LOCATI, Umberto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LOCATI, Umberto

Simone Ragagli

Nacque a Castel San Giovanni, presso Piacenza, il 4 marzo 1503, da una famiglia di umili origini, ed entrò giovanissimo, il 13 luglio 1520, nel convento cittadino dell'Ordine dei predicatori denominato di S. Giovanni in Canale.

Per il successivo periodo non si sono conservate molte informazioni, quindi risulta piuttosto difficile seguire i suoi spostamenti, che furono numerosi. Comunque, dopo l'ordinazione a sacerdote e il conseguimento della laurea in teologia e diritto canonico forse a Bologna, è probabile che abbia insegnato in diversi conventi domenicani dell'Italia centrosettentrionale, tra cui Vigevano e Alba, dove si trovava nel 1542.

Proprio in questi anni ebbe modo di conoscere e sviluppare un rapporto di reciproca stima con Michele Ghislieri, il futuro Pio V, che in seguito avrebbe largamente favorito la sua carriera ecclesiastica e la sua attività di inquisitore. Nel 1551, inoltre, il fatto che fosse inviato come ispettore presso il convento domenicano dell'Aquila, sede dello Studium generale della provincia domenicana abruzzese, testimonia la considerazione della quale era oggetto all'interno del proprio Ordine.

Nel 1557 la sua presenza è segnalata a Casale, mentre il 19 nov. 1558 fu nominato inquisitore di Pavia. Negli anni immediatamente successivi aggiunse a questo ufficio quello di priore del già ricordato convento di S. Giovanni in Canale, in un momento nel quale si stavano ricostruendo nell'edificio nuove carceri per l'Inquisizione. Il L. contribuì largamente all'edificazione delle prigioni sia con ingenti donazioni personali sia utilizzando il denaro ricavato dalle spese processuali degli imputati, dalle pene pecuniarie e dalle confische del tribunale locale. Il 24 genn. 1560 fu nominato inquisitore di Piacenza, carica che esercitò con zelo fino al novembre 1566.

Pochi mesi dopo, nel maggio 1560, il L. fu coinvolto in un caso concernente una presunta visione della Vergine da parte di una donna di umile estrazione sociale. Il vicario episcopale, chiamato a decidere sull'autenticità del miracolo e sull'opportunità di assecondare le istanze dei fedeli della campagna circostante soprattutto in merito alla consacrazione del luogo dell'apparizione, stabilì che, nonostante la probabile falsità della visione, si dovesse procedere con l'erezione di un oratorio. La reazione congiunta del domenicano Pietro Martire Gattino, che condannò duramente la decisione, e delle autorità cittadine (che intrattenevano rapporti tutt'altro che distesi con la campagna limitrofa ed erano profondamente legate alla Curia) costrinse il L. a trasmettere la questione a Roma. Anche se il Ghislieri, tramite una lettera, riconobbe che la responsabilità dell'accaduto andava attribuita al vicario e non all'inquisitore, ciò non evitò al L. un contrasto personale con il confratello Gattino, nonché un certo discredito presso il duca Ottavio Farnese, che in seguito giunse a richiederne, senza successo, la sostituzione.

Soprattutto nel quinquennio successivo il L. perseguì e debellò uno sparuto, ma coeso, gruppo ereticale, composto soprattutto da dottori in legge e da letterati - ma anche da membri del clero secolare - variamente connesso con le espressioni della Riforma e del dissenso religioso. Nel 1564 divenne nuovamente priore di S. Giovanni in Canale, episodio che conferma come la vicenda della presunta apparizione della Vergine non avesse intaccato più di tanto il suo prestigio personale. In questo stesso periodo piacentino il L. alternò l'attività inquisitoriale con lo studio, coltivando in particolare i suoi interessi storico-cronachistici.

Agli anni 1562-66 risalgono, infatti, l'ideazione e la composizione delle tre opere principali che il L. ci ha lasciato. Ricordiamo, in primo luogo, quella che porta il titolo De Placentinae urbis origine, successu et laudibus, dedicata agli Anziani della città, pubblicata nel 1564 a Cremona per i tipi di Vincenzo Conti, che, l'anno successivo, ne pubblicò anche la traduzione in volgare eseguita dallo stesso autore, sotto il titolo di Cronica dell'origine di Piacenza.

Il L., attraverso riferimenti a storici della classicità romana, in special modo a Tito Livio, ma soprattutto a cronisti medievali, nonché a scrittori del primo Cinquecento, sviluppa un indice sommario della storia della città, partendo dalla fondazione mitica per giungere fino al 17 luglio 1564. Avvalendosi prima della forma annalistica, poi di una nutrita serie di inventari delle ricchezze umane, artistiche e architettoniche del luogo, costruisce un esempio peculiare di storia municipale, che risulta però difficilmente inquadrabile negli schemi della letteratura storiografica coeva. La cornice di fondo, costituita da due dialoghi (uno dei quali veicola un'ampia digressione sui caratteri della nobiltà piacentina), riconduce in effetti a uno schema rinascimentale, ma risultano del tutto assenti, o posti in secondo piano, diversi elementi tipici di questa cultura, come la finalità e la connotazione marcatamente pedagogico-prescrittiva, il culto anche formale dei classici e il principio della imitatio, la divisione in libri o il ricorso ad alcuni loci communes emblematici, quali il rapporto virtù-fortuna. La Cronica, quindi, pare presentare semmai evidenti analogie sia con il genere della descriptio urbis, soprattutto in relazione alle appendici di tipo inventariale, sia con la tradizione cronachistica cittadina dei secoli precedenti, anche se l'accento non viene assolutamente posto sugli eventi contemporanei all'autore. L'opera in generale, non avulsa da errori grossolani, presenta un carattere marcatamente discorsivo e descrittivo, e manca di profondità di analisi.

Un altro lavoro di carattere storico del L. è intitolato L'Italia travagliata nuovamente posta in luce nella qual si contengono tutte le guerre, seditioni, pestilentie et altri travagli li quali nell'Italia sono stati dalla venuta d'Enea troiano in quella, infina alli nostri tempi, da diversi authori racolti, composto quasi totalmente prima della fine del 1566, ma edito a Venezia solo nel 1576 per Daniele Zanetti.

Incentrato in senso largo sul tema delle invasioni dell'Italia, soprattutto in relazione all'epoca antica e medievale, strutturato in forma annalistica e costituito da una congerie piuttosto eterogenea di materiali, sovrapposti in modo scarno e descrittivo, questo secondo testo risulta ancora più difficilmente classificabile rispetto alla Cronica, e si deve forse porre in relazione con il genere della storia come "compendio" di storie altrui.

Comunque, l'opera più celebre e diffusa del L. è sicuramente il manuale inquisitoriale Opus quod iudiciale inquisitorum dicitur, concluso già nel 1565, con dedica al Ghislieri, e pubblicato una prima volta tre anni dopo a Roma, per i tipi di Antonio Blado.

Si tratta di un lavoro con finalità eminentemente pratiche, che rispecchia e riassume l'esperienza inquisitoriale personale del L. nelle sedi di Pavia e, soprattutto, di Piacenza. Fu tra i primi concepiti espressamente per l'attività dell'Inquisizione romana, anche se risentiva particolarmente della tradizione manualistico-giurisprudenziale elaborata in ambito spagnolo. La prima edizione consta di quattro parti nettamente distinte: I) un ampio repertorio alfabetico di temi inquisitoriali, che riunisce quasi 290 voci; II) un elenco di 20 quaestiones affrontate nei giudizi; III) una discussione su casi concreti con relativa decisione, 28 dei quali trasmessi a Roma e altri (14 in tutto) concernenti esclusivamente l'attività del tribunale piacentino; IV) un formulario per la redazione degli atti giudiziari da parte degli inquisitori. La seconda edizione, del 1570 (ancora per i tipi di Blado) presenta circa 40 lemmi in più, aggiunge altre 13 questioni, soprattutto relative alla confisca e ai diritti del S. Uffizio sui beni dei condannati, e offre anche una collezione di 11 decreti emanati dalla congregazione dal giugno 1556 al luglio 1569, in cui si precisano alcuni aspetti della procedura seguita e si testimonia delle sue accresciute prerogative e della sua giurisdizione. L'opera - che fu riproposta una terza volta a Venezia nel 1583 (D. Zenaro), con il titolo Praxis iudiciaria inquisitorum, e con l'inclusione di pochissimi lemmi e soprattutto di altri 11 casi concernenti in senso lato le posizioni giudiziarie della recidiva e dell'impenitenza - influenzò sicuramente i caratteri futuri del relativo genere letterario e rimase formalmente in vigore nel corso del tempo, venendo spesso citata da parte dei successivi autori di manuali, anche nel secolo successivo. Tuttavia, risultando non facilmente consultabile a causa della vastità, dell'organizzazione frammentaria e del carattere eterogeneo, risultò presto meno utilizzata rispetto ad altri manuali di tipo più sistematico, che avevano il pregio di affrontare la materia in maniera parallela rispetto alle varie fasi della procedura inquisitoriale, come in particolare le varie riproposizioni cinquecentesche del Directorium di N. Eymerich, curate da Francisco Peña.

Si ha infine notizia di due altre ricerche, rimaste manoscritte e poi smarrite: un Opus regium historicum, a cui il L. lavorò per tutta la vita senza terminarlo, e un Officium b. Margaretae de Sabaudiae viduae, ad Ordinem S. Dominici in monasterio Albensi quod ipsa a fundamentis erexerat, professae propria Uberti manu scriptum, verosimilmente risalente ai primi anni Quaranta.

All'inizio del 1566, non appena il Ghislieri ascese al soglio pontificio, il L. fu chiamato a Roma dove divenne presto un personaggio influente. Venne nominato, infatti, quasi subito commissario generale del S. Uffizio, mantenendo questa carica, che era già stata rivestita dal suo protettore, per circa cinque anni. Come subdelegato il L. istruì le pratiche da trattare e mandò a effetto le decisioni della congregazione romana in un periodo che - oltre a segnare una tappa fondamentale nel processo di centralizzazione e di affermazione di questo dicastero nella geografia curiale - determinò praticamente la fine del dissenso religioso organizzato in quasi tutte le principali città della penisola, in particolare a Bologna, Mantova e Modena, nonché in alcuni centri minori, come Faenza, che erano stati interessati più profondamente dall'"infezione" ereticale. Nello stesso arco di tempo il suo rapporto privilegiato con Pio V gli valse anche l'investitura all'ufficio di confessore papale e, soprattutto, la mitra episcopale di Bagnorea (Bagnoregio), che gli venne assegnata il 5 apr. 1568. Secondo informazioni piuttosto confuse e non comprovate, pare anche che il Ghislieri avesse intenzione di crearlo cardinale, ma ciò non sarebbe avvenuto solo per l'opposizione dell'autorevole porporato Alessandro Farnese. D'altra parte, sembra più probabile che il L. si defilasse dalle sue posizioni di responsabilità semplicemente per motivi di salute, con verosimiglianza pensando addirittura di trovarsi in punto di morte: prima (fine 1571) si dimise dalla carica di commissario generale del S. Uffizio, poi rinunciò anche al vescovado di Bagnorea in data incerta, forse nel 1574 o, più probabilmente, nel maggio 1581 (Hierarchia catholica, III, p. 128). Presumibilmente nella seconda metà degli anni Settanta decise di tornare stabilmente a Piacenza: comunque lo ritroviamo di certo qui solo alla fine del 1579. Nella sua città di origine riprese presto a svolgere un'intensa attività di mecenatismo e di cura delle strutture materiali e simboliche della Chiesa locale. In particolare, nel 1585 favorì l'edificazione della chiesa di S. Pietro e il 3 novembre dello stesso anno consacrò il tempio di S. Maria della Neve, contribuendo alla decorazione dello stesso nonché all'organizzazione di una piccola infermeria limitrofa al convento di S. Giovanni in Canale.

Il L. morì a Piacenza il 17 ott. 1587.

Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la dottrina della fede, Congregazione del S.Uffizio, Decreta, 1566-71; J. Quétif - J. échard, Scriptores Ordinis praedicatorum…, II, Lutetiae Parisiorum 1720, pp. 278-280; E. Nasalli Rocca, La storiografia piacentina del '500, in Aevum, XXXVIII (1964), pp. 67-73; E.W. Cochrane, Historians and historiography in the Italian Renaissance, Chicago 1981, p. 242; A. Prosperi, Madonne di città e Madonne di campagna…, in Culto dei santi, istituzioni e classi sociali in età preindustriale, a cura di S. Boesch-Gajano - L. Sebastiani, L'Aquila-Roma 1984, pp. 623-636; S. Ditchfield, Alla ricerca di un genere: come leggere la "Cronica dell'origine di Piacenza" dell'inquisitore piacentino U. L. (1503-1587), in Boll. stor. piacentino, LXXXII (1987), pp. 145-167; Id., U. L. O.P. (1503-1587): inquisitore, vescovo e storico, ibid., LXXXIV (1989), pp. 205-221; P. Castignoli, Un contributo alla ricerca sull'eresia "luterana" e la repressione inquisitoriale a Piacenza nel Cinquecento, ibid., XCIII (1998), pp. 20-41; A. Errera, Processus in causa fidei. L'evoluzione dei manuali inquisitoriali…, Bologna 2000, pp. 106-108, 143; Hierarchia catholica, III, p. 128.

CATEGORIE