Troppo

Enciclopedia Dantesca (1970)

troppo (tro')

Ugo Vignuzzi

Avverbio di quantità di media frequenza nelle opere di D., con una trentina di occorrenze in quelle canoniche (quasi un terzo fuori della Commedia), e oltre 50 nel Fiore (due volte nel Detto).

L'allotropo tro', che si registra in tre luoghi del Fiore (XLIII 6 e 7, e CLXV 11), è senz'altro di ascendenza francese: cfr. B. Migliorini, Storia della Lingua Italiana, Firenze 1960, 127-128 (dov'è citato espressamente il tro' grella di XLIII 6), e v. anche GALLICISMI.

L'avverbio compare in rima in If XIII 119 e in XXII 110, in entrambi i casi in posizione prepausale, prima di una virgola (e in contesti in cui una rima ‛ aspra e chioccia ' ben si colloca); è invece all'inizio di verso in Pg XIV 125, XXII 35 e Pd XI 104, con enjambement, mentre in Pd IX 55 è collocato in posizione iniziale ‛ assoluta ' (cioè coincidente con l'inizio di periodo).

Come per l'aggettivo, l'impiego più diffuso dell'avverbio è quello d'indicare un grado, una situazione di ‛ eccesso ' nei confronti di una ‛ misura ' che si pone, dialetticamente, come ‛ giusto mezzo ', e che è generalmente implicita nel contesto: cfr. al riguardo il passo di Pg XXII 35, con il commento del Sapegno, riportato più sotto.

Questo valore (in senso assoluto) è chiaro quando t. è usato come modificatore verbale: Vn XXXVII 1 Io venni a tanto per la vista di questa donna, che li miei occhi si cominciaro a dilettare troppo di vederla; If XIII 119 l'altro, cui pareva tardar troppo, / gridava; Pg XXII 35 avarizia fu partita / troppo da me (" ogni virtù è, aristotelicamente, mezzo tra due vizi estremi; così l'uso misurato delle ricchezze sta fra i due eccessi della prodigalità e dell'avarizia ", Sapegno; e cfr. XXIV 153); e v. ancora i casi di Fiore XVIII 1 e CLXXX 4, sempre seguendo il verbo cui si riferisce; tuttavia, generalmente l'ordine avverbio-verbo è più consueto: Vn XXXVIII 1 Ricovrai la vista di quella donna in sì nuova condizione, che molte volte ne pensava sì come di persona che troppo mi piacesse; Cv I VI 4, If XXII 70 E Libicocco " Troppo avem sofferto ", / disse (si noti la collocazione enfatica, qui propria del parlato); Pg XIV 125 (con enjambement tra verbo e avverbio), XVII 136, XX 9, XXII 43, Fiore IX 7 (I' credo che tu ha' troppo pensato, e cfr. X 4), XVII 14 (con ‛ fallare ', come in XCIV 9, e in CCIV 9; cfr. pure, con ‛ fallire ', XVIII 1 e XXIV 12; con ‛ misprendere ' CXIX 14, e anche CLXIX 8), III 3, CLXV 13 (se la roba troppo le traina, / levila un poco), Detto 214 e 424 troppo gente assalta (sulla cui interpretazione cfr. ASSALTARE).

Nello stesso senso, l'avverbio si accompagna ad aggettivi (che di regola precede), specificandone, sotto l'aspetto del ‛ grado ' (quantità in generale), il valore: Vn XVIII 9 pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me (con lo stesso aggettivo, in Cv IV XX 4); If X 27 quella nobil patrïa [Firenze] ... / a la qual forse fui troppo molesto (il sintagma avverbio-aggettivo ritorna in clausola finale di verso in XIX 88, Pg XXXIII 25, Pd IV 87, XI 73, XIII 130, con enjambement, e XIV 130, analogo quest'ultimo a Pg XI 126; qui anche Pg XXXII 9 io udi' da loro un " Troppo fiso! "); Pd IX 55 Troppo sarebbe larga la bigoncia / che ricevesse il sangue ferrarese, / e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia (da rilevare, oltre alla collocazione iniziale ‛ forte ' dell'avverbio, il possibile doppio riferimento, se s'interpreta, con Benvenuto, ‛ t. stanco '; ‛ t. larga ', in tutt'altro contesto, ancora in Pd XXX 105; si confronti inoltre la dittologia di Detto 94); Pd XXIV 27, Fiore XLIII 6-7 sì non son troppo grossa né tro' grella, / né troppo grande né tro' picciolella (un'altra coppia antinomica in CLXV 11); CCXI 13 veggh'i' ben ch'è vita troppo dura, / quando tu hai paura di morire; e ancora XXXII 13, LXXXII 11 (‛ t. finamante '), LXXXVIII 9 (‛ t. aperto ', e cfr. il v. 11), XCIV 9 (‛ t. gran ' + sostantivo, qui ‛ dolore '; inoltre CXX 6 ‛ noia ', CCXVI 4 ‛ torto '; anche, nel senso di " estremamente grande ", CLXXI 5 ‛ fretta ' e CCXIV 5 ‛ taglia '); CLIII 11 (‛ t. crespa ' che rinvia a ‛ t. antica ' del v. 14), CLIX 4 e 8 (anche qui in corrispondenza tra loro), CLXII 2, CLXVIII 5, CLXXXVIII 11 e 12, e CCXVIII 11 troppo gli parea l'attender grieve; qui anche Cv II IV 12 troppo maggior numero, da confrontare con Rime CVI 130 (troppo è più ancor) e Fiore CL 6, e v. anche, citato più sotto, Pg XII 116.

In qualche caso, l'avverbio segue l'aggettivo, ai fini di una messa in risalto cui concorrono anche altri accorgimenti stilistico-formali, quali la posizione in rima (in If XXII 110 Malizioso son io troppo, / quand'io procuro a' mia maggior trestizia) o l'enjambement tra aggettivo e verbo (in Pd XI 104 per trovare a conversione acerba / troppo la gente.../ [s. Francesco] redissi al frutto de l'italica erba).

Infine, t. può riferirsi anche ad avverbi o a locuzioni avverbiali: Cv I II 2, If XX 38 (‛ t. davante ', anche in questo caso in clausola finale di verso), XXXI 23 Però che tu trascorri / per le tenebre troppo da la lungi, / avvien che poi nel maginare abborri; Fiore CLI 11 (‛ t. tosto ', come in CLXII 7 e in CLXXII 2), CLVIII 6, CLXXVII 3 e CXCII 14 solamente a costui ben volea / ... ché troppo dolzemente mi scuffiava; qui anche XXXVIII 10 (‛ t. oltre misura ').

Come l'aggettivo, anche l'avverbio ha, accanto al valore più generale, un altro valore che non indica un ‛ eccesso ' bensì una quantità ‛ estremamente grande ' (cfr. Tommaseo, Dizionario, sub v. troppo avv. 2.); tale valore, nelle opere sicuramente dantesche, si ritrova con certezza solo in Pg XII 116 Già montavam su per li scaglion santi, / ed esser mi parea troppo più lieve / che per lo pian non mi parea davanti, mentre è largamente diffuso nel Fiore: CXCVII 14 e' non fece anche oltraggio / in nessun luogo, ch'i' udisse dire, / ma troppo il loda l'uon di gran vantaggio (" che anzi ognuno lo loda moltissimo ", Petronio); e ancora XXVI 10, CXXVI 4, CXXVII 7, CXXXI 4 (‛ t. ben ', come in CCVII 5, e in CCXXIII 11, che va confrontato con CCXXIV 1), CLXXI 5 (‛ t. gran ' come in CCXIV 5, già citato), e CXCIII 5.

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