettato ora all'ICI (Imposta Comunale sugli Immobili). Il suo ''peso'' sul totale t. diretti è del 6,7%. Nella determinazione della base imponibile, le persone fisiche che prestano la loro opera nell'impresa agricola o nell'impresa commerciale possono dedurre il reddito del loro lavoro calcolato forfettariamente nel 50% del reddito agrario o d'impresa, per un ammontare non inferiore agli 8 milioni e non superiore ai 16 milioni, oppure un reddito pari a quello risultante agli effetti dell'applicazione della minimum tax. L'accertamento e il pagamento dell'imposta avvengono con le stesse modalità previste per l'IRPEF e l'IRPEG.

2. Imposte indirette. - Le imposte indirette colpiscono le manifestazioni indirette o mediate della ricchezza e si distinguono in Imposte sui consumi e Imposte sui trasferimenti o sugli scambi. Sebbene non siano commisurate alla capacità contributiva e facciano aumentare i rischi d'inflazione, tali imposte hanno il pregio di essere elastiche, d'immediata applicazione e riscossione e perfettamente divisibili; sono inoltre difficili da evadere perché incluse nei prezzi. Esse sono indicate in bilancio insieme ad altri t. nella categoria Tasse e imposte sugli affari, che fornisce un gettito globale di 112.837 miliardi (1993), pari al 25% di tutte le entrate tributarie.

Le imposte indirette si suddividono pertanto in Imposte indirette sui consumi: Monopoli fiscali del tabacco, del lotto e dei giochi; Imposte di fabbricazione; Dazi doganali; Imposta sul valore aggiunto (IVA); Imposte automobilistiche. Imposte indirette sui trasferimenti: Imposta di Registro; Imposta di bollo; Imposte ipotecarie; Imposte sulle successioni e donazioni. Le norme attuative della l. 825 hanno abrogato alcuni t. indiretti e ad altri hanno apportato modifiche; le novità più rilevanti, comunque, sono state l'introduzione dell'Imposta sul valore aggiunto e l'Imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, della quale parleremo fra i t. locali.

a) Imposta sul Valore Aggiunto (IVA). L'IVA, introdotta con d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, è entrata in vigore il 1° gennaio 1973. Da allora ha subito numerose modifiche, sempre inserite nel testo precedente, cosicché qualsiasi testo aggiornato del decreto fornisce un quadro completo del tributo. Tra le norme che hanno apportato le modifiche più significative ricordiamo: la l. 10 maggio 1976 n. 249 istitutiva della ricevuta fiscale, il d.P.R. 6 ottobre 1978 n. 627 sulla bolla di accompagnamento, il d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 e il d.P.R. 31 marzo 1979 n. 94 per il recepimento della sesta direttiva CEE, la l. 26 gennaio 1983 n. 18 che ha introdotto lo scontrino fiscale (tutti aggiornati dai decreti di attuazione della l. 30 dicembre 1991); e, inoltre, il D.L. 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in l. 17 febbraio 1985 n. 17 (Visentini ter), il D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella l. 27 aprile 1989 n. 154 sui regimi delle imprese minori, e la l. 19 luglio 1993 n. 243 sugli acquisti intracomunitari.

Insieme all'IRPEF, l'IVA costituisce il pilastro della riforma degli anni Settanta sia come diffusione nell'economia del paese che come gettito che negli ultimi tre anni si è stabilizzato a circa 100.000 miliardi lordi (99.232 nel 1993). È pertanto la seconda fra tutte le entrate tributarie di cui costituisce il 22,6%. La sua importanza, comunque, trascende l'entità del suo gettito: essa è infatti un'imposta ''europea'' nel senso che la sua introduzione è stata conseguenza della i e ii direttiva CEE dell'11 aprile 1967, e le successive modifiche hanno in gran parte recepito, come si è già detto, le disposizione della vi direttiva del 1° marzo 1977. Oltre a ciò, l'IVA è un t. della stessa Comunità Europea in quanto una parte dell'IVA nazionale (non più dell'1,4%) va a finanziare le casse comuni.

L'IVA ha sostituito diversi t.: l'Imposta generale sull'entrata, l'Imposta di conguaglio, l'Imposta comunale di consumo, ecc. Contrariamente all'IGE, imposta a ''cascata'' che colpiva l'intero valore dei beni e servizi a ogni passaggio, penalizzando la catena distributiva più lunga, l'IVA viene applicata al solo valore aggiunto, per cui ora è ininfluente il numero di tali passaggi. La sua applicazione segue, comunque, un meccanismo piuttosto complesso: ogni operatore grava il bene (o servizio) ceduto dell'imposta che, pagata in fattura dall'acquirente, dev'essere versata all'erario. Il pagamento avviene per differenza fra quanto dovuto e quanto l'operatore aveva già pagato al suo stesso fornitore. In ogni passaggio, quindi, l'imposta versata viene recuperata per ''traslazione'' fino ad arrivare al consumatore finale che rimane il vero soggetto ''inciso'' dal tributo. L'IVA, pertanto, è un'imposta indiretta sugli scambi, perché colpisce i passaggi dei beni; generale perché viene applicata su quasi tutti i passaggi; multifase perché si applica sul valore aggiunto in ogni passaggio; proporzionale differenziata perché calcolata con aliquote diverse a seconda del tipo di bene; neutra perché grava sul consumatore finale indipendentemente dal numero dei passaggi; trasparente nel senso che è facilmente controllabile in fattura.

Presupposto del t. sono le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello stato nell'esercizio d'impresa o nell'esercizio di arti e professioni, nonché le importazioni. Le sue aliquote stabilite dal D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, in attuazione della Direttiva CEE 92/77 del 19 ottobre 1992, sono: 4%, 9%, 13%, 19% (IVA normale). L'accertamento avviene con dichiarazione del soggetto passivo tramite i modd. IVA 11, presentati entro il 15 marzo; i versamenti debbono essere fatti entro il giorno 3 del secondo mese successivo alle operazioni effettuate. Per i contribuenti minori, con volume di affari inferiore al miliardo (se industria e commercio) e ai 360 milioni (se prestazioni di servizi), è ammesso il versamento trimestrale previo pagamento di una penale pari all'1,5% dell'imposta. Entro il 27 dicembre è richiesto il versamento di un acconto pari all'88% di quanto versato nello stesso mese dell'anno precedente. Per le altre imposte sui consumi in generale, v. imposte e tasse: Sistema tributario italiano, App. III, i, p. 850.

b) Imposte sui trasferimenti e sugli affari. Si tratta di imposte non omogenee tra di loro, aventi come unica caratteristica comune quella di assicurare allo stato un gettito che, nel 1993, è stato di 15.908 miliardi, vale a dire il 14% delle imposte indirette e il 3,7% di tutte le entrate tributarie. Esse mirano a colpire i passaggi di ricchezza effettuati mediante variazioni della proprietà o mediante costituzione di diritti reali. Sono riscosse tramite la registrazione degli atti o tramite bollo; a seconda della causa del trasferimento, come si è detto, si suddividono come segue.

Imposte sui trasferimenti a titolo oneroso. Esse comprendono l'Imposta di Registro che è fissa o proporzionale, ha carattere di ''patrimonialità'', è riscossa dallo stesso Ufficio del Registro e si applica agli atti a registrazione volontaria od obbligatoria. Il suo gettito è pari a 5035 miliardi (1993). È disciplinata dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 e dal d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (Testo unico); le Imposte di bollo, che quando si applicano ai trasferimenti ''fra vivi'' hanno il carattere dell'imposta; quando invece sono pagate per ottenere dallo stato un servizio (atti amministrativi, atti giudiziari, ecc.) presentano il carattere della tassa. Si riferiscono agli atti soggetti a bollo oppure ad atti soggetti al bollo ''in caso d'uso''. Il loro gettito è di 8544 miliardi (1993). Sono disciplinate dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642; le Imposte ipotecarie e catastali, che si applicano agli atti trascritti nei registri immobiliari. Il gettito è stato di 1459 miliardi nel 1993. Sono disciplinate dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 635 e dal decreto legisl. 31 ottobre 1990 n. 347 (Testo unico).

Imposte sui trasferimenti a titolo gratuito. Sono le Imposte sulle successioni e donazioni, le quali sono imposte personali e progressive per scaglioni. Soggetti passivi sono gli eredi e i legatari, e ne costituiscono oggetto tutti i beni (anche all'estero) e i diritti reali di godimento del de cuius. La legge prevede, per presunzione, l'esistenza di valori mobiliari per un valore pari al 10% dell'asse ereditario al netto degli scaglioni esenti. Ai fini dell'imposta, l'asse ereditario comprende anche le donazioni fatte in vita. La denuncia viene effettuata dagli eredi o legatari entro i sei mesi dal decesso. L'imposta si applica in base a due distinte aliquote, l'una con progressività per scaglioni calcolata sull'asse ereditario globale (con un'esenzione di lire 250.000.000); l'altra sulle singole quote con progressività per scaglioni sull'importo delle quote stesse e lontananza del grado di parentela. Sono esentati da questa imposta il coniuge e i parenti in linea retta: lo schema è indicato dalla tab. 4. Il medesimo regime fiscale delle successioni si applica alle donazioni. L'imposta su entrambi i trasferimenti ha dato nel 1993 un gettito di 870 miliardi. Le principali fonti legislative sono: d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637; decreto legisl. 31 ottobre 1990 n. 346 (Testo unico), aggiornato con il D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito nella l. 29 ottobre 1993 n. 427.

3.Tasse. - Come si è detto, la tassa è il corrispettivo obbligatorio per un servizio pubblico divisibile prestato al cittadino che è costretto a richiederlo. Dato che il servizio, oltre ad avere un'utilità diretta per il richiedente, ha anche un interesse di carattere generale, la tassa in genere è sensibilmente inferiore al costo del servizio stesso. La grande eterogeneità dei t. raccolti sotto il termine ''tassa'' e la debolezza dei criteri giuridici che la definiscono, rendono difficile qualsiasi classificazione. A seconda del sistema di riscossione, abbiamo l'esazione diretta, il pagamento alla registrazione di atti e il pagamento tramite il bollo; abbiamo poi una suddivisione a seconda che il servizio sia fornito dallo stato, da un altro ente o impresa pubblica, oppure consista in un'autorizzazione o concessione. Più comune è infine la classificazione a seconda dei settori di attività dello stato, per cui abbiamo: Tasse giudiziarie, sostenute dalla parte soccombente in giudizio; Tasse amministrative, pagate per servizi, autorizzazioni o concessioni della pubblica amministrazione; Tasse per l'istruzione e cultura, che sono le tasse scolastiche e universitarie, le tasse per l'ingresso ai musei, ecc.; Tasse industriali, pagate nell'esercizio di un'impresa, come la Tassa per la verifica dei pesi e delle misure.

4.Tributi locali. - I t. locali (v. finanza locale, App. IV, i, p. 806, e in questa Appendice) sono destinati a finanziare le spese degli enti territoriali, e si distinguono in Entrate proprie ed Entrate derivate, queste ultime costituite da trasferimenti da parte dello stato. I t. propri più significativi sono quelli riscossi dai comuni, in particolare l'Imposta sull'incremento di valore degli immobili (INVIM), l'Imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni (ICIAP), e l'Imposta comunale sugli immobili (ICI). Gli altri t. sono: l'Imposta comunale sulla pubblicità, la Tassa per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la Tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, la Tassa sulle concessioni comunali, il Contributo di urbanizzazione, l'Imposta sui cani, ecc.

Imposta sull'incremento degli immobili (INVIM). L'INVIM è disciplinata dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 e successive modificazioni, e si applica all'incremento di valore di un immobile quando di esso viene trasferita la proprietà o un altro diritto reale. Per gli immobili appartenenti a società o a enti pubblici o privati, gli incrementi vengono colpiti con ricorrenza decennale dalla data dell'acquisto. Le aliquote sono crescenti in rapporto all'incremento di valore e al ridursi del tempo trascorso. Il gettito dell'INVIM (2041 miliardi nel 1993) spetta ai comuni ma viene accertato e incassato dall'Ufficio del Registro; esso pertanto figura nel bilancio delle entrate erariali. L'imposta, soppressa a seguito dell'introduzione dell'ICI avvenuta il 1° novembre 1993, continua a essere dovuta per i presupposti che si verificano entro dieci anni dal 31 dicembre 1992.

Imposta Comunale per l'esercizio di Imprese, Arti e Professioni (ICIAP). È stata istituita con D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in l. 27 aprile 1989 n. 154, modificata dalla l. 27 novembre 1989 n. 384, e colpisce la redditività presunta dei titolari di imprese, arti e professioni. È commisurata alla superficie dei locali, al reddito effettivo e al tipo di attività.

Imposta Comunale sugli Immobili (ICI). È stata introdotta dal decreto legisl. 30 dicembre 1992 n. 504, ed è entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 1993. Soggetti passivi sono i proprietari di immobili e i titolari di usufrutto, uso o abitazione, anche se non residenti nel territorio dello stato. La base imponibile è costituita dal valore dell'immobile determinato applicando alla rendita catastale i coefficienti previsti ai fini dell'Imposta di Registro. L'aliquota è stabilita dai comuni e varia entro il 4% e il 6%.

Il contenzioso tributario. - Al cittadino che, a torto o a ragione, ritenga di essere stato danneggiato da un atto dell'Amministrazione finanziaria, la legge fornisce alcuni mezzi per la tutela dei suoi interessi. Le controversie che fanno nascere il contenzioso tributario possono essere di diritto (o d'imponibilità) se viene contestato il presupposto dell'obbligazione tributaria; oppure di fatto (o di estimazione) se il contribuente, pur non negando l'esistenza del presupposto, contesta l'ammontare dell'imposta accertata. Il contenzioso ha origine con il ricorso, che può essere giurisdizionale oppure amministrativo.

Il ricorso giurisdizionale, regolato dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, integrato dal d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739 e riformato dai decreti legisl. 31 dicembre 1992 nn. 545 e 546 (in attuazione della delega contenuta nella l. 30 dicembre 1991 n. 413), viene proposto alle Commissioni tributarie, competenti per tutti i t. che presuppongono una dichiarazione del contribuente. In particolare, sono proponibili alle Commissioni i ricorsi in materia di IRPEF, IRPEG e ILOR; Imposte di Registro, Imposte sulle successioni e donazioni, Imposte ipotecarie e catastali, INVIM; IVA (escluse le importazioni); Imposte sulle assicurazioni; controversie catastali.

Come nella giurisdizione ordinaria, sono previsti tre gradi di giudizio. Nei primi due è ammesso il ricorso per controversie di diritto e di fatto; nel terzo, rappresentato dalla Commissione centrale, la competenza è solo su questioni di legittimità. Il ricorso alla Commissione tributaria di i grado, presente in tutte le sedi di tribunale, è ammesso, entro 60 giorni dalla notifica, contro alcuni atti dell'Amministrazione finanziaria o da essa derivati, come l'avviso di accertamento, l'avviso di rettifica, l'avviso di liquidazione, l'avviso d'irrogazione di sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l'avviso di mora, il rifiuto espresso o tacito della restituzione di somme non dovute e ogni altro atto che la legge prevede di sua competenza. Esso richiede alcuni requisiti formali, pena l'inammissibilità. Entro 20 giorni liberi dall'udienza, le parti possono aggiungere documenti e memorie. Entro 60 giorni dalla notifica della decisione di i grado, le parti possono proporre appello alla Commissione tributaria di ii grado, presente in ogni capoluogo di provincia. Contro la decisione di quest'ultima, è possibile rivolgersi alla Commissione centrale oppure alla Corte d'appello del territorio ma, come si è detto, soltanto per questioni di legittimità.

Gli uffici fiscali hanno il potere di riscuotere coattivamente, anche in pendenza di ricorso di i grado, fino a un terzo delle II.DD. accertate e fino al 50% dell'IVA e degli interessi; dopo la prima sentenza, possono richiedere fino a due terzi e, dopo la decisione della Commissione tributaria di ii grado, fino a tre quarti degli importi stabiliti. Dato che le commissioni non hanno il potere di sospendere i pagamenti, in pendenza di atti palesemente iniqui o arbitrari, il contribuente può rivolgere domanda di sospensione al ministero delle Finanze, Direzione regionale delle entrate. Il Ricorso amministrativo, previsto per i t. che non sono di competenza delle Commissioni tributarie, è proponibile entro 30 giorni dalla notifica dell'atto impugnato alla Direzione regionale di cui sopra, e contro la decisione o il silenzio di quest'ultima è ammesso il ricorso al ministro delle Finanze. Contro tali provvedimenti amministrativi è proponibile anche, entro 90 giorni, il ricorso al tribunale ordinario.

Le riforme in atto. - È ormai opinione comune che l'apparato del fisco e la sua legislazione debbano essere sottoposti a una riforma radicale che snellisca e renda adeguato ai tempi il nostro sistema. Le prospettive non sono incoraggianti perché, ancora una volta, nell'incapacità di affrontare globalmente tutte le problematiche, si tende a ricorrere a soluzioni ''tampone'' che invece di semplificare, infittiscono ancora di più la giungla normativa in vigore. Si noti che dal 1984 all'aprile 1993 sono stati emanati 233 leggi ordinarie, 86 d.P.R., 65 decreti legisl., 289 D.L. dei quali 92 convertiti con modifiche e 148 non convertiti e ripresentati (v. Uckmar, in Documenti C.N.E.L., 31, 1993). Fra i tentativi di riforma più importanti, ma non ancora completamente realizzati, segnaliamo i seguenti.

La l. quadro 29 ottobre 1991 n. 358 e i regolamenti attuativi emanati nel 1992 per la riforma dell'amministrazione finanziaria, di cui la novità più rilevante e già attuata è costituita dall'introduzione del Dipartimento delle entrate, del Dipartimento del territorio, del Dipartimento delle dogane e imposte indirette (la cui struttura è suddivisa per funzioni), che prendono il posto delle direzioni generali (la cui struttura è suddivisa per settori).

I decreti legisl. 545/92 e 546/92, già menzionati, con i quali viene rinnovata la normativa del contenzioso tributario. In particolare, verrebbero abolite le Commissioni tributarie di i e ii grado che saranno sostituite, con decorrenza 1 ottobre 1993, rispettivamente dalla Commissione provinciale e dalla Commissione regionale. La Commissione centrale dovrà cessare invece il 31 dicembre 1995, dopodiché il ricorso in iii grado verrà proposto alla Corte di Cassazione. Il termine 1° ottobre 1993 è stato prorogato di un anno dal D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito nella l. 29 ottobre 1993 n. 427, ma neppure questo è stato rispettato, cosicché l'insediamento delle nuove commissioni è stato rimandato sine die. Vale menzionare anche il D.L. 16 novembre 1994 n. 630 che dispone, fra l'altro, la forfettizzazione delle controversie e gli strumenti del concordato e della conciliazione fiscale.

Il D.L. 30 agosto 1993 n. 331, cit., che prevede l'approvazione entro il 31 dicembre 1995, con decreti del ministero delle Finanze, di schemi di studi di settore per la determinazione del reddito delle imprese minori.

La l. 8 agosto 1994 n. 489 di conversione con modifiche del D.L. 10 giugno 1994 n. 357 per la semplificazione degli adempimenti formali in materia di tributi.

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