Turbata libertà degli incanti

Diritto on line (2015)

Elvira Dinacci

Abstract

L’indagine si sofferma sulla struttura della figura criminosa di cui all’art. 353 c.p., evidenziando non solo che l’evento del reato ha come oggetto specifico la gara, ma anche che le condotte che lo possono concretizzare devono coinvolgere i soggetti che alla gara partecipino ovvero siano a essa preposti.

Generalità e oggetto della tutela

La fattispecie delineata dall’art. 353 c.p., pur essendo rimasta strutturalmente inalterata nei contenuti sin dall’entrata in vigore del codice Rocco, ha tuttavia subito una recente modifica attraverso l’introduzione di un inasprimento sanzionatorio con l. 13.8.2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia, con la quale è stato altresì introdotto l’art. 353 bis c.p.), con ciò segnalandosi l’attenzione del legislatore alla cura di questo determinato settore di operatività dei pubblici poteri. Essa si colloca tra i delitti dei privati contro la pubblica amministrazione. Ratio indiscussa della norma in esame è quella di assicurare efficace tutela rispetto alla fase di formazione dell’attività negoziale della pubblica amministrazione, con specifico riguardo alla scelta dei contraenti e al rispetto delle regole volte a disciplinare le gare cui l’amministrazione risulti interessata. Non altrettanto indiscussa risulta invece la definizione e delimitazione del bene giuridico tutelato. La tesi inizialmente recepita con l’entrata in vigore del codice Rocco era orientata piuttosto semplicisticamente a ritenere che la fattispecie di turbata libertà degli incanti presidiasse l’interesse pubblicistico del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione; tuttavia, all’interno di tale tesi tradizionale venivano in rilievo distinzioni concretamente significative: secondo alcuni autori il bene giuridico tutelato sarebbe insito nell’intento di salvaguardare sia la regolarità, sia la libertà della gara (Musacchio, V., La qualificazione pubblicistico penalistica del delitto di turbata libertà degli incanti, in Riv. pen., 1993, 535 ss.; Vinciguerra, I., I delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2008, 415), secondo altri nella sola regolarità della gara comunque comprensiva della parità nel trattamento dei differenti concorrenti (Pagliaro, A., Principi di diritto penale, pt. spec.,I, Delitti contro la pubblica amministrazione, VI ed., Milano, 1998, 449 ss.; Riccio, G., Incanti e licitazioni (frode negli), in Nss. D.I., VIII, Torino, 1962, 492). Parte della dottrina incentra l’identificazione dell’oggetto della tutela penale nella libertà della concorrenza, che si riflette sull’affidamento che si determina in relazione alla regolarità del procedimento, oltre che sull’interesse dell’amministrazione (Amato, G., Puntualizzazioni giurisprudenziali in tema di turbata libertà degli incanti, nota a Cass. pen., 11.06.1998, n. 881, in Cass. pen., 1999, 544). In questa prospettiva, è stato osservato che la tutela penale sarebbe concentrata sulla libertà economica in generale e sulla libera concorrenza in particolare, che si concreterebbe nell’assicurare un’assoluta parità di condizioni a favore di tutti i partecipanti alla procedura (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale,pt. spec., I, IV ed., Bologna, 2011, 328; Caraccioli, I., Servizio di pubblica necessità e turbata libertà degli incanti, nota a Pret. Casale Monferrato, 15.3.1961, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, 1123 ss.). Tale specifica osservazione, avallata da quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui «oggetto della tutela penale non è solo la libertà di partecipare alle gare nei pubblici incanti, ma anche la libertà di chi vi partecipa ad influenzarne l’esito, secondo la libera concorrenza ed il gioco della maggiorazione delle offerte» (cfr. Cass. pen., 27.3.2007, n. 20621) finisce per sganciare l’individuazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice dalla pubblica amministrazione, per caratterizzarlo in senso più prettamente privatistico. Le diverse tesi proliferate sull’argomento hanno indotto parte della dottrina (sull’argomento, si veda, Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione - I delitti dei privati, Milano, 2002, 560; Ruggiero, G., Incanti (turbativa ed astensione), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 908) e della giurisprudenza a qualificare il delitto di cui all’art. 353 c.p. come reato plurioffensivo, il cui bene protetto «è rappresentato non soltanto dalla libertà di partecipazione alle gare nei pubblici appalti o nelle licitazioni private, ma anche dalla libertà di chi vi partecipa di influenzarne l’esito, secondo la libera concorrenza e attraverso il gioco della maggiorazione delle offerte. Il tutto secondo una linea volta a privilegiare il valore della par condicio, insito in qualsiasi procedimento di tipo concorsuale», con conseguente inquadramento della fattispecie in esame «tra i reati plurioffensivi, con connotazioni, anche di plurilesività, proprio in considerazione della platea dei partecipanti alla gara, e delle posizioni soggettive qualificate che essi rivestono agli effetti dei diritti e degli interessi di cui sono portatori» (così, Cass. pen., sez. II, 26.1.2006, n. 4925, in Riv. pen., 2006, 654).

I soggetti del reato

Soggetto attivo del delitto di turbata libertà degli incanti può essere chiunque, sia egli estraneo, interessato e, persino, controinteressato alla gara. Si tratta, dunque, di un reato comune. Il co. 2 dell’art. 353 c.p. introduce, invece, in relazione al soggetto attivo del reato, una circostanza aggravante a effetto speciale, ove questo si identifichi in «persona preposta dalla legge o dall’autorità agli incanti o alle licitazioni». Circa la nozione di «preposto» è stato precisato che essa «va determinata con riferimento non limitato al momento terminale – e cioè alla celebrazione della gara – ma avendo riguardo all’intero iter procedimentale che il pubblico incanto per la sua realizzazione comporta: lo svolgimento del pubblico incanto, infatti, dà luogo ad un procedimento amministrativo complesso, nel cui arco la funzione del preposto si inserisce ed opera attraverso gli specifici compiti ai quali lo stesso è chiamato, sicché la qualifica di persona preposta dalla legge o dall’autorità ai pubblici incanti o alle licitazioni private non può essere limitata a chi presiede e dirige la gara, ma comprende tutti coloro che svolgono funzioni essenziali nell’intero percorso procedimentale» (cfr. Cass. pen., sez. VI, 13.1.2005, n. 4185, in CED Cass., n. 230906, nonché Cass. pen., sez. VI, 28.11.2003, n. 10886, ibidem, n. 227723). La relativa circostanza aggravante a effetto speciale, è considerata circostanza speciale concernente le qualità personali del colpevole e, pertanto, è reputata soggetta al regime ordinario previsto dall’art. 59, co. 2, c.p., che ne consente l’estensione ai correi, solo se conosciuta o ignorata per colpa o per errore dovuto a colpa (cfr. in tal senso, Cass. pen., sez. I, 21.1.2005, n. 4836, in CED Cass., n. 230614). Quanto al soggetto passivo del reato esso è certamente e agevolmente individuabile nella pubblica amministrazione, ma non si esclude, alla luce di quanto osservato nel paragrafo che precede, che tale possa essere anche la singola persona fisica o giuridica nei cui confronti siano state poste in essere le condotte tipiche di cui all’art. 353 c.p. (Di Giovine, O., Turbata libertà degli incanti e astensione dagli incanti, in Trattato di diritto penale,diretto da A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M.I. Papa, pt. spec., II, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2008, 802; Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 188 ss.).

Gli elementi costitutivi dell’illecito

La condotta

Le condotte, alternativamente indicate nella norma, devono necessariamente essere realizzate in relazione a una o più gare determinate, assumendo, secondo l’elencazione tassativa (reato a forma vincolata), la forma di violenza, minaccia, doni o promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti. Tali comportamenti devono provocare la lesione, l’evento, degli interessi che la norma penale intende tutelare. Di qui l’impedimento, il turbamento o l’allontanamento degli offerenti devono essere valutati come eventi naturalistici della fattispecie in oggetto; in altre parole, deve sussistere tra la condotta e l’evento un rapporto di causa-effetto (Di Giovine, O., Turbata libertà degli incanti e astensione dagli incanti,cit., 802; Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V ed., Torino, 1981, 689). Nello stesso senso si è posta anche recente giurisprudenza di legittimità la quale, seppur con qualche ambiguità, ha affermato che «la fattispecie in esame potrebbe … concepirsi come reato di pericolo solo dal punto di vista secondo cui essa è integrata anche senza l’effettivo conseguimento del risultato perseguito dai soggetti agenti colludenti, essendo sufficiente che gli accordi collusivi siano idonei ad influenzare l’andamento della gara; ma più correttamente essa dovrebbe essere inquadrata nei reati di evento (inteso in senso naturalistico) dovendo essere accertato il verificarsi dell’impedimento della gara o del suo turbamento, e quindi la potenziale incidenza di una simile fraudolenta condotta sul futuro risultato della gara» (cfr. Cass. pen., sez. VI, 8.7.2014, dep. 29.9.2014, n. 40304). In effetti, ove si prescindesse dall’evento inteso come effettivo turbamento della gara, dovremmo immaginare che la fattispecie in esame, nella ipotesi collusiva, si risolva in una corruzione antecedente, in un patto cioè sinallagmatico, impostato sul do ut des e ciò, evidentemente, non è corrispondente al vero. Occorre, quindi, che la gara, proprio a causa del comportamento dell’agente, non si sia svolta o conclusa ovvero, seppur svolta o conclusa, se ne sia alterato il normale funzionamento (in senso contrario, la giurisprudenza maggioritaria ravvisa nella fattispecie in oggetto un reato di pericolo, cfr. Cass. pen., sez. VI, 12.11.2012, n. 43800). Non ci trova d’accordo quella dottrina che esprime qualche riserva a configurare la fattispecie come reato di evento, alla luce del fatto che «l’azione tipica … nella sua complessità esecutiva … esaurisce la realtà, realizzando la fattispecie senza nessi causali e artificiose scissioni tra comportamento e risultato» (Venturati, P., Incanti (frode negli), in Dig. pen., VI, Torino, 1992, 305 ss.). Venendo ora alle condotte tipiche, può osservarsi come quella incentrata sulla «violenza» sia configurabile in ogni comportamento in assenza del quale il destinatario non si sarebbe risolto a fare (omettere o tollerare) ciò che ha fatto (omesso o tollerato). Essa comprende, pertanto, anche la violenza sulle cose ovvero su terzi legati al soggetto passivo da vincoli di parentela o di solidarietà (Viganò, F., La tutela penale della libertà individuale, Milano, 2002, 258; Pedrazzi, C., Appunti sulla violenza quale “mezzo del reato”, in Riv. it. dir. pen., 1956, 660 ss.). Secondo tale accezione il requisito costitutivo della violenza si tradurrebbe in una forma di coartazione o coazione lesiva della capacità di autodeterminazione, suscettibile di trascendere la comune accezione di violenza intesa come esplicazione di una forza fisica. Per quanto riguarda la «minaccia», essa consiste, secondo la definizione tradizionale, nella rappresentazione di un male futuro e ingiusto la cui realizzazione risulti dipendente dal soggetto agente. I «doni» vengono, invece, assimilati al concetto di utilità tipico delle condotte di corruzione, e possono identificarsi in un quid suscettibile di indirizzare il comportamento del destinatario verso una direzione diversa da quella che egli avrebbe assunto; il «dono» deve assumere un carattere oggettivamente proporzionato o adeguato alla funzione persuasiva (Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 191 ss.). Analoghe considerazioni valgono in relazione alla «promessa di doni» la cui oggettiva capacità di incidere sulla condotta della controparte risulta, tuttavia, di non agevole accertamento. La «promessa», in ogni caso, non può essere astratta o generica, ma deve possedere, al contrario, i requisiti della tipicità, precisione e concretezza, nel senso che l’atto del promettere non può ridursi a un semplice accordo negoziale, ma deve interferire sulle altrui scelte, impedendo la corretta procedura della pubblica gara. Estremamente complesso, soprattutto sul terreno della verifica probatoria, risulta poi il concetto di collusione, riscontrandosi refrattario a dimostrare in concreto nel concreto la sussistenza degli accordi occulti (cfr. Cass. pen., sez. VI, 25.10.2004, n. 44618, in Riv. pen., 2005, 1279). Quest’ultima dovrebbe coincidere con ogni accordo tra due o più persone espressamente proteso allo svolgimento irregolare della gara. Per collusione si è ritenuto debba intendersi «ogni accordo tra due o più persone per conseguire un fine illecito mediante lo svolgimento irregolare dell’incanto o della licitazione»; «ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte … ogni intesa clandestina fra due o più persone per conseguire un fine illecito, mediante il tradimento della fiducia o l’elusione dell’attività legittima di terzi», «qualsiasi rapporto clandestino intercorrente tra soggetti privati in qualsiasi modo interessati alla gara o tra questi e i preposti alla gara, diretto a influire sull’esito della stessa» (Cass. pen. n. 40304/2014, cit.). In questa situazione (come in quella di promessa o dazione di doni) si pone il problema se trattasi di reato plurisoggettivo proprio e, quindi, del perché il legislatore abbia scelto di punire solo il promittente o donante e non anche colui che turba effettivamente la gara a seguito dei vantaggi corrisposti o assicurati; si obietta a ciò che ove costui rivesta la carica di pubblico ufficiale potrà rispondere (ove ricorrano i presupposti) di abuso d’ufficio (cfr. Madia, N., La tutela penale della libertà di concorrenza nelle gare pubbliche, Napoli, 2012), seppure è evidente che la pena in tale ipotesi sarebbe irragionevolmente meno grave. Infine, altra tipologia di condotta integrante la struttura dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 353 c.p., è quella definita come «altro mezzo fraudolento» e cioè «qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale» (cfr. Cass. pen., sez. VI, 8.5.1998, n. 8443, Misuraca e altri,in Guida dir., 1998, fasc. 36, 68 ss. con nota di Amato, G., La Cassazione amplia la tutela penale ai partecipanti alla gara d’appalto; Cass. pen., sez. VI, 8.6.2010, n. 40831, in CED Cass., n. 248788). La previsione, tra le condotte, di quella consistente nell’impiego di altri mezzi fraudolenti risulta, in buona sostanza, residuale, ancorché comprensiva di qualunque forma di anomalia che possa falsamente orientare i partecipanti o i preposti alla gara, pregiudicandone l’esito o il normale svolgimento. L’ampia concezione di «mezzi fraudolenti», indubbiamente carente sul piano della tassatività, ha indotto a ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 353 c.p., in tale particolare forma, in una casistica variegata. A titolo esemplificativo, si è ritenuto che espressione di turbativa posta in essere con mezzi fraudolenti fosse il fatto di screditare ingiustamente la cosa messa all’incanto; di sopprimere un avviso di asta o di impedirne altrimenti la pubblicità; la interpretazione ingiustificatamente restrittiva di particolari clausole, la esclusione di un offerente sulla base di un rigido formalismo nel controllo dei requisiti delle istanze, ovvero, ancora, l’iniziativa del preposto di procedere alla dichiarazione di inammissibilità di una offerta sulla base della mera inosservanza di requisiti formali della istanza quali, ad esempio, la data di nascita del concorrente; «la predisposizione di domande di partecipazione alla gara che, compilate in ogni loro elemento costitutivo e firmate in bianco, venivano completate con l’indicazione della percentuale di ribasso ad uno solo dei compartecipi» (Cass. pen. n. 8443/1998, cit.); la «formazione di un documento fornito di idoneità probatoria ex lege e, tuttavia, recante una dichiarazione contra verum strumentale a trarre in inganno la P.A.» (Cass. pen., sez. V, 11.11.2003, n. 561, in Guida dir., 2004, fasc. 17, 97); «l’offerta in ribasso assolutamente anomala ed economicamente del tutto ingiustificata, effettuata nella consapevolezza che essa concorre in modo del tutto prevalente a determinare a livello minimo la cd. offerta media, idonea ad identificare l’aggiudicatario della gara, può integrare l’artificio sufficiente ad impedire o turbare il regolare gioco della concorrenza» (Cass. pen., sez. V, 29.4.1999, n. 9062, in Cass. pen., 2000, 1637).

L’evento

La condotta così posta in essere deve dare, come risultato, alternativamente, l’impedimento, la turbativa o l’allontanamento degli offerenti. Nelle rispettive definizioni, agli effetti dell’applicazione pratica, le diverse situazioni risultano di più o meno agevole individuazione: laddove il concetto di impedimento e quello di allontanamento appaiono facilmente identificabili sul piano naturalistico, quello di turbativa «ammette – già come concetto – una serie infinita di sfumature che ne dissolvono i contorni, non di rado spiritualizzandola» (Di Giovine, O., Turbata Libertà degli incanti e astensione dagli incanti, cit., 808). L’impedimento si verifica quando con l’uso dei mezzi di commissione della condotta criminosa indicati nella norma la gara non può essere effettuata, rimanendo deserta. Il turbamento si realizza quando, pur non impedendosi lo svolgimento della gara, se ne disturba la regolarità, influenzandone o alterandone il risultato, che senza l’intervento perturbatore avrebbe potuto essere diverso; il turbamento deve cioè consistere in un vincolo per l’altrui libertà, tale da condizionare il regolare svolgimento della gara («il reato di turbata libertà degli incanti sussiste non solo quando, con l’uso di uno dei mezzi previsti dall’art. 353 cod. pen., la gara non può essere effettuata rimanendo deserta ma anche quando non si impedisce lo svolgimento della gara ma se ne disturba la regolarità, influenzandone o alternandone il risultato che, senza l’intervento perturbatore avrebbe potuto essere diverso»: Cass. pen., sez. VI, 16.4.1991, n. 9845, Sciuto, in Cass. pen., 1993, 1448) e, ancora, in una influenza sulle regolari procedure di gara, idonea a sviare il processo decisionale di individuazione del vincitore (cfr., ad esempio, Cass. pen., n. 40304/2014, cit.). L’evento rientrante nell’ipotesi della turbativa o turbamento può venire in rilievo, per le sue peculiarità, non solo nel momento in cui è in atto lo svolgimento della gara, ma anche durante il complesso procedimento che conduca alla gara, purché produca un effettivo sviamento della contesa ovvero una reale manipolazione nell’iter selettivo di scelta dei contraenti. Quanto all’allontanamento esso si realizza distogliendo gli offerenti dalla gara o impedendo agli stessi di parteciparvi; secondo alcuni autori (Venturati, P., Incanti (frode negli), cit., 307) l’evento «allontanamento» dovrebbe ritenersi assorbito nell’impedimento ovvero nel turbamento della gara, sebbene esso possa ragionevolmente apparire autonomamente rilevante quando l’allontanamento di un offerente non abbia prodotto effetti di rilievo sullo svolgimento ovvero sull’esito della gara. Discussa, in tema di allontanamento, è anche la definizione di «offerenti». I requisiti che debbono possedere i soggetti cui possono essere affidati contratti pubblici sono disciplinati dagli artt. 34 e 35 d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (cd. codice dei contratti pubblici); tuttavia, agli effetti dell’individuazione e delimitazione dell’evento consistente nell’allontanamento degli offerenti, si è ritenuto che potessero qualificarsi come tali anche coloro che non possiedono i requisiti per partecipare alla gara (Levi, N., I delitti contro la pubblica amministrazione, in Trattato di diritto penale, coordinato da E. Florian, IV ed., Milano, 1935, 478); coloro che abbiano la semplice possibilità di presentare un’offerta, in presenza dei requisiti (Musacchio, V., La qualificazione pubblicistico penalistica del delitto di turbata libertà degli incanti, cit., 535 ss.); coloro che abbiano la possibilità e l’intenzione di partecipare (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, pt. spec., XIII ed., Milano, 1998, 382); coloro che si accingano a partecipare (Ruggiero, G., Incanti (turbativa ed astensione), cit., 906); coloro che vi abbiano realmente partecipato (Pagliaro, A., Principi di diritto penale, cit., 452).

«Pubblici incanti» e «licitazioni private»

La condotta di cui sopra assume rilievo quando interviene nell’ambito dei «pubblici incanti» o delle «licitazioni private». La definizione di «pubblici incanti» e quella di «licitazioni private» erano ancorate alla disciplina della contabilità di Stato, di cui al r.d. 18.11.1923, n. 2440. I requisiti caratterizzanti la procedura dell’asta pubblica (che poteva constare alternativamente di tre diverse metodologie, delineate dall’art. 63 ss. del regolamento di contabilità generale) potevano essere ricondotti ai seguenti: una preventiva rigida determinazione delle regole nel bando di gara, un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti, una pubblicità della procedura e un carattere contestuale dello svolgimento con presentazione delle domande e successiva immediata aggiudicazione. La licitazione privata, nella sua originaria impostazione, era invece ritenuta caratterizzata per il numero limitato di partecipanti convocati con apposite lettere di invito in cui erano indicate le condizioni di partecipazione e le modalità di espletamento della gara e per l’assoluta segretezza delle offerte. Nella prassi applicativa della fattispecie incriminatrice, ove esplicito era ed è il riferimento alle sole ipotesi dei pubblici incanti e delle licitazioni private, si è posto naturalmente il problema di stabilire se i margini della sfera penalmente rilevante dovessero essere ricondotti in termini tassativi all’interno delle procedure dalle caratteristiche anzidette ovvero se dovesse farsi ricorso a una interpretazione più elastica e ampia delle ipotesi di «gara». Ancor prima degli interventi normativi che hanno radicalmente modificato a livello comunitario e sul piano nazionale l’intero sistema delle gare pubbliche, l’ambito di applicazione dell’art. 353 c.p. veniva considerato riferibile alle ipotesi di «appalto-concorso» (istituto affine alla licitazione privata), modello «adottato per contratti di lavoro o forniture speciali, nel quale alcune ditte giudicate idonee sono invitate a presentare in forma scritta progetti esecutivi tra cui l’amministrazione effettua la scelta» (Cerqua, L.D., Forniture di beni e servizi, inadempimento di contratti, frode, turbativa di pubblica gara, artt. 353 – 356 c.p.: problemi di responsabilità penale nell’ambito delle Unità Sanitarie Locali, in Giur. mer., 1994, 577). Del pari, la disposizione incriminatrice in questione era ritenuta applicabile anche avuto riguardo alle cosiddette «gare di consultazione», consistenti in procedure amministrative «informali» o di «consultazione», nelle quali la pubblica amministrazione fa dipendere l’aggiudicazione di opere, forniture o servizi dall’esito dei contatti avuti con persone fisiche o rappresentanti di persone giuridiche che propongono le proprie condizioni. Tale fattispecie, pur apparendo in verità esulare dalle concezioni di «trattativa privata» e di «licitazione privata», è stata comunque considerata suscettibile di rientrare nel disposto dell’art. 353 c.p., poiché «quando la pubblica amministrazione, pur non essendovi tenuta, proceda alla consultazione informale di ditte private tra loro in concorrenza, decidendo così di porre un limite alla propria attività legislativamente non previsto, essa deve poi rispettare comunque tale limite, con la conseguenza che ai fini penali la turbativa di una gara in tal modo informalmente disposta si pone sullo stesso piano di quella che si svolga con l’osservanza delle norme di legge, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma penale (rispetto alle regole della libera concorrenza sia nell’interesse dei partecipanti, nei quali si è creato l’affidamento di regolarità del procedimento, sia nell’interesse dell’amministrazione) risulta comunque leso» (cfr. Cass. pen., sez. VI, 3.11.1997, n. 11483, Craparo, in CED Cass.,n. 209474). Analogamente, e per le medesime ragioni si è ritenuto che il delitto di cui all’art. 353 c.p. possa configurarsi anche in qualunque ipotesi di «gara ufficiosa» connessa a una trattativa privata, quando per scelta dell’amministrazione o per disciplina normativa la gara sia procedimentalizzata, risultando il suo espletamento sottoposto a regole predeterminate cui i privati debbano sottostare e cui l’amministrazione debba adeguarsi (cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. Vi, 28.4.1999, n. 9387, Merio, in Guida dir., 1999, fasc. 36, 83, con nota di Forlenza, O., Chi altera la regolarità di una gara pubblica può essere accusato anche di truffa). In definitiva, la concezione di pubblici incanti o di licitazioni private accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza più risalenti attribuisce rilievo al dato sostanziale, anziché a quello formale, della presenza di una «gara» caratterizzata dalla fissazione di criteri predeterminati per l’individuazione del vincitore. La disciplina di contratti e appalti pubblici, tuttavia, ha subito radicali e decisive modificazioni anche in adempimento di obblighi di origine comunitaria che attestano la centralità riconosciuta alla libertà di concorrere anche a livello internazionale. Il d.lgs. n. 163/2006, meglio noto come codice dei contratti pubblici, in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, importando una completa trasformazione della disciplina amministrativa che costituisce il sostrato applicativo della fattispecie di cui all’art. 353 c.p., ha introdotto nuove definizioni delle procedure negoziali di cui può avvalersi la pubblica amministrazione, individuando procedure aperte, procedure ristrette, dialogo competitivo e procedure negoziate. Senza addentrarsi in questa sede nel complesso assetto della disciplina amministrativa richiamata, va comunque sottolineato che scopo precipuo della normativa citata è quello di incrementare i casi nei quali «alla P.A. viene precluso di affidare le proprie commesse in via diretta, senza avvalersi di sistemi di selezione delle offerte», cioè in assenza di regole predefinite poste a garanzia della libera competizione tra le parti e della conseguente corretta aggiudicazione dei contratti (Madia, N., Note sugli aspetti caratteristici del delitto di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente di cui al nuovo art. 353 bis c.p., in Studi in onore di Franco Coppi, I, Torino, 2011, 499).

L’elemento soggettivo

L’elemento soggettivo del delitto di turbata libertà degli incanti è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanarne gli offerenti, nelle modalità descritte dalla norma (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 326). L’uso della violenza o della minaccia, l’offerta di doni o la relativa promessa, le collusioni o le altre forme di anomalie ricadenti nella definizione di mezzi fraudolenti debbono pertanto essere oggetto di dolo, riflettendosi sul risultato concreto di impedimento o turbativa della gara o allontanamento degli offerenti. Occorre, quindi, ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico che il soggetto attivo si sia rappresentato e abbia voluto anche l’evento derivante dalla propria condotta. E proprio alla luce della pregnanza dei comportamenti rilevanti collegati strettamente con l’evento finale, sembra potersi escludere la configurabilità del dolo eventuale (Di Giovine, O., Turbata libertà degli incanti e astensione dagli incanti,cit., 839).

L’ipotesi disciplinata dall’art. 353, ult. co., c.p.

L’ultimo comma della disposizione incriminatrice stabilisce che debbano applicarsi le pene ivi stabilite, ridotte alla metà, quando i fatti indicati dal co. 1 avvengano nell’ambito di licitazioni private per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale ovvero da persona legalmente autorizzata. La relazione ministeriale al codice penale osservava come la gara acquisti, in tali ipotesi, carattere di pubblicità in virtù della presenza del pubblico ufficiale o di altra persona legalmente autorizzata, così da determinare l’insorgenza di un interesse statuale alla legalità e regolarità del procedimento. Affinché la disciplina fissata dal disposto dall’art. 353, ult. co., c.p. possa venire concretamente in rilievo è necessario che ci si trovi in presenza di una gara «disposta liberamente»; laddove si trattasse di licitazioni obbligatorie, ricorrerebbe la fattispecie prevista dal co. 1. Secondo parte della dottrina la norma di cui all’art. 353 c.p. configurerebbe due ipotesi di reato, quella di cui al co. 1 (turbativa per gare indette nell’interesse della p.a.), e quella di cui al co. 3, concernente licitazioni per conto di privati (cfr. Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 326).

Il tentativo

Il reato si consuma nel momento in cui si verifica l’impedimento o il turbamento della gara o l’allontanamento anche di un solo offerente: è necessaria, dunque, un’alterazione degli interessi connessi alla gara. In conclusione, potrà ritenersi generalmente configurabile il tentativo, che potrà essere ravvisato quando la violenza o la minaccia risultino poste in essere, ma non siano state ‘raccolte’, non realizzandosi gli eventi indicati dalla norma; quando le offerte o promesse di doni non siano state accettate; quando le collusioni siano rimaste a uno stadio preliminare, non incidendo sul regolare svolgimento della gara. In linea con quanto sopra riportato, si è ritenuto che la turbativa d’asta ‘virtuale’ (fuori o in assenza dello svolgimento di una gara) non sia riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 353 c.p., neanche come ipotesi tentata, precisandosi che tale condotta potrà tutt’al più integrare, ricorrendone i presupposti, la nuova fattispecie di cui all’art. 353 bis c.p.; con ciò si ribadisce che la turbativa di cui all’art. 353 c.p. deve sempre e comunque riguardare e presupporre una gara che, ove non espletata, ne esclude la ipotizzabilità (Cass. pen. n. 43800/2012, cit.; contra, Madia, N., op. loc. ultt. cit.).

rapporti con la nuova fattispecie di cui all’art. 353 bis c.p.

Di particolare interesse risulta il raffronto tra la fattispecie di cui all’art. 353 c.p. e quella di cui all’art. 353 bis c.p. La delimitazione dell’ambito applicativo dell’una o dell’altra appare, infatti, significativa sul terreno pratico. Poiché, come si è già accennato, la fattispecie di turbata libertà degli incanti presuppone che vi sia una gara procedimentalizzata, essa non può venire in rilievo prima che la procedura abbia avuto inizio. È dunque necessario, affinché la violenza, la minaccia, i doni o le promesse di doni, le collusioni o altri mezzi fraudolenti integrino il delitto di cui all’art. 353 c.p., che la procedura di gara abbia avuto inizio, risultando quantomeno necessaria l’avvenuta e compiuta predisposizione di regole da parte della pubblica amministrazione. Più specificamente, la migliore giurisprudenza di legittimità, interpretando l’art. 353 c.p. alla luce del principio di tassatività della legge penale, ha ritenuto che «la gara costituisce il necessario presupposto del reato» e, pertanto, ha affermato che il reato di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 c.p. non è configurabile «prima che la procedura di gara abbia avuto inizio, ossia prima che il relativo bando sia stato pubblicato» (Cass. pen., sez. VI, 22.10.2013, n. 44896). Sino alla novella del 2010, che ha introdotto la fattispecie di cui all’art. 353 bis c.p. (art. 10 l. n. 136/2010), sfuggivano alla sfera del penalmente rilevante tutte le condotte, identiche a quelle delineate dall’art. 353 c.p., destinate a influire sulla fase precedente la gara, in cui tuttavia potevano verificarsi fatti egualmente significativi ai fini della determinazione dei contenuti del bando e di altri atti equipollenti suscettibili di incidere sulla scelta dei contraenti da parte della pubblica amministrazione. Sul punto, è stato affermato che «il legislatore, per contrastare il deprecabile fenomeno della turbativa d’asta che nelle sue multiformi manifestazioni può investire anche il procedimento formativo del bando di gara, condizionandone il contenuto in modo tale che un determinato soggetto possa essere fuorviato nell’aggiudicazione ancor prima dell’apertura della gara, mettendo in pericolo, da un lato, il buon andamento della pubblica amministrazione e dall’altro la libera concorrenza dei partecipanti alla gara, ha introdotto la nuova figura di reato descritta dall’art. 353 bis c.p., che affiancando l’art. 353, reprime le condotte di turbativa poste in essere antecedentemente alla pubblicazione del bando, che finora sfuggivano alla sanzione penale» (Cass. pen., sez. V., 7.11.2013, n. 44896). È evidente che la fattispecie di cui all’art. 353 bis c.p. è costruita come un reato di pericolo (atti diretti a turbare il procedimento amministrativo di formazione del bando), a dolo specifico (finalità di condizionare la scelta del contraente); quindi, la consumazione è indipendente dalla realizzazione del fine medesimo e viene anticipata alla fase di pubblici incanti anteriore alla pubblicazione del bando.

Fonti normative

Artt. 353, 353 bis c.p.; r.d. 18.11.1923, n. 2440; direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE; d.lgs. 12.4.2006, n. 163, e succ. modificazioni; art. 10 l. 13.08.2010, n. 136.

Bibliografia essenziale

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