ALDROVANDI, Ulisse

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALDROVANDI, Ulisse

Giuseppe Montalenti

Nacque a Bologna l'11 sett. 1522 da Teseo, notaro e segretario del Senato bolognese, e da Veronica d'Antonio Marescalchi. Manifestò precocemente spirito avventuroso e temperamento intraprendente e tenace, che doveva poi mettere a servizio della scienza. All'età di dodici anni fuggi di casa per recarsi a Roma; dopo quattro mesi si arrese alle preghiere della madre (il padre era morto nel 1529) e fece ritorno a Bologna, dove studiò matematiche sotto la direzione di Annibale della Nave. Per necessità economica fu poi collocato come scrivano e contabile presso una bottega di mercanzia prima a Bologna, e poi a Brescia (1536). Ritornò a Bologna e nuovamente si recò a Roma, donde, non trovando lavoro che si convenisse alla sua condizione e alle sue capacità, si mosse per rientrare a casa. Sulla via del ritorno incontrò un pellegrino siciliano che si recava a S. Giacomo di Galizia (Santiago de Compostela); si unì a lui, evitando di rientrare a Bologna, e a Modena vesti il saio del pellegrino. "Coll'unico capitale che era il chiedere l'elemosina" (Fantuzzi), intraprese a piedi il lungo e periglioso viaggio. Per la Navarra, la Castiglia, la Galizia, raggiunse S. Maria detta di Finis terrae, perché si credeva fosse ai confini della terra. Lo stesso A. nelle sue memorie scrisse: "tornai indietro per non potersi più andare avanti".

Rientrato in patria, dopo molte peripezie, rinunciò al progetto di compiere un altro pellegrinaggio in Terra Santa, e si stabilì a Bologna (1539), dedicandosi allo studio delle lettere e della giurisprudenza. Nel 1542 fu immatricolato dal podestà di Bologna come notaro; nel 1546 era pronto per addottorarsi in legge. Si recò invece a Padova (1548-49), dove segui i corsi di filosofia, di matematiche, e, con grande interesse, le lezioni di medicina di G. B. Montano. Nel 1549 ritornò a Bologna, ma, sospettato di eresia, insieme con altri Bolognesi, fu arrestato (12 giugno 1549). Il cardinal legato Del Monte (poi papa Giulio III) tentò di far concludere il processo a Bologna, e infatti il 1settembre gli imputati fecero solenne abiura in S. Petronio. Ma da Roma venne l'ordine di trasportarvi tre degli inquisiti, fra cui l'A., che, a quanto pare, poté rimanere a piede libero, in attesa di processo. Morto il papa Paolo III e successogli Giulio III, l'A. e i suoi compagni furono prosciolti. Si ignora quali fossero esattamente i capi di accusa.

Questo soggiorno romano fu determinante per l'attività scientifica dell'Aldrovandi. Studiò, sulla scorta degli antichi autori latini, le costruzioni classiche e le statue, che descrisse poi nella sua prima opera stampata (Le statue antiche di Roma, in Lucio Mauro, Le antichità de la Città di Roma, Venezia 159), e si legò d'amicizia con Guillaume Rondelet, il quale accompagnava in qualità di medico il cardinale Tournon e attendeva alla preparazione dei suoi trattati sui pesci e sugli altri animali marini, che sono fra le prime opere moderne di zoologia. Sotto l'influenza di questo studioso francese e di Paolo Giovio, l'A. cominciò a raccogliere e conservare pesci, costituendo il primo nucleo del suo museo. Nello stesso anno 1549, a Bologna, l'A. si incontrò con Luca Ghini, che insegnava la scienza de' semplici all'università di Pisa e trascorreva le vacanze a Bologna. Dal Ghini - che prese ad amarlo come figlio - fu iniziato alla conoscenza delle piante, tanto da divenire in breve tempo espertissimo nella botanica.

Il 23 sett. 1553 l'A. conseguì a Bologna la laurea dottorale in filosofia e medicina e il 14 dicembre dello stesso anno fu ammesso quale o numerario "nel Collegio di filosofia e medicina. Nell'anno scolastico 1554-55 ebbe la lettura della logica e nel 1555-56 passò alla cattedra di filosofia, cui nel 1556-57 venne aggiunta la o lectura de simplicibus", che tenne dapprima insieme con Cesare Odoni, poi, dopo la morte di questo (1571), da solo. A. questi insegnamenti di filosofia naturale l'A. si dedicò fino al 1600, anno in cui chiese e ottenne il collocamento a riposo.

Nel 1568 per le istanze dell'A. venne istituito il Giardino dei semplici nel recinto del palazzo del Comune, ed egli fu nominato direttore di questo Orto botanico (il quinto in Italia, in ordine di tempo), in collaborazione con Cesare Odoni, e poi da solo (1571). A questo istituto dedicò le cure più assidue, intendendo farne, com'egli scrisse, il primo Giardino botanico d'Europa. Nel 1587 il Giardino fu trasferito presso la porta di Santo Stefano, ed egli dovette ricominciare da capo le sue fatiche, finché, nel 1600, il Senato bolognese decise di riportarlo nella sede originaria. Il lavoro fu iniziato dall'A. ormai quasi ottantenne e infermo, ma fu compiuto poi dal suo discepolo e successore, l'olandese Cornelio Uterverio.

Oltre alla cattedra, l'A. ricoprì alcune cariche pubbliche. Nel settembre e ottobre 1569 occupò, per diritto di famiglia, un posto nel Magistrato degli Anziani. Fu protomedico del Collegio dei medici (sebbene non avesse mai praticato la medicina) e, nel 1574, ebbe a discutere, in tal qualità, sulle droghe usate per comporre il famoso farmaco, la triaca o teriaca. Si mise in contrasto con gli speziali, dai quali fu accusato di coltivare, a loro danno, le piante che pretendeva dovessero entrare nella composizione, ed ebbe perciò molte noie, tanto che dovette recarsi a Roma per difendere la propria tesi dinanzi al pontefice Gregorio XIII. Questi, accolte le sue ragioni, dispose che venisse reintegrato in tutti gli onori e le dignità (2 marzo 1577).

Nel 1579 l'A. fu deputato dal Collegio dei medici a suggerire provvedimenti contro una epidemia influenzale.

Non è esatto che, come affermano alcuni biografi, l'A. abbia compiuto lunghi viaggi in Europa, dopo il pellegrinaggio giovanile; ma, mosso dalla più viva curiosità verso ogni sorta di produzioni naturali, egli compì numerose escursioni in varie località non troppo distanti da Bologna; visitò diversi centri di studio e numerosi naturalisti e raccoglitori, con i quali fece scambi di oggetti; tenne inoltre un'attiva corrispondenza con molti dei più reputati botanici europei. Nel giugno 1552 fece, insieme con molti scolari, un'escursione sulle Alpi di Sestola, a Fiumalbo e a Monte Santo; nell'anno seguente fu a Sassuolo e sui monti lucchesi. Visitò inoltre, in altre occasioni, Rimini, Venezia, le Alpi veronesi, i monti della Veria, Ancona, Mantova, Trento, Ravenna. Fu a Lucca col Ghini e visitò poi l'Orto pisano, di cui questi era direttore; si recò a Livorno, all'isola d'Elba, sempre raccogliendo minerali, piante, animali e ogni genere d'oggetti curiosi, che andavano ad arricchire il suo museo. La più celebre di queste escursioni naturalistiche fu quella compiuta nel 1564 al Monte Baldo presso Verona, ove si trovavano piante rare, apprezzate a quei tempi come più tardi lo furono le piante tropicali. Gli furono compagni nella gita alcuni altri naturalisti, fra cui il prefetto dell'Orto botanico padovano, Luigi Anguillara, il medico bellunese Andrea Alpago, che divenne poi professore a Padova, e lo speziale veronese Francesco Calzolari. Questi fece da guida alla comiltiva e pubblicò poi il racconto della escursione e la descrizione delle cose più notevoli che furono trovate (Il viaggio di Monte Baldo della magnifica città di Verona, Venezia 1566, ch'ebbe anche parecchie edizioni latine: Iter Baldi civitatis Veronae monzis).

La intensissima attività dell'A. cominciò a rallentarsi verso il 1600. Da allora, ottenuto il riposo dall'insegnamento, pur conservando la direzione del Giardino dei semplici, dedicò tutte le cure alla pubblicazione delle sue opere, di cui però soltanto una piccola parte vide la luce lui vivo. Le infermità della vecchiaia si aggravarono nel 1603. Il 10 novembre di quell'anno fece testamento, lasciando al Senato bolognese il museo, i libri, i manoscritti, i disegni, le incisioni che aveva fatto eseguire. Il 4 maggio 1605 l'A. morì senza lasciare discendenza, perché alcuni figli avuti dalla seconda moglie, Francesca Fontana, erano morti in giovane età, così come un figlio naturale che aveva avuto prima di ammogliarsi.

Ciò che è rimasto del materiale da lui lasciato al Senato bolognese: preparati mineralogici, zoologici, etnografici, l'erbario, i manoscritti, disegni, matrici di xilografie, ecc., è attualmente conservato presso l'università di Bologna, che nel 1907, prendendo occasione dalla celebrazione del III centenario della morte del grande naturalista, raccolse dai vari Istituti e Musei tutto ciò che rimaneva delle sue collezioni e dei suoi scritti e li riunì in un salone della Biblioteca Universitaria che costituisce oggi il Museo Aldrovandiano.

L'A. è un tipico rappresentante dell'indirizzo naturalistico enciclopedico, che si sviluppò nei secc. XVI e XVII, di cui altri esempi furono, prima di lui, Konrad Gesner e, dopo, John Johnston. Animato da una viva curiosità e dal desiderio di raccogliere quante più notizie fosse possibile sugli oggetti naturali, egli concepi il piano di una illustrazione completa di tutte le piante, gli animali, i minerali. Per riuscire in questo intento, che superava le possibilità di lavoro di una sola persona, sì procurò la collaborazione di scrivani e di ottimi disegnatori e incisori, che stipendiò per lunghi anni; e spese così la maggior parte dei propri redditi, com'egli dichiara in una lettera al fratello. Frutto di un'attività incredibilmente intensa non fu soltanto la gran mole delle opere stampate, le quali comprendono una piccola parte dei materiali raccolti, ma anche i manoscritti inediti (raccolti in più di trecento volumi), i disegni e le incisioni, l'erbario, e la sua famosa collezione, senza dire del Giardino botanico. Il museo, che superò per quantità e qualità di materiali le più famose collezioni contemporanee, quali quelle di Francesco Calzolari di Verona, di Ferrante Imperato di Napoli, e anche quella del granduca di Toscana, era costituito da una raccolta di ogni sorta di oggetti naturali e di vari prodotti dell'attività dell'uomo. Di esso ebbe a dire Giovanni Imperiale: "Admirabilem universi videatur mercatum". Divenne ben presto celebre e fu visitato da numerosissimi studenti, naturalisti e illustri personaggi d'ogni parte del mondo, come risulta dal Catalogus virorum qui visitarunt Musaeum nostrum, scritto in gran parte di mano dell'A., che ci è pervenuto. Questa collezione, con altre del '600, rappresenta il primo tentativo di conservare e presentare alla osservazione e allo studio degli scienziati e all'ammirazione del pubblico i prodotti della natura; è il primo embrione di quei musei di storia naturale che nei secoli successivi si perfezionarono e si moltiplicarono in tutti i paesi, diventando indispensabili strumenti per la conoscenza della natura e per la divulgazione del sapere.

Il museo aldrovandiano costituì la base sulla quale egli venne elaborando la sua grande enciclopedia naturalistica, di cui solo una piccola parte poté preparare e dare alle stampe. Durante gli ultimi anni di sua vita videro la luce i tre volumi della Ornithologiae... libri XII (1599-1603) e i libri De animalibus insectis (1602). Probabilmente egli curò anche il testo dei quattro libri De reliquis animalibus exangui bus, pubblicati postumi, a cura della vedova (1606). Le altre opere zoologiche vennero edite in parte a cura del suo discepolo e successore alla cattedra dei semplici e alla direzione del Giardino Cornelio Uterverio fra il 1612 e il 1621, e poi da Bartolomeo Ambrosino (1637-42). Il Musaeum metallicum fu pubblicato nel 1648 sempre dall'Ambrosino, mentre la sola opera di botanica pubblicata, la Dendrologia,vide la luce sessant'annì dopo la morte dell'autore, per cura di Ovidio Montalbano. Tutte le opere ebbero numerose edizioni, non soltanto in Italia, nel corso del sec. XVII, ciò che dimostra la loro importanza e il favore con cui furono accolte dai naturalisti per parecchie generazioni. Il testo dei volumi curato dai discepoli e successori è indubbiamente inquinato da numerose manomissioni, e non può quindi considerarsi come genuino rappresentante del pensiero dell'Aldrovandi.

I volumi che hanno per oggetto la zoologia sono la parte più cospicua dell'opera edita. L'A. descrive ogni specie separatamente, fornendo per ciascuna una enorme quantità di dati, per la massima parte raccolti dagli autori classici, dai bestiari medievali, e dai trattati di Alberto Magno, di Tomaso di Cantimpré e di Vincenzo di Beauvais, e da altre compilazioni. Il quadro generale dell'esposizione comprende, per ciascuna specie, numerosi argomenti: significati diversi dei nomi (aequivoca), sinonimi, forma e descrizione dell'animale talvolta con particolari anatomici, i sensi, le razze, i luoghi di habitat e di origine, i costumi, la suscettibilità alla domesticazione e all'addestramento, la voce, il nutrimento, la riproduzione, i modi di caccia, i combattimenti, le antipatie, le malattie, dati storici, il significato mistico, considerazioni morali, i geroglifici che derivano dall'animale, gli emblemi in cui è riprodotto, favole, proverbi, gli usi medicinali, alimentari, ecc. Il tutto con ampie e accurate citazioni degli autori, per lunghe pagine di fitta stampa dei volumi in folio.

È chiaro che l'erudizione sonimerge e soffoca la pura informazione naturalistica. Una notevole credulità e mancanza di spirito critico fanno accogliere all'A. le leggende e le superstizioni più inverosimili, di cui sono pieni i bestiari medievali, e la cui origine per lo più è nintracciabile, attraverso la compilazione di Plinio, nell'antichità classica, o nelle leggende orientali.

L'A. non sembra dubitare dell'esistenza di mostri favolosi, come i draghi e i basilischi, e di molti di essi dà la figura. Alcuni preparati riconosce come contraffazioni fatte con razze o altri pesci abilmente trasformati da artefici senza scrupoli, che li vendevano ai collezionisti. Ma dopo aver parlato di questi, e averne riprodotto le figure, descrive e figura, senza critica, basilischi e idre dalle molte teste. Con eguale ingenuità l'A., sulla falsariga della tradizione medievale, presta agli animali sentimenti e attitudini umane, con relative conclusioni moraleggianti o similitudini con atti e stati d'animo della vita umana. Perciò il Buffon, che nel Settecento compilò una Storia naturale, la vastità del cui disegno è pari a quella pensata dall'A., giudicò severamente il lavoro del suo predecessore, dicendo che lo scritto si sarebbe potuto ridurre alla decima parte se si fosse sfrondato di tutte le cose inutili ed estranee al soggetto, che riempiono i quattordici volumi in folio della sua opera stampata.

Tuttavia il giudizio del Buffon non fu completamente negativo: egli apprezzò quella decima parte dell'opera aldrovandiana che non è mera e inutile erudizione. Anche se alcuni autori hanno rilevato ch'egli appare meno critico del Gesner nell'accettare le favole, è certo ch'egli ha su questo suo predecessore un grande vantaggio: è evidente, soprattutto nei volumi dedicati all'ornitologia, che l'A. ha compiuto osservazioni dirette sugli animali, sulla loro struttura, sui loro costumi. Non vi può essere dubbio che ha eseguito dissezioni anatomiche, le quali gli hanno consentito di descrivere e di figurare nelle illografie riprodotte nei suoi libri descrizioni molto precise di alcuni particolari, come la muscolatura dell'aquila, la trachea del cigno (ivi osservò la caratteristica ansa preclavicolare, tentando anche di darne una interpretazione fisiologica), le ossa e i muscoli della lingua del picchio. Vide l'ostio dell'ovidutto nella gallina, per cui l'uovo passa dall'ovario neil'ovidutto e raggiunge l'esterno (particolare che sfuggi invece al suo allievo Volcher Coiter, uno dei primi anatomisti comparati). Notevoli sono anche i disegni dello stomaco quadripartito dei ruminanti, e, per gli invertebrati, quello delle ghiandole della seta nel baco, che saranno poi magistralmente studiate dal Malpighi. Le illustrazioni di molti animali, anche di invertebrati, particolarmente di vari insetti, dimostrano indubbiamente che molti di questi erano stati studiati dal vero e riprodotti con una certa fedeltà. Perciò molte figure sono incomparabilmente migliori di tutte quelle figurazioni convenzionali e stilizzate che popolano le opere zoologiche nonché le sculture delle cattedrali del Medio Evo. Alcune figure, invece, specie quelle di animali esodci, di cui da poco s'era avuto notizia - per non parlare di quelle degli animali favolosi - sono ancora di stile medievale, spesso con visi ed espressioni umane. Quindi, sotto la coltre pesante dell'erudizione enciclopedica, che gli aveva fatto radunare, secondo il costume del tempo, tutte le notizie rintracciabili presso tutti gli autori, traspare un interesse per l'osservazione diretta della natura, che rappresenta un indirizzo nuovo.

La classificazione adottata dall'A. è indubbiamente meno felice di quella aristotelica, ch'era stata recentemente rimessa in onore da E. Wotton. Le suddivisioni degli uccelli, per esempio, sono basate sull'habitat, sul tipo di nutrimento, sulla forma del becco: criteri non cattivi in sé, sebbene eterogenei, ma non sempre fedelmente seguiti. L'A. tratta dapprima delle aquile e degli avvoltoi, poi dei rapaci notturni. Pipistrelli e struzzi sono riuniti in un gruppo degli uccelli di transizione, mentre il Wotton aveva riconosciuto (come già Aristotele) che i pipistrelli sono mammiferi. In questo stesso gruppo di transizione sono classilicati anche animali favolosi, come grifi ed arpie. I pappagalli costituiscono un gruppo a parte. Vengono poi i pulverizantes selvatici e domestici, cioè gli uccelli che sogliono fare il bagno nella sabbia (gruppo corrispondente in parte ai nostri gallinacei). In seguito vengono trattati gli uccelli che si bagnano sia nella sabbia sia nell'acqua (colombi e passeri), poi i baccivori, gli insettivori, i cantori, i palmipedi, e gli uccelli che frequentano i corsi d'acqua e le paludi. Per gli animali esangui, che non siano insetti, l'A. adotta la classificazione aristotelica, dividendoli nei quattro gruppi: molluschi, crostacei, testacei e zoofiti.

Il problema della classificazione è importante per l'A., ma la classificazione è concepita piuttosto come uno strumento mnemonico, per mettere ordine, e non come qualcosa che deve corrispondere ad un ordine naturale. Ciò non toglie che nella distribuzione adottata appaia spesso evidente un giusto apprezzamento delle affinità naturali. Si può dire, in un certo senso, che lo spirito naturalistico dell'A, fa di lui un sistematico ante litteram.

Questa impressione è confermata dallo studio della Syntaxis animalium, rimasta medita, ma che fu di guida a lui nelle lezioni di storia naturale che egli dettava nell'università di Bologna ed alle quali accorrevano uditori di tutta Europa. Nella Syntaxis animalium, mediante brevi diagnosi basate su caratteri differenziali e antagonistici e gradualmente subordinati, si giunge dai maggiori gruppi alla determinazione delle singole forme. I caratteri utilizzati per le diagnosi differenziali sono spesso di scarsissima importanza e molto eterogenei, ma interessa, in ogni modo, il sistema da lui tenuto, che troverà applicazione più adeguata ed estensione nei suoi successori, culminando nell'opera somma di Linneo.

Dell'opera botanica dell'A. conviene giudicare soprattutto in base ai manoscritti, ché il testo della Dendrologia è molto probabilmente opera più del curatore che dell'autore. E il curatore, Ovidio Montalbano, che non fu discepolo diretto dell'A., essendo nato nel 1601 cioè pochi anni prima della sua morte, è ben noto per essersi dimostrato in molte altre attività letterarie e scientifiche, nonché nelle vicende umane, uomo senza scrupoli, facile inventore e per nulla degno di fede. Il capitolo sulle mostruosità dei vegetali nella Monstrorum historia (Bononiae 1642) fu rimaneggiato dall'Ambrosino, che ne curò la pubblicazione. Queste opere nocquero più che non giovassero alla fama dell'A.; ma molti critici, fin dall'epoca della loro pubblicazione, osservavano che il naturalista bolognese non poteva esserne considerato l'autore. Molto più importanti sono, invece, le opere manoscritte e l'erbario, che sono stati studiati da O. Mattirolo (1897). Fra i manoscritti, alcuni sono cataloghi di piante, altri sono studi su singole specie e sulle loro virtù medicinali; altri ancora "hanno valore molto limitato perciocché solo interessano lo studioso di cose letterarie o si occupano di storia della medicina"(Mattirolo). Due grossi volumi, invece, presentano un notevole interesse: sono la Syntaxis piantarum e la Syntaxis plantarum et animalium: contengono non meno di millesettecento tavole sinottiche, le quali servirono all'A. per le sue lezioni. Da queste opere, che l'A. aveva particolarmente care, tanto da menzionarle nel testamento, raccomandandone la pubblicazione, la personalità dell'A, si delinea più chiaramente che non dalle opere zoologiche uscite per le stampe.

L'A. ci appare un buon osservatore, dotato di spirito analitico più che sintetico, raccoglitore instancabile di mille particolari che ordma e classifica in innumerevoli quadri sinottici, cui serviva di chiave un indice alfabeticamente ordinato. Le piante sono divise nelle quattro grandi categorie: alberi, frutici, suffrutici, erbe. Poi l'A. indica quali sono icriteri secondo i quali devono essere studiati i vegetali. Successivamente, sempre m tavole sinottiche, vengono elencati i caratteri dei frutti, dei fiori (colore, sapore, odore, splendore, proprietà, luogo d'origine, significato poetico, epiteti ricavati, ecc.). E così via, per pagine e pagine. Alcune osservazioni sono indubbiamente notevoli, come quelle fondate sull'osservazione dell'apparato staminale (trenta tavole), sullo studio del caule (trecento tavole), dei luoghi di origine, ecc. Benché non pubblicate queste osservazioni devono avere influenzato notevolmente il progresso della botanica, attraverso i molti allievi che udirono le lezioni dell'Aldrovandi.

Molto importante la cospicua collezione di disegni e acquarelli, eseguiti da ottimi artisti (Lorenzo Bennini da Firenze, Cornelio Svinto da Francoforte, lacopo Ligozzi veronese) che l'A. stipendiò per circa trent'anni. Come già abbiamo notato per gli animali, la rappresentazione delle piante non è convenzionale e schematica, come avviene nella maggior parte delle opere di quell'epoca, ma realistica ed esatta, sebbene piuttosto semplice, essenziale. Lo stesso si può dire delle xilografie, intagliate da Cristoforo Coriolano di Norimberga. Molti dei blocchi lignei però sono andati dispersi.

L'erbario di piante essiccate e i agglutinate "su fogli di carta, consta di sedici volumi (più uno dovuto al Montalbano) e i rappresenta nella storia della botanica il più antico e il più importante documento di questo genere" (Mattirolo). È in massima parte un erbario regionale, poiché le piante furono in gran maggioranza raccolte nei dintorni di Bologna. Non pochi però sono gli esemplari provenienti dalle raccolte eseguite durante le escursioni, cui abbiamo fatto cenno. Poche le piante coltivate e anche meno le specie provenienti da paesi esotici.

Anche il Musaeum metallicum (Bononiae 1648), pubblicato da Bartolomeo Ambrosino e gli esemplari di minerali e di fossili che tuttora esistono nel museo aldrovandiano dimostrano il fervore naturalistico del nostro autore. Al quale si devono accurate osservazioni mineralogiche, geologiche, paleontologiche, ed esatte interpretazioni sulla origine dei fossili e sulle loro relazioni con la storia geologica della terra, per quanto era possibile in un tenipo in cui la geilogia non era nata.

La figura dell'A. è tipica e rappresentativa dell'umanesimo scientifico: legata ancora al passato e soggiogata dal peso della erudizione scolastica, da cui non riesce a liberarsi, vincolata agli schemi correnti della cultura e ai metodi della ricerca storica e letteraria allora in uso, ma insoddisfatta di questi strumenti di studio e desiderosa di acquisire una conoscenza diretta dei fenomeni naturali. Non ebbe il vigore, l'indipendenza, l'audacia di Galileo o di Vesalio ed esaurì gran parte della propria sete di sapere nella raccolta dei dati trasmessi dagli autori, compilando innumerevoli schede e ordinandole secondo i più vari criteri. I dati forniti da questa erudizione scolastica egli accettò per lo più senza critica; ma, spinto da una viva e prepotente curiosità, volle osservare gli oggetti e raccogliere informazioni direttamente dalla natura, pur senza saperli legare con la tradizione, che essi potevano o confermare o dimostrare falsa.

Sentì, dunque, istintivamente, che la natura è la fonte cui ci si deve rivolgere, per ottenere informazioni sicure, ma non ebbe l'autonomia sufficiente per assumere una posizione critica nei confronti della scolastica. L'esigenza della classificazione, dell'ordinamento sistematico dell'immensa mole delle singole osservazioni è viva ed urgente nel suo spirito, ma i criteri di una sistemazione obbiettiva, naturale, gli fanno difetto, o sono soltanto oscuramente, istintivamente presenti. Spesso egli classifica in base a criteri puramente esteriori, che non penetrano nell'intima struttura o nel profondo significato delle cose. Tuttavia lo spirito enciclopedico nei riguardi del mondo esterno e l'amplissima documentazione resero le opere dell'A. un testo apprezzatissimo per più di un secolo, consultato e pregiato ancora dai naturalisti del '700. L'osservazione diretta dei fenomeni naturali e la necessità della loro classificazione furono i motivi essenziali del progresso delle scienze naturali nei secoli successivi, e perciò l'A., che sentì vivamente queste esigenze e cercò di soddisfarle, può ben dirsi uno dei primi naturalisti moderni.

Opere: Le statue antiche di Roma, in L. Mauro, Le antichità de la Città di Roma brevissimamente raccolte..., Venetia 1542; ibid. 1556, 7558, 1562; Roma 1741. Antidotarii Bononiensis sive de usitata ratione componendorum miscendoruque medicamentorum Epitome, Bononiae 1574; ibid. 1606, 1615, 1641, 1674, 1750, 1766, 1770; Venetiis 1790 (con lievi differenze dalla editio princeps). Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII, Bononiae 1599; Francofurti 1610 e 1616; Bononiae 1637, 1645, 1652, 1681. Ornithologiae Tomus alter, Bononiae 1600; Francofurti 1610, 1621, 1629; Bononiae 1637, 1652, 1681 (?). Ornithologiae Tomus tertius ac postremus, Bononiae 1603; Francofurti 1613, 1621, 1635; Bononiae 1637, 1647, 1652, 1681 (?). In Ornithologiam figurae, Bononiae s. d. [ma 1599-1603]. De animalibus insectis libri septem, Bononiae 1602; Francofurti 1618; Bononiae 1620; Francofurti 1623; Bononiae 1634, 1638-44. De reliquis animalibus exsanguibus libri quatuor... nempe de Mollibus, Crustaceis, Testaceis, et Zoophytis, Bononiae 1606 Francofurti 1618, 1623; Bononiae 1623, 1637, 1640, 1642, 1654. De piscibus libri Vet de Ceis lib. unus, Bononiae 1612 (1613), edito da G. C. Uterverio; Venetiis 1616; Francofurti 1623; Bononiae 7625; Francofurti 1629; Bononiae 1634 (1638); Francofurti 1640 e 1647; Bononiae 1661 (nel frontespizio 1638). De quadrupedibus solidipedibus volumen integrum, Bononiae 1616 (curato dall'Uterverio e edito da G. Tamburini); Francofurti 1623; Bononiae 1639 e 1648 (nel frontespizio 1639). Quadrupedum omnium bisuicorum Historia, Bonomae 1621 (a cura dell'Uterverio, del Tamburmni e di T. Dempster); ibid. 1642; Francofurti 1647; Bononiae 1653 (nel frontespizio 1642). De quadrupedibus digitatis viviparis libri tres et de quadrupedibus digitatis oviparis libri duo, Bononiae 1637 (a cura di B. Ambrosino); ibid. 1642, 1645, 1663 (nel frontespizio 1645), 1665. Serpentum et Draconum Historiae libri duo, Bononiae 1639 (nel frontespizio 1640), a cura di B. Ambrosino. Monstrorum Historia cum Paralipomenis Historiae omnium animalium, Bononiae 1642 (a cura di B. Ambrosino); ibid. 1646, 1648 (nel frontespizio 1642). Pomarium Curiosum, Francofurti 1642; Bononiae 1692, Musaeum metallicum in libros IV distributum, Bononiae 1648 (a cura di B. Ambrosino); una Synopsis dell'opera fu edita da D. Kellner, Lipsiae 1701. Dendrologiae naturalis scilicet Arborum Historiae libri duo, Bononiae 1667 (nel frontespizio 1668), a cura di O. Montalbano; Francofurti 1671, 1690 (sotto il nome di O. Montalbano); di due edizioni bolognesi del 1648 e del 1665, ricordate dal Mazzuchelli e dal Fantuzzi, non esiste traccia. Dendrologiae Tomus alter (esistono solo il frontespizio e una pagina in bozza fatti comporre nel 1671 da O. Montalbano; un esemplare presso la Biblioteca comunale di Bologna).

Bibl.: G. Fantuzzi, Memorie della vita di U. A., Bologna 1774; O. Mattirolo, L'opera botanica di U. A.(1549-1605), Bologna 1897; M. Cermenati, U. A. e l'America, Roma 1906; E. Costa, U. A. e lo Studio bolognese nella seconda metà del sec. XVI, Bologna 1907; Intorno alla vita e alle opere di U. A., Studi di A. Baldacci, E. De Toni, L. Frati, A. Ghigi, M. Gortani, F. Morini, A. O. Ridolfi, A. Sorbelli, Bologna 1907; Onoranze a U. A. nel III Cent. della sua morte, Imola 1908; L. Frati, U. A. e Ferrara, Ferrara 1908; G. B. De Toni, Contributo alla conoscenza delle relazioni del patrizio veneziano P. A. Michiel con U. A., Modena 1908. Questioni particolari: O. Mattirolo, Illustrazione del primo volume dell'erbario di U. A., Genova 1899; G. B. De Toni, Illustrazione del secondo volume..., Venezia 1908; Id., Illustrazione del terzo volume..., Genova 1908; Id., Illustrazione del quarto volume..., Venezia 1911; A. Sorbelli, Contributo alla bibliogr. delle opere di U. A., Bologna 1907; L. Frati, A. Ghigi, A. Sorbelli, Catal. dei manoscritti di Ulisse Aldrovandi, Bologna 1907; A. Forti, Intorno ad un "Draco ex Raia effictus Aldrov." che esiste nel Museo civico di Verona e circa le varie notizie che si hanno di simili mostri nei manoscritti aldrovandiani, Verona 1907; Id., Del Drago che si trovava nella raccolta Moscardo e di un probabile artefice di tali mistificazioni: Leone Tartaglini da Fojano, Verona 1914; G. B. De Toni, Spigolature Aldrovandiane, I-XVIII (1907-1920); E. Morini, La Syntaxis Plantarum di U. A., Bologna 1907; A. Andres, I meriti zoologici di U. A.,Roma 1908; R. Fabiani, Sulle specie di Ranina finora note ed in particolare sulla Ranina Aldrovandi , Padova 1910; A. Trotter, Le cognizioni cecidologiche e teratologiche di U. A. e della sua scuola, Avellino 1910; A. Baldacci, Prime ricerche intorno all'opera compiuta da U. A. per il protomedicato e l'antidotario, Bologna 1913; G. B. De Toni, U. A., in A. Mieli, Gli scienziati italiani, I, Roma 1923, pp. 328-336; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, VI, New York 1951, passim; Encicl. Ital., II, pp. 284-285.

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