UGO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

UGO

Edoardo Manarini

– Nacque intorno alla metà del X secolo da Uberto (nato al più tardi nel 922, figlio di Ugo di Provenza re d’Italia e di una Wandelmoda non altrimenti nota) e da Willa, figlia di Bonifacio degli Ucpoldingi.

Le due parentele di origine, i Bosonidi e gli Ucpoldingi, facevano parte delle aristocrazie franche più eminenti. Il gruppo parentale materno era giunto in Italia alla metà del IX secolo con Hucpold; suo nipote Bonifacio giunse al rango marchionale durante il regno di Rodolfo II di Borgogna (re d’Italia dal 924 al 926), di cui sposò la sorella Waldrada. La vicenda dei Bosonidi in Italia cominciò con Ugo di Provenza, successore sul trono italico di Rodolfo II; Bonifacio fu tra i pochi marchiones a sopravvivere al suo regno.

Il matrimonio tra Uberto (che nel 942 era rimasto il solo aristocratico a fregiarsi del titolo marchionale, unendo le cariche di duca di Spoleto, conte di palazzo e marchese di Toscana) e Willa fu celebrato per consolidare l’alleanza nata attorno alla metà degli anni Quaranta – in occasione di una congiura – tra i grandi aristocratici sopravvissuti alle politiche di re Ugo (tra i quali Bonifacio e gli Ucpoldingi) e i nuovi potenti favoriti dal re medesimo; il cambio di schieramento di Uberto dovette rivelarsi fondamentale. L’unione ebbe anche una valenza simbolica nella legittimazione a ricoprire la carica di marchese di Tuscia, dato che Willa e Bonifacio vantavano il solo collegamento parentale rimasto con il gruppo adalbertingio, che aveva tenuto l’incarico per quattro generazioni; la tradizione – e forse il sangue – degli Adalbertingi ritornava così al vertice della marca grazie a Willa. Ancora fino a tutto l’XI secolo, con i Canossa, richiamarsi a quell’eredità, alla medesima prosapia marchionale, sarebbe stato un passaggio simbolico fondamentale per i pretendenti alla carica di marchio Tusciae.

Nulla di attendibile si sa della giovinezza di Ugo. Pier Damiani racconta che egli visse quinquaginta annos (Die Briefe, a cura di K. Reindel, II, 1988, n. 68, p. 296), quindi la sua nascita si può collocare, come detto, intorno alla metà del X secolo.

Pier Damiani narra che al ritorno dall’esilio – di cui è la sola nostra fonte – il padre Uberto fu sorpreso di trovare la moglie Willa con un fanciullo, dato che al momento della separazione non la sapeva incinta. Dubitando della fedeltà della moglie, egli volle mettere alla prova il ragazzo attraverso una sorta di ordalia: radunate in una sala molte persone, fu chiesto al giovane Ugo di indicare tra queste chi fosse il padre, mai visto prima. Grazie all’innata familiarità che il fanciullo provava per il genitore, egli riconobbe il padre Uberto con decisione, scagionando così la madre dal sospetto di adulterio. L’episodio miracoloso fa parte della lettera che Pier Damiani inviò al marchese di Toscana Goffredo il Barbuto all’incirca nel 1060: sollecito verso le istanze di riforma delle istituzioni religiose, Ugo era stato modello di virtù nel governo della marca. Il tenore encomiastico del testo è determinante e sconsiglia l’attribuzione di verità all’episodio.

La prima attestazione di Ugo in attività è problematica. Antonio Falce (1921) ha proposto di riconoscerlo nell’Ugo marchio Tusciae che nel maggio del 961 intervenne nell’ultimo diploma noto di re Berengario II, dato a Verona, a favore del monastero della Vangadizza (Badia Polesine). L’identificazione è basata sul fatto che il nostro Ugo marchese beneficiò il medesimo ente nel 993, nel 996 e nel 997. Nel 961 egli sarebbe stato però ancora minorenne; la sua presenza presso i re viene quindi spiegata con la condizione di nutritus oppure di ostaggio. Il contesto politico e due atti privati del 955 e del 972 suggeriscono invece l’esistenza di un diverso Ugo marchio Tusciae appartenente alla parentela dei Supponidi.

Costui sarebbe stato innalzato al rango marchionale da re Berengario II per sostituire Uberto tra il 960 e il 961. Nonostante ciò, quando Ottone conquistò il regno, Uberto subì il medesimo destino di Berengario II, del figlio Adalberto e del marchese Ugo dei Supponidi, e cioè terminò la sua carriera politica. Sembra far propendere definitivamente per questa seconda ipotesi la carta offersionis del 1009 che il conte Guglielmo emise per S. Michele di Passignano a favore delle anime di Ugo duos marchios (traducibile con «il secondo marchese») e del marchio Bonifacio, suo successore (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Maria di Vallombrosa, 1009 dicembre 18).

Ugo si affacciò sulla scena politica toscana sul finire degli anni Sessanta, dopo che il potere ottoniano aveva riorganizzato fortemente la fisionomia della marca che, dalle originarie forme principesche del potere adalbertingio, divenne una struttura politica intermedia fra il potere regio centrale e le realtà locali.

Ottone I si affidò ai suoi più stretti collaboratori e fedeli in Italia, come il conte di palazzo Oberto I degli Obertenghi e l’arcicancelliere e vescovo di Parma Uberto. Anche il ritorno di Adelaide costituì un notevole cambiamento: il dotario del suo primo matrimonio con Lotario II, che le assegnava una quota significativa del fisco marchionale, poté ora trovare nuova attuazione e legittimazione.

Durante tutto il regno di Ottone I non è possibile riconoscere alcun personaggio in grado di rivendicare l’incarico marchionale sulla Toscana, nemmeno Ugo, che pure nei documenti privati di quegli anni si fece chiamare marchio Tusciae. In quel periodo, la sola figura di stirpe marchionale che conservava qualche possibilità̀ di manovra ai vertici della Tuscia era invece sua madre Willa, excellentissima marchionissa, cugina dell’imperatrice Adelaide. Le relazioni personali che Willa riuscì a conservare con alcuni funzionari marchionali e giudici lucchesi anche dopo l’uscita di scena del marito (relazioni ben visibili dalle sottoscrizioni agli atti privati di Willa: Le carte del monastero..., I, a cura di L. Schiaparelli, 1990, nn. 1-5) dovettero consentire alla donna e al figlio Ugo, divenuto allora maggiorenne, la costruzione di una rete di consensi nella marca, che li ponesse in una luce diversa agli occhi degli Ottoni, fino a rendere possibile la piena successione a Uberto.

Per questo primo periodo, al principio degli anni Settanta, le attestazioni di Ugo sono quindi di basso profilo, evidenze che non restituiscono contorni chiari del suo potere istituzionale.

Si tratta di due documenti patrimoniali che indicano lo sforzo economico da parte di Ugo per rientrare in possesso di porzioni del fisco marchionale (nel 969-975, in Falce, 1921, n. 1, pp. 169-171; nel 971, in Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Ospedale degli Innocenti, 970 marzo) e dell’attestazione di due funzionari con l’incarico di messi della pars marchionis, e specificamente a nome di Ugo di Uberto, che presenziarono a due permute del vescovo lucchese Adalongo e del giudice e messo imperiale Leone (Memorie e documenti..., a cura di D. Barsocchini, V, 3, 1841, nn. 1421, 1424).

Il rafforzamento del potere marchionale di Ugo si deve con ogni probabilità alla svolta nei rapporti tra la famiglia marchionale e la dinastia imperiale collocabile alla metà del decennio, quando nacque l’occasione per trattare una questione estranea al contesto toscano, eppure centrale negli equilibri politici in cui Willa e Ugo erano inseriti.

La sistemazione del regno italico da parte di Ottone I non poteva prescindere dall’affrontare l’ultimo considerevole successo politico di Uberto e Willa: il matrimonio della sorella di Ugo, Waldrada, con Pietro IV Candiano. Nel 976 il doge fu ucciso in una sommossa e il rivale Pietro Orseolo si appropriò della carica di dux Veneticorum. Egli si adoperò poi per neutralizzare le conseguenze patrimoniali del matrimonio del predecessore, vale a dire l’inserimento ucpoldingio nel contesto veneziano. La vicenda fu risolta attraverso un placito nell’ottobre del 976 a Piacenza, alla presenza di Adelaide, che era cugina seconda di Waldrada. L’assemblea riconobbe legittima la charta securitatis con la quale il doge Orseolo restituiva alla donna il morgengabe e la quarta parte del patrimonio del marito. Probabilmente, Orseolo ottenne questo accordo per normalizzare la situazione in città e per scongiurare l’intervento della parentela della donna. La presenza di Adelaide doveva consentire di superare l’alleanza tra la famiglia marchionale toscana e quella veneziana, concretizzatasi nel matrimonio. Regolata così l’egemonia extraregionale di Ugo e della sua parentela materna, i rapporti del marchese con la dinastia regia dovettero appianarsi, per poi maturare nella piena collaborazione degli anni Ottanta.

Dopo i fatti del 976, il potere di Ugo sulla marca sembra consolidarsi grazie al decisivo appoggio della dinastia ottoniana. Oltre a nuove attestazioni dell’attività dei messi che agivano in suo nome (nel 977 ad Arezzo: Documenti per la storia..., a cura di U. Pasqui, I, 1899, n. 76; nel 983 a Lucca: Memorie e documenti..., cit., n. 1625), la sola informazione che può collocare Ugo nel regno di Ottone II è offerta da un diploma concesso nel 994 da Ottone III a favore di Ugo stesso ob devotum ac frequens servitium nei confronti suoi e dei genitori (Ottonis II et III diplomata, a cura di T. Stickel, 1893 n. 147).

Dopo la morte di Ottone II (983), Ugo divenne il principale rappresentante della dinastia imperiale in Italia e nel 986 ricevette anche il governo del ducato di Spoleto e Camerino. L’azione più evidente del governo di Ugo nel nuovo ducato fu l’amministrazione della giustizia attraverso l’impiego di messi, come il vescovo aretino Elmemperto e il conte Guglielmo. Costoro agivano nel solo nome del marchese, diversamente dai funzionari marchionali che sottoscrivevano come missi imperatoris.

Ugo raggiunse l’apice del suo potere durante il regno di Ottone III: al tempo della reggenza di Teofano, come rappresentante del potere ottoniano in Italia, e dopo il 994, come stretto collaboratore dell’imperatore. Dopo il viaggio a Roma che Teofano fece nel 989 per ricomporre la rivolta del prefetto Crescenzio, Ugo seguì la corte imperiale forse già a Ravenna e poi per certo in Germania, dove partecipò alle celebrazioni della Pasqua del 991 a Quedlinburg «cum ceteris Europae primis» (Annales Quedlinburgenses, a cura di G.H. Pertz, 1839, p. 68). Ugo seguì poi la coppia imperiale a Nimega, dove in giugno l’imperatrice morì improvvisamente. La reggenza tornò così all’anziana Adelaide, che si affidò ancora una volta a Ugo per il controllo dell’Italia centrale. In questo contesto, nel 993 il marchese si poté occupare della crisi capuana, occorsa in seguito all’assassinio del principe Landenolfo.

Secondo Leone Ostiense (Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, 1980, II, 10), saputo dell’omicidio del parente, Transmondo, conte di Chieti, radunò un esercito, si diresse a Capua e la assediò per quindici giorni. In suo aiuto giunse Ugo missus ab imperatore. A lui, i cittadini di Capua consegnarono gli assassini che furono impiccati o multati. Secondo il Catalogus comitum Capuae (a cura di G. Waits, 1878, pp. 500 s.), Ugo e Transmondo giunsero insieme ad assediare Capua per qualche tempo per poi ritirarsi poco lontano. Ugo mandò quindi in città alcuni suoi messi perché vi fosse tenuto un placito che giudicasse dell’accaduto, ma quando gli assassini si presentarono in giudizio i messi li catturarono per portarli al suo cospetto. Egli li fece tutti impiccare lungo la strada verso il nord. Accenna alla vicenda anche il Chronicon Vulturnense (a cura di V. Federici, II, 1969, p. 325), riproponendo in parte la storia del Catalogus.

Probabilmente in questo periodo, Ugo portò la sua vicinanza al re (Königsnähe) al massimo grado unendosi con una donna di nome Giuditta, consanguinea del futuro imperatore Corrado II e forse figlia di Ottone I, duca di Carinzia (la consanguineità è affermata da Corrado in un diploma del 1026: Conradi II diplomata, a cura di H. Bresslau, 1909, n. 63). Tuttavia, il solo documento in cui Giuditta compare al fianco di Ugo è una donazione falsificata, o al più interpolata, del 993 per l’abbazia del S. Sepolcro in Acquapendente.

Della coppia è nota una figlia di nome Willa, che si fregiava del titolo di marchionissa. Visse nella prima metà dell’XI secolo: nel 1019 donò alla canonica di Pisa alcuni possessi nei pressi della città (Carte dell’archivio, I, a cura di E. Falaschi, 1971, n. 47); sposò un certo Arduino detto Ardicio e, nel 1025, fondò il monastero di S. Maria di Quiesa nel Lucchese (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, G 155).

Nel 994, Ugo fu ricompensato dei propri servigi con una porzione della corte regia di Ingelheim (Ottonis II et III diplomata, cit., n. 147). Ottone III giunse in Italia nel maggio del 996 per l’incoronazione a Roma. Dopo il mese di giugno, Ugo lasciò l’incarico di duca di Spoleto per divenire stretto collaboratore dell’imperatore e figura di raccordo tra la sua persona e il regno: ogni qualvolta Ottone III passava le Alpi, Ugo era al suo fianco, presenziava e interveniva alle concessioni imperiali sia a favore di personaggi o enti religiosi toscani (ibid., nn. 219, 223 s., 263, 410) sia per altre eminenti personalità o chiese del regno (ibid., nn. 199, 324, 388, 403). In questo periodo la sua autorità si spinse ben oltre il territorio toscano, imponendosi su tutto il regno italico. Lo dimostrano il suo intervento a favore della canonica vercellese (4 settembre 996, notizia di placito riedita in G. Vignodelli, Prima di Leone, 2017, pp. 74-77) e la custodia di papa Gregorio V da parte di Ottone dal giugno al settembre del 996: Ottonis II et III diplomata, cit., n. 228). Nell’ottobre del 999, Ugo era a Roma per incontrare l’imperatore, papa Silvestro II e altri optimates italici pro restituenda rei publica (ibid., n. 331). In questi anni, Ugo costituì una rete di monasteri volta a ridefinire la struttura della marca e il potere di chi ne deteneva la carica. Nel patrimonio fondiario delle abbazie di S. Ponziano e di S. Sesto di Lucca, di S. Maria di Firenze, di S. Gennaro di Capolona, di S. Michele di Marturi, di S. Antimo e del Monte Amiata Ugo fece confluire il proprio patrimonio allodiale e, insieme, quello del fisco marchionale, assicurandone così la compattezza nei confronti dell’erosione causata dalle famiglie comitali. Proseguendo in una direzione già segnata dalla madre, il marchese volle fondare abbazie marchionali che divenissero depositarie dell’effettivo potere nella marca, grazie al concreto controllo dei complessi fiscali. Ugo agiva di comune accordo con Ottone III, il quale pose i monasteri regi alla base del proprio progetto di riforma ecclesiastica.

Al principio del 1001, Ugo si trovava con Ottone III a Roma. Dopo aver ricomposto la rivolta della città di Tivoli, Ottone rimase prigioniero dei romani sull’Aventino poiché essi non accettarono l’accordo stretto con la città vicina. La situazione fu risolta in modo pacifico grazie all’intervento di Ugo e di Enrico di Baviera (Chronica Sigeberti..., a cura di G.H. Pertz, 1844, p. 354 anche se con l’anno 1002). Nel maggio del 1001, Ugo si trovava a Ravenna insieme con l’imperatore. Non è dato sapere se anch’egli partecipò alla spedizione contro Roma e i principati meridionali di quell’estate. Ugo fu nuovamente insieme a Ottone III a Bologna nel settembre successivo. Il diploma lì rilasciato il 22 settembre (Ottonis II et III diplomata, cit., n. 410) costituisce la sua ultima attestazione in vita.

Morì a Pistoia il 21 dicembre 1001 (Annales Einsidlenses, a cura di G.H. Pertz, 1839, p. 144). Pier Damiani racconta che Ottone III, appresa la notizia della morte del marchese, esclamò con l’autore dei Salmi: «laqueus contritus est, et nos liberati sumus» (Ps. 123,7). Dante ne celebrò la grandezza nel XVI canto del Paradiso con l’epiteto di gran barone (v. 128).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Ospedale degli Innocenti, 970 marzo; S. Maria di Vallombrosa, 1009 novembre 18; Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Guinigi*, 983 settembre 6 (ma 998 settembre 8); G 155 (1025 ottobre 1). Annales Einsidlenses, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, III, Hannover 1839, p. 144; Annales Quedlinburgenses, ibid., p. 68; Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, a cura di D. Barsocchini, V, 3, Lucca 1841, nn. 1421, 1424, 1625; Chronica Sigeberti Gemblacensis monachi, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, VI, Hannover 1844, p. 354; Catalogus comitum Capuae, a cura di G. Waitz, in MGH, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannover 1878, pp. 500 s.; P.E.D. Riant, La donation de Hugues, marcquis de Toscane, au Saint-Sépulcre et les établissements latins de Jérusalem au Xe siècle, Paris 1884, pp. 14-16; Ottonis II et III diplomata, a cura di T. Sickel, in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, II, Hannover 1893, nn. 147, 199, 219, 223 s., 228, 263, 324, 331, 339, 388, 403, 410; Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, a cura di U. Pasqui, I, Firenze 1899, n. 76; Regesto dell’Abbazia della Vangadizza dal 953 al 1659, a cura di A.E. Baruffaldi, in Badia Polesine, IV, Badia Polesine 1908, ad annos 993, 996, 997; Conradi II diplomata, a cura di H. Bresslau, in MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, IV, Hannover 1909, n. 63; I diplomi di Ugo e Lotario e di Berengario II e Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1924, n. 16; Le carte della canonica della cattedrale di Firenze (723-1149), a cura di R. Piattoli, Roma 1938, n. 24; I Placiti del “Regnum Italiae”, a cura di C. Manaresi, Roma 1955, I, n. 181; II, nn. 222 s., 254; Chronicon Vulternense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, II, Torino 1969, p. 325; Carte dell’archivio capitolare di Pisa, I, 930-1050, a cura di E. Falaschi, Roma 1971, n. 47; I placiti del ‘Regnum Italiae’ (secc. IX-XI). Primi contributi per un nuovo censimento, a cura di R. Volpini, Milano 1975, n. 12; Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, in MGH, Scriptores, XXXIV, II, 10, Hannover 1980, p. 188; Die Briefe des Petrus Damiani, a cura di K. Reindel, II, in MGH, Briefe der deutschen Kaiserzeit, V, 2, München 1988, n. 68, pp. 289-297; Le carte del monastero di S. Maria in Firenze (Badia), I, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1990, nn. 1-5, 10 s., 22; Carte della Badia di Marturi nell’Archivio di Stato di Firenze (970-1199), a cura di L. Cambi Schmitter, Firenze 2009, nn. 1-3; G. Vignodelli, Prima di Leone. Originali e copie di diplomi regi e imperiali nell’Archivio Capitolare di Vercelli, in Originale - Fälschungen - Kopien. Kaiser- und Königsurkunden für Empfänger in “Deutschland” und “Italien” (9.-11. Jahrhundert) und ihre Nachwirkungen im Hoch- und Spätmittelalter (bis ca. 1500), a cura di N. D’Acunto - S. Roebert - W. Huschner, Leipzig 2017, pp. 53-80 (in partic. pp. 74-77).

A. Falce, Il marchese Ugo di Tuscia, Firenze 1921; W. Kurze, Monasteri e nobiltà nella Tuscia altomedievale, in Id., Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena 1989, pp. 295-316; M. Nobili, Le famiglie marchionali nella Tuscia, in Id., Gli Obertenghi e altri saggi, Spoleto 2006, pp. 125-150 (in partic. pp. 143-145); A. Puglia, Vecchi e nuovi interrogativi sul marchese Ugo di Tuscia (970-1001), in Dalle abbazie l’Europa: i nuovi germogli del seme benedettino nel passaggio tra primo e secondo millennio (secoli X-XII), a cura di A. Guidotti - G. Cirri, Firenze 2006, pp. 151-186; E. Manarini, I due volti del potere. Una parentela atipica di ufficiali e signori nel regno italico, Milano 2016, pp. 97-108, 174-191, 303-306; P. Tomei, Da Cassino alla Tuscia: disegni politici, idee in movimento. Sulla politica monastica dell’ultima età ottoniana, in Quaderni storici, LI (2016), pp. 355-382; E. Manarini, Le madri dei marchesi: le donne hucpoldinge e la legittimazione al potere marchionale nella marca Tusciae, in corso di stampa.

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