TRIESTE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

TRIESTE

Carlo SCHIFFRER
Bruno NICE
Manlio Udina

(XXXIV, p. 331 e App. I, p. 1069).- Nel 1938 s'iniziò la crisi che, passando per fasi successive, ebbe a Trieste particolare drammaticità. I circoli commerciali cittadini ed i loro esponenti politici seguirono con la massima preoccupazione le tappe dell'avanzata germanica verso quei territorî (Austria, Cecoslovacchia), che tradizionalmente erano considerati come hinterland specifico del porto adriatico e dai quali proveniva oltre la metà del traffico ferroviario complessivo. Mussolini, proprio allora (settembre 1938) in visita a Trieste, non seppe dare assicurazioni tranquillanti. Tuttavia, prima che la nuova situazione politica dei paesi del retroterra potesse far sentire le sue conseguenze nell'economia locale, scoppiò la seconda Guerra mondiale, che, come nelle altre parti d'Italia, la popolazione subì con diffidente rassegnazione, tanto più che nei primi anni le vicende belliche non toccarono la città. A partire dal 1941 Trieste divenne il principale centro logistico per il rifornimento delle armate operanti nella Iugoslavia; essa però era appartata rispetto alle grandi arterie strategiche dei principali fronti di combattimento e troppo lontana dalle basi di attacco dell'aviazione anglo-americana per poter essere da questa raggiunta con efficacia.

La caduta del fascismo fu salutata con manifestazioni di giubilo. Si costituì subito un comitato antifascista, presieduto dall'avv. Edmondo Puecher, già leader socialista, il quale chiese ad un nuovo prefetto badogliano la rapida defascistizzazione delle amministrazioni e provvedimenti di giustizia nei riguardi delle minoranze slave. Ma già la mattina del 9 settembre la città era circondata da forze tedesche. Gli alti comandi militari si dimostrarono del tutto inerti: lasciarono cadere le richieste del comitato antifascista di armare le masse operaie e la popolazione per partecipare alla resistenza armata; i soldati, in mezzo alla confusione generale e senza ordini, a poco a poco si sbandarono. Una nave da guerra che tentò di uscire dal porto, fu cannoneggiata ed affondata dai Tedeschi appostati sulle colline circostanti. In seguito la città fu occupata quasi senza colpo ferire.

Nei giorni seguenti masse enormi di soldati sbandati delle armate della Balcania si riversarono a Trieste e la popolazione andò a gara nell'aiutarli, come poi aiutò i soldati italiani prigionieri del passaggio avviati verso i campi di concentramento in Germania (per le vicende politiche durante l'occupazione tedesca, v. venezia giulia, in questa App.).

Il CLN di Trieste fu tra i più colpiti dalla repressione nazista. Per tre volte le SS o la Gestapo riuscirono a mettere le mani sull'organizzazione clandestina italiana. Dei membri del CLN due furono fucilati (Frausin, comunista, e il segretario P. Reti della Democrazia cristiana), quattro morirono nei campi di concentramento (Z. Pisoni del PCI, G. Foschiatti e U. Felluga del P. d'A., A. Fabretto del PSI), altri subirono torture, prigionia, deportazioni. Alla resistenza, da parte italiana, parteciparono tutte le classi sociali; a rappresentare i varî partiti nel CLN si avvicendarono 5 operai, 7 del ceto medio e impiegatizio, 4 avvocati, 5 professori, 3 ingegneri e un sacerdote.

Nel giugno 1944 si ebbe il primo bombardamento, al quale seguirono parecchi altri. Ci furono perdite nella popolazione civile e distruzioni nel patrimonio edilizio; delle industrie furono colpite in modo piuttosto grave le raffinerie ed i cantieri; meno gravemente le installazioni portuarie. Alla cacciata dei Tedeschi si evitarono le distruzioni sistematiche che avvennero altrove. Sicché, alla fine della guerra, l'organismo economico triestino - industrie e porto - avrebbe potuto riprendere abbastanza rapidamente la sua attività normale.

Nel maggio del 1945 Trieste venne a trovarsi al limite della espansione militare dei gruppi vincitori, cioè degli Anglosassoni provenienti da occidente e degli Iugoslavi, provenienti da oriente. Tutti e due i gruppi potevano contare sull'appoggio di forze politiche locali, irreducibilmente avverse tra loro per ragioni politiche e nazionali. Ora, il controllo della città - data la sua posizione geografica e la sua struttura economica - assumeva un'importanza di prim'ordine per ambedue i gruppi, e ciò spiega la portata che assai presto assunse la "questione di Trieste" nella politica internazionale.

Per le potenze occidentali Trieste rappresenta, tra l'altro, uno dei centri di resistenza contro un'eventuale espansione sovietica e insieme una porta d'accesso verso l'Austria e i paesi balcanici e danubiani. E questa porta è divenuta anche più importante per il fatto che l'arteria del Danubio è caduta sotto il controllo sovietico. Per l'URSS Trieste avrebbe importanza soprattutto come centro d'industrie navali, che sarebbero state in grado di costruire rapidamente una flotta sovietica nel Mediterraneo, flotta che - com'era prevedibile nella situazione politica del 1945-47 - avrebbe potuto disporre delle ottime basi sulle coste dalmate ed albanesi. Il controllo delle bocche del Danubio e dell'Adriatico avrebbe permesso ai Sovietici di girare e di oltrepassare la posizione degli Stretti. Tutto ciò potrebbe spiegare - accanto alle ragioni ideologiche e politiche - l'impegno che i Russi misero nel sostenere le pretese degli Iugoslavi.

Che il controllo delle industrie navali triestine fosse al centro della questione di Trieste durante le trattative di pace, apparve chiaramente dalle schermaglie diplomatiche. I Sovietici dapprima appoggiarono ad oltranza tutte le rivendicazioni iugoslave, le quali tendevano a portare la frontiera al basso Isonzo, in modo da includere nel territorio iugoslavo oltre a Trieste e Muggia anche il centro industriale di Monfalcone. Fallito questo piano massimo, quando ormai Molotov si era impegnato per la soluzione di compromesso del "Territorio libero" esteso dalla frontiera italiana al Quieto, i delegati della Bielorussia alla Conferenza di Parigi proposero un emendamento che lasciava Monfalcone all'Italia e circoscriveva il progettato Territorio libero alle sole zone urbane di Trieste e Muggia. Ciò avrebbe sottratto, sì, proprio i cantieri navali ad un controllo diretto delle "democrazie popolari" comuniste, ma avrebbe praticamente neutralizzato il Territorio libero isolandolo completamente dentro il territorio iugoslavo e togliendogli ogni comunicazione terrestre con l'Italia. L'emendamento non fu approvato.

Il trattato di pace del 10 febbraio 1947, per quanto riguarda la questione di Trieste, prevedeva (articoli 4, 21 e 22; allegati da VI a X) la costituzione di una nuova entità statale: il "Territorio libero". Di esso il trattato stabiliva con esattezza i limiti geografici, il diritto alla cittadinanza originaria (i cittadini italiani residenti il 10 giugno 1940 e i loro discendenti), la forma e gli organi di governo, le garanzie e i controlli da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Secondo il disposto del trattato, il Territorio libero di Trieste si stenderebbe sulle sponde del più interno golfo dell'Adriatico, dal Timavo, confine con l'Italia, al Quieto, confine con la Iugoslavia. La marittimità del Territorio è dimostrata dal fatto che il suo sviluppo costiero (più di 130 km.) supera di gran lunga quello del confine terrestre (circa 86 km., dei quali ben 82 in comune con la Iugoslavia e meno di 4 in comune con l'Italia). Il tracciato della linea di frontiera è quanto di più illogico ed artificioso si possa immaginare, dato che solo in minima parte si appoggia alla morfologia del terreno. Perciò il territorio, che copre un'area di appena 740 kmq. circa (ossia meno di qualunque provincia italiana, eccettuata quella di Gorizia), mancherebbe di una propria individualità geografica. Vi si possono distinguere, comunque, due parti, poste rispettivamente ad ovest e a sud del capoluogo.

La prima, più ristretta, è rappresentata da una striscia dell'altopiano carsico, alto in media 150÷250 m., che strapiomba sul mare con una costa rocciosa, pittoresca, ma priva d'insenature tranne la baia di Sistiana. Questa zona costituisce una specie di corridoio, lungo una ventina di km. e largo da 7 a 3, il quale ha scarsa importanza in sé stesso, anzitutto a causa della sterilità del suo suolo, ma ne riveste una grandissima dal punto di vista politico e delle comunicazioni in quanto esso è percorso dall'unica arteria stradale e ferroviaria, che congiunga Trieste al territorio italiano. Il confine con questo ha inizio dalla foce orientale del Timavo, di cui segue per breve tratto il corso, lasciandone la risorgenza al Territorio libero di Trieste; coincide quindi col tronco inferiore dell'affluente Liserto; piega infine verso NE. e, dopo avere tagliato la carrozzabile Trieste-Monfalcone, abbandona la stretta pianura litoranea salendo sul Carso, dove - dopo avere attraversato la ferrovia - raggiunge a N. del villaggio di Medeazza il punto di congiunzione fra Italia, Iugoslavia e Territorio libero di Trieste (45° 48′ 12″ lat. N.), che è anche il punto più settentrionale del Territorio libero di Trieste stesso. Di qui il confine fra il Territorio e la Iugoslavia corre in direzione SE. fino al M. Goli, posto ad est di Trieste, che rappresenta il punto più orientale (situato a 13° 55′ long. E. di Greenwich). del Territorio. Questa prima sezione della frontiera con la Iugoslavia, sebbene sia stata fatta coincidere con un allineamento secondario di rilievi carsici (M. Hermada o Querceto, m. 324; M. Lanaro, m. 545; M. dei Pini, m. 476), non rappresenta neanche approssimativamente un confine naturale non solo perchk detti rilievi sono troppo modesti e discontinui, ma soprattutto perché essa giunge anche a meno di 3 km. dal ciglione carsico, immediatamente sotto il quale si distende Trieste, soffocando così la città e danneggiando i piccoli centri dell'altopiano, che ha separati da quella. Dal M. Goli la frontiera prosegue in direzione SO., attraversando la cosiddetta Istria grigia, dove lascia alla Iugoslavia i bacini superiori dei torrenti Risano e Dragogna, finché - raggiunta la valle del Quieto - piega decisamente verso ovest per seguirla fino al mare, appoggiandosi pertanto nuovamente, in questo ultimo tratto ad un, sia pur secondario, elemento topografico. La zona posta a sud di Trieste rappresenta, come si diceva, la maggiore fra le due parti che comporrebbero il Territorio. In essa trovansi il punto più meridionale (Cittanova, alla foce del Quieto, a circa 45° 19′ lat. N.) e quello più occidentale (presso Punta Bassania, a 13° 30′ long. E. di Greenwich) del medesimo. La parte istriana del Territorio libero di Trieste, marnoso-arenacea nel tratto settentrionale, calcarea - ma coperta da uno strato di terra rossa - nel tratto meridionale (Carso di Buie), consente la coltivazione dei cereali, della vite e dell'olivo, mentre la sua costa è dotata di buoni porti naturali. Perciò essa è ben popolata - superando i 100 ed anche i 150 ab. per kmq. specialmente nella porzione occidentale, dove sorgono pure numerose piccole città - mentre la parte dell'altopiano carsico, posta a NO. di Trieste, possiede solo alcuni villaggi e una densità di popolazione molto bassa. Comunque, dei 343.000 ab. circa, che secondo il censimento del 1936, risulterebbero residenti nel Territorio, circa i 3/4 spettano a Trieste (272.750 ab. presenti nel 1948). Ne deriva un'eccessiva e dannosa preponderanza della popolazione urbana su quella rurale.

Sotto il punto di vista etnico, l'85% degli abitanti del comune di Trieste è costituito da Italiani, che abitano la città vera e propria ed i suoi quartieri periferici, mentre gli Sloveni (18.150 nel 1921) vivono nei sobborghi e soprattutto nelle frazioni rurali dell'altopiano carsico. Esiste inoltre una notevole colonia straniera (18.123 nel 1921), la quale è composta per meno della metà da Slavi immigrati da varie parti della Iugoslavia e per un po' più della metà da Austriaci, Cecoslovacchi, Tedeschi, Svizzeri, ecc., i quali discendono in prevalenza da immigrati dell'epoca asburgica ed essendo nati a Trieste sono, spesso profondamente, italianizzati. Anche se al capoluogo si aggiunge il resto del Territorio, la proporzione degli Italiani sulla popolazione complessiva supera l'80%. Infatti, specialmente nell'Istria marittima, le popolazioni rurali sono prevalentemente italiane e le città lo sono esclusivamente e gelosamente (Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova e, nell'interno, Buie),

La modesta importanza rivestita dall'agricoltura nel Territorio libero di Trieste è dimostrata dal fatto che i seminativi vi coprono solo circa 17.500 ha.; i vigneti, oliveti e frutteti complessivamente 8800; i prati e i pascoli 11.300; i boschi 17.600. La maggiore produzione agricola (cereali e soprattutto ortaggi) è concentrata nella zona costiera istriana. Il patrimonio zootecnico è costituito da circa 12.000 bovini, 7000 equini, 8000 ovini e caprini, 9000 suini. Data l'insufficienza della produzione agricola (il reddito corrisponde appena a 1/12 della spesa sostenuta annualmente dalla popolazione per alimentarsi) e di quella zootecnica, le industrie alimentari, concentrate per lo più a Trieste (pastificio, frutta conservata, ecc.) hanno un respiro limitato. Fanno eccezione le industrie che lavorano i prodotti della pesca (Capodistria, Isola, Pirano, Umago). Anche le altre cospicue industrie, localizzate soprattutto nel capoluogo, sono destinate a soffrire per la scarsità di legname e di minerali (eccettuate le saline di Pirano), nonché per la mancanza quasi assoluta di combustibili, aggravata dalla circostanza che le centrali elettriche che alimentano il Territorio, si trovano in Italia (Venezia Euganea) o in Iugoslavia (valle dell'Isonzo). Ancor più grave che l'insufficienza dell'economia locale è però il fatto che la separazione di Trieste dal complesso economico dell'Italia e lo smembramento politico della Venezia Giulia non solo ostacolano i traffici che confluirebbero spontaneamente verso la città, ma rendono quanto mai precaria la funzione di transito internazionale del suo porto.

Attraverso il territorio iugoslavo passerebbe infatti la progettata ferrovia del Predil, che sarebbe di capitale importanza per i rapporti fra esso e l'Austria, la quale nel 1938 contribuiva al 33% del suo traffico col retroterra (Italia 25%, Cecoslovacchia 20%, Ungheria 7%, Iugoslavia 5%). Solo l'insufficiente ferrovia Udine-Tarvisio svincola il Territorio libero di Trieste da tale servitù. Nel 1938 il traffico marittimo del porto di Trieste fu di t. 3.380.866, quello ferroviario di t. 1.997.808; seguivano a grande distanza i piccoli porti di Salvore (traffico di cabotaggio t. 96.300), Cittanova (t. 45.100), Sistiana (t. 39.700), Isola (t. 30.300), ecc.

L'asse delle comunicazioni stradali del Territorio libero di Trieste sarebbe rappresentato dalla strada litoranea Monfalcone-Trieste, che prosegue, come via Flavia, per Capodistria e Buie (e oltre il Quieto fino a Pola). Le due strade che congiungono Trieste a Postumia e a Fiume entrano in territorio iugoslavo a pochi chilometri da Trieste stessa. La rete ferroviaria del Territorio libero di Trieste, quantunque limitata ai dintorni del capoluogo, è importante per le comunicazioni internazionali (Simplon Orient Express). Sarebbero stazioni di frontiera: con l'Italia, Aurisina; con la Iugoslavia, Poggioreale (Villa Opicina), per Postumia o Fiume e per Gorizia-Piedicolle, S. Elia sulla linea di Pola.

Secondo il trattato di pace, il Territorio libero avrebbe dovuto essere amministrato in un primo tempo dal governatore nominato dal Consiglio di sicurezza delle N. U., assistito da una consulta provvisoria di governo, e, fino all'insediamento del governatore - decisivo agli effetti del sorgere dell'ordinamento giuridico interno - dai comandi militari delle truppe già occupanti la zona ai sensi della convenzione d'armistizio, continuando a vigervi, finché non abrogata, la precedente legislazione italiana. In un secondo tempo, alla data fissata dal Consiglio di sicurezza per l'entrata in vigore dello statuto permanente, avrebbero dovuto iniziare il loro funzionamento gli organi previsti da questo - assemblea popolare, consiglio di governo, corpo giudiziario - sotto il controllo del governatore, dotato di larghi poteri d'iniziativa e di veto ed autorizzato in caso d'emergenza ad assumere il governo diretto della nuova collettività, soprattutto ai fini della salvaguardia della sicurezza esterna, dell'ordine pubblico e del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo. Per ciò che concerne in particolare il regime portuale, le due preesistenti zone franche (i cosiddetti punti franchi) amministrate unitariamente in base alle leggi locali da un direttore nominato dal governatore e affiancato da una commissione internazionale, dovrebbero costituire il cosiddetto porto franco di Trieste, nell'interesse dei traffici di tutti gli stati e in specie di quelli del retroterra. Adeguate garanzie di carattere tecnico, nei riguardi delle forniture idriche o d'energia elettrica e del piccolo traffico locale, nonché di carattere economico-finanziario, nei riguardi dei beni esistenti nel Territorio, vorrebbero assicurarne la vitalità e nello stesso tempo, l'indipendenza dai vicini, mercè l'istituzione di sistemi doganali e monetarî appropriati e il divieto della partecipazione ad unioni economiche esclusive.

In ogni caso, però, la comunità territoriale così costituita, pur avendo l'apparenza d'uno stato ed una propria personalità internazionale, con capacità d'agire limitata, non potrebbe considerarsi uno stato, neanche non sovrano - in quanto dipendente dalle N. U. - giacché il suo ordinamento giuridico non sarebbe originario, bensì derivato. Infatti, la costituzione interna dovrebbe sempre mantenersi nei limiti delle norme internazionali dello statuto permanente, che potrebbe esser in ogni tempo modificato dal Consiglio di sicurezza, con la conseguente modifica della costituzione, al pari di quanto avviene all'interno degli stati per i dipendenti enti territoriali locali o nei rapporti tra gli stati e le loro colonie, sia pure autonome. Inoltre è da ritenersi che la garanzia delle N. U. nei riguardi dell'integrità e indipendenza del Territorio libero sarebbe resa puramente illusoria dall'abuso del diritto di veto da parte di taluno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e che l'esercizio dei poteri di quest'ultimo in ordine all'amministrazione interna del Territorio potrebbe, per lo stesso motivo, paralizzarne completamente il funzionamento.

La sistemazione definitiva del Territorio libero, a norma del trattato di pace, venne di fatto totalmente a mancare. La questione della nomina del governatore tornò più volte all'ordine del giorno del Consiglio di sicurezza, ma sempre i candidati proposti dalle potenze occidentali furono rifiutati dai Sovietici, e viceversa; né miglior esito ebbero le trattative dirette fra Italia e Iugoslavia al principio del 1948. Così, localmente, la situazione di fatto non cambiò e trovò applicazione una clausola apparentemente del tutto secondaria del trattato di pace, la quale prevedeva che continuassero a funzionare le amministrazioni militari nel caso che, dopo l'entrata in vigore del trattato di pace, si verificasse un ritardo nell'arrivo del governatore. In pratica quello che doveva diventare il Territorio libero di Trieste rimase diviso in due zone di occupazione militare, anglo-americana e iugoslava: dal Timavo a Punta Grossa (tra Muggia e Capodistria), la prima, con sede del governo a Trieste; da Punta Grossa al Quieto, la seconda, con sede del governo a Capodistria.

Nel febbraio del 1948 si ebbero i primi sintomi di un mutato atteggiamento delle potenze occidentali di fronte alla questione di Trieste. Il comandante militare della zona anglo-americana nel suo primo rapporto alle N. U. affermava che, per la costituzione del Territorio libero di Trieste, non c'erano né i presupposti politici né quelli economici, perché la popolazione locale nella sua grande maggioranza voleva la riunione all'Italia ed in più mancavano le basi economiche per una vita autonoma del Territorio triestino. Il successivo 20 marzo veniva resa pubblica la proposta delle tre potenze occidentali intesa a procedere ad una revisione del trattato di pace con la restituzione del Territorio libero alla Repubblica italiana. Questa proposta finora non ha potuto essere messa in pratica, perché manca l'adesione dell'URSS.

Però nell'organizzazione interna della zona anglo-americana si ebbe una serie di provvedimenti destinati ad uniformare la sua struttura amministrativa a quella dello stato italiano. Furono aboliti sia gli organi di controllo militare diretto nelle amministrazioni locali, sia gli organi rappresentativi provvisorî istituiti con criterî proprî dalle autorità militari nell'estate del 1945. I comuni della zona e quanto rimane dell'antica provincia di Trieste furono resi autonomi e riordinati, con proprî collegi deliberanti, sulla base della legislazione italiana del periodo armistiziale anteriore alle elezioni. Cosicché, in pratica, alla fine del 1948 la zona anglo-americana di quello che doveva essere il Territorio libero si poteva considerare come una provincia italiana con la prefettura dipendente provvisoriamente da un comando militare delle potenze occupanti, anziché dal Ministero degli interni della repubblica italiana.

Il governo militare alleato ha provveduto pure ad estendere a Trieste il piano ERP, inserendola così in pieno nell'economia occidentale. Invece la situazione della zona occupata dagli Iugoslavi è del tutto diversa. Qui, in pratica, vigono il medesimo regime politico ed i medesimi sistemi amministrativi e giuridici della Iugoslavia. E in più le autorità locali hanno emesso una propria moneta e frappongono continui ostacoli alla libera circolazione delle persone e delle merci con i territorî non controllati dagli Iugoslavi.

A Trieste le vicende politiche e diplomatiche esposte sono state accompagnate da lotte e da agitazioni locali. Il Partito comunista, col suo apparato organizzativo, per tutto il 1945 e nei primi mesi del 1946 mantenne un controllo pressoché completo sulle masse operaie e diresse le agitazioni di piazza. A poco a poco però i non comunisti presero il sopravvento. Molti degli stessi operai sfuggirono al controllo del Partito comunista e vennero organizzati sotto la guida della Camera del lavoro entro la CGIL. Degne di nota furono alcune grandi manifestazioni italiane (destinate a reagire contro le manifestazioni nazionaliste slave promosse dai comunisti): per esempio quella, imponentissima, avutasi in occasione della visita della Commissione d'inchiesta inviata dal Consiglio dei ministri degli Esteri nella primavera del 1946.

A parte questa situazione di fatto, la condizione giuridica attuale del Territorio libero dà luogo a molti e gravi dubbî. Così, per limitarci ai problemi d'ordine più generale, il prolungarsi indefinito dell'amministrazione militare (la quale, secondo lo spirito del trattato, avrebbe dovuto esser di brevissima durata), e soprattutto l'ispirarsi dell'amministrazione stessa a sistemi radicalmente diversi nelle due zone, fanno seriamente dubitare che la nuova comunità sia effettivamente sorta, completa dei suoi elementi costitutivi - di cui il terzo, cioè il governo, sarebbe stato mutuato provvisoriamente da ordinamenti estranei - almeno dal punto di vista del diritto pubblico interno. Conseguentemente, non appare fuor di luogo l'accordo tacito intervenuto tra il governo militare alleato della zona anglo-americana ed il governo italiano di continuare a considerare quali cittadini italiani gli individui destinati a costituire ex origine l'elemento popolo del Territorio libero e che non potrebbero agevolmente considerarsi cittadini d'un nascituro - sempre dal punto di vista del diritto interno, mentre secondo il diritto internazionale la loro qualifica potrebb'essere, per ora, soltanto quella di "appartenenti al Territorio libero" - anche per la considerazione formale che lo statuto permanente, nel cui art. 6 si prevede l'attribuzione della nuova cittadinanzai non è ancora entrato in vigore.

Bibl.: Per la parte generale v. venezie: v. Giulia; e inoltre: F. Cusin, La liberazione di Trieste, Trieste 1946 (critica negativa delle classi dirigenti triestine); B. Coceani, Mussolini, Hitler e Tito alle porte d'Italia, Rocca S. Casciano 1948 (l'autore, ex-segretario della locale Federazione fascista industriali, fu prefetto di Trieste nominato dai nazisti; l'opera è un'autodifesa ed una difesa della politica dei collaborazionisti; ostilissimo al CLN). È dedicato a Trieste il n. 4 dell'anno IV (aprile 1948), de Il Ponte, Firenze; e ancora: Comitato di liberazione nazionale dell'Istria, Memoriale sulle violazioni del diritto internazionale commesso dalla amministrazione iugoslava nella Zona B del Territorio Libero di Trieste, opuscolo senza data e senza indicazione del luogo di stampa (Trieste 1948?). Riflette il punto di vista sloveno e comunista la pubblicazione dell'Unione antifascista italo-slovena, Trieste nella lotta per la democrazia, Trieste 1945 (con una prima parte sulla situazione degli Sloveni durante il ventennio fascista).

Per la questione da un punto di vista giuridico: v.: M. Udina, La condizione giuridica internazionale del Territorio Libero di Trieste, in Rassegna di diritto pubblico, 1947, I, pp. 273-292; A. Gervais, Le Statut du Territoire libre de Trieste, in Revue générale de droit interational public, 1947, pp. 134-54; T. S. Airey, Report of the administration of the British-United States Zone of the Free Territory of Trieste (15 september to 31 december 1947). Trieste 1948; J. L. Kunz, The free Territory of Trieste, in The Western Political Quarterly, 1948, pp. 99-112; J. Leprette, Le Statut international de Trieste, Parigi 1949.

Per questioni geografico-economiche v.: G. Roletto, Il porto di Trieste, Bologna 1941; B. Nice, La questione di Trieste, Firenze 1945; G. Gratton, Trieste, clef de voûte de la paix, Parigi 1945; R. Bernardi, I traffici di Trieste alla luce della statistica ufficiale, Trieste 1946; E. Bonetti, Il Territorio Libero di Trieste, in Boll. Soc. geogr. it., 1947, pp. 73-87.

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