PINELLI, Tullio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PINELLI, Tullio

Augusto Sainati

PINELLI, Tullio. – Nacque a Torino il 24 giugno 1908 da Ferdinando e da Ersilia Ratti.

Discendente da una nobile famiglia di conti piemontesi, per tradizione magistrati, dopo gli studi classici liceali – durante i quali fu allievo di Augusto Monti e compagno, tra gli altri, di Cesare Pavese, che rimase suo sodale fino alla sua drammatica morte – e dopo la laurea in giurisprudenza, Pinelli esercitò per alcuni anni la professione forense a Torino. Grazie a Monti, fin dagli anni Venti entrò in contatto con molta parte della giovane élite culturale torinese (Franco Antonicelli, Norberto Bobbio, Leone Ginzburg, Massimo Mila ecc.). Nel frattempo avviò una fertile attività di scrittura che lo portò progressivamente a spostare i suoi interessi verso l’ambiente dello spettacolo e a forgiare a poco a poco un universo poetico personale.

Dopo un primo apprendistato di scrittura di testi per un teatro delle marionette a destinazione familiare e dopo l’esordio, nel 1931, con una commedia in dialetto piemontese, ’L sôfà d’la marchesa d’ Mômbarôn, interpretata tra gli altri da un giovane Erminio Macario e venata di toni surreali, Pinelli si affacciò sulla scena nazionale con La pulce d’oro (1935), che Silvio D’Amico aveva consigliato al regista Giorgio Venturini, direttore del Teatro nazionale dei Gruppi universitari fascisti (GUF), a Firenze. Da quel momento diventò un autore rappresentato con crescente successo. La sua attenzione era attratta dalla dimensione magica del quotidiano, da ciò che sta sul bordo della realtà per esservi forse attratto, forse espulso (come afferma nel finale della pièce il protagonista Lupo Fiorino, a proposito della vicenda appena vissuta sulla scena: «se ci avete creduto, essa c’è; se non ci avete creduto, essa è una favola»).

I personaggi e gli ambienti nei quali Pinelli collocava le vicende facevano parte di un mondo senza tempo, di una provincia lontana e legata a una cultura ancestrale. Indicativo in questo senso è il maggior successo teatrale di quegli anni, I padri etruschi (1941) che, a una vicenda fatta di matrimoni per interesse e gelosie familiari, di amanti rinnegati e assassini, contrapponeva la placida immutabilità dei paesaggi così come dei valori simboleggiati proprio da quegli avi etruschi che vissero nelle stesse terre nelle quali si svolgeva la storia. In altre pièces la drammaturgia ruotava più esplicitamente intorno a un’inquietudine spirituale e alla trasfigurazione di una realtà umana condizionata dall’ansia per l’ultraterreno e soffusa di mistero. In questa direzione gli importanti lavori di quegli anni – Lo stilita (1937), Lotta con l’angelo (1943), Gorgonio ossia Il Tirso (1952) – segnarono la definitiva consacrazione di Pinelli come autore teatrale.

Nel 1943 Pinelli ricevette un riconoscimento dall’Accademia d’Italia come drammaturgo emergente. Sul piano ideale sostenne l’idea di un teatro nazionale e popolare firmando con Orazio Costa, Diego Fabbri, Gerardo Guerrieri e Vito Pandolfi il Manifesto per un teatro del popolo, pubblicato nel 1943, all’indomani del 25 luglio.

Nel frattempo dal matrimonio con Maria Cristina Quilico, celebrato nel 1933, Pinelli aveva avuto quattro figli: il consistente carico familiare gli permise di essere presto congedato dal servizio militare, al quale era stato richiamato a causa della guerra. Moltissimi anni dopo, nel 1988, Pinelli sposò in seconde nozze l’attrice Madeleine Lebeau.

La cospicua attività teatrale di Pinelli gli procurò un’allettante proposta della Lux – la casa di produzione cinematografica del piemontese Riccardo Gualino, diretta da un altro piemontese, il raffinato musicologo Guido Gatti – che nel 1941 gli offrì un ricco contratto, di 80.000 lire, per scrivere tre sceneggiature all’anno, preferendolo a Vitaliano Brancati ed Elio Vittorini, ugualmente interpellati.

Trasferitosi a Roma, dopo un esordio come sceneggiatore di In cerca di felicità di Giacomo Gentilomo, Pinelli scrisse alcuni film per Mario Camerini e Mario Soldati (La figlia del capitano – in cui non figura accreditato – e Le miserie del signor Travet), ma si affermò compiutamente come sceneggiatore solo quando avviò sodalizi più importanti e duraturi. Nel dopoguerra, infatti, Pinelli fece l’incontro decisivo della sua carriera: quello con il giovane Federico Fellini con il quale formò una coppia artistica affiatatissima e prolifica. In quegli anni i due autori firmarono sceneggiature per Alberto Lattuada (Senza pietà, Il mulino del Po, quest’ultima da Riccardo Bacchelli), Duilio Coletti (Il passatore), Pietro Germi (In nome della legge, Il cammino della speranza, La città si difende, Il brigante di Tacca del Lupo).

La fase di scrittura era spesso preceduta da lunghi sopralluoghi nelle regioni dove il film in progetto avrebbe dovuto essere ambientato: dalla Toscana di Senza pietà o del non realizzato Petrolio in Toscana al Friuli del pure inedito La ragazza di Trieste fino alla Campania di Il re di Poggioreale, scritto in una prima versione da Pinelli e Fellini, ma realizzato molti anni dopo in altra forma e senza più il loro apporto da Coletti.

Una simile attenzione all’indagine sulla realtà colta dal vivo conferiva ai testi un fondo di autenticità e immediatezza, come risulta evidente dal confronto tra le due parti che componevano un altro progetto per un film non realizzato, Napoli-New York, con la parte napoletana ricca di spunti e notazioni e la parte americana, non sorretta da una conoscenza diretta della città, più stereotipata. E tuttavia nei film della coppia di autori non c’era quasi mai un’adesione convinta ed esclusiva allo spirito del neorealismo poiché la realtà indagata era spesso reinventata in chiave stilizzata o favolistica. Basterebbe pensare ai personaggi dei primi film diretti da Fellini (dagli attori della compagnia di Luci del varietà alla sposina di Lo sceicco bianco) per vedere quanto la preoccupazione di Pinelli fosse costantemente quella di agire sulla stessa leva della trasfigurazione che animava la sua produzione teatrale. Pinelli firmò (con Fellini, Ennio Flaiano, e in qualche caso Brunello Rondi) la sceneggiatura di tutti i film del regista riminese fino a Giulietta degli spiriti (1965). Poi la collaborazione tra i due autori si interruppe, peraltro senza alcuna rottura traumatica, per riprendere in occasione degli ultimi film felliniani, Ginger e Fred e La voce della luna.

Il crescente successo dell’attività di sceneggiatore non determinò il totale abbandono del teatro da parte di Pinelli. Tuttavia fu soprattutto nella produzione per il cinema che si venne progressivamente definendo quella linea al tempo stesso mistica e magica che caratterizzò la poetica pinelliana: l’interrogazione sul soprannaturale, sulle misteriose concordanze che esistono nella realtà, sulla continua ricerca di un altrove dello spirito non ben definito né definibile ma comunque necessario, animava infatti la scrittura di Pinelli.

Così in La strada, certamente il film più pinelliano di tutti, ciò che lo attraeva era – come confessò lui stesso – l’incontro, «apparentemente casuale, di due creature che non hanno niente in comune; il perdurare della loro convivenza, apparentemente assurda ed inutile, attraverso avventure ed incontri che secondo il giudizio umano le porterebbero ogni volta a separarsi; fino alla scoperta dell’invisibile trasformazione operata dall’una sull’altra» (cfr. Cinema, 1954, n. 139, p. 449). E, su un versante più ‘laico’, in La dolce vita – film nel quale l’apporto di Pinelli si concretizzò essenzialmente nell’invenzione del personaggio di Steiner, il colto intellettuale considerato da Marcello un po’ come un mito e un modello – ciò che sembrava interessare l’autore era la messa a fuoco del tratto essenziale dello stesso Steiner, ovvero quell’inquietudine per una serenità e una purezza vagheggiate e cercate soprattutto nell’arte.

Morì a Roma il 7 marzo 2009.

Per tutta la vita Pinelli restò un autore estremamente versatile, grazie anche a un carattere particolarmente schivo – ancorché vivace e allegro – che lo portò a fare del lavoro, inteso come raffinato e prezioso artigianato, la bussola della sua intera attività e a scrivere in contesti molto diversi tra loro. Alla rigogliosa produzione teatrale e cinematografica Pinelli affiancò, infatti, fin dai primi anni della sua carriera, numerosi libretti d’opera, scritti per Giorgio Federico Ghedini (Re Hassan, 1938; La pulce d’oro, 1940; Le baccanti, da Euripide, 1948), per Alberto Bruni Tedeschi (Villon, 1941), per Sandro Fuga (La croce deserta, da Jacobsen, 1948), nonché una multiforme attività di scrittore di radiodrammi (Pegaso, 1938; L’anfora, 1941 e altri) e, in seguito, di sceneggiati televisivi (tra i molti titoli Il marchese di Roccaverdina, da Luigi Capuana, con la regia di Edmo Fenoglio, 1972; Eleonora, di Silverio Blasi, 1973; Camilla, di Sandro Bolchi, 1976; La voce, di Brunello Rondi, 1982; Cristoforo Colombo, di Alberto Lattuada, 1985). Vero architetto della narrazione e dei dialoghi, nel suo lavoro di sceneggiatore Pinelli dispiegò la scrittura su molteplici registri, che spaziano dalla rarefazione di La strada ai toni più scanzonati delle commedie scritte per Pietro Germi (L’immorale) o Mario Monicelli (Amici miei, originariamente pensato proprio per Germi) fino all’impianto più letterario dei molti adattamenti da romanzi di autori italiani e stranieri (dallo Svevo di Senilità per Mauro Bolognini all’Hemingway del non realizzato Di là dal fiume e tra gli alberi, che doveva essere diretto da Valerio Zurlini). E il ventaglio di autori per il quale Pinelli scrisse nell’arco di sessant’anni di cinema (oltre a quelli citati anche Roberto Rossellini, Eduardo De Filippo, Liliana Cavani, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Alberto Sordi e molti altri) è la riprova migliore della straordinaria ricchezza e varietà dell’attività di questo autore.

Fonti e Bibl.: T. Pinelli, Il giardino delle sfingi e altre commedie, Torino 1975; T. Pinelli, La pulce d’oro; I padri etruschi; Lotta con l’angelo; Il ciarlatano meraviglioso; La sacra rappresentazione di Santa Marina, Roma 1996; Fellini Amarcord, 2008 n. 3-4, n. monografico dedicato a T. P.; F. Fellini - T. Pinelli, Napoli-New York. Una storia inedita per il cinema, Venezia 2013; D. Salvi, T. P. L’intervista ritrovata, Napoli 2014.

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