Tullo Ostilio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Tullo Ostilio

Clara Kraus

Terzo re di Roma, successore di Numa Pompilio. La fonte principale per le notizie relative al suo regno, cui si assegnava la durata di trentadue anni, è Livio I XXII-XXXI; ma ne aveva già trattato Ennio, che a sua volta si era basato su Fabio Pittore.

Si ritiene che T., re bellicoso ma nella sostanza continuatore a un tempo della politica di Romolo e di Numa, sia nella serie dei re di Roma la prima figura storica, successivamente avvolta da un alone leggendario, e che l'unico tratto propriamente mitico sia la sua morte, provocata dal fulmine di Giove, che lo avrebbe colpito per punirlo di un errore commesso nel compiere un sacrificio in suo onore. Una morte trasformata in punizione forse perché non era possibile una seconda apoteosi dopo quella di Romolo, ma che nel segno del mistero concludeva in maniera eccezionale la vita di un re cui la tradizione collegava eventi di fondamentale importanza per il futuro di Roma. In campo militare T. condusse una guerra vittoriosa contro Alba Longa (nella quale rientrano l'episodio degli Orazi e Curiazi e il supplizio inflitto a Mezio Fufezio per il suo tradimento), che ebbe come esito la distruzione della città e il trasferimento a Roma dei suoi abitanti; altre vittorie riportò sui Fidenati, sui Veienti, sui Sabini. In campo civile sono legate al suo nome l'istituzione del collegio dei Feziali, la costruzione del comitium e della curia (Hostilia).

È fondata l'opinione che D. non seguisse Livio come fonte per l'età monarchica di Roma: l'elenco dei sette re, in Cv IV V 11 Che se consideriamo li sette regi che prima la governaro, cioè Romolo, Numa, Tullo, Anco e li re Tarquini, risale di certo a Virgilio Aen. VI 756-853, anziché al I libro delle storie liviane (v. SERVIO TULLIO). Altrettanto evidente è l'indipendenza da Livio nella prospettiva data al combattimento tra gli Orazi e i Curiazi, con riferimento ai quali ricorre una seconda volta il nome di T., in Mn II IX 15 tribus pugilibus Albanorum peremptis, Romanorum duobus, palma victoriae sub Hostilio rege cessit Romanis. Et hoc diligenter Livius in prima parte contexit, cuius Orosius etiam contestatur.

Questa volta D. denuncia apertamente la sua fonte, che è Orosio: in Livio, che egli conosce bene, il combattimento tra le due coppie di campioni trigemini (romani gli Orazi, Albani i Curiazi) non risolve affatto la guerra di predominio tra Roma e Alba Longa, ma porta a una pace fittizia foriera di rinnovata guerra (Livio I XXVII 1): nella descrizione di Orosio, invece, lo scontro ha un esito definitivo (Hist. II IV 9 " Tullum Hostilium militaris rei institutorem fiducia bene exercitae iuventutis Albanis intulisse et diu altrinsecus spe incerta, certa clade, tandem pessimos exitus et dubios eventus compendiosa tergeminorum congressione finisse "). Ed è questa la fonte utile a D., il quale inserisce l'episodio del tempo di T. tra gli esempi addotti per dimostrare la sua tesi che Roma acquistò l'Impero universale non con vittorie riportate in scontri massicci, bensì grazie a singoli duelli, di esito definitivo in quanto conformi al principio di giustizia quale si attua nei giudizi di Dio (v. DUELLO).

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