TROTTI BENTIVOGLIO, Gian Galeazzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

TROTTI BENTIVOGLIO, Gian Galeazzo

Alessandra Dattero

Nacque ad Alessandria nel 1599, primogenito di sette figli. Il padre era il conte Luigi Trotti, un nobile alessandrino al servizio spagnolo, distintosi nella guerra delle Fiandre, nelle guerre di religione in Francia e poi in Valtellina e nello Stato di Milano. La madre era Cinzia Elena Fara.

Fin da giovane si dedicò alla carriera delle armi, seguendo le orme del padre. Servì come alfiere e a diciott’anni fu promosso capitano; assunse in seguito il comando di una compagnia nel tercio di fanteria italiana del conte Geronimo Rho, con cui partecipò all’offensiva asburgica in Alsazia e a Coira nel 1622, ove fu ferito da due colpi di moschetto. Proseguì la sua carriera militare partecipando alle battaglie più importanti combattute in Italia durante la guerra dei Trent’anni, nel corso della quale i governatori dello Stato di Milano profusero ogni energia per contrastare l’accerchiamento messo in atto dal re di Francia ai danni del dominio spagnolo mediante alterne alleanze con i duchi di Savoia, di Mantova, Parma e Modena.

Trotti fu impegnato nella seconda guerra del Monferrato e poi nella difesa di Valenza, ove attinse pure alle proprie risorse personali per munire la città, riuscendo infine, anche grazie all’arrivo di rinforzi, a respingere l’assedio nel 1635. Per i suoi meriti in questa impresa fu promosso l’anno seguente al grado di tenente di mastro di campo generale. Fu poi incaricato di condurre un’azione che facilitò alle forze spagnole la conquista di Vercelli nel 1638. Dall’anno seguente fu coinvolto nell’offensiva spagnola in Piemonte, combattendo in battaglie campali e assedi, portando soccorso alle forze spagnole o intercettando forze nemiche a Cengio, Verrua, Crescentino, Pontestura, Villanova d’Asti, Moncalvo, Trino, Santhià e Torino, anche reclutando contingenti a sue spese. Questo gli valse la promozione a mastro di campo di fanteria l’8 gennaio 1640 e la nomina a governatore di Trino e Pontestura. Il conte di Sirvela nel 1643 lo promosse tenente di mastro di campo generale della cavalleria leggera dello Stato di Milano e capitano di una compagnia di corazzieri.

Gli tributò particolari riconoscimenti la fortunata azione di soccorso intentata nel 1643 a favore della città di Alessandria, la seconda piazzaforte dello Stato di Milano per importanza strategica dopo la capitale, assediata dal principe Tommaso di Savoia unitamente al generale Henri de La Tour d'Auvergne, visconte di Turenne. Fu proprio grazie al suo intervento tempestivo che i francesi furono costretti ad abbandonare il campo e la città fu liberata dallo stato di blocco. Trotti conosceva bene il terreno, essendo originario di Alessandria (nel cui territorio tra l’altro era signore feudale di alcune comunità), e questo gli permise di condurre manovre diversive e una marcia forzata rivelatasi decisiva per sciogliere l’assedio francese. Nel 1645 si distinse nella battaglia di Proh, ove fu ferito; ottenne in seguito una lettera regia che ne riconosceva i meriti.

La monarchia spagnola era afflitta in quel periodo da quella che Gaspar de Guzmán, conte duca di Olivares, definiva falta de cabezas, cioè una insufficienza di comandanti militari che disponessero di doti personali e preparazione all’altezza del conflitto in corso. Questo problema era dovuto sia a un certo raffreddamento dell’aristocrazia spagnola per la carriera della armi, sia all’impegno militare su più fronti, per cui lo Stato di Milano dovette contenere l’offensiva francese con mezzi propri sotto il profilo militare e finanziario. In questa situazione di emergenza il successo in guerra permise di aprire più che in passato le porte a rapide carriere per gli ufficiali di origine italiana che si fossero impegnati a fondo, manifestando il loro attaccamento alla causa spagnola. Questa fedeltà si estrinsecava in particolare mediante la profusione di proprie risorse personali nel contrasto all’avanzata francese.

Trotti aveva manifestato in più occasioni tutta la sua dedizione al sovrano; il suo apporto in alcuni casi era stato decisivo, ed egli cercò di ottenere i meritati riconoscimenti. Nel 1645 si candidò alla carica di commissario generale dell’esercito e successivamente a quella di governatore della piazzaforte di Como, dignità quest’ultima già ricoperta da suo padre. Non avendo ottenuto soddisfazione, forse anche a causa di un conflitto ancora aperto tra suo padre e la città di Como per contribuzioni indebite da lui pretese, insistette con il governatore dello Stato per la concessione del generalato della cavalleria o dell’artiglieria. Tali tentativi rimasero senza esito, tanto da indurlo a presentare una lettera di dimissioni in segno di protesta, poi subito ritirata.

Nel gennaio 1647 fu inviato a Napoli per ottenere aiuti finanziari dal viceré Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos, ma dovette rinunciarvi a causa delle difficoltà in cui versava il Regno, ormai sull’orlo della rivolta. Successivamente fu incaricato di liberare Cremona dall’assedio delle truppe franco-estensi, operazione in cui fu fatto prigioniero. Rimesso in libertà alcuni mesi dopo, si recò a Madrid presso Filippo IV per chiedere gli ambiti riconoscimenti per il suo onorato servizio, ottenendo in prima battuta un aumento del soldo di 100 scudi. Nel 1652 si recò nuovamente dal sovrano per perorare la propria causa. Le sue suppliche ebbero buon esito anche grazie all’intercessione di Luis de Benavides Carrillo y Toledo marchese di Caracena, governatore di Milano, che ne aveva sperimentato il valore militare sul campo di battaglia e nutriva molta stima nei suoi confronti. Allora Filippo IV gli concesse il posto di capitano generale della cavalleria di Napoli in servizio nello Stato di Milano. Grazie a questa carica entrò a far parte del Consiglio segreto del governatore, cioè del gruppo ristretto di uomini di fiducia chiamati a consigliare il governatore nella pianificazione delle successive campagne.

Raggiunse infine l’apice della sua carriera con la promozione nel 1657 alla carica di mastro di campo generale, cioè comandante di tutta la cavalleria, fanteria e gente di guerra di qualunque nazione in servizio nello Stato di Milano. Era il grado di comando milanese più elevato, subordinato solo al governatore dello Stato.

Questo avanzamento di carriera fu dovuto al riconoscimento dei meriti che Trotti si era guadagnato nella difesa di Pavia dall’assedio francese del 1655, durato cinquantatré giorni, episodio che ebbe grande importanza strategica per gli esiti della campagna militare di quell’anno. Il suo valore in questa azione indusse inoltre il sovrano a conferirgli la croce dell’Ordine militare cavalleresco di Santiago, appoggiata all’encomienda di Bienvenida, che rendeva 3000 scudi annui. Il sovrano in realtà intendeva sopprimere la carica di mastro di campo generale, cumulandola a quella di governatore, ma decise di mantenerla specificamente per poter premiare Trotti, che si era imposto come uno dei più capaci ufficiali in servizio. Tuttavia, in seguito a dissidi con il governatore dello Stato, Trotti rassegnò le dimissioni nello stesso anno. Dopo la rimozione di Alfonso Perez de Vivero y Menchaca conte di Fuensaldaña cercò di farsi reintegrare nella carica, ma senza successo, e vi riuscì solo nel 1662, grazie all’appoggio del nuovo governatore dello Stato, Diego Mexia Felipe de Guzmán, marchese di Leganés.

Ulteriori riconoscimenti gli furono tributati dalla città di Milano, dove il Consiglio generale dei sessanta decurioni il 17 dicembre 1655 fece istanza perché il Senato lo ammettesse con i suoi discendenti fra i patrizi milanesi. Nel 1665, alla morte di Filippo IV, Trotti si trovava nuovamente a Madrid per cercare di farsi ammettere nel Consiglio di guerra o per proporsi addirittura come governatore di Milano. Nel 1667 la sovrana reggente lo confermò nella carica di mastro di campo generale dello Stato di Milano.

Trotti lasciò ampie testimonianze delle sue azioni in guerra nei diari che redasse durante le campagne militari. Il suo valore sui campi di battaglia fu celebrato con una medaglia e gli valse l’epiteto di «Marte d’Insubria».

Alla carriera nell’esercito si accompagnò l’acquisizione di feudi e titoli nobiliari, che si aggiunsero a quanto conseguito per eredità. Nel 1642, alla morte del padre, ereditò il titolo di conte di Casal Cermelli con il relativo feudo; nel 1652 acquistò il feudo di Castelnuovo Calcea, nel 1654 i feudi di Robbio, Vinzaglio, Casalino e Pisnengo nel Novarese, infine nel 1659 il marchesato di Fresonara. Nel 1624 sposò Paola Cuttica, figlia di Lorenzo, decurione di Alessandria e marchese di Cassine, e di Maria Vivaldi, genovese. Ebbe tre figli: Antonio, Lorenzo (v. le rispettive voci in questo Dizionario) e Carlo Gerolamo.

Morì il 31 ottobre 1670 a Milano.

Fonti e bibliografia

Milano, Archivio storico civico, Malvezzi, 18-19. G. Gualdo Priorato, Historia delle guerre di Ferdinando II e Ferdinando III e del re Filippo IV  di Spagna contro Gustavo Adolfo re di Svezia e Luigi XIII re di Francia successe dall’anno 1630 all’anno 1640, Venezia 1643, p. 351; Famiglie notabili milanesi, I, Milano 1875, Tav. IV (pp. n.n.); F. Guasco, Famiglie Trotti, Boidi-Trotti, Sandri-Trotti, Cermelli, Perboni, Pavaranza, in Id., Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine dal secolo IX al XX, V, Casale Monferrato 1929, tav. VI (pp. n.n.); G. Signorotto, Milano spagnola. Guerra, istituzioni, uomini di governo (1635-1660), Milano 1996, pp. 186-201, ad ind.; Id., Guerre spagnole, ufficiali lombardi, in I Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, Atti del convegno di studi, Piacenza 24-26 novembre 1994, a cura di A. Bilotto - P. Del Negro - C. Mozzarelli, Roma 1997, pp. 367-396; D. Maffi, Il baluardo della corona. Guerra, finanze e società nella Lombardia seicentesca (1630-1660), Firenze 2007, ad ind.; P. Anselmi, “Conservare lo Stato”. Politica di difesa e pratica di governo nella Lombardia spagnola fra XVI e XVII secolo, Milano 2008, pp. 225-252, ad ind.; D. Maffi, La cittadella in armi. Esercito, società e finanza nella Lombardia di Carlo II. 1660-1700, Milano 2010, pp. 160-186, ad indicem.

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