TUAREG

Enciclopedia Italiana (1937)

TUAREG

Francesco BEGUINOT
Antonio MORDINI

. Il nome Tuareg (con g dura) diffuso presso di noi per designare le popolazioni berbere del Sahara centrale, non deriva direttamente da queste, ma dal plurale arabo at-Tawāriq o at-Twāreg (con g dura), il cui singolare è tārqī o tārgī (con g dura). I significati che ad esso si attribuiscono di "abbandonati da Dio" o di "masnadieri" sono fondati su equivoci derivanti da confusione tra le radici arabe trk e ṭrq. Il significato si può riconnettere, invece, a quello di Tārga, con cui i Tuareg stessi anche ora chiamano il Fezzān, regione in antico da essi dominata (gli abitanti di Ghāt dicono Tārgia). Siccome il primo contatto degli Arabi conquistatori dell'Africa del nord con le genti sahariane avvenne attraverso il Fezzān, è verisimile che il nome di questo fosse da essi usato, adattandolo alla morfologia della loro lingua, per indicare tutto il gruppo dei nomadi del Gran Deserto, dal tipo fisico e sociale così nettamente distinto allora come ai nostri giorni.

Circa l'origine del nome è da ricordare che tārga in berbero significa canale. Essendo frequentissimi in molte lingue i toponimi formati con quella voce, e tenuta presente la configurazione del Fezzān, altipiano solcato da lunghissime depressioni che dall'alto sembrano appunto enormi canaloni, è probabile che tale sia l'etimo.

Il nome Tuareg è conosciuto solo da una parte delle genti che designa, cioè da quelle che parlano anche l'arabo. I Tuareg berberofoni puri, e anche i bilingui, quando parlano berbero, usano per designarsi altri termini, diversi a seconda dei gruppi, ma che tutti si riconnettono con quello di Imāzīghen, diffuso tra molti dei loro confratelli del Nord-Africa costiero e che si può ritenere come il nome nazionale dei Berberi. I Tuareg dell'Air dicono Imāžīghen, quelli del nord Imūshāgh e Imūhāgh. Sebbene sembrino lontani gli uni dagli altri, tuttavia leggi fonetiche e morfologiche sicure provano che si tratta di varietà dello stesso nome.

Il tipo fisico e il linguaggio mostrano chiaramente che i Tuareg sono un ramo del popolo berbero, che sin da antico si trova impiantato nell'Africa settentrionale fra la Cirenaica e il Marocco. E siccome nulla autorizza a credere che dalle regioni centrali dell'Africa i Berberi siano venuti verso la costa mediterranea, è ovvio ritenere che dalla loro sede primitiva nei paesi costieri una parte di essi sia andata a poco a poco a occupare delle zone sahariane. Si tratta dunque della discesa di Bianchi mediterranei nel Gran Deserto, fenomeno di cui si colgono alcuni momenti anche in epoca recente e quasi ai nostri giorni; e che inoltre finisce per far breccia e penetrare in qualche punto delle regioni sudanesi, come recenti studî linguistici vanno confermando. Circa l'origine di tale movimento, è opinione diffusa e sostenuta anche da grandi autorità, come St. Gsell e E. F. Gautier, che generalizzandosi nell'Africa del nord, a partire dal sec. IV d. C. e forse nel III, l'uso del cammello, si sarebbe reso possibile ai Berberi di vivere e di muoversi nelle vaste solitudini del deserto. Vi sarebbe dunque un Sahara precammellino e un Sahara postcammellino; il primo abitato da Negri o Negroidi, il secondo penetrato dai Bianchi mediterranei, che respinsero i Negri verso le loro sedi sudanesi o si sovrapposero ad essi e in parte si mescolarono. Alcuni studiosi italiani hanno però dimostrato che la discesa dei Berberi, almeno nella parte del Sahara a sud della Tripolitania, risale ad epoca molto anteriore, forse al 1° millennio a. C. I Garamanti di cui parla Erodoto, sono progenitori dei Tuareg, e con le immense loro necropoli in cui le tombe si contano a molte decine di migliaia, fanno pensare che per lungo tempo prima dell'avvento dell'Islām essi abitassero in quelle regioni.

In alcune genealogie tradizionali riportate da scrittori arabi i Tuareg vengono riconnessi, tra i varî rami etnici dei Berberi, con quello dei Ṣanhāgiah. Da varî indizî risulta però che anche la popolazione dei Hawwārah (v.) deve aver contribuito a formare i Tuareg del Nord, cioè gli Azgher che gravitano intorno a Ghāt, e gli Ahaggār che hanno il loro centro nell'altipiano omonimo. I due nomi Azgher e Ahaggār si possono ritenere, per sicure leggi fonetiche del berbero, come varietà di quello dei Hawwārah. È probabile che questi ultimi, che avevano la loro sede in Tripolitania, siano discesi nel Sahara attraverso la grande via del Fezzān, mentre gruppi di Ṣanhāgiah seguivano vie più a ovest. Per tutti il Gran Deserto fu luogo di rifugio, come per altre popolazioni gli altipiani prossimi alla costa. Isolatisi così dal mondo civile, quasi nulla si conosce delle loro vicende passate. Solo qualche piccolo accenno ai Tārgah o a loro frazioni risulta da storici o geografi arabi, come al-Bakrī, al-Idrīsī, Ibn Baṭtūṭah, Ibn Khaldūn, Leone Africano, ecc. È da ritenersi che, penetrati nel Sahara, cercassero di respingere a sud o di sottomettere i Negri. Date le enormi distanze, si scindevano in singoli gruppi, formando quelle confederazioni che avevano i loro centri in massicci montuosi e che attraverso i tempi debbono aver subito trasformazioni, come si vede anche in epoca recente dalla diversità dei raggruppamenti indicati da singoli studiosi e viaggiatori.

Iniziatosi nel secolo scorso il grande movimento di conquista dell'Africa, il Sahara e i suoi abitanti furono d'ogni parte assaliti dalle forze della civiltà. I Tuareg opposero resistenze non lievi, massacrarono parecchi esploratori, diedero luogo a scontri sanguinosi con reparti di truppe francesi: ma infine sono stati nel secolo attuale completamente domati, e il Gran Deserto è oramai pacificato. Ampî studî sono stati fatti sui loro linguaggi (per la classificazione di essi, v. berberi), sulle iscrizioni rupestri (v. tifīnagh), e sulla letteratura popolare, ricchissima di componimenti amorosi, attraverso i quali i grandi nomadi sahariani, dalla vita brigantesca circonfusa di paurose leggende, sono apparsi anche come un popolo di poeti e di damerini.

I Tuareg vengono convenzionalmente divisi in due grandi gruppi (Tuareg del Nord e Tuareg del Sud) composti da confederazioni possedenti aree proprie di gravitazione. I Tuareg del Nord si dividono in Ahaggar ed Azgher, abitanti il massiccio del Hoggar i primi e i secondi i Tassili del Nord e parte del Fezzān. I Tuareg del Sud si suddividono in Aïr, Adrar, Kel Geres e Aulimmiden abitanti rispettivamente l'Air, l'Adrar degli Iforas, e i due ultimi gruppi i territorî marginali della regione sudanese.

La loro civiltà materiale è assai uniforme quantunque esistano lievi divergenze fra i varî gruppi: la loro vita si svolge intorno all'allevamento ovino e cammellino da cui essi ritraggono i mezzi di sostentamento. Ottimi carovanieri e impareggiabili guide del deserto, i Tuareg erano, fino a pochi decennî or sono, temibili predoni che razziavano periodicamente i popoli vicini. Tale attività è oggi cessata in seguito all'occupazione francese e italiana dei loro territorî.

Dal punto di vista sociale i Tuareg si dividono in tre classi: nobili, servi e schiavi. I nobili o Ihaggaren costituiscono varie piccole tribù accentranti il potere politico-amministrativo; i servi o Imgad sono pure raggruppati in piccole tribù coi capi proprî, ognuna delle quali dipendente da una tribù nobile a cui deve prestazioni di mano d'opera, pagamento di determinati tributi e assistenza in caso di guerra. Gli schiavi o Ikelan, oggi praticamente liberi, sono i discendenti di Negri catturati durante le razzie; essi continuano a vivere presso i loro antichi padroni adibiti quasi esclusivamente alla pastorizia e a un poco di agricoltura.

Fino a tre secoli fa i Tuareg del Nord costituivano un'unica confederazione a capo di cui era un sultano ereditario detto, Amanokal, appartenente al clan degli Imanan. Tale carica è oggi praticamente scomparsa in seguito alla scissione della confederazione in Azgher ed Ahaggar.

L'organizzazione sociale è basata sul sistema dei clan, grandi famiglie (chel) comprendenti i discendenti di un capostipite comune; nell'interno di ogni clan esistono alla lor volta tante piccole famiglie quanti sono i genitori maschi. Nella grande famiglia impera la genealogia materna secondo il precetto targhi "il ventre tinge il figlio", mentre nella piccola famiglia è usata la genealogia paterna.

Il patrimonio viene, alla morte del capofamiglia, diviso in due parti: la prima parte o "legittima", consistente nelle proprietà personali frutto del lavoro del defunto (armi, greggi, schiavi) viene divisa tra i figli nella proporzione di due terzi per i maschi e un terzo per le femmine. Quanto alla seconda parte, o "illegittima", comprendente beni ottenuti mediante l'aiuto della collettività o dovuti ad eredità di stirpe (frutto di razzie, diritti sulle tribù serve, decime, ecc.) spettano al clan e seguono perciò la legge di successione materna, come pure avviene per le cariche, nobiltà, marche del bestiame.

La donna occupa sia nella grande famiglia e sia in quella piccola una singolare posizione di favore: essa possiede infatti dalla pubertà all'epoca del matrimonio - che avviene generalmente verso i 20-25 anni - una completa libertà anche dal lato sessuale. Sposata conserva ancora molta indipendenza ed è quasi sempre il membro più istruito della famiglia, sapendo nella maggioranza dei casi leggere e scrivere nella scrittura nazionale detta tifinar, che appare essere un ramo del ceppo da cui derivò la scrittura libica.

Le donne giovani e anche a volte sposate spesso si recano a riunioni diurne o notturne dette Ahal in cui gli uomini declamano o cantano versi; le donne suonano un rudimentale violino monocorde detto imzad.

Il telo della tenda Tuareg è formato da lunghe strisce composte da pelli di mufflone, di capra, che vengono colorate in rosso con l'ocra e quindi cucite insieme.

Il telo è sostenuto da varî pali fra cui uno di dimensioni maggiori detto agati sorregge la parte centrale del telo. L'apertura della tenda è sempre orientata al sud; nell'interno alcune stuoie appoggiate contro le pareti formano paraventi mobili. I Tuareg dormono generalmente sulla sabbia di cui è cosparso il suolo della tenda, oppure su stuoie; esistono anche veri e proprî letti (tadabut), a loro tipici, che sono esclusivamente usati da pochi privilegiati.

La parte sinistra della tenda rispetto alla porta - almeno fra i nobili - spetta all'uomo; la destra alla donna.

Il nutrimento è formato prevalentemente da latticinî a cui vengono aggiunti prodotti agricoli coltivati dai servi o dagli schiavi. La carne è poco usata e su quella dei pesci e di due grandi lucertole sahariane, l'arata e l'agezzaram (Varanus griseus Daud; e Uromastix acanthinurus Bell.), vi è un vero e proprio tabu, rifiutandosi energicamente i Tuareg di consumarla.

Il patrimonio zootecnico, oltre a comprendere pecore, capre, asini, è prevalentemente composto di cammelli da corsa e da carico. I cammelli da corsa (areggian; arabo mehara) vengono montati mediante una caratteristica sella di legno e cuoio (tarik) con un alto pomo a forma di croce oppure da selle di altro tipo che variano secondo le località e gli usi. La tarik nota anche sotto il nome arabo di rahla (la viaggiatrice) viene fabbricata nell'Aïr e nel Sudan.

Le vesti, che nel passato erano confezionate col cuoio, spesso colorato in rosso, oggi vengono fabbricate con stoffe di cotone di origine sia sudanese e sia europea.

Il costume maschile è pressoché simile (salvo che per la ricchezza dei ricami e la finezza dei tessuti) fra i nobili e i servi; esso si compone di due altre lunghe tuniche (Tikamist) di cotone bianco o di cotone tinto con l'indaco di provenienza sudanese. Queste lunghe tuniche senza maniche vengono sovrapposte l'una sull'altra. Un paio di larghe brache (kerteba), un pezzo rettangolare di stoffa (afer) a righe o di colore unito, che serve per ricoprirsi la testa e le spalle, dei larghi sandali (ighatiman) completano il costume. Sul petto vengono incrociate due bandoliere formate da cordoni di seta (emedjuden) o di lana terminanti con grandi nappe; quanto al velo (tigelmust; arabo litham), che forma il pezzo più caratteristico del costume maschile dei Tuareg, consiste in una striscia di color indaco, nero o bianco lunga da 2 a 3 m., importata dal Sudan, che viene arrotolata intorno alla testa in modo da coprire interamente il volto lasciando solo una corta fessura per la vista. Normalmente il velo nero o indaco è esclusivo ai nobili e quello bianco ai servi; nel Fezzān però varî servi adoperano il velo indaco o nero. Il velo non viene tolto che quando l'uomo è assolutamente solo. Sarebbe considerata una grave sconvenienza il fatto che un targhi nobile esponesse il volto e particolarmente la bocca allo sguardo di un estraneo o anche di un componente della famiglia come la moglie, i figli, ecc. Viaggiando è facile però che fra amici venga fatto di scoprirsi il volto, ma in ogni modo non davanti a estranei.

L'uso del velo maschile appare essere un elemento culturale di notevole antichità e d'origine magico-protettiva sia per impedire ad influenze malefiche di entrare nel corpo sia per porre un ostacolo ad un'eventuale fuga o rapimento dell'anima.

Dei minuscoli portafogli (taghallebt) e dei sacchetti contenenti amuleti scritti (thera) sono portati dai più abbienti appesi al collo.

Le donne nobili si avvolgono il ventre e le anche entro un piccolo barracano (assegbes); quindi indossano l'una sopra l'altra due tuniche, molto ampia la prima di tela bianca, la seconda indaco o nera. Quindi si ravvolgono entro un barracano rosso o un pezzo rettangolare di lana o cotone bianco alla cui estremità, che viene rigettata dietro la spalla sinistra, è spesso attaccata una chiave per contrappeso.

La calzatura è simile a quella maschile; le donne inoltre usano tingersi leggermente il volto con l'indaco e si soffregano le guance con ocra gialla o rossa. Non si tatuano, né si dipingono il resto del corpo. Usano anche numerosissimi gioielli sia d'argento e sia di perline di vetro colorato; come gli uomini alcune vecchie fumano la pipa; quanto alle giovani fiutano e masticano volentieri il tabacco mescolato a un poco di natron (carbonato di sodio).

Le armi tuareg, oggi cadute in quasi completo abbandono in seguito all'introduzione di quelle da fuoco, comprendevano: 1. una grande spada (takoba) a impugnatura in forma di croce e dalla lama d'acciaio diritta e a doppio tagliente; 2. un pugnale (telek) simile per forma alla spada e la cui guaina era fornita di un apposito anello per introdurvi il braccio sinistro; 3. una lancia da getto interamente metallica di ferro (allag), simile per forma ed uso al pilum romano; 4. un'altra lancia di dimensioni maggiori e di tipo più arcaico (tagda) dal corpo centrale di legno e dalle estremità di ferro; 5. da un arco (tanechabt) di tipo asiatico atto a scagliare frecce inpenni (enderba) con punte di ferro.

La difesa era affidata a un grande scudo di forma grossolanamente rettangolare (agar) di pelle d'antilope mohor e fabbricato nell'Aïr e nel Sudan.

I Tuareg portano usualmente un anello (ahbeg) di serpentina o scisto cloritoso. Questo anello di pietra, che viene portato all'avambraccio destro e che oggi costituisce un semplice ornamento, può essere stato in origine un'arma da lotta corpo a corpo.

I Tuareg ignorano l'architettura, come pure la tessitura. I pochi oggetti di ceramica che essi usano sono eseguiti dagli schiavi e derivano dalla cultura sudanese. D'altra parte intrecciano con molta abilità gli steli di afezu (Panicum turgidum Forsk.), eseguendo stuoie, alcune delle quali, ricamate in cuoio, di grande bellezza. L'intaglio e la pirografia del legno sono pure praticati con successo, però l'arte in cui eccellono i Tuareg è quella dei lavori in cuoio inciso e policromato, quali bisacce, cuscini, portafogli, astucci per armi, di grande effetto decorativo. Il cuoio è usato con una profusione che talvolta stupisce, esistendo alcuni astucci da armi per la cui confezione si sono adoperate le pelli di un intero gregge: una ventina di capre o di pecore.

I cuoi sono ornati di motivi geometrici con tecniche svariate: pitture in nero o in rosso, ricami con finissime stringhe di cuoio azzurro o bianco, applicazione di pezzi di cuoio di svariato colore su fondi uniti o policromi, ricami con fili di cotone colorati, incisione di motivi decorativi eseguita con la punta del coltello, ecc.

Il motivo della croce (+) tanto usato nell'ornamentazione dei Tuareg deve probabilmente la sua origine al fatto che essa è l'indicazione del femminile nella scrittura tifinar, quantunque alcuni autori sostengano ch'esso sia dovuto a influenze cristiane della chiesa di Cartagine (sec. IV d. C.), influenze che alcune parole latine scoperte nella loro lingua dal Padre de Foucault (angelus, peccatum) fanno intravvedere.

Anche il lavoro dei metalli offre motivi singolarissimi e degni d'interesse. Gli artigiani detti Mrallem, che formano in seno alla società Tuareg una classe separata e strettamente endogama, socialmente assai distinti dal resto dei Tuareg, sono anche considerati quali stregoni ed esercitano questa professione in quasi completa esclusività salvo alcuni stregoni (imekkelauen) professionisti che praticano inoltre la stregoneria aggressiva.

Il matrimonio, la circoncisione e le cerimonie funebri sono eseguite col rituale proprio ai musulmani dell'Africa mediterranea.

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