TRIGLIFO

Enciclopedia Italiana (1937)

TRIGLIFO (lat. triglyphus; dal gr. τρίγλυϕος "a tre incavi")

Luigi Crema

È l'elemento stretto e sporgente, scanalato verticalmente, che si alterna con le metope nel fregio dorico.

Se l'ordine dorico rappresenta la traduzione in pietra di forme lignee, i triglifi rappresenterebbero le testate delle travi appoggiate all'epistilio, o meglio il loro rivestimento decorativo costituito da una tavoletta scanalata, e le regole con le gocce sarebbero i listelli e i perni che le fissavano.

Prototipi dei triglifi e delle metope furono considerate le lastre decorative cretesi-micenee che portano scolpite due palmette divergenti, separate da una fascia sporgente con un motivo ornamentale verticale, e che si credette formassero un fregio analogo a quello dorico. Una recente opinione le destinerebbe a ornare il davanti dei sedili che correvano lungo i muri; ed effettivamente nel palazzo di Festo (Creta) si vedono ancora a posto, come rivestimenti di questi sedili, lastre, se non con tali ornati complessi, con profonde striature alternatamente verticali e orizzontali Che ricordano il ritmo dei triglifi e delle metope. Veramente non vi è incompatibilità tra le due ipotesi, perché il fregio di triglifi fu usato anche a decorare podî e basse strutture consimili. Comunque si tende ora a vedere nei triglifi, e a maggior ragione nelle metope, un semplice elemento decorativo che rivestì fin dagli inizî dell'ordine dorico la parte in vista della copertura.

I triglifi furono dapprima di terracotta, poi di pietra, che poteva essere più pregiata che nel resto della costruzione (marmo invece di poros nello Hekatómpedon, sull'Acropoli di Atene). Erano coronati da una fascia, talvolta dipinta a meandri, che in epoca classica si arrestava sui lati di essi e, arretrando, proseguiva sulle metope, avendo spesso al disotto una piccola modanatura. Nel basso terminavano con il listello di coronamento dell'architrave, sotto il quale, in corrispondenza di ogni triglifo, era uno stretto segmento (regula) da cui pendevano sei gocce (guttae) di forma conica o cilindrica.

Le scanalature erano sempre due, più due mezze scanalature che smussavano gli spigoli. Esse erano triangolari, con profilo più o meno aguzzo; solo eccezionalmente a Metaponto si presentano semicircolari, con una striatura nel fondo. Partivano direttamente dal listello di coronamento dell'architrave, terminavano superiormente in una curva molto ribassata o, più raramente, a semicerchio o ad ogiva. L'incavo si approfondiva un po' oltre il limite esterno dando al termine del glifo un'ombra più forte. Solo in epoca tarda le scanalature furono chiuse in alto da un triangolo piano, e il limite superiore divenne quindi rettilineo. Gli spazî intermedî si mantennero quasi sempre lisci, senza alcun ornato.

Nella policromia del tempio greco i triglifi erano colorati in turchino scuro e, pare, anche in nero.

Le proporzioni variarono, snellendosi in armonia con l'evolversi dell'ordine dorico. Secondo Vitruvio (IV, 3) l'altezza doveva essere di un modulo e mezzo e la larghezza di un modulo. Del resto presso gli Etruschi, e anche presso i Romani, il triglifo fu adottato con modificazioni e alterazioni varie (v. fregio).

Bibl.: G. Perrot e C. Chipiez, Hist. de l'art dans l'antiquité, VI-VII, Parigi 1894-98; J. Durm, Über vormykenische und mykenische Architekturformen, in Oesterr. Jahreshefte, X (1907), p. 67 segg.; id., Die Baukunst der Griechen, Lipsia 1910; id., Die Baukunst der Etrusker und der Römer, Stoccarda 1905; A. Della Seta, I monumenti dell'antichità classica, Napoli s. a.; A. Springer, C. Ricci e A. Della Seta, Man. di storia dell'arte, I, Bergamo 1927; F. Studniczka, Das Wesen des tuskanischen Tempelbaus, in Die Antike, IV (1928), p. 192 segg.

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