GARBARI, Tullio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GARBARI, Tullio

Antonello Negri

Nacque il 14 ag. 1892 a Pergine Valsugana, nel Trentino, da Ubaldo e Adelgunda Toller.

Studiò alla Scuola reale superiore elisabettina di Rovereto tra 1906 e 1908, quando entrò all'Accademia di belle arti di Venezia. Nella fase iniziale venne influenzato dai modi della secessione viennese, anche per il tramite di P. Marussig, a Trento fra 1908 e 1909: ne può essere prova indicativa un'opera del G. come il Salice piangente conservata a Trento presso il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (MART).

A Venezia entrò in contatto con i pittori cosiddetti di Ca' Pesaro. Nel 1910 partecipò alla mostra estiva di Ca' Pesaro esponendo 36 opere in una sala personale: le altre due personali, in quell'occasione, furono di U. Boccioni e T. Wolf-Ferrari. Fu anche per le suggestioni derivate dalla ricerca purista di quest'ultimo e di V. Zecchin che il G. incominciò ad allontanarsi dallo Jugendstil. Le inclinazioni di questo periodo sono documentate da una serie di paesaggi - tra i quali un piccolo olio su cartone che si trova a Trento (MART) - le cui più grandi e piatte campiture cromatiche ricordano le "vetrate" dell'amico Wolf-Ferrari. Sviluppando i modi di tali paesaggi, il G. arrivò a una pittura caratterizzata da un'ulteriore semplificazione delle forme, delimitate da grossi contorni scuri, memori della lezione sintetista di Pont-Aven, appresa attraverso la mediazione di G. Rossi (si consideri in proposito il piccolo Trittico-Paesaggio, di collezione privata trentina, esposto nella mostra di Venezia del 1987).

Nel 1912 espose alla Filarmonica di Torino, e l'anno seguente prese parte alla mostra di Ca' Pesaro esponendo 31 lavori, che costituirono la presenza più consistente, insieme con F. Casorati e U. Oppi: le opere che a Ca' Pesaro facevano il punto sul suo lavoro evidenziavano un ulteriore raffinamento del processo di sintesi figurativa già ricordato, ora testimoniato da opere come il piccolo acquerello del 1912 Paesaggio con rondini, costruito sulla base di un sottile equilibrio ritmico di forme estremamente sfrondate.

Ritornato a Pergine, approfondì l'indirizzo sintetista e purista, rappresentando soggetti rurali legati al mondo degli affetti familiari. Esemplari di questo momento sono le Scene domestiche, presenti in diverse versioni al MART di Trento: vi acquistano nuova importanza le figure, collocate in interni sinteticamente rappresentati con un gusto, d'intonazione nabi, evidentemente ancora derivato da G. Rossi durante l'esperienza veneziana.

Paralleli a quelli artistici, si sviluppavano gli interessi letterari del G., che avevano avuto una prima affermazione nel 1911 con il lavoro per la rivista La Voce trentina. Nel 1914 il G. entrò in contatto con l'ambiente letterario di Firenze, in particolare con il gruppo di La Voce di G. Prezzolini - che aveva preso a modello per la creazione, insieme con A. De Gasperi, de La Voce trentina - e con G. Papini; a Firenze, inoltre, espose all'Istituto francese. Nel 1915 si arruolò nell'esercito italiano ma, ammalatosi di tifo, rimase fino al 1919 a Milano, dove ebbe modo di approfondire la sua amicizia con C. Carrà, già incontrato nel 1910 a Venezia; con lui espose nel 1917 alla galleria Chini di Milano, mostrando una certa influenza del Doganiere Rousseau (ad esempio nel dipinto del 1916 Gli intellettuali al caffè: Svizzera, collezione privata).

Nuovamente a Pergine nel 1918, cominciò a dedicarsi a studi letterari e filosofici, oltre che all'approfondimento delle lingue antiche: greco, latino, sanscrito ed ebraico. Al 1918 risale una serie di acquerelli raffiguranti le manifestazioni popolari per la liberazione di Trento. Sono degli anni seguenti saggi critici e poesie d'intensa meditazione spirituale. Il G. era rimasto in rapporti epistolari con Papini e anche con B. Croce; studiò inoltre gli scritti dei filosofi cattolici, da A. Rosmini a J. Maritain. In quel periodo, fino al 1927, fu anche impegnato nella vita politica, partecipando alla lotta di rivendicazione autonomistica della Venezia Tridentina. Trasferitosi a Trento nel 1924, ritornò gradualmente alla pittura (Aratura: Bolzano, collezione privata; Tre sorelle: Trento, MART), riprendendo pienamente tale attività solo nel 1926. Era allora in contatto con il pittore C. Di Terlizzi e con C. Belli, che nel 1937 gli avrebbe dedicato una monografia.

Nel 1927 espose a Milano con gli artisti di Novecento alla galleria Scopinich, poi in altre mostre di tale raggruppamento allestite ad Amburgo, Amsterdam, L'Aia. Tra le prime opere dipinte dal G. dopo la ripresa dell'attività pittorica si ricordano, accanto ai soggetti di semplice vita rurale, dal tema arcaico dell'aratura alla serie del Carradore (1927-28), i soggetti sacri: spiccano fra questi un S. Sebastiano (Cortina d'Ampezzo, collezione privata) e l'olio su tavola con La Madonna della Pace, ora al Museo diocesano di Trento.

La grande figura della Vergine con il Bambino benedicente in grembo è seduta su un olivo, simbolo di pace e al tempo stesso albero della vita; sullo sfondo il sereno lavoro nei campi, mentre in primo piano i simboli eucaristici del pane e del vino conferiscono all'immagine un senso mistico.

Nel 1928 partecipò alla XVI Biennale di Venezia, dove espose una scelta di opere grafiche e cinque dipinti, tra cui La famiglia del carradore (Vicenza, collezione privata), Johanna (del quadro si conoscono due versioni, l'una in collezione privata a Trento, l'altra a Cortina d'Ampezzo presso la Casa delle Regole) e una Madonna con Bambino da identificarsi, probabilmente, con la Madonna della Pace. Nello stesso anno prese parte alla I Mostra di arte trentina.

La sua produzione si andava sviluppando essenzialmente secondo due registri, quello profano e quello sacro: si vedano, per il primo, l'Interno delle Civiche Raccolte d'arte di Milano - nel quale ritroviamo una ripresa delle "scene domestiche" degli anni Dieci, ora svolte secondo un solenne arcaismo - e, per il secondo, un'opera come La creazione di Adamo ed Eva del Museo diocesano di Trento, dove viene ripresa l'iconografia tradizionale di Eva che sorge dal fianco di Adamo, specchio di una religiosità solo in apparenza primitiva, in realtà estremamente colta. La stessa religiosità si avverte in La Sibilla di Terlago (1929-31: Trento, MART), ambientata in un paesaggio trentino, al di là degli elementi figurativi (il tempio antico, la sacerdotessa, la scena pastorale in primo piano) che possono far pensare a un mondo pagano; così come nella pressoché coeva Sibilla Cumana (1930: Bolzano, collezione privata).

I modi essenziali e vigorosamente arcaizzanti di opere come queste proponevano un'interpretazione in chiave mistico-religiosa del novecentismo che, di fatto, ne capovolgeva le ragioni. Non a caso il G. sarebbe stato molto amato, nel decennio seguente, dagli artisti della nuova generazione - R. Birolli, A. Sassu, F. Tomea - alla ricerca di soluzioni formali radicalmente alternative a quelle di Novecento nel nome di una ritrovata semplicità dei valori emotivi, ma comunicativi, della pittura.

Nel 1929 tenne una mostra al Circolo sociale di Trento, dove, tra l'altro, espose Rachele, Deborah e Jele, Giuditta (i primi due quadri sono in collezione privata a Trento; il terzo, presso il Museo diocesano della stessa città). Sono del periodo compreso tra 1929 e 1930 dipinti come La cacciata dal paradiso, La predica ai pesci, Il Battista (ora al MART di Trento) e il S. Cristoforo. Nel 1931 partecipò alla I Quadriennale romana; a Milano espose nella galleria di P.M. Bardi, strinse amicizia con il critico E. Persico e con il poeta e pittore D. Garrone. Nel marzo dell'anno seguente, dopo una mostra alla galleria Il Milione, partì per Parigi, anche per approfondire la conoscenza di Maritain; vi espose con il gruppo "1940" alla Galerie de la Renaissance.

Il G. morì, all'improvviso, l'8 ott. 1931 a Parigi, dove aveva un'intensa frequentazione con G. Severini, in casa dell'amico Garrone. Intorno al suo letto di morte furono collocate alcune delle più significative opere di Parigi, ora conservate a Trento: Composizione apocalittica (MART), Il trionfo di s. Tommaso e Il miracolo della mula (Museo diocesano).

Severini, che gli fu molto vicino nell'ultimo periodo, avvertiva (1932) nella sua pittura - generalmente caratterizzata da "un primitivismo conquistato a forza d'intelligenza e volontà" e aliena da ogni ricerca di gratuito artificio formale - "la poesia semplice, fervorosa e diretta, di quegli "ex-voto" che si trovano spesso nelle chiese delle montagne trentine e ticinesi" (il G. conosceva in modo particolare quelli del santuario della Madonna di Piné) in grado di parlare direttamente allo spettatore, commuovendolo senza distrarlo con i loro modi assolutamente disadorni. Il suo primitivismo arcaista è stato talvolta ricondotto a suggestioni espressioniste nordiche: sono tuttavia in fondo dominanti, nello svolgersi del suo itinerario artistico, accenti di classicità, soprattutto evidenti nei nudi, in certe teste - si veda la serie delle "teste retiche" - e nelle composizioni dove la complessità delle azioni è saldamente controllata da "uno spirito contemplativo, che dà riposo alle correnti esasperate dell'espressionismo europeo" (Carrà, 1936). La sua produzione - soprattutto dopo il 1926 - si inscrive complessivamente in un progetto di ridefinizione dell'arte sacra, basato sul tentativo di coniugare una figurazione di matrice naturalistica con l'espressione di valori puri. Pur subendo il fascino della geometria come valore assoluto - nel periodo parigino ebbe modo di meditare sugli studi di Severini sulle proiezioni ortogonali coniugate, sulla sezione aurea, sui rapporti armonici, sulle misure rapportate (Belli, 1936) - il G. se ne servì sempre soltanto come mezzo, in funzione della comunicazione di valori religiosi, anzi cattolici.

Tra gli scritti del G., si ricordano: Giovanni Segantini, in L'Alto Adige, 23 dic. 1908; Delendae Venetiae, ibid., 13 febbr. 1909; Rosso e Segantini, in La Voce trentina, 1911, n. 1; Lavoro, ibid., n. 2; Il caso Sezanne e la Casa dell'arte trentina, ibid., n. 3; Incoscienza musicale trentina, ibid., n. 4; Il paese che dorme, ibid., n. 5; Nel IV centenario della morte di A. Vittoria, in Trentino, V (1925), p. 5; L'eredità di Eugenio Prati, in La Libertà (Trento), 29 ag. 1925; Eugenio Prati pittore, Milano 1927; La dispettosa Musa… (catal., galleria Il Milione), Milano 1930; Incontro con Pancheri, Trento 1931.

Sue poesie sono pubblicate in Il Milione, (1936, n. 46, pp. n.n.) in Frontespizio (XII [1938], pp.730 s.) oltre che nella raccolta Poesia (Trento 1935, pp. 57-59).

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