BRAHE, Tyge

Enciclopedia Italiana (1930)

BRAHE, Tyge (comunemente noto nella forma latina da lui adottata Tycho Brahe, in italiano Ticone)

Francesco Porro de Somenzi

Patrizio danese, nato il 14 dicembre 1546 nella proprietà paterna di Knudstrup (Scania, allora appartenente alla Danimarca). Fu allevato presso uno zio paterno, Jörgen, a Tostrup. Destinato agli studî legali, mostrò in età ancor giovane la sua propensione per l'astronomia, ammirandone come cosa divina le sicure previsioni di eclissi e di altri fenomeni celesti. Alla sua tendenza si opponeva energicamente la famiglia, che, dopo tre anni di studio nell'università di Copenaghen, lo mandò a Lipsia, affidandolo a un giovane precettore, Anders Sörensen Vedel, studente di storia e di teologia di soli quattro anni maggiore d'età. Il Vedel contrastò con tanta ostinazione l'inclinazione del pupillo, che questi si vide obbligato ad approfittare delle ore nelle quali il precettore riposava per dedicarsi ai prediletti studî. La cultura astronomica di Tycho, formata sopra l'Almagesto nella traduzione latina di Giorgio da Trebisonda, si estese e si rafforzò negli anni tra il 1562 e il 1565, durante i quali le prime sue osservazioni, eseguite con mezzi rudimentali, bastarono tuttavia a dimostrargli l'imperfezione così delle tavole alfonsine, fondate su Tolomeo, come di quelle pruteniche, calcolate da Reinhold in base alla teoria copernicana. Egli comprese la necessità di una lunga serie di osservazioni di alta precisione per decidere quale sistema rispondesse meglio alle apparenze dei moti planetarî, e dedicò la sua straordinaria abilità tecnica alla costruzione di strumenti di gran lunga preferibili per dimensioni e per accurata lavorazione a quelli in uso sino al suo tempo. I suoi contatti personali con cultori di astronomia, di matematiche e di astrologia si fecero sempre più frequenti e più stretti: a Wittenberg, a Rostock, a Basilea, ad Augusta egli proseguì le osservazioni, avvicinò i dotti, discusse con essi e si acquistò fama tale da indurre i suoi orgogliosi parenti a perdonargli l'occupazione ritenuta disdicevole alla nobiltà del suo casato. Richiamato in patria dalla morte del padre, avvenuta nel dicembre 1570, Tycho rimase presso uno zio materno, Steen Bille, che già aveva mostrato di apprezzare i suoi studî, e che lo applicò a ricerche di chimica. Ma la comparsa della famosa stella nuova in Cassiopea determinò, due anni più tardi, il ritorno definitivo del giovane patrizio all'astronomia. Dell'astro inatteso, scoperto da lui la sera dell'11 novembre 1572, determinò con un adatto strumento la posizione in cielo, correggendo con ingegnosi espedienti gli errori strumentali, e dimostrando non trattarsi di una cometa, come altri aveva creduto, bensì di una stella, simile a quella che, secondo Plinio, era stata osservata da Ipparco nel secondo secolo avanti l'era volgare. Le sue indagini sopra la Nova furono da lui raccolte in un libro intitolato De Nova Stella (Copenaghen 1573), oggi estremamente raro, e riprodotte per la maggior parte nell'opera postuma Astronomiae Instauratae Progymnasmata.

Le discussioni sorte in proposito diedero a Tycho il modo di dimostrare quanto più sicuri fossero i mezzi strumentali da lui adoperati di quelli in uso presso gli astronomi tedeschi, e come le discordi opinioni di questi intorno alla parallasse dell'astro apparissero dovute ad errori delle loro osservazioni, insufficienti a rivelare che la Nova apparteneva realmente all'ottava sfera.

Tra il 1572 e il 1575 Tycho rimase in Danimarca, dove si legò a una donna di umile condizione, chiamata Cristina, considerata poi come sua legittima moglie, benché di un vero matrimonio non si abbiano notizie. Dopo un breve corso di lezioni, tenute all'università di Copenaghen per espresso desiderio del re Federico, egli intraprese un nuovo viaggio in Germania, visitando anzitutto il langravio d'Assia, Guglielmo IV, appassionato astronomo e mecenate della scienza. Passò poi a Francoforte, a Basilea, a Venezia (1575), riannodando vecchie amicizie e stringendone di nuove, comperando libri, globi, strumenti: infine, per Augusta e Ratisbona, ritornò in patria, deciso a rimanervi per breve tempo, e a stabilirsi in seguito a Basilea. Ma il suo disegno non si attuò: avvertito da un messaggio del langravio di Assia, il re Federico II si decise ad offrirgli i mezzi per attendere agli studî astronomici nel suo paese, con grande onore per questo e per il sovrano, e con grande vantaggio per la scienza. Vincendo le resistenze di Tycho, il re riuscì a fargli accettare in dono l'isoletta di Hveen (Ven) nel Sund, tra Elsinora (Helsingør) e Landskrona, con una dotazione annua di "cinquecento buoni vecchi talleri d'oro", sino a contraria disposizione.

L'atto memorabile di regale munificenza firmato a Frederiksborg il 23 maggio 1576 segna l'origine dell'opera colossale compiuta da Tycho Brahe nei due osservatorî costruiti nell'isola, e da lui denominati Vraniburgum (Uraniborg) e Stellaeburgum (Stjerneborg). Ivi, largamente assistito da continue largizioni dell'augusto mecenate, l'insigne astronomo passò i venti anni più attivi della sua vita, in piena tranquillità di spirito, assistito da numerosi allievi, tra i quali Flemløs, Wittich, Olsen, e, più rinomato di ogni altro, Christen Sørensen Longberg, meglio conosciuto sotto il nome latino di Longomontanus. La vita solitaria favoriva un'antica tendenza di Tycho, quella di comporre versi latini, non privi di eleganza, e quasi sempre ispirati all'amicizia e a sentimenti umanitarî, espressione del cosmopolitismo che egli riteneva caratteristico della scienza dei cieli.

Nel 1588 morì Federico II, mentre Tycho era intento alla pubblicazione di un libro nel quale sono esposti alcuni suoi risultati astronomici, in modo particolare quelli relativi alle osservazioni della grande cometa del 1577, dalle quali egli deduce che l'astro non presenta parallasse diurna, ed è quindi esterno alla sfera della Luna: dimostrazione pratica di una verità quasi unanimamente negata sino a quel momento. La cometa gli offre l'occasione di svolgere ampiamente le sue idee in materia di astronomia teoretica e pratica, dalle quali è condotto ad adottare un sistema planetario misto, in parte eliocentrico (pianeti circolanti attorno al Sole), in parte geocentrico (Luna e Sole circolanti attorno alla Terra). Tale sistema era già stato accettato da Eraclide Pontico, il quale arrivava sino ad ammettere il movimento rotatorio della Terra, escluso da Tycho. Ma ben presto le leggi empiriche scoperte da Kepler dovevano decidere per sempre la controversia, e dare la vittoria definitiva all'eliocentrismo. Ciò rende meno doloroso per la scienza l'essere rimasta incompleta la grande pubblicazione dei Progymnasmata, nella quale Tycho intendeva raccogliere in un corpo unico di dottrina tutta l'astronomia rinnovata: compito invero nobilissimo e degno di un uomo che il suo discepolo Kepler chiamò "la fenice degli astronomi", ma eccessivo anche per lui, che non poteva riunire in sé tutte le attitudini diverse dei tre grandi suoi continuatori, Kepler, Galileo e Newton, ciascuno dei quali, come ben fu detto, comparve nel momento e nell'ordine più opportuni per il rispettivo contributo alla sistemazione della scienza.

Il secondo volume dei Progymnasmata è il libro al quale abbiamo accennato sulla cometa: il primo, uscito qualche anno più tardi riproduce e perfeziona le anteriori ricerche sulla stella del 1572, prendendo occasione dal singolare fenomeno per lunghe trattazioni di problemi astronomici e astrologici. Ma intanto le condizioni di Tycho andavano peggiorando per le invidie, le gelosie e le grettezze dei suoi connazionali, non più trattenuti dal pensiero dell'alta protezione sovrana, che, vivente Federico II, si era imposta a tutte le avversioni. Ciò non gl'impedì di continuare con assiduità le sue osservazioni, pubblicando cataloghi di stelle sulle posizioni da lui e da Longomontano determinate; ma infine la riduzione dei suoi assegni ordinata dal nuovo re e la scortesia del cancelliere lo indussero ad abbandonare la Danimarca, in cerca di una residenza nella quale il suo altissimo valore trovasse più adeguata considerazione. Nel 1597 egli partì per Rostock, donde si trasferì a Wandsbeck, presso Amburgo, dove pubblicò un magnifico volume illustrato con la descrizione dei suoi strumenti di Hveen. L'opera, intitolata Tychonis Brahe Astronomiae Instauratae Mechanica, è stata riprodotta in facsimile nel 1901, a cura di B. Hasselberg.

Gli ultimi anni della vita di Tycho trascorsero in Boemia, dove fu accolto e favorito largamente dall'imperatore Rodolfo II, che pose a sua disposizione il castello di Benatki. Le osservazioni da lui fatte in questa residenza, e da ultimo a Praga, non sono paragonabili per numero e per larghezza di programma a quelle di Hveen: lo assistettero parecchi giovani astronomi, tra i quali Kepler, il quale attese più particolarmente a prepararsi all'opera cui avrebbe dedicato la vita. Appunto al lavoro del suo insigne discepolo si riferiscono le ultime parole da lui, già aggravatissimo, pronunciate: prossimo alla morte, raccomandò a lui di finire al più presto le Tavole rudolfine, fondate sull'enorme massa delle sue osservazioni, esprimendo la speranza che da questo lavoro uscirebbe confermata la superiorità della sua ipotesi sulla copernicana. Il mattino successivo, 24 ottobre 1601, egli spirò serenamente.

Opere: Le Opera Omnia del B. furono pubblicate da J. L. E. Dreyer a cura della Danske Sprog- og Litteraturselskab (Copenaghen 1913 segg.). Furono pubblicate altresì lettere del B. (Uraniborg 1596) e poi altre a cura di F. R. Friis (Copenaghen 1876-86, 1900 segg.), A. Favaro (Bologna 1886) e F. Burckhardt (Basilea 1887).

Bibl.: L'opera più antica alla quale si possono attingere notizie biografiche e critiche intorno a Tycho è quella di Pietro Gassendi, Tychonis Brahei, equitis Dani, Astronomorum Coryphaei Vita, Parigi 1654. Molti accenni sulla persona e sulle opere di lui si trovano pure sparsi negli scritti di Kepler. Vedi anche F. R. Friis, T. B., Copenaghen 1871. Una bibliografia completa si trova in fine all'accurato studio biografico di J. L. E. Dreyer: Tycho Brahe. A picture of scientific life and work in the sixteenth century (Edimburgo 1890).

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