PESCI, Ugo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PESCI, Ugo

Costanza D'Elia

PESCI, Ugo. – Nacque a Firenze il 22 ottobre 1846 da Vittorio e Carlotta Bartoletti.

La famiglia, di estrazione piccolo-borghese, dopo la rivoluzione del 1848 si avvicinò agli ideali liberali. Il nonno, impiegato alla Biblioteca Magliabechiana, nel 1850 andò in pensione e si trasferì a Mercatale nel comune di S. Casciano.

Ugo compì i suoi studi nella Firenze granducale: frequentò una scuola privata in piazza Madonna, poi il ginnasio-liceo, che nel 1865 sarebbe stato intitolato a Dante Alighieri. Ospitato in un palazzo di proprietà della nobile famiglia Serristori in piazza S. Croce, l’istituto era frequentato in quegli anni da alcuni futuri protagonisti della vita politico-sociale della nuova Italia come Guglielmo Cambray Digny e Sidney Sonnino. Tuttavia, i migliori e più felici periodi dell’infanzia e dell’adolescenza Pesci li trascorse, durante le vacanze scolastiche, nel villaggio della Val Pesa dove il nonno si era trasferito.

Di quella stagione, della città e della sua prima giovinezza lasciò pagine misurate e di gusto in Un decennio di prefazione (1855-1865), una sorta di introduzione ai capitoli del suo Firenze capitale (1865-1870). Dagli appunti di un ex cronista (Firenze 1904, pp. 5-57). Gli anni scolastici, le visite familiari dalla nonna in via S. Sebastiano (poi intitolata a Gino Capponi) o a casa del maggiore garibaldino Stefano Siccoli, il Lachera venditore di ciambelle, Miciolle «ciabattino sul canto fra via de’ Pucci e via de’ Servi» (ibid., p. 21), le feste e le ricorrenze pubbliche alla presenza della famiglia granducale, il carnevale, i pomeriggi al Parterre, «fuori di porta a San Gallo, ritrovo favoloso di noi ragazzi per il giuoco della sbarra» (ibid., pp. 21-22), le partite di calcio nella ghiacciaia fuori della porta a Pinti, poi abbattuta, il racconto velatamente umoristico della venuta a Firenze di Pio IX nell’agosto 1857, durante la quale fu scelto per recitare davanti al papa nella sacrestia di S. Croce un componimento del canonico Girolamo Carloni, direttore del ginnasio-liceo cittadino, costituivano alcuni dei tasselli di una rammemorazione affettuosa e nostalgica del tempo passato. Il tema dominante era quindi il ricordo della tradizione, della vita, delle grandi occasioni, delle cose viste: non a caso dominava il ‘mi ricordo’ in tante descrizioni e testimonianze di avvenimenti storici, di fatti e di spettacoli pubblici fiorentini. Benedetto Croce, nel capitolo Storie aneddotiche e nuovi romanzi, edito nell’ultimo volume della Letteratura della nuova Italia (VI, Bari 1974, p. 32), citando i suoi libri su Firenze e Roma, lo accumunò a storici e giornalisti aneddotici, autori di libri di larghissima diffusione, come Raffaele Barbiera, artefice del best seller più volte riedito Il salotto della contessa Maffei e la società milanese (Milano 1895), Raffaele de Cesare, autore di poderosi libri sull’ultima Napoli borbonica come La fine di un Regno (Città di Castello 1895) e Roma e lo Stato del papa (Roma 1907), o ai suoi corregionali toscani Ferdinando Martini, Guido Biagi e Leopoldo Barboni, quest’ultimo molto vicino a Giosue Carducci.

Dopo la giornata del 27 aprile 1859, che sancì la pacifica fine della dominazione degli Asburgo-Lorena sul Granducato di Toscana e la partenza di Leopoldo II per l’esilio lungo la via Bolognese con «parecchie carrozze» (Firenze capitale, cit., p. 36), Firenze divenne italiana e il giovane Pesci si entusiasmò per gli ideali patriottici: «in me, come in tutti i ragazzi di quel tempo, quell’embrione di sentimento di nazionalità germogliò lentamente, con l’età e con gli studi fatti alle scuole pubbliche» (ibid., p. 7). L’annessione del Granducato al Regno di Sardegna, capeggiata con autorevolezza dal barone Bettino Ricasoli, lo sollecitò a entrare nella vita militare e per questo motivo volle studiare all’Accademia militare di Modena. Vi si diplomò nel 1865 uscendone con il grado di sottotenente. L’anno successivo partecipò alla battaglia di Custoza come ufficiale dei granatieri, vista la sua imponente struttura fisica, sotto il comando del generale Carlo Mezzacapo, al quale in seguito dedicò un’ampia monografia basata su nuova documentazione (Il generale Carlo Mezzacapo e il suo tempo. Da appunti autobiografici e da lettere e documenti inediti, Bologna 1908).

Di quell’esperienza militare lasciò testimonianza nel piccolo libro Custoza. Ricordi di un ex granatiere (Firenze 1879), uno dei suoi primissimi lavori memorialistici.

Abbandonata la vita militare iniziò, come Edmondo De Amicis, un’importante carriera giornalistica sulla scia dei maestri della carta stampata toscana Ferdinando Martini e Yorick, al secolo Pietro Coccoluto Ferrigni, entrambi autori di fortunati libri di ricordi e memorie. Lavorò nella redazione fiorentina del Fanfulla diretto da Bino Avanzini e quando il giornale, così come tanti periodici italiani, dopo Porta Pia si trasferì a Roma, lo seguì nella capitale. Qui Pesci strinse importanti rapporti con il re Vittorio Emanuele II e la sua corte, con deputati e personalità dell’alta società borghese e perfino con esponenti dell’ambiente vaticano.

Nel settembre 1870 per il Fanfulla fu inviato speciale al seguito dell’esercito italiano a Roma: fu «uno dei pochi giornalisti presenti alla storica breccia» (G. Spadolini, Autunno del Risorgimento, Firenze 1974, p. 227). Un altro dei grandi reporter trovatosi sul terreno delle operazioni in prossimità dell’artiglieria italiana, fu De Amicis, con il quale Pesci in quei giorni visitò il Foro, il Colosseo e i grandi monumenti della romanità, e discusse degli avvenimenti in corso in un gran caffè di piazza Colonna intitolato per l’occasione al conte di Cavour. Negli anni Settanta collaborò occasionalmente con il compositore Francesco Paolo Tosti, conosciuto nella redazione del Fanfulla, cimentandosi per lui nella stesura dei versi di una serie di romanze da salotto pubblicate a Milano da Ricordi: nel 1875 Signorina! Letterina amorosa, nel 1877 Chi tardi arriva, male alloggia! e Ride bene chi ride l’ultimo, entrambe versioni musicali di due noti proverbi.

«Privi di grandi pretese artistiche, i versi di Ugo Pesci – ha scritto un autorevole musicologo – formano un misto curioso di radi termini aulici in un contesto colloquiale, in cui ricorrono smitizzati, alcuni atteggiamenti sentimentali resi canonici dall’antica tradizione della lirica amorosa italiana» (Sanvitale, 1996, p. 79).

Lavorò al Fanfulla finché fu diretto da Avanzini; quando quest’ultimo fu travolto dallo scandalo della Banca Romana, Pesci si dimise e passò a scrivere per il Corriere della Sera. A Milano sposò Luisa Formis Befani, figlia del pittore napoletano Achille: dal matrimonio nacque l’amatissima Vittoria.

Trasferitosi con la famiglia a Bologna, collaborò con la Gazzetta dell’Emilia, di cui fu direttore dal 1888 al 1901; lavorò anche per Il Caffè. Gazzetta nazionale, La Perseveranza, Il Giornale d’Italia, Il Secolo XX, L’Illustrazione italiana, La Nuova Antologia, Il Resto del Carlino, la Rassegna nazionale, di cui curò la rubrica Rassegna politica.

All’epica e straordinaria esperienza romana del 1870 Pesci dedicò due libri di taglio memorialistico, pubblicati verso la fine della sua carriera: Come siamo entrati a Roma. Ricordi (con prefazione di G. Carducci), apparso a Milano per gli editori Treves nel 1895, e I primi anni di Roma capitale (1870-1878), pubblicato a Firenze da Bemporad nel 1907.

Le memorie, dense di aneddoti, immagini e cose viste, offrivano al lettore un paesaggio topografico e umano della città con equilibrato gusto narrativo, colmo di sapide osservazioni umoristiche e di felici scelte linguistiche. La sua visita a piazza S. Pietro, occupata dal bivacco di un esercito sconfitto, raccontava con grande forza evocativa la disfatta del potere temporale della Chiesa. Zuavi e dragoni appiedati, tra avanzi di legna bruciata, consumavano mestamente il primo rancio «dispersi nel vastissimo spazio» in una piazza assediata e lasciata deserta dai cittadini: «Giunto in piazza Rusticucci mi si presentò allo sguardo tutta la maestà della Basilica Vaticana e del palazzo pontificio: ma da quella prima impressione mi distrasse un altro spettacolo, davvero non altrettanto maestoso, ma curioso e strano. Tutt’intorno al porticato del Bernini e lungo la gradinata di San Pietro erano schierati fra i 5000 ed i 6000 uomini di varie truppe, che vi avevano bivaccato durante la notte: una batteria da campagna, con gli avantreni staccati ed i pezzi rivolti contro la città, stava davanti all’obelisco; il reggimento zuavi davanti al portico a sinistra di chi guarda la facciata, al di là della fontana» (Memorialisti dell’Ottocento, II, a cura di C. Cappuccio, Milano-Napoli 1963, p. 476).

Carducci, al quale fu profondamente legato, nel presentare il primo dei due volumi acutamente colse l’essenza del suo scrivere: «Uno spettatore testimone fedele, tutt’altro che indifferente, ma osservatore arguto, nota e racconta ciò che vide e sentì, ciò che si disse, si pensò e si fece, non pur di giorno in giorno, ma d’ora in ora, di luogo in luogo, mentre l’avvenimento si svolgeva nella sua solenne pienezza» (Opere, X, Studi, saggi e discorsi, Bologna 1898, p. 375). Inoltre lodò le doti cronachistiche e narrative di un giornalista che non pretese mai la qualifica di storico: «Il suo libro non è anche la storia; ma di quei piccoli fatti, di quei sentimenti, di quelle impressioni e osservazioni individuali, di quelle passioni popolari fuggenti, la storia non può raccontarle tutte, ha pur bisogno per rifare e rappresentare il momento psicologico del grande fatto […]. Chi prenderà a leggerlo non lo deporrà svogliato, tanta è nella semplicità e famigliarità cada e non affettata l’attrattiva della narrazione» (ibid., p. 378).

Gli ottimi rapporti con Carducci si stabilirono fin dall’inizio della sua esperienza bolognese come direttore della Gazzetta dell’Emilia. Al maestro dedicò vari articoli, tra cui Giosue Carducci a Madesimo (Il Giornale d’Italia, 29 luglio 1902), Il Carducci intimo (Il Secolo XX, 6 novembre 1902) e una conferenza tenuta a Bologna, Giosue Carducci e l’esercito. Commemorazione fatta al Circolo degli ufficiali di Bologna il 18 marzo 1907 (Bologna 1907). Pesci fu quindi parte attiva del cenacolo carducciano e frequentatore assiduo della libreria Zanichelli. Carducci inviò a lui, in quanto responsabile della Gazzetta dell’Emilia, una lettera aperta dopo la sonora fischiata dell’11 marzo 1891, ricevuta all’Università dagli studenti repubblicani, socialisti e anarchici (Al Direttore della Gazzetta dell’Emilia, 18 marzo 1891, in G. Carducci, Prose, Torino 2006, pp. 522-524). Anche i loro rapporti epistolari, iniziati nel 1889 e documentati fino al 1902, furono continuativi e cordiali.

Sul piano politico, Pesci restò sempre fedele agli ideali monarchici costituzionali (tradotti in opuscoli e in libri su Vittorio Emanuele II e Umberto I, efficacemente definito «il re martire»), sul piano affettivo alla Firenze degli anni Quaranta e Cinquanta e ai ricordi giovanili della vita militare.

Dopo un periodo di lunga malattia, in cui aveva abbandonato la vita pubblica e giornalistica, morì nella sua casa di Bologna il 13 dicembre 1908.

In una pagina della biografia consacrata al generale Mezzacapo apparsa proprio nell’anno della sua scomparsa, così motivava le ragioni intrinseche e metodologiche del suo lavoro: «Non è ufficio del biografo né il panegirico né la critica. Deve egli soltanto avviare e guidare il lettore nell’esame e nello studio dei dati di fatto, delle azioni e delle opere di colui del quale gli è parso utile anzi doveroso lo scrivere: deve esporre senza ombra di enfasi laudatoria quanto può aiutare a comprendere in tutta la sua interezza la figura di chi gli è sembrato degnissimo argomento di ricerche e di studi» (Il generale Carlo Mezzacapo, cit., p. 344).

Opere. Oltre ai testi citati si segnalano: Firenze. Santa Maria del Fiore e il centenario di Donatello. Maggio 1887, I-II, Milano 1887; (insieme a E. Ximenes), Verdi e l’Otello, numero unico speciale dell’Illustrazione italiana, Milano 1887; Vittorio Emanuele, il re liberatore, numero unico speciale dell’Illustrazione italiana, Milano 1896; Il re martire. La vita e il regno di Umberto I. Date, aneddoti, ricordi (1844-1900), Bologna 1901; Alla maestà della regina Margherita di Savoia nel cinquantesimo anniversario della sua nascita, Bologna 1901; Dopo le grandi manovre nel Veneto, in Nuova Antologia, s. 4, 1904, vol. 109, pp. 275-291; I bolognesi nelle guerre nazionali, Bologna 1906; L’associazione pro esercito ai coscritti, Milano 1907. Sua la traduzione del romanzo in due volumi di Fortuné du Boisgobey, Il porcellino d’oro (Porte-bonheur), Roma 1892. I suoi libri più significativi sono stati più volte ripubblicati e antologizzati. Tra le edizioni novecentesche si ricordano: Come siamo entrati a Roma, con prefazione di G. Carducci, una presentazione di A. Trombadori e in appendice Gli ultimi dieci giorni del governo papale di L. Palomba, Firenze 1956; Come siamo entrati a Roma, Milano 1970; I primi anni di Roma capitale (1870-1878), Roma 1971; Firenze capitale (1865-1870), Firenze 1988. Di quest’ultimo volume esiste anche una ristampa anastatica della prima edizione a opera di Le Monnier (Firenze 1969). Ampi brani di Firenze capitale e di I primi anni di Roma capitale sono stati pubblicati in Memorialisti dell’Ottocento, II, cit., pp. 401-571.

Fonti e Bibl.: Firenze, Opera di Santa Maria del Fiore, Registro battesimale n. 169, c. 283. Lettere di e a Ugo Pesci sono conservate in: Milano, Biblioteca d'arte - Biblioteca archeologica - Centro di alti studi sulle arti visive - CASVA, Carteggio Emilio Treves; Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Fondo Speciale; Carte Rattazzi; Bologna, Casa Carducci, Archivio Carducci. Necr., I funerali di U. P., in La Stampa, 16 dicembre 1908. Sui rapporti epistolari con Carducci: Edizione nazionale delle opere di G. Carducci, Lettere, a cura di M. Valgimigli, Bologna 1954, XVII, ad indicem; XVIII, Bologna 1955, ad indicem; XIX, Bologna  1956, ad indicem; XX, Bologna 1957, ad indicem; XXI, Bologna 1960, ad indicem. Un breve profilo biografico e la ricostruzione della sua attività giornalistica e letteraria si può leggere in Memorialisti dell’Ottocento, II, cit., pp. 393-399. Inoltre: G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze 1971, ad indicem; Toscani dell’Ottocento. Narratori e prosatori, a cura di E. Ghidetti, Firenze 1995, pp. 507-518; F. Sanvitale, Il canto di una vita. Francesco Paolo Tosti, Torino 1996, pp. 78 s.;  G. Gorgone, De bal en bal: mondanità nei primi anni della Roma italiana, in ‘Il costume è di rigore’. 8 febbraio 1875: un ballo a palazzo Caetani. Fotografie romane di un appuntamento mondano, a cura di G. Gorgone - C. Cannelli, Roma 2002, pp. 33 s., 37 s.; R. Meloncelli, Poesie e poeti della romanza da salotto, in La romanza italiana da salotto, a cura di F. Sanvitale, Torino 2002, pp. 85 s.; G. Seibt, Roma o morte. La lotta per la capitale d'Italia, Milano 2005, ad indicem; P.L. Vercesi, L'Italia in prima pagina. I giornalisti che hanno fatto la storia, Milano 2008, pp. 42-44, 46; L. Borsi, Nazione, democrazia, Stato. Zanichelli e Arangio-Ruiz, Milano 2009, p. 6, 189; S. Santucci, Materiali autografi per le «Letture del Risorgimento italiano» (1749-1870) a Casa Carducci, in Carducci filogolo e la filologia su Carducci, a cura di M. Colombo, Modena 2009, pp. 124 s.;  M. Yousefzadeh, City and Nation in the Italian Unification. The National Festivals of Dante Alighieri, London 2011, pp. 25 s., 172 s.; M.M. Cappellini - A. Cecconi - P.F. Iacuzzi, La rosa dei Barbèra. Editori a Firenze dal Risorgimento ai codici di Leonardo, a cura di C.I. Salviati, Firenze 2012, pp. 16 s., 81; A. Campana, Opera and Modern Spectatorship in Late Nineteenth-Century Italy, Cambridge 2015, pp. 109 s., 200.

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