UGOLINO di Nerio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

UGOLINO di Nerio

Giovanni Giura

Non è nota la data di nascita di Ugolino, pittore senese. I pochi documenti che lo riguardano (1317-27) non sono legati alla sua attività, ma forniscono informazioni sul suo stato patrimoniale (Maginnis, 2001, pp. 234 s.) e sulla sua famiglia, residente a Siena nel popolo di S. Donato (Bacci, 1939). Il padre, Nerio di Ugolino, anch’egli pittore, è documentato nel 1311 e risulta già morto nel 1318. Oltre a Ugolino, probabilmente primogenito in quanto battezzato con il nome del nonno paterno, furono dediti alla medesima attività i fratelli Guido e Giacomuccio (detto Muccio). Né a loro né a Nerio è stata finora collegata con sicurezza alcuna opera, se si eccettua il tentativo di Gertrude Coor-Achenbach (1955) di identificare con Nerio il Maestro di Badia a Isola, uno dei primi e più alti seguaci di Duccio di Buoninsegna, le cui opere hanno forti punti di contatto con le prove più antiche di Ugolino. Questi nel 1317 doveva aver già compiuto la maggiore età, 21 anni (Bacci, 1939, p. 134), ma, a giudicare dal corpus di opere riunito dalla critica, la sua attività doveva essere iniziata da qualche anno, il che spinge indietro la sua data di nascita almeno verso il 1285.

In assenza di dipinti documentati e datati, la ricomposizione del catalogo di Ugolino ruota intorno all’unica opera che le fonti ricordano almeno firmata, il grandioso polittico per l’altar maggiore di S. Croce a Firenze, oggi smembrato e parzialmente conservato in diversi musei. Tale eclatante affermazione dovette costituire il motivo dell’inclusione della sua biografia nelle Vite di Vasari (1550, 1967), che gli assegnò una serie di altre opere oggi non rintracciabili.

Le parti superstiti dell’ancona di S. Croce hanno permesso (a partire da Crowe - Cavalcaselle, 1864) di radunare un nutrito gruppo di tavole apparentate dalla medesima interpretazione raffinata dei caratteri di Duccio, con cui Ugolino, dopo un primo apprendistato da presumere nella bottega del padre, dovette certamente formarsi e alla cui lezione rimase sostanzialmente fedele per tutta la carriera. Ciò rende particolarmente scivolosa la seriazione cronologica dei suoi dipinti, sebbene alcuni elementi estrinseci, come la foggia delle carpenterie (Kanter, 1981-1982) e la tecnica delle operazioni sull’oro (Muller, 1994; Polzer, 2005) risentano degli sviluppi della pittura senese del secondo e del terzo decennio del Trecento (tra i tentativi più compiuti: Coor-Achenbach, 1955; Stubblebine, 1979, ma con la divisione del corpus di Ugolino in quattro pittori diversi; Kanter, 1981-1982).

Le opere riconosciute alla sua fase iniziale, da contenere entro il 1310 o poco oltre, mostrano già una profonda adesione ai modi ducceschi, in particolare ai dipinti del primo lustro del Trecento, come il polittico n. 28 della Pinacoteca di Siena e la Madonna col Bambino di Perugia. Quest’ultima è ripresa da Ugolino in almeno tre tavole conservate rispettivamente nello Château de Langeais nella valle della Loira, nella raccolta Contini Bonacossi alle Gallerie degli Uffizi e nel Musée du Louvre (Laclotte, 1987). Allo stesso momento appartengono il S. Michele arcangelo del Muzeum Książąt Czartoryskich di Cracovia, la S. Caterina d’Alessandria del Krannert Art Museum di Urbana (Illinois), la S. Maria Maddalena del Museum of Fine Art di Boston e il S. Tommaso della collezione Berenson a Settignano, già in parte riuniti da Miklós Boskovits (1975) e da Michel Laclotte (1987), che li reputava possibili laterali della Madonna del Louvre, prima che Lawrence Kanter (1994) mostrasse ineludibili incongruenze, suggerendo invece un possibile collegamento tra il S. Tommaso dei Tatti e la Madonna col Bambino in S. Maria dei Servi a Montepulciano (un riepilogo in Brüggen Israëls, 2015).

Quest’ultima mostra un deciso aggiornamento sulla Maestà di Duccio per il duomo di Siena (1308-11), con il Bambino non più ritto, con i piedi incrociati e lo sguardo teneramente indirizzato verso la madre, bensì accoccolato e rivolto allo spettatore, in un insieme più monumentale e solenne. Lo stesso esempio è adottato da Ugolino nella Madonna della collezione Lehman (New York, Metropolitan Museum of Art), in cui il panneggio della veste del Bambino, proseguendo quanto avviato nella tavola del Louvre, si fa più sciolto e ritmico, abbandonando le pieghe tetragone che caratterizzavano la Madonna di Langeais.

Al terzo lustro del Trecento risale anche il primo tra i polittici di Ugolino giunti sostanzialmente integri fino a noi, quello conservato nel Cleveland Museum of Art (Francis, 1961), la cui struttura ricalca quella del polittico n. 28 di Duccio, ma con l’aggiunta del caratteristico frame box del polittico n. 47 dello stesso autore. Stilisticamente affini risultano due pannelli con S. Ludovico di Tolosa e S. Maria Maddalena nel Fine Arts Museum di San Francisco, che Coor-Achenbach (1955, p. 163) aveva tentato di associare alla rovinata Madonna col Bambino del Princeton University Museum of Art e alla S. Caterina di Urbana.

L’affermarsi del giovane Simone Martini e dei fratelli Lorenzetti non distolse Ugolino dal proseguire le sue ricerche nel solco della tradizione duccesca, ma l’introduzione dei punzoni nella Maestà di palazzo pubblico non lo lasciò indifferente. Lo snodo in questo senso è il polittico n. 39 della Pinacoteca di Siena, proveniente dal monastero di S. Chiara e gemello di quello del Maestro di Città di Castello per le clarisse di S. Lorenzo nella stessa città (Cannon, 1994, pp. 58 s.). All’interno di una carpenteria ancora tradizionale, si assiste a un deciso cambio di rotta nella lavorazione della lamina dorata delle aureole, non più delicatamente incisa con lo stiletto a mano libera per creare preziose volute vegetali come nel magistero duccesco, ma fittamente operata a granitura in modo da far emergere con un deciso sbalzo chiaroscurale grandi fiori e motivi fogliacei, il tutto bordato da bolli circolari che preludono all’uso estensivo dei punzoni che caratterizza tutta la produzione successiva di Ugolino (un riepilogo in Matteuzzi, 2019, pp. 43 e ss.).

Il polittico n. 39 è anche la prima opera collegabile con sicurezza a una destinazione originaria francescana. Fatta salva una possibile provenienza minoritica anche per il polittico di Cleveland (data la presenza di s. Francesco), si tratta del punto d’avvio di un legame tra Ugolino e l’ordine dei minori che connotò gran parte della sua attività negli anni seguenti (Cannon, 1994, pp. 52-61; Giura, 2018, con rimandi). Rinviano a contesti francescani due Crocifissioni della seconda metà del secondo decennio del secolo (Metropolitan Museum di New York: Freuler, 2015; Pinacoteca di Siena: Galli, 2003, pp. 350-352). Dalla chiesa di S. Francesco a Lucca proviene il gradino d’altare con la Crocifissione e santi del Museo di Villa Guinigi, probabile predella di un eptittico per il cui centro è stata dubitativamente proposta la Madonna già in collezione Schiff-Giorgini (Ferretti, 1976, p. 33 nota 9) o quella della collezione Tadini Buoninsegni (Kanter, 1981-1982, p. 28 nota 34). La presenza di s. Ludovico ne colloca l’esecuzione dopo il 1317, ma è probabile che la datazione segua almeno quella del polittico di Simone Martini per S. Caterina a Pisa (1319-20), dove è introdotta la predella con i santi entro arcatelle (Subblebine, 1979, p. 160). A sette scomparti è anche il polittico del Clark Art Institute di Williamstown (Pope-Hennessy, 1962), per il quale è stata proposta una provenienza dall’altar maggiore della chiesa di S. Francesco di Siena (Gardner von Teuffel, 1979, p. 48 nota 68; Cannon, 1994, p. 54), anche per la presenza in posizione d’onore di s. Andrea, al quale era intitolata la prima cappella a sinistra della maggiore nella chiesa senese (Giura, 2018, p. 138 nota 129). Il lascito di 100 denari nel 1321 da parte di Nello Pannocchieschi per la tribuna della chiesa si attaglierebbe bene allo stile delle figure (Gardner, 1988, p. 174 nota 17), ancora per certi versi debitrici delle fisionomie grifagne e accusate di Duccio, e prive di quella scioltezza disegnativa caratteristica del polittico di S. Croce, mentre le arcate a tutto sesto dei pannelli non recepiscono l’innovazione simoniana dell’articolazione trilobata al loro interno.

Le opere realizzate da Ugolino per le chiese francescane prepararono il terreno per la commissione della grande ancona per l’altare maggiore di S. Croce a Firenze (tra gli innumerevoli contributi: Boskovits, 1988; Weppelmann, 2005a; Gordon, 2011). Rimossa nel 1566, venne ricoverata nel dormitorio del convento, dove padre Guglielmo della Valle (1785) per primo vi lesse la firma «Ugolinus de Senis me fecit». Passata poi, verosimilmente in seguito alla soppressione di S. Croce del 1808, nella collezione di William Young Ottley, fu descritta da Gustav Friedrich Waagen (1837) prima della dispersione delle tavole sul mercato (1847-50). Se ne conservano i seguenti pezzi: del registro principale i Ss. Giovanni Battista, Paolo e Pietro (Berlino, Gemäldegalerie); pennacchi della tavola centrale (non conservata) con Angeli (Los Angeles County Museum of Art); pennacchi di altre due tavole del registro principale (s. Francesco e s. Ludovico, non conservati) con Coppie di Angeli (Londra, National Gallery); del registro superiore Ss. Matteo e Giacomo Minore (Berlino, Gemäldegalerie); Ss. Bartolomeo e Andrea (Londra, National Gallery); Ss. Giacomo Maggiore e Filippo (Berlino, Gemäldegalerie); Ss. Simone e Taddeo (Londra, National Gallery); Ss. Mattia ed Elisabetta d’Ungheria (Berlino, Gemäldegalerie); delle cuspidi i profeti Isaia, David e Mosè (Londra, National Gallery), e Daniele (Philadelphia Museum of Art); della predella l’Ultima cena (New York, Metropolitan Museum), la Cattura (Londra, National Gallery), la Flagellazione (Berlino, Gemäldegalerie); il Calvario, la Deposizione dalla croce, (Londra, National Gallery), la Deposizione nel sepolcro (Berlino, Gemäldegalerie) e la Resurrezione (Londra, National Gallery).

La maestosa macchina d’altare a sette scomparti e quattro ordini di figure è ritratta ancora integra in un prezioso disegno settecentesco conservato nella Biblioteca Vaticana, che ha permesso di sciogliere numerosi dubbi nella ricomposizione delle tavole (Loyrette, 1978). Se gli studi sono concordi nel riconoscervi l’apice qualitativo di Ugolino, la cronologia sconta da un lato l’assenza di notizie documentarie, dall’altro il vincolo imposto dal testo vasariano, in cui è ricordata assieme al polittico per l’altare maggiore di S. Maria Novella. Di quest’ultimo – precocemente spostato nel capitolo, poi nel convento (fino almeno al XVIII secolo) e in seguito del tutto disperso – si conosce il committente, il domenicano Baro Sassetti, la cui morte nel 1324 fornisce un ante quem per la realizzazione (un riepilogo in Cannon, 1982). La tradizionale datazione del polittico francescano a ridosso di quello domenicano, verso il 1325, non è fondata su elementi concreti, stante l’impossibilità di verificare lo stile, e quindi anche la stessa paternità, di quello perduto. Gli stretti rapporti tra Ugolino e i frati minori lasciano anzi presumere che il pittore avesse raggiunto Firenze direttamente per la commissione di S. Croce (diversamente, Ead., 2013, p. 144, con rimandi), per la quale più di recente si è affermata una cronologia leggermente avanzata sulla scorta sia di valutazioni stilistiche sia di alcuni indizi congetturali: l’iscrizione di Guido, fratello di Ugolino, alla matricola dei pittori fiorentini nel 1327; la partenza da Firenze di Giotto, naturale destinatario dell’incarico, nel 1328; le celebrazioni dello stesso anno per il centenario della canonizzazione di s. Francesco, possibile occasione per l’allogagione o per la consegna stessa dell’opera (un riepilogo in Gordon, 2011, p. 473). Il polittico di S. Croce s’iscrive nell’ambito del vasto e duraturo apprezzamento delle macchine d’altare complesse prodotte dai pittori senesi, a dispetto di quelle più semplici dei fiorentini (De Marchi, 2004). La sua carpenteria (per la cui costruzione si veda Muller, 1994) mostra forme articolate e slanciate, enfatizzate dall’adozione della terminazione acuta delle arcate del registro principale e dalla trilobatura degli archi in quello superiore, e tiene conto – in parte superandole – sia della soluzione simoniana per Pisa sia quella di Pietro Lorenzetti per Arezzo (1320-24). La decorazione delle aureole mostra un florilegio di punzonature ormai compiutamente organizzate; le figure, dal modulo elegantemente allungato, assumono un afflato monumentale di grande compostezza formale. La predella, riprendendo in gran parte le invenzioni del retro della Maestà del duomo di Siena, le varia sottilmente tendendo a una maggiore semplificazione.

A un momento intermedio tra gli eptittici di Williamstown e di S. Croce sono databili la Maestà della chiesa della Misericordia a San Casciano Val di Pesa (fondazione dei domenicani di S. Maria Novella) e il pentittico proveniente dalla pieve di S. Polo in Rosso (oggi in collezione Ricasoli a Brolio, Gaiole in Chianti: Bellosi, 1983), la cui carpenteria è un ibrido di elementi gotici e arcaici. La seriazione però non è meccanica: hanno ancora una centina a tutto sesto il S. Giovanni Battista del Muzeum Narodowe di Poznan e il S. Andrea della collezione Salini, facenti parte di un unico complesso (Galli, 2009, con rimandi) – a cui Kanter (1981-1982) ha provato a collegare anche la Madonna col Bambino del Museum of Fine Art di Boston e una Santa già in collezione Lycett Green a New York – che d’altro canto mostrano lo stesso punto di stile e le medesime operazioni sull’oro dei pannelli di S. Croce. Consentanei al polittico fiorentino sono anche le due tavole con S. Pietro e S. Francesco nella stessa chiesa della Misericordia a San Casciano (De Nicola, 1916).

Sul 1330 o poco oltre si può collocare la decurtata Crocifissione del Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid (Boskovits, 1990), già in collezione Toscanelli, per la quale è stata proposta una difficile identificazione con la tavola descritta da Vasari come di Ugolino nella cappella Bardi in S. Croce (Maginnis, 1983). All’ultima fase appartengono anche la S. Anna con la Vergine bambina della National Gallery di Ottawa (Freuler, 1981-1982), proveniente forse dallo Spedale di S. Maria della Scala a Siena (Maginnis, 2001, p. 147), e la superba Croce in S. Maria dei Servi, in cui Ugolino risponde ai Lorenzetti innalzando la temperatura emotiva nello sguardo sofferto del Redentore spirante e nella tensione accentuata ma controllata del corpo stagliato su un tappeto di decorazioni raffinate (Bellosi, 1983; Galli, 2003, pp. 358-360).

La notizia trasmessa da Vasari della morte di Ugolino in tarda età nel 1339 (1349 nella Giuntina) non trova riscontro nei documenti, ma potrebbe rispondere a verità, in considerazione dell’assenza di opere riferibili al quinto decennio del Trecento. La sua eredità artistica, già a partire dalla metà degli anni Venti, fu raccolta soprattutto da Niccolò di Segna, che potrebbe essere stato con lui a Firenze (Matteuzzi, 2019, p. 35 e passim), e più tardi da Bartolomeo Bulgarini, cui è da riferire il polittico della collezione Contini Bonacossi delle Gallerie degli Uffizi, realizzato però ancora nella bottega del maestro (Stubblebine, 1979, I, pp. 185 s.; Galli, 2003, p. 349).

Fonti e bibliografia

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