TRIONFO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1973)

TRIONFO (triumphus, ϑρίαμβος)

G. A. Mansuelli

La tradizione letteraria antica fa concordemente risalire la pratica e l'apparato trionfale all'Etruria; gli studî recenti hanno riconnesso il termine latino triumphus (arcaico triumpus) a quello greco ϑρίαμβος (cfr. Θρίαμβος epiteto di Dioniso, per cui l'origine del t. sarebbe da riportarsi a riti dionisiaci) attraverso un intermediario etrusco non documentato. Effettivamente, molti fra gli ornamenta triumphalia, come la corona, lo scettro e la toga purpurea sono importati dall'Etruria come attributo di regalità, ma non è documentata con sicurezza la tradizione che riferisce la pratica del t. già all'età regia. Più sicuri sembrano la funzione e il carattere del t., cerimonia alle sue origini più religiosa che politica e militare, come purificazione dalla strage, ottenuta col passaggio attraverso una porta (Porta Triumphalis), e come rendimento di grazie a Giove e agli altri dèi della guerra (v. arco onorario, vol. i, pp. 558 ss.). Il trionfatore, per l'abito e per la pittura del volto, era assimilato a Giove stesso e gli ornamenta triumphalia si conservavano nel tempio capitolino. Qui è appariscente l'elemento latino, che già originariamente si combinava con gli apporti etruschi. Del resto, forme e rituali a parte, è comune presso tutti i popoli primitivi la celebrazione particolarmente solenne del ritorno da una impresa guerresca vittoriosa. In seguito, il t. viene ad assumere sempre più carattere politico: il Senato attribuisce a sé solo la facoltà di concederlo e subordina la concessione a condizioni imprescindibili, soprattutto all'entità della vittoria riportata.

Iconografia del trionfo. - La rappresentazione della pompa trionfale ha origmi ancora più nebulose che non la cerimonia in sé, almeno a giudicare dai monumenti rimastici. Come il t., essa è particolare del mondo romano, per quanto rappresentazioni analoghe, se pur prive del significato speciale che la pompa trionfale ha presso i Romani, non manchino in altre epoche e in altri ambienti. Scene di accompagnamento o di ingresso solenne del Faraone su rilievi egizî, e del re su rilievi mesopotamici, sono da ricordare a questo proposito. Particolare considerazione meritano i rilievi indiani con il t. di Buddha, in cui è ripetuto il motivo del trionfante su cocchio e del corteo, talora su sfondo di architetture. Nella Grecia classica le scene di accompagnamento solenne sono esclusivamente di carattere sacro e rituale, oppure vanno riferite al mondo mitico, ma in genere non possono riaccostarsi in alcun modo alla significazione del t., ad eccezione delle scene relative al t. indiano di Dioniso e del suo thìasos, entrate peraltro assai tardi nell'iconografia mitologica greca (v. thiasos, vol. vii, p. 830; pompa, vol. vi, p. 301).

Come precedenti diretti dell'iconografia del t. in ambiente italico, si possono ricordare alcuni monumenti etruschi, di carattere funerario, ma riflettenti, nell'Oltretomba, aspetti della vita vissuta. Così è della processione di trombettieri e littori nella tomba Bruschi. Ma più interessanti ancora sono alcune urne volterrane (Brunn-Körte, I rilievi delle urne etrusche, ii, 115 ss.) in cui appare il personaggio principale sul cocchio, preceduto da musici e littori o seguito da togati e da fanciulli (evidentemente i figli). Il più antico monumento d'ambiente latino che si possa riconnettere propriamente con il t. è una tarda cista prenestina del museo di Berlino: vi si vede una quadriga montata da un personaggio assimilato a Giove: dietro il carro è un uomo col lituo. Il rimanente della scena mostra il sacrificio, riassunto nella libazione compiuta da un personaggio con sopravveste ricamata che ha in mano lo scettro. Due situazioni precipue del t. sono così riunite e rappresentate in sintesi. Ma rappresentazioni vere e proprie di t. si conoscono soltanto a partire dall'età augustea. Col t. aziaco può infatti ricollegarsi il rilievo di Budapest, frammentario (Hekler, Samml. Antiker Skulpturen, Vienna 1929, fig. 107). Esplicita è la raffigurazione su una delle tazze del Tesoro di Boscoreale, col t. di Tiberio. Questa rappresentazione è degna di rilievo in quanto presuppone un archetipo, quasi certamente pittorico; anche qui la cerimonia è riassunta nei suoi episodî fondamentali: il vincitore sul carro, il sacrificio finale.

In seguito la rappresentazione del t. non è tanto frequente come potrebbe credersi, essendo nella iconografia ufficiale sostituita spesso da quella dell'adventus (v. vol. i, p. 89; v. anche reditus). Nell'Arco di Tito si ha, nel fregio, la rappresentazione della pompa trionfale, mentre nell'interno del fornice sono prescelti, con intenti simbolici (come attesta la presenza di personificazioni come parte attiva nel corteo), due aspetti del t: il carro del trionfatore accompagnato dai littori e da personificazioni e i fercula con le spoglie, fra le quali primeggia il candelabro a sette bracci, allusivo alla vittoria giudaica. In età flavia può forse considerarsi residuo di una rappresentazione di t. un rilievo nel Belvedere Vaticano con Roma che precede una biga (?) fra un corteo di cavalieri. Nel periodo traianeo l'unica vera e propria figurazione di t. rimastaci è nel fregio dell'Arco di Benevento, dove è rappresentata la pompa trionfale, sull'esempio dell'Arco di Tito. La lastra capitolina col t. di Marco Aurelio dà una rappresentazione del t. estremamente sintetica: solo il cocchio del principe avanza di scorcio, tirato dai quattro cavalli, su uno sfondo architettonico; accentua l'astrazione e l'isolamento la solitaria figura del tubicine che suona contro il vano di un arco. Per l'arte del periodo antoniniano vanno anche segnalati: il sarcofago del Belvedere Vaticano, che sulla fronte reca una scena di sottomissione, mentre sui lati minori sono scolpiti prigionieri su carri e su fercula (nell'accostamento si discerne la complementarietà della iconografia trionfale vera e propria e della narrazione figurata), e un altro rilievo che presenta barbari e trofei su di un ferculum portato a spalla da uomini tunicati.

Per l'arte del tardo impero sono soprattutto rilevanti tre monumenti: il primo, in ordine di tempo, è il piccolo fregio dell'Arco di Settimio Severo a Roma: comprende la sfilata dei prigionieri e del bottino secondo la tradizione degli Archi di Tito e di Traiano a Benevento; il secondo, che presenta maggiore interesse, è la rappresentazione sull'arco severiano di Leptis del t. di Severo e del t. di Caracalla. Intensamente patetica la rappresentazione dei vinti (v. specialmente il gruppo del fanciullo e della madre portati sul ferculum che, con poche varianti, si ripete in entrambi i cortei trionfali e che è quindi già un motivo obbligato, anche se non ha ancora assunto la fissità della formula). La composizione a rabesco con tendenza a sopprimere la spazialità, la disposizione frontale del rilievo severiano e postseveriano giustificano raffronti con la scultura decorativa indiana (monumenti di Burhut e di Sanchi) dove pure è svolto il motivo del trionfo. Nei rilievi dell'Arco di Costantino mancano rappresentazioni del trionfo.

Pittura trionfale. - È testimoniata ripetutamente dalle fonti e il problema è stato discusso dagli studiosi moderni, che giungono in parte a conclusioni discordanti. Nei testi non se ne ha menzione per i periodi anteriori alle guerre puniche. La prima notizia si riferisce alla pittura posta da M. Valerio Messalla, console nel 236, vincitore dei Cartaginesi e di Gerone di Siracusa; Plinio afferma (Nat. hist., xxxv, 22) esplicitamente che questi fu il primo ad esporre una tabula proelii nella Curia Hostilia, forse quella stessa tabula Valeria che Cicerone menziona due volte (in Vatinium, 21; Ad fam., xiv, 2, 2) (Ferri). La prima immagine di cui è detto esplicitamente che fu portata in una processione trionfale è il simulacrum Syracusarum che figurò nel t. di M. Claudio Marcello (Liv., xxvi, 21) ma, data l'estensione del termine, è difficile precisare se si trattasse di pittura. Più chiari altri dati letterari: l'ex voto per la vittoria asiatica di L. Scipione, posto sul Campidoglio nel 190, è detto tabula victoriae e l'altro ex voto per il t. sardo del 174 di Tiberio Gracco è chiaramente definito (Liv., xli, 28) una forma dell'isola in cui erano dipinte scene di battaglia. Del 146 è la pittura esposta nel Foro da L. Ostilio Mancino in cui erano rappresentati situm et oppugnationes, il luogo cioè e gli assalti (Ferri) alla città alla fine della terza guerra punica. A complemento di queste fonti nessun dato monumentale ci è giunto. Naturalmente, il termine "trionfale" non si applica soltanto ai quadri effettivamente trasportati nei t., ma altresì alle pitture commemorative di vittorie che si sono brevemente elencate. Circa la natura della pittura trionfale è ovvio il riconoscimento in essa dell'associazione di elementi paesistici ad elementi figurativi. È stato anche supposto che tali pitture fossero redatte tutte secondo uno schema fisso. Dalle descrizioni che ce ne sono pervenute, si ritiene che nella pittura fatta eseguire da L. Ostilio Mancino, che la spiegava davanti al popolo, fosse seguito lo schema della veduta panoramica con un complesso di scene riproducenti episodî immediatamente susseguentisi nel tempo, in cui alcuni studiosi hanno proposto di riconoscere gli inizî della "rappresentazione continua" (v. vol. ii, p. 783). Per la pittura relativa alle imprese di Tiberio Gracco non sembra convincente l'ipotesi di una forma in senso geografico, se non altro per le eccezionali proporzioni che sarebbero state necessarie. L'ipotesi del Rodenwaldt di una distribuzione quale appare nelle Tabulae Iliacae si presenta pertanto probabile: anche in questo caso avremmo la rappresentazione continua in stretto rapporto con l'ambientazione locale. Quanto si è esposto è forse sufficiente per chiarire l'origine e i primi sviluppi della pittura trionfale. Circa la sua realizzazione, nel caso specialmente delle pitture recate nei cortei trionfali, la natura stessa della destinazione pratica fa pensare che una esecuzione rapida, sommaria fosse propria anche di questi più antichi esempî. L'uso di portare nei t. immagini pittoriche è infatti attestato per l'epoca di Cesare (Flor., ii, 13) e per quella di Tiberio (Tac., Ann., ii, 41). Flavio Giuseppe (vii, 143), a proposito del t. di Tito, menziona la figurazione della presa e dell'incendio di Gerusalemme. Le conseguenze, per quanto riguarda la rappresentazione continua e l'ambientazione paesistica, si risentono fortemente nel rilievo (v. colonna di traiano, vol. ii, p. 756).

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