UMBRIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

UMBRIA

L. Bonomi Ponzi
D. Manconi

È la Regio VI della suddivisione augustea dell'Italia antica (Plin., Nat. hist., XI, 112) che comprendeva un territorio corrispondente solo in parte all'U. attuale. La regione antica infatti coincideva con le odierne Romagna, Marche settentrionali e U. alla sinistra del Tevere e vi erano stanziati gli Umbri, popolazione italica di origine indoeuropea considerata tra le più antiche d'Italia, che originariamente doveva occupare un'area assai più vasta della regione augustea, come si evince dalle fonti antiche. Secondo Erodoto (IV, 94) e altri autori tale territorio arrivava a Ν fino alle Alpi, comprendendo anche parte del territorio dei Tirreni (Herodot., I, 94; Dion. Hal., I, 10, 3; Plin., Nat. hist., III, 50) tanto che erano considerate di origine umbra sia Cortona (Dion. Hal., I, 26) sia Perugia (Serv., Aen., X, 201) e i due versanti dell'Appennino, mentre a E si spingeva fino alle coste dell'Adriatico, e a O confinava con gli Etruschi (Strab., V, 2,10). Gli Umbri sarebbero stati cacciati da Cortona e dalla conca reatina (di cui erano stati i primissimi abitatori) dai Pelasgi e dagli Aborigeni (Dion. Hal., I, 19,1; lust., 20,1) e dalle aree occidentali dai Lidi (Dion. Hal., I, 27,4). Nel quadro leggendario delle origini che riflette, con ogni probabilità, la realtà complessa e per alcuni aspetti estremamente varia dell'Italia protostorica, gli Umbri appaiono quasi costantemente primitivi abitatori di una certa zona da cui vengono cacciati da genti sopraggiunte successivamente.

Un secondo gruppo di fonti (Theopomp., VII, 7; Ath., xii, 526 d-f; Ps.-Scymn., 366; Ps. Aristot., apud Steph. Byz., s.v.) adombra l'avvenuta stabilizzazione degli Umbri in un territorio che andava dal Tevere al mare Adriatico, straordinariamente prospero e fecondo tanto che essi erano paragonati agli Etruschi per ricchezza e mollezza di costumi.

Un terzo gruppo di notizie infine ci viene fornito da quegli autori che parlano degli Umbri in rapporto prima alle vicende che caratterizzarono la politica espansionistica di Roma e successivamente alla storia dello stato romano. Una prima descrizione organica del territorio umbro dal punto di vista geografico risale al VI sec. a.C. e ci viene offerta dal Periplo dello Pseudo-Scilace, altre notizie dettagliate sono fornite da Strabone (V, 227) e da Plinio (Nat. hist., XI, 112). Le fonti letterarie sono state comunque integrate, compensate e chiarite dalle fonti archeologiche grazie a una serie di ricerche sistematiche e approfondite condotte nell'ultimo trentennio nel territorio dell'U. antica.

L'assetto geomorfologico del territorio umbro ha avuto un ruolo non secondario nello sviluppo delle vicende umane. Esso infatti è caratterizzato nella sua parte più interna dalla dorsale appenninica, tosco-romagnola e umbro- marchigiana, intaccata da passi generalmente non elevati sfruttati da importanti percorsi transappenninici in uso fin dalla preistoria. La natura calcarea della dorsale si riflette sul paesaggio e ha condizionato lo sfruttamento del suolo e delle risorse naturali.

Sul lato orientale la catena montuosa è fiancheggiata da una serie di basse colline che si spingono fin quasi al litorale adriatico dove è un'ampia fascia pianeggiante di terreni alluvionali corrispondenti alle basse vallate di fiumi e torrenti, alle cui foci sono stati identificati in alcuni casi punti di approdo e veri e propri porti, come p.es. a Rimini, Pesaro, Ancona. Il versante occidentale, invece, è caratterizzato da ampie valli fluviali, di cui la principale è quella del Tevere, che rappresentò fin dalla preistoria una delle principali vie di collegamento, lungo la direttrice NE-SE, tra Tirreno e Adriatico. Nel complesso si tratta di un territorio vario e movimentato, in cui è possibile sviluppare una diversa tipologia di attività produttive a seconda delle situazioni ambientali, tale da giustificare l'immagine di ricchezza è benessere associata agli Umbri.

Preistoria e Protostoria. - Dal Paleolitico all'Eneolitico. - Il territorio umbro, per la sua posizione geografica e per la sua situazione ambientale (la regione soprattutto in età preistorica era ricca di foreste e di acque, con una fauna selvatica, anche di grandi dimensioni, varia e abbondante) fu interessato fin dal Paleolitico Inferiore dai tracciati di importanti piste delle trasmigrazioni animali a breve e lungo raggio mentre gli immensi boschi e le foreste offrivano una vasta possibilità di raccolta di frutti selvatici. Questa situazione favorì la frequentazione di tali aree fin dal Paleolitico Inferiore, come dimostrano i materiali litici di tipo acheuleano rinvenuti sui terrazzi fluviali del Tevere e dei suoi affluenti (soprattutto Chiascio e Topino). Tale frequentazione è attestata per tutto il Paleolitico e nel Mesolitico. La conoscenza degli aspetti culturali delle fasi più antiche della storia del popolamento del territorio umbro resta, tuttavia, essenzialmente legata alle caratteristiche delle industrie litiche provenienti non da scavi sistematici, tranne che nel caso di Monte Peglia, ma da raccolte di superficie, mentre mancano completamente resti scheletrici umani.

Con l'avvento del Neolitico, probabilmente per le mutate condizioni climatiche e per l'aumento della popolazione, la situazione insediativa e culturale appare più varia e complessa. Nella fase più antica di tale età sembra prevalente nel territorio dell'U. antica la facies a ceramica impressa associata con industria litica ancora di tradizione mesolitica (Maddalena (li Muccia, S. Marco di Gubbio, Nocera Umbra). Soprattutto nella fascia più interna gli insediamenti appaiono dislocati sulla fascia pedemontana nelle zone di passaggio tra pascoli invernali e pascoli estivi. Nelle zone interne, inoltre, le attività agricole appaiono abbondantemente integrate da quelle di caccia e raccolta.

Le fasi neolitiche più recenti, ben documentate grazie anche a ricerche sistematiche nelle Marche, in U. e in Romagna (Grotta Bella di Avigliano Umbro; Norcia, v.; Terni, v.; Attiggio; Sassoferrato; Imola; ecc.), mostrano una situazione ancora più complessa dal punto di vista culturale. Proprio in questo periodo inizia a manifestarsi la vocazione dell'U. a essere area di incontro e scontro tra facies culturali diverse. Nei livelli neolitici recenti dei siti esplorati sistematicamente è attestata ceramica attribuibile alla facies di Ripoli insieme a materiali della facies di Sasso di Furbara (Grotta Bella) o a ceramica di tipo Chassey-Lagozza (Norcia e Attiggio) o di tipo Diana (Norcia). Anche la scelta dei siti insediativi appare variabile: abbiamo insediamenti su terrazzi fluviali (Misano, Sasso- ferrato), di fondovalle (Genga, Attiggio, Terni, Norcia) e sommitali o di pendio. L'uso del territorio appare quindi diversificato a seconda delle situazioni ambientali e climatiche.

Il passaggio tra il Neolitico e gli inizî dell'età dei metalli, noto come Eneolitico, mostra nel territorio umbro un quadro che ancora attende una sua più precisa definizîone. Le fasi iniziali eneolitiche mostrano una certa continuità di vita rispetto al Neolitico Finale, come può notarsi negli insediamenti delle Marche interne appenniniche (Attiggio, Berbentina di Sassoferrato, Casa Giacometti di Arcevia) dove si afferma una facies in parte legata ancora al tardo Ripoli e in parte ricollegabile con espressioni di derivazione Chassey-Lagozza. Queste ultime manifestazioni sembrano invece dominare nel versante centro-occidentale.

Le fasi del pieno Eneolitico vedono ancora una volta il territorio dell'U. antica come area di incontro tra facies culturali diverse. Mentre la parte orientale dell'U. antica è caratterizzata dalla facies di Conelle-Ortucchio, le cui manifestazioni, oltre che nella località eponima, si hanno ad Attiggio, Cava Giacometti, ma anche a Gubbio e a Terni, la parte occidentale vede una più consistente presenza della facies di Rinaldone (Poggio Aquilone, territorio di Assisi). Qualche sconfinamento di elementi del «Bicchiere campaniforme» nell'alta U. antica (valle del Ma- recchia e del Metauro) complicano ancora di più il quadro di questo periodo alle soglie dell'Età del Bronzo.

Età del Bronzo. - L'antica Età del Bronzo è caratterizzata da una molteplicità di facies culturali (Asciano, Rinaldone 2, Montemarano-Scoglietti-Palidoro sul versante tirrenico e Ripatransone sul versante adriatico) attestate con oggetti spesso di rinvenimento casuale, ma ciò nonostante estremamente significativi, provenienti da varie località dell'U., a testimonianza di un'intensa frequentazione e di una certa vivacità culturale: i pugnali tipo Gaurdistallo o le alabarde tipo Cotronei rinvenute sia in area montana-collinare, come quella di Gualdo Cattaneo, sia in pianura, lungo antichi tracciati di collegamento tra il massiccio del Subasio e la catena dei Monti Mariani (è il caso degli oggetti provenienti dalla piana di Assisi o del ripostiglio di asce a margini rialzati da Colfiorito di Foligno, v. plestia), mostrano come tutto il territorio fosse investito da questo flusso culturale.

Con la media Età del Bronzo subentra la relativa uniformità della c.d. Civiltà Appenninica nella cui cerchia centrale rientra il territorio umbro. Tale area manifesta una particolare vitalità intorno all'Appennino umbro-marchigiano, tanto da far ipotizzare una sua funzione di centro propulsore nella diffusione di tale facies culturale. Testimonianze della facies appenninica provengono da tutto il territorio attribuibile agli Umbri, dall'Emilia Romagna alla Toscana interna; dall'U. alle Marche, soprattutto lungo la dorsale montuosa (Nocera Umbra, area spoletina, Pieve Torina, Gola di Frasassi, ecc.). In questa zona il sistema insediativo è basato su stazioni stagionali, riscontrabili per lo più nelle fasce altitudinali più alte, legate all'uso dei pascoli estivi, e su insediamenti stabili presenti prevalentemente nelle aree più basse. L'aspetto più appariscente di questa facies è la classica decorazione incisa o intagliata della ceramica che presenta un ricchissimo repertorio ornamentale. Tra i bronzi ricordiamo i pugnali a codolo, le asce ad alette mediane, gli spilloni. La successiva facies subappenninica, inquadrabile nel Bronzo Recente, accanto a un mutamento climatico che causò condizioni più favorevoli alle attività agricole, vede uno stabilizzarsi più marcato degli insediamenti che in alcuni casi, come quello di Cortine di Fabriano, assumono dimensioni notevoli e testimoniano una situazione economico-sociale di relativa sicurezza. Nella conca del Velino, invece, gli insediamenti, pur mostrando caratteri di stabilità, non raggiungono grandi dimensioni, e si distinguono per il loro numero e per la relativa vicinanza gli uni agli altri. Tali fenomeni continuano nel Bronzo Finale, caratterizzato dalla facies protovillanoviana, che portò forti elementi di novità e mutamento nel quadro sostanzialmente omogeneo dei periodi precedenti: tra questi, fondamentale appare l'introduzione del rito funebre della cremazione in un'area a forte tradizione inumatoria.

Mutano la sintassi decorativa e la tipologia della ceramica, si moltiplica la presenza di armi, a testimonianza di una strutturazione politico-sociale di tipo gentilizio a ideologia guerriera. S'intensificano gli scambi e i contatti con il mondo egeo e con quello dell'Europa centrale, che introducono altri fermenti in una situazione già di per sé complessa.

Nell'area umbra numerose e significative sono le testimonianze protovillanoviane, come le necropoli a incinerazione di Pianello di Genga, Monteleone di Spoleto, Terni I, gli insediamenti perilacustri della conca del Velino o di altura come quello di Monte Primo di Pioraco, probabilmente un luogo di culto, i ripostigli di Gualdo Tadino, di Monte Primo, di Piediluco, Piediluco-Contigliano e di Terni in area umbro-marchigiana e di Poggio Berni e Casalecchio in area romagnola. Accanto ai contesti ora citati una serie di oggetti isolati provenienti da varie località del territorio umbro attestano la diffusione della facies protovillanoviana, che in qualche modo contribuì alla formazione delle facies culturali successive.

Età del Ferro. - Con l'avvento dell'Età del Ferro inizia un processo di grande portata: lo stabilizzarsi dei grandi raggruppamenti etnico-linguistici nelle loro sedi storiche e l'emergere delle culture locali proprie delle singole etnie. Tale periodo è preceduto da una serie di avvenimenti che si verificano più o meno in tutto il territorio umbro, come l'abbandono degli abitati dell'Età del Bronzo e la cessazione della deposizione di oggetti nei ripostigli.

Con l'inizio dell'Età del Ferro, la disgregazione del quadro insediativo dell'Età del Bronzo Finale sembra ricomporsi in una diversa graduale rioccupazione del territorio non sempre coincidente con quella precedente, e sembra caratterizzarsi come meno diffusa, ma certamente organizzata. Le aree maggiormente interessate in questa fase appaiono essere, in U., la fascia appenninica, dove le manifestazioni più importanti sono rappresentate dai rinvenimenti nel territorio di Terni e sull'altipiano di Colfiorito. Nelle Marche la concentrazione appare prevalentemente costiera e più rarefatta lungo le valli fluviali e in aree collinari.

L'area di Terni (v.) nella prima Età del Ferro assume un ruolo primario nel quadro delle comunicazioni e degli scambi dell'Italia protostorica per la sua ubicazione nel punto di convergenza di importanti valli fluviali come quella del Nera e dei suoi affluenti che, collegandosi con la valle del Tevere, mettevano in comunicazione l'Etruria meridionale e la Sabina tiberina con le aree interne appenniniche e con l'area medio-adriatica.

La principale fonte di informazione sulla cultura ternana per la fine dell'Età del Bronzo e le fasi iniziali dell'Età del Ferro è rappresentata dalla Necropoli delle Acciaierie, riportata alla luce tra la fine del secolo scorso e i primi anni di questo secolo durante i lavori per gli stabilimenti siderurgici. Mentre nella fase I sia per il rito della cremazione, sia per la tipologia della ceramica e degli oggetti metallici di corredo, rientra nella facies protovillanoviana, nella fase II appare perfettamente inserita nel quadro della prima Età del Ferro dell'Italia centrale. Il rito della cremazione viene gradualmente sostituito dall'inumazione, che diviene esclusiva dall'VIII sec. a.C. Le sepolture più importanti erano delimitate da un circolo di pietre e coperte con un cumulo di pietrame, secondo un modello che avrà ampia diffusione anche nei secoli successivi in un'area compresa tra la sponda sinistra del Tevere e lo spartiacque umbro-marchigiano-abruzzese. La tipologia della ceramica rappresentata da vasi di impasto bruno (olle, brocche, ciotole) decorati con bugne, cuppelle, cordoni verticali, trova stretti confronti con quella della II fase laziale, mentre i materiali metallici (rasoi di derivazione villanoviana, spade e lance, fibule a due pezzi con arco serpeggiante e staffa a disco spiraliforme) in parte rientrano tipologicamente in classi ampiamente diffuse nelle coeve facies dell'Italia centrale, e in parte possono essere considerate di produzione locale. L'altipiano di Colfiorito di Foligno, indagato approfonditamente nell'ultimo ventennio, rappresenta un altro punto nodale nel quadro delle comunicazioni dell'Italia protostorica per la sua posizione di passaggio obbligato dei percorsi transappenninici E-O. Fin dagli inizî del IX sec. a.C. appare popolato stabilmente, come dimostrano i resti di almeno tre villaggi di capanne ubicati sulle sponde del lago plestino, prosciugato nel XV sec. della nostra èra. Alla fase iniziale di tali villaggi, che da recenti indagini appaiono in uso dal IX al VII sec. a.C., corrisponde un nucleo di tombe dell'ampia necropoli di Colfiorito databile tra il IX e il III sec. a.C. Nelle tombe del IX sec. il corredo è composto da una sola olla di impasto, la cui tipologia è affine a quella di Terni II, e da pochi oggetti ornamentali di bronzo (fibule ad arco serpeggiante a occhielli e staffa a disco spiraliforme, ad arco semplice ingrossato, rasoi a lama quadrangolare o semilunati a lama stretta e curva interrotta). Anche in area marchigiana il rito predominante appare l'inumazione e i materiali di corredo trovano confronto nelle facies culturali dell'Italia centrale, ma anche in contesti dell'altra sponda dell'Adriatico.

Nell'VIII sec. si osserva un notevole aumento dei siti individuati in tutta l'area dell'U. antica, dove ormai appaiono occupate tutte le aree dei principali centri umbri. La zona più interna mostra strette affinità e legami con l'area etrusca laziale, ma anche aperture verso quella padana, come dimostra la tipologia della ceramica e dei materiali metallici, mentre nel settore orientale gravitante verso l'Adriatico è attestata una maggiore capacità di elaborare forme autonome (tipi del Piceno II) dovuta probabilmente anche all'apertura verso altri ambienti.

Periodo orientalizzante. - Nel periodo compreso tra il VII e gli inizî del VI sec. a.C. anche l'area umbra viene investita dal fenomeno culturale noto come «orientalizzante», accompagnato da un evidente processo di mutamento sociale che portò a una netta differenziazione delle classi sociali e all'affermazione di un ceto aristocratico che nelle situazioni più fiorenti assume un ruolo principesco non inferiore a quello delle classi gentilizie dell'area laziale o sabina. La fisionomia di tale ceto appare in tutta la sua evidenza nelle necropoli dove le tombe emergenti si distinguono a volte per la loro monumentalità (tombe a tumulo di pietrame o a circolo), ma soprattutto per i ricchi corredi dove abbondano non solo materiali di produzione locale ma anche quelli di importazione etruschi, centroeuropei, greci e transadriatici, e dove i segni della potenza economica e sociale sono, nelle tombe femminili, una grande abbondanza di oggetti ornamentali, e in quelle maschili il carro e la panoplia di armi di bronzo e ferro da difesa (elmo e scudo) e da offesa (spada e lancia). In ambito funerario è attestata ovunque l'inumazione, mentre si estende l'area di diffusione delle tombe a circolo o con tumulo di pietrame (solo per l'area umbra: Fabriano; Gualdo Tadino; Gubbio, v.; Spello, v.; Fabbrecce di Città di Castello; oltre i siti già documentati in precedenza). Tale tipo di sepoltura nel VI sec. a.C. raggiungerà anche la Romagna (S. Martino in Gattara). Nei corredi vascolari si nota una maggiore varietà di forme con una decorazione ricca e articolata con motivi plastici di cordoni, cuppelle, bugne, solcature, rosette di punti combinati in modo vario e fantasioso. Le forme più diffuse sono: il vaso biconico di derivazione villanoviana a due o a quattro anse (Fabriano, necropoli plestine di Colfiorito e di Taverne di Serravalle); l'olla costolata di probabile derivazione falisco-capenate (Bevagna, Campello sul Clitunno, Pitino di S. Severino); la coppa quadriansata di probabile derivazione sabino-falisca (Colfiorito; Taverne; Russi, v.; S. Martino in Gattara) che può essere considerata il prototipo dei calici a corolla e delle analoghe coppe presenti in un'area piuttosto ampia dell'Italia centrale nel secolo successivo; Toiletta ovoidale con quattro bugne sotto l'orlo, frequente in area romagnola, umbra e marchigiana dal VII al V sec. a.C.: l'olletta-boccale con anse gemelle (Russi; S. Martino in Gattara; Novilara; Tolentino, v.; Taverne; Colfiorito; Moie di Pollenza; Campovalano; Loreto Aprutino). In campo metallurgico si distinguono innanzi tutto i dischi bronzei con decorazione geometrica a sbalzo o incisa, tipici dell'abbigliamento femminile, come dimostrano gli esemplari rinvenuti in contesti con dati di scavo sicuri (Colfiorito, Taverne, Pieve Torina, Moie di Pollenza, Pitino di S. Severino, Numana), la cui area di diffusione oltre l'U. e le Marche comprende anche l'Abruzzo settentrionale, dove sono stati interpretati come dischi-corazza; l'ampia classe dei pendagli ornamentali; la tazza a calotta ombelicata con ansa nastriforme e ampio labbro svasato forse di derivazione hallstattiana, ma la cui area di produzione va riconosciuta in area umbro-appenninica (Terni, Colfiorito, Nocera Umbra, Gualdo Tadino, Bevagna); l'elmo a calotta composita di produzione medioadriatica, ma ampiamente presente anche nei contesti umbri (Fabbrecce, Gualdo Tadino, Monteleone di Spoleto); le ciste a cordoni e del Gruppo Ancona. Il territorio umbro viene ora regolarmente investito dalle correnti di traffico terrestre che tramite l'Etruria meridionale collegavano l'Italia meridionale con l'area padana e quindi con l'Europa centrale halstattiana. I percorsi di tali correnti di traffico sono scanditi da una serie di oggetti di produzione esterna rinvenuti nelle tombe emergenti dell'area umbra. Possiamo citare, p.es., gli scudi di bronzo laminato decorati a sbalzo di produzione etrusca meridionale di Colfiorito, S. Analtolia di Narco, Pitino di S. Severino, Fabriano, Verucchio; il cinturone a losanga di produzione veiente presente oltre che in Etruria, a Poggio Bustone, in area picena, ecc.; le placche di cinturone di produzione capenate; la ceramica falisca importata o di imitazione, presente soprattutto in U. e nelle Marche interne (Fabbrecce, Todi, Taverne, Pitino); il calderone halstattiano di Fabbrecce; i manufatti d'ambra.

Dall'età arcaica alla conquista romana. - Alla fine del VII sec. tale processo appare concluso e in tutto il territorio attribuibile agli Umbri si riscontra un'omogeneità culturale che si evidenzia sia nei modelli politici, ideologici e sociali, sia nella cultura materiale, sia nei modelli insediativi.

L'occupazione del territorio è basata su una serie di insediamenti di altura fortificati (oppida e castella) organizzati in sistemi di tipo paganico-vicano. Nell'habitat oppidanico umbro si riconoscono tre tipi fondamentali di insediamenti: I) a pianta più o meno circolare o ellittica, con fossato continuo e aggere sopraelevato rispetto al piano interno; occupa la sommità di alture tondeggianti a declivo dolce; II) a pianta e profilo articolati; si sviluppa su terrazzi artificiali digradanti verso la linea di fossato esterno, spesso non continua, mentre la parte più alta di questo tipo di insediamento, che in genere occupa un'altura a fianchi ripidi, ha fortificazione propria; III) a pianta subcircolare o quadrangolare con angoli arrotondati occupati da quattro sporgenze, tipo bastioni. Tale organizzazione territoriale scaturisce da una profonda conoscenza delle possibilità offerte dall'ambiente, codificata probabilmente in moduli ricavati dall'osservazione degli eventi astronomici o delle migrazioni animali, p.es. dell'avifauna, secondo un cerimoniale descritto dalle Tabulae Iguvinae, e corrisponde a una strutturazione della società di tipo gentilizio. Oltre all'aumento della popolazione attestato dal numero degli abitati, l'accresciuto benessere si osserva nella composizione dei corredi funerarî che sono quantitativamente e qualitativamente più ricchi. Si distinguono tra tutte le tombe della classe emergente, tra cui si ricordano come esempio quelle principesche di Todi, di Monteleone di Spoleto, con il celebre carro ora al Metropolitan Museum di New York; quelle dell'altopiano plestino, di Fabriano, dove accanto al vasellame bronzeo di produzione etrusca e soprattutto volsiniese compaiono anche oggetti provenienti dall'Italia meridionale, come l'anellino d'argento di tipo ionico della tomba 2 di Colfiorito, dalla Grecia o dall'Oriente, come i pendagli d'avorio di tipo fenicio delle necropoli di Terni, la ceramica attica.

È ancora in tale periodo che si cominciano a evidenziare, tramite le offerte, i luoghi di Culto, di passo, di altura, in grotta, ma posti comunque lungo importanti vie di transito. In genere il santuario, oltre a essere il polo di aggregazione di più comunità, aveva anche funzioni emponche e di servizio in un territorio non ancora o scarsamente urbanizzato. Negli ex voto bronzei possiamo scorgere un'ulteriore conferma dell'ideologia aristocratica: essi rappresentano figure maschili, spesso in armi (scudo, elmo, lancia) o femminili, più o meno schematiche, o figure di animali, tutta la gamma del bestiame componente il patrimonio armentario (ovini, bovini, suini e cani). Nella ripetitività dei bronzetti schematici umbri, si distinguono a volte esemplari che sono delle vere e proprie sculture come il guerriero del Santuario della dea Cupra di Colfiorito, il guerriero di Cagli, o altri di probabile o certa produzione etrusca come il «Marte» di Ravenna o i bronzetti della Valle Fuina di Cascia.

Nel corso del V sec. la società umbra subirà un'ulteriore evoluzione, grazie ai contatti con il mondo etrusco, soprattutto con Volsinii, e allo stabilizzarsi dei suoi livelli economici.

Lo sviluppo di alcuni santuarî, come nel caso di Todi (v.), Amelia (v.), Terni (v.), Spoleto (v.), Gualdo Tadino ecc., rappresenta il sigillo ideologico della trasformazione urbana. I livelli di vita non sono più rappresentati solo dai materiali che compongono i corredi funerari, ma anche, p.es., dagli ex voto dei santuarî in cui possono essere offerte anche opere del livello del Marte di Todi, o da rilievi raffiguranti scene di vita urbana come il rilievo di Terni, o da testi scritti come le Tabulae Iguvinae. Anche negli abitati vi è una gerarchizzazione: accanto agli insediamenti sommitali fortificati già ricordati, in alcuni centri sembra avvenire un processo di urbanizzazione che si manifesta, p.es., con la costruzione di mura in opera poligonale nell'U. centro-meridionale (Rocca di Spoleto, Cesi di Terni, Monte Orve di Colfiorito) o con la pianificazione degli spazi urbani come nel caso di Colle Mori di Gualdo Tadino, di Bevagna, Spoleto, ecc. In alcuni di questi centri si sono potute individuare unità abitative composte da più ambienti (in genere tre) e forse a due piani, con muri in pietrame a secco e alzato ligneo con tetti di tegole e coppi (Gualdo Tadino; Pesaro, v.; Verucchio). Nel corso del IV sec. a.C. il processo di urbanizzazione si accentuò soprattutto nei centri della fascia costiera e in quelli più fiorenti delle aree interne. Nello stesso periodo all'influenza delle città etrusche ormai in calo subentra quella di Roma non solo dal punto di vista politico, ma anche commerciale. L'U. viene massicciamente investita, p.es. dalle produzioni ceramiche falische a figure rosse o a vernice nera (Full Sakkos Group, Phantom Group) o di produzione romana (pocula, p.es., a Spello o a Norcia). La trasformazione non risalta solamente nell'assetto dei centri abitati e del territorio, ma anche nella strutturazione della società, basata ora su una suddivisione più ampia del potere, affidato a magistrati e non più a singole gentes. Sacerdozi e magistrature sono attestati da testi scritti come le Tabulae Iguvinae, l'orologio solare di Bevagna o il cippo di Foligno (questi ultimi databili nel III sec. a.C.). Il crescente interesse politico di Roma verso il territorio umbro, che si manifesta con una strategia di alleanza e occupazioni, come le alleanze con Camerinum e Ocriculum (v. otricoli) nel 310 e nel 308 a.C., la distruzione di Nequinum e la conseguente deduzione della colonia di Narnia (299 a.C.) culminerà nella battaglia di Sentino (v.) del 295 a.C. a seguito della quale l'U. entrerà definitivamente nell'ambito romano.

Bibl.: Singole voci e informazioni sui centri umbri sono reperibili in RE, BTCI, e nei periodici Bollettino della Deputazione di Storia Patria dell'Umbria, AnnPerugia, Spoletium, Picus, NSc, StEtr, BPI, RScPreist, Studi Maceratesi.

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(L. Bonomi Ponzi)

Età romana. - Gli insediamenti romani sono fortemente influenzati dalle caratteristiche geografiche e morfologiche del territorio e quindi naturalmente condizionati dai precedenti insediamenti indigeni. La persistenza sugli stessi siti di centri medievali che hanno proseguito la loro vita fino all'epoca attuale ha reso spesso complicata, se non parziale, un'accurata documentazione topo- grafico-archeologica.

Di particolare rilievo sono le grandi vallate dell'U. meridionale: quelle formatesi intorno ai fiumi Tevere e Clitunno, la vallata di Gualdo Tadino, e quelle che si estendono nell'U. nord-orientale lungo una serie di diramazioni create da alture e corsi d'acqua in un sistema a pettine (N-NO/S-SE) che, scendendo dal centro della catena appenninica verso l'Adriatico, condiziona la distribuzione degli insediamenti.

La tradizione fa risalire alla fine del IV sec. a.C. e precisamente al 310 i primi contatti (foedus aequum) tra i Romani e i Camerti, una delle popolazioni che abitavano entro i confini della regione (Liv., IX, 36). La decisiva battaglia di Sentino (295 a.C.) e quella del lago di Vadimone (283 a.C.) dà ai Romani la possibilità di accedere alla regione medioadriatica e di occupare il territorio dei Galli Senoni fra l'Esino e il Rubicone (ager gallicus). Poco dopo (290-288 a.C.) vengono fondate le colonie marittime di Sena Gallica (v. Senigallia), e di Ariminum (v. rimini), quindi (299 e 241 a.C.) quelle di Narnia (v. narni) e Spoletium (v. Spoleto). Il processo di romanizzazione, già avviato nell'agro gallico (nel 247 viene dedotta la colonia romana di Aesis) si estende presto pure al resto della regione, accelerato anche dalle iniziative legislative promulgate da C. Flaminio. La nascita della città di Suasa (tra S. Lorenzo e Castellone di Suasa, v. suasa) e della vicina Ostra (Ostra Vetere) in seguito alla Lex Flaminia de agro gallico et Piceno viritim dividundo del 232 a.C., porta a una massiccia presenza di coloni romani in questo settore della penisola e alla conseguente necessità di riorganizzare l'assetto del territorio. Vengono così costituiti nuovi centri, non necessariamente urbani, che fungono da punti di riferimento sociale, politico e amministrativo. Le colonie già esistenti sono perciò affiancate da nuove deduzioni e, in particolare, viene creata una fitta rete di praefecturae, molte delle quali destinate a divenire in seguito municipia nel corso del I sec. a.C., all'indomani della guerra sociale. È possibile che anche Suasa e Ostra siano sorte come praefecturae in appoggio alla colonia di Senigallia e abbiano successivamente raggiunto dignità amministrativa.

Poco dopo, l'apertura della Via Flaminia (220 a.C.), realizzata a opera di C. Flaminio, mette in comunicazione Roma con la costa adriatica, attraverso Ocriculum (v. otricoli), Narni, Carsule, Mevania (Bevagna). Si ricongiunge a Fulginiae (v. Foligno), Spoletium e Trebiae (v. trevi), prosegue verso Nuceria (Nocera), Tadinum (Gualdo Tadino), Suillum, e arriva alla costa adriatica, attraversando la vallata del Metauro e Forum Sempronii (Fossombrone), fino a raggiungere Fano per proseguire verso N fino a Rimini. La realizzazione della strada consolida in realtà antichi tracciati già esistenti. Durante gli anni della guerra annibalica la regione rimane sostanzialmente fedele a Roma collaborando con essa, fugando il nemico nella battaglia presso il Metauro nel 167 e fornendo aiuti (Camers) a Scipione in partenza per l'Africa (Liv., xxviii, 45).

Subito dopo lo scontro Roma riprende la sua politica coloniale nella regione: del 184 è la colonia di Pisaurum (v. pesaro; Liv., xxxix, 44, 10; Veli., é, 15, 2). In seguito gli interventi romani sono strettamente collegati alla politica sociale di Gaio Gracco. Di questi anni è anche la fondazione di Forum Sempronii e alla stessa cronologia si può ricondurre la presenza di un cippo di restitutio agrorum presso Fano (CIL, XIι, 6331). E inoltre da ricordare il contributo delle due coorti di Camerti alla vittoria sui Cimbri, che Mario premia con il dono della cittadinanza romana (Cic., Balb., 20, 46; Val. Max., V, 2, 8; Plut., Mar., 28).

Cesare, traendo vantaggio dall'accoglienza a lui favorevole in senso antisenatoriale, si impadronisce della regione nel 49 a.C. e deduce leve dalle diverse città. Alla sua scomparsa seguono ripetute sommosse, cui partecipano anche le città dell'Umbria. Le leve vengono rinnovate anche dopo la sua morte, così come dopo la battaglia di Perugia. Città appartenenti alla stessa regione si trovano schierate su fronti contrapposti: Sentinum (v. sentino) viene assediata, vinta e saccheggiata per essersi trovata dalla parte di Antonio; Hispellum (v. spello) vede ampliato il suo territorio con aggiunte extraterritoriali (la zona delle fonti del Clitunno: v. clitunno, tempietto del) per essersi trovata dalla parte di Augusto durante la guerra di Perugia.

Le politiche di colonizzazione attuate dai triumviri e in seguito da Augusto per ripagare i propri soldati e poter creare lavoro con le assegnazioni agrarie, arrecano gravi conseguenze dal punto di vista della gestione del territorio e del suo equilibrio sociale. Divengono oggetto di deduzioni coloniarie in età triumvirale Tuder (v. Todi), Pesaro, Fano, Spello, mentre il territorio di altre città, secondo il Liber coloniarum, viene sottoposto a distribuzioni viritane. Le nuove deduzioni e le conseguenti immissioni di nuove genti di varia origine che beneficiano di assegnazioni di terre a scapito delle comunità locali risultano determinanti per l'assetto territoriale. Con il I sec. a.C. il processo può dirsi ormai definitivamente concluso con la concessione della cittadinanza e la realizzazione di ordinamenti municipali amministrativamente autonomi.

La completa romanizzazione si attua con Augusto. In seguito solo raramente l'U. è ricordata dalle fonti nel I, nel II e nel III sec. d.C. e la documentazione si avvale spesso soltanto dell'apporto dei rinvenimenti archeologici. Nel 253 d.C. sappiamo di uno scontro avvenuto tra i tre imperatori Volusiano, Treboniano Gallo e Decio a Terni. Durante la restaurazione dioclezianea la Regio VI entra a far parte della Tuscia et Umbria. Il maggiore documento dell'inizio del IV sec. è costituito da un'epigrafe, il «Rescritto costantiniano» (CIL, XI, 5265), fondamentale per la comprensione dell'importanza religiosa del centro di Spello in epoca tardoantica.

Della realizzazione delle numerose città romane presenti nella Regio VI non conosciamo perfettamente tutte le varie fasi costruttive ed edilizie conseguenti alla colonizzazione latina prima e alla romanizzazione poi. Attraverso vecchi e più recenti rinvenimenti si può in ogni caso mettere a fuoco, con sufficiente realismo, la formazione di centri con edilizia stabile. In una prima fase di impatto con i colonizzatori, compresa tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C., vediamo alcuni centri ancora liberi munirsi di mura: valga per tutti l'esempio di Spoleto, il cui oppidum si circonda in questo periodo di una cinta in opera poligonale, dotandosi inoltre di un impianto idrico di notevole portata. Per gli insediamenti urbani materialmente più consistenti possiamo ricordare la realizzazione di Tadinum: il recentissimo scavo di parte del centro abitato realizzato con capanne e disposto su comode terrazze colma finalmente il vuoto archeologico e documentario che le Tabulae Iguvinae ci facevano intuire per la vicina Iguvium (v. Gubbio). Tracce di capanne si sono trovate in scavi dell'ultimo decennio anche a Spoleto (zona di S. Nicolò), e materiali dello stesso periodo sono presenti presso la chiesa di S. Andrea a Spello.

Nel III-II sec. a.C. esiste una fase edilizia di tipo finalmente stabile, meglio documentata per un numero maggiore di centri urbani: Spello, Gubbio, Assisi, Spoleto, Bevagna, ecc., anche se gli elementi organici dell'urbanizzazione risultano assai semplificati.

Possiamo dire che normalmente il castelliere in zona urbana viene sostituito dall'acropoli.

Esistono inoltre diversi tipi di situazioni di città: la più comune è la città terrazzata di tradizione ellenistica esemplificata da Gubbio, Sestino, Sassina, Spoleto, Spello, Trevi, ecc., ma non sono rare le città costruite in pianura: Bevagna, Città di Castello (Tifernum Tiberinum), Foligno, Carsule, Otricoli, ecc.

In generale per il materiale da costruzione o per scolpire fregi o rilievi viene utilizzato il tufo o l'arenaria in età repubblicana; in età imperiale è preferito a tutti gli altri materiali il calcare, presente in molte cave della regione, e il laterizio; il marmo, importato, è quello di Luni e spesso, nella zona nord-orientale, quello rosso di tipo veronese. Si ha tradizione di mura di età repubblicana in laterizio solamente per Bevagna.

Ancora piuttosto sfuggenti appaiono i rapporti tra le varie città e il territorio, anche se i più recenti studi (in particolare quelli di L. Mercando e di M. Luni e delle due Soprintendenze Archeologiche per le Marche e per l'U.) hanno riempito in parte questo vuoto.

Nell'esame del territorio, se di grande rilievo sono i due rami della Via Flaminia e dei suoi diverticoli, non dobbiamo dimenticare le viabilità minori (la Amerina, la Plestina, l'attacco con la Nursina a Spoleto), che permettono il collegamento dei varî centri tra loro e con le regioni circonvicine: il Latium, l'Emilia, l'Etruria, la Sabina.

Per l'età repubblicana la documentazione archeologica non è ricchissima: Iesi ha attestazioni produttive per le fasi più antiche delle prime colonie, con la presenza di un impianto artigianale per la fabbricazione di ceramica a vernice nera attivo tra la fine del III e gli inizî del II sec. a.C.

Contemporanea alla colonizzazione o di pochi decenni successiva è la monumentalizzazione dei templi, spesso realizzati, ma non sempre - sia all'interno dei centri urbani sia in zona appena extraurbana - sullo stesso sito in cui sorgevano i santuarî indigeni d'epoca arcaica: a Urvinum Hortense (v.), a Bettona (Vettona), a Gubbio, a Spello, ad Assisi. Come deduciamo dai materiali archeologici di contesto, in particolare le terrecotte architettoniche, la maggior parte di questi santuarî continua a essere frequentata ancora in epoca tardoimperiale: si veda il caso di Montefortino d'Arcevia, o quello del Lucus Pisaurensis (loc. S. Veneranda).

È da ricordare inoltre come caso specifico la documentazione offerta dalla Lex Spoletina e il culto di Giove in essa menzionato, che risale già alla seconda metà del III sec. a.C. Entrambi i luci di Spoleto e Pesaro, e i relativi santuari, sembra debbano ricollegarsi con la fondazione delle rispettive colonie.

Per il periodo più antico, oltre alla documentazione epigrafica concernente essenzialmente i luci sacri di Spoleto e Pesaro (rispettivamente seconda metà del III e II sec. a.C.) e ad alcune iscrizioni dedicate a divinità (Spoleto), abbiamo documentazione di una faina d'oro dal territorio di Iesi, di terrecotte architettoniche provenienti dai templi, o dalle stipi votive di Urvinum Hortense, Spoleto, Gubbio, Bettona.

Naturalmente assai numerosa è la presenza, soprattutto nei centri urbani ma anche nelle necropoli, di documentazione stratigrafica di vernice nera o di ceramica falisca (Spello, Spoleto, Gubbio), talora associata a materiale dell'Età del Ferro, il che ci indica proprio la cesura creata dall'avanzata, anche commerciale, dei Romani all'interno di un mondo di genti italiche profondamente immerso sino allora in una realtà tribale di ben diverso peso e relazioni politiche dal punto di vista economico-sociale.

Sono da ricordare inoltre le fabbriche di ceramiche megaresi di Popilius e di Lapius a Bevagna e a Otricoli, il cui spostamento e il cui commercio sono certamente facilitati dalla via d'acqua tiberina, così come successivamente lo sarà l'esportazione di laterizi ocricolani di Iu- lius Paulinus fino a Roma. E quindi facilmente comprensibile lo sviluppo e l'importanza assunta dai porti fluviali, presso Torgiano, presso Bevagna, presso Otricoli, oltreché da quelli marittimi (Senigallia, Fano, Pesaro), in questa regione.

In connessione con la colonizzazione va menzionata l'esistenza di alcune rare zecche di monete (Gubbio, Todi) e la tesaurizzazione di gruppi di altre (aes rude, aes grave e aes signatum in un tesoretto della seconda metà del III sec. a.C. in loc. La Bruna-Spoleto).

A Bevagna (Porta Guelfa) è stata parzialmente indagata un'area pubblica databile tra la metà del III e l'inizio del I sec. a.C.: è stato esplorato un ninfeo e si è ritrovato anche un tesoretto monetale di 250 denari (databili tra il 268 e P89 a.C.), il secondo che viene alla luce nella città, dopo che un altro di 911 denari repubblicani, compresi nello stesso arco cronologico, era stato rinvenuto nel 1929. La data finale ha fatto ritenere che il loro abbandono sia legato alle vicende connesse con la guerra sociale.

Per quanto riguarda la scrittura, numerosi sono i legami tra le due sponde del Tevere ed è da ricordare che in questo periodo l'area umbra (Gubbio in particolare) è fortemente influenzata dalla scrittura etrusca tipica soprattutto di Cortona e Perugia. Il corpus umbro di epigrafi di carattere pubblico o religioso è assai modesto, ma si ricorda a questo proposito la scoperta di una meridiana con iscrizione umbra in località Madonna del Core alla periferia di Bevagna: l'iscrizione occupa la facciata inferiore del blocco e ricorda due quaestores far(r)arii, che hanno rammentato agli studiosi gli homonus duir puri far eiscurent di Gubbio (tavola Vb, 8/18). Per l'orologio solare è stata proposta una datazione tra la fine del II e gli inizî del I sec. a.C.

L'itinerario preferenziale della Via Flaminia, accanto a quella etrusca, introduce tipi diversi di grafia latina e quasi simultaneamente l'uso progressivo della lingua stessa (come testimonia la Lex Spoletina).

A Spello recenti rinvenimenti hanno messo in luce, agli estremi limiti meridionali del centro antico, una tomba a fossa con inumato, nella località Via Baldini (inizio III sec. a.C.), entro un circolo di pietre, con materiali di importazione falisca e più genericamente etrusca (Orvieto) e materiali d'impasto locale. Poco lontano (loc. Portonaccio) è stata scavata una necropoli dello stesso periodo, con olle di incinerati, tombe a fossa e corredi di un certo rilievo contenenti bronzi, monete, materiale a vernice nera di produzione locale e urbana. Assai interessante la posizione delle necropoli lungo la direttrice Spoleto-Assisi, a riprova dell'esistenza del percorso stradale in età repubblicana.

Anche a Gubbio (loc. S. Biagio) sono presenti tombe a circolo con uno o più inumati, in una necropoli che dal VI sec. a.C. iniziale perdura almeno fino al II sec. a.C.

Sono stati rinvenuti, in vecchi e nuovi scavi, fulcra di almeno due letti funebri ad Arna, mentre un letto - completo di fulcra, rivestimenti delle gambe, elementi del telaio, parti bronzee di rivestimento - è stato messo in luce in epoca recente in località Fontevole a Gubbio: entrambi i ritrovamenti sono databili al II sec. a.C.

Nel descrivere l'U. Strabone (V, 2, 10) conclude la sua illustrazione rilevando che la regione - «pur un po' troppo montuosa» (si vedano gli esempi di Camerino, Sestino e Iesi) - è fertile e adatta a ogni tipo di coltura, ma soprattutto agli alberi da frutta più che ai cereali (Strab., V, 4,2). Lo scrittore sottolinea inoltre che il territorio nutre gli abitanti col farro e col grano (Plin., Nat. hist., XVIII, 27, 106; Strab., V, 2, 10): si è così pensato che il frumento si coltivasse più nelle zone pianeggianti che nella fascia costiera. Tra i prodotti necessari all'alimentazione sono menzionate alcune viti tipiche della zona: la itriola, la bananica, la palmensis (Plin., Nat. hist., XIV, 4, 37; Colum., III, 2, 25). Per quanto riguarda la zootecnia, la notizia pliniana di formaggi prodotti nell'alta valle dell'Esino (Plin., Nat. hist., XI, 42, 97) può rimandare ad allevamenti di ovini.

La natura del territorio è caratterizzata da un contesto produttivo assai condizionato dall'ambiente geografico, in cui la netta prevalenza di terreni collinari e montuosi sembra aver determinato un'attività economica basata essenzialmente sullo sfruttamento delle risorse create dalle numerose foreste e dal relativo legname e inoltre sulla pastorizia e sull'allevamento. In particolare l'economia della selva acquista sempre maggior rilievo in rapporto ad altre forme di sfruttamento del territorio, legato a un crescente fabbisogno di legname usato sia per la carpenteria sia come combustibile, per il riscaldamento o per la preparazione di calce e laterizi e soprattutto come materiale per la costruzione. Un sostanziale ampliamento dei consumi deve essersi verificato con le aumentate necessità costruttive derivate dal processo di urbanizzazione, subito dopo la guerra sociale: si pensi che nella regione si possono contare una cinquantina di centri urbani documentati archeologicamente tra municipi, fora e vici e la stessa cosa si può evincere anche dai cambiamenti nella scala di redditività delle colture così come ci viene presentata da Catone, Varrone e Columella.

Oltre alla viabilità terrestre la regione può sfruttare, con grandi vantaggi economici, una serie di fiumi navigabili, o meglio viae aquae, in particolare il Tevere, il Clitunno e il Chiascio, che consentono il trasporto a Roma di legname, di derrate alimentari, di animali (si ricordino i buoi delle campagne intorno a Bevagna che, utilizzati per i sacrifici nell'Urbe, vengono trasportati sulle chiatte lungo il fiume Clitunno).

In particolare per ciò che riguarda il Tevere, sappiamo che esso ha costituito una possibilità di trasporto privilegiata che da Tifernum Tiberinum - dove è ben documentata dai recenti scavi la villa di Plinio in Tuscis in località Colle Plinio - permetteva l'arrivo di legni e derrate alimentari a Roma. Particolarmente interessante appare a questo proposito la recente lettura di un'iscrizione (della metà del II sec. a.C.) che ricorda, presso Urvinum Hortense, uno schiavo qualificato come magister navium, carica che ricopre normalmente colui che, interessandosi anche del rifornimento della nave, cura la sicurezza delle derrate e dei passeggeri trasportati dall'imbarcazione.

L'allevamento, assai praticato nella regione, si configura come transumante tra i pascoli montani, sfruttati nel periodo estivo, e le pianure costiere sia adriatiche sia tirreniche utilizzate durante la stagione invernale (Cic., Div., I, 41, 92 e 42, 94). Alcuni indizî nelle fonti hanno fatto pensare che una sostanziale crisi abbia investito i centri montani nel I sec., anche a causa dei provvedimenti augustei di riordino amministrativo della regione con l'allargamento del territorio di alcuni municipi sia costieri sia interni a danno di quelli montani.

Successivamente la vasta fioritura di collegi di centonari, di dendrophori e di fabri (a Urvinum Mataurense e a Ostra, a Suasa, a Tuficum) e l'attività evergetica di ceti locali con ampie disponibilità finanziarie, hanno fatto ipotizzare una ripresa delle attività economiche connesse al pascolo e allo sfruttamento delle risorse delle foreste.

Nella seconda metà del I sec. a.C. compaiono, in buona parte dei municipi, numerosi ritratti spesso in marmo (Gubbio, Spello, Bevagna, Sarsina, Todi).

Le nuove fondazioni e le ristrutturazioni urbanistiche talvolta radicali dei municipi, si esprimono in forme monumentali, consone all'ideologia del principato. Strumento privilegiato per l'ottenimento del consenso politico diventa l'instaurazione a livello locale del culto imperiale, di cui viene solennizzata e divulgata l'immagine.

Ai ritratti (una testa femminile in marmo, c.d. Ottavia, a Fano; a Pesaro ritratti in marmo di Gaio Cesare, di Livia, di Augusto giovane; ritratti della dinastia giulio-claudia a Forum Sempronii; a Sarsina (v.) una Livia; a Fano una statua marmorea di Claudio, una testa di Ottavia, un ritratto maschile di età giulio-claudia; a Iesi, ritratti di età giulio-claudia da S. Floriano; ritratti della dinastia giulio-claudia e di Adriano a Fossombrone; una testa colossale di Claudio a Carsule; una testa di grandi dimensioni giulio-claudia, a Sestino) si aggiungono i cicli statuarî, conservati per lo più nelle terme o nelle basiliche o nei teatri. Sono note anche numerose basi di statue (base dedicata a Elio Vero a Fossombrone; a Sestino un cippo iscritto dedicato a Marco Aurelio, del quale rimane un piede di bronzo scalzo) e di statue loricate (Fossombrone; Sentino).

Per ciò che riguarda l'artigianato, a Bevagna, dopo la concessione della cittadinanza romana agli Italici, si sviluppa una produzione di urne cinerarie decorate a rilievo e con iscrizioni latine, caratteristica della zona, che continua fino alla fine del I sec. a.C. e si ricollega all'ambiente della vicina Perugia. È anche da rilevare il fatto che in tutti gli scavi, in generale, compare la ceramica aretina (v. Sestino, Gubbio, Spoleto) mentre non esiste o quasi presenza di sigillata africana. Meno rara è la presenza di sud-gallica.

L'interessamento degli imperatori nei confronti delle comunità locali aumenta nel corso del I e del II sec. d.C., come attestato essenzialmente dalla testimonianza dell’institutio alimentaria (p.es. a Sestino; Pitinum Mergens, v.; Tifernum Mataurense; Urbino, v.; Pesaro) e dalla presenza dei ritratti imperiali. Secondo un'ipotesi che ha suscitato qualche perplessità, l'incremento agricolo di queste città potrebbe essere visto come supporto all'economia delle città dalmatiche prive di un incremento produttivo autosufficiente per la loro sussistenza.

Tra III e I sec. a.C. nelle cinte murarie all'opera poligonale (Amelia e Spoleto) si sostituisce l'opera quadrata (Bettona, Spoleto, Urvinum Hortense, Urbino) e successivamente l'opera vittata (Spello).

Dopo la guerra sociale, e più precisamente a cavallo tra il secondo triumvirato e l'età augustea, si gettano le basi progettuali dell'urbanizzazione di più di quaranta città, mentre anche le più vecchie colonie latine (Narni, Spoleto) e i centri dove è documentata archeologicamente un'urbanizzazione già nel III-II sec. a.C. (Spello, Assisi, Gubbio) vengono completamente riprogettati e realizzati ex novo.

Gli impianti urbani sono allo stato attuale sufficientemente individuabili così come il pomerium o le mura relative (Otricoli, Bevagna, Spello, Assisi, Trevi, Spoleto, Terni, ecc.) che subiscono talvolta modifiche, restauri, o meglio ampliamenti rispetto alla cinta primitiva (è probabilmente il caso di Gubbio). A questo periodo o a un periodo di poco successivo appartengono anche le emergenze monumentali: le porte (Spello, Fano, Trevi, Urbino, solo per citare alcuni casi) e i principali edifici pubblici come i templi (valga per tutti l'esempio di Assisi, Tempio di Minerva, e di Spoleto, Tempio c.d. di S. Ansano), i numerosissimi teatri (Pitinum Mergens, Gubbio, Carsule, Spoleto, Bevagna, Spello, Otricoli, Assisi, Terni, Mevaniola, Ostra, Todi; talora documentati solo epigraficamente: Mons Fereter, Pesaro, Urbino), gli anfiteatri (Spoleto, Spello, Urvinum Hortense, Suasa, Todi), le domus, spesso adorne di mosaici di pregevole livello (Pesaro, Amelia, Spoleto, Gubbio); le terme (Spoleto, Gubbio); gli acquedotti (Spoleto, Spello, Sestino) e i resti di altre opere idrauliche, per lo più cisterne poste prevalentemente nell'area del foro (Todi, Amelia, Narni).

Importanti lavori di adduzione dell'acqua, che coinvolgono sotto diverse forme e formule l'evergetismo municipale, sono ricordate a Terni (CIL, XI, 421), ad Assisi (CIL, XI, 5390), a Città di Castello (CIL, XI, 5942), a Spello, a Sestino (CIL, XI, 6016, che attribuisce la cura ai tre fratelli Voluseni), a Urbino (CIL, XI, 6068). Non si tratta di opere d'ingegneria troppo complicate: la sorgente captata è spesso vicina e le condutture idrauliche modeste; le adduzioni d'acqua hanno quindi un'ideazione e una prassi assai semplice. Sono noti anche collettori fognari disposti lungo il sistema viario cittadino (Spello, Spoleto, Fano, Fossombrone).

Accanto a quella principale, più nota, anche la viabilità secondaria è sufficientemente documentata: si ricordano a questo proposito i tratti di viae glareatae messi in luce negli ultimi anni a Bevagna (loc. S. Agostino), Trevi (loc. S. Maria di Pietrarossa), Spello (Porta Consolare e Via del Mausoleo), Foligno (loc. S. Eraclio e S. Maria in Campis), Forum Flaminii.

In questa rinnovata opera edificatoria sono da comprendere anche le opere di sostruzione della Via Flaminia, restaurata da Augusto (comuni di Nocera e Valtopina, loc. Capannacce, loc. Le Spugne; comune di Massa Martana), i viadotti (Foligno, loc. Pieve Fanonica; Nocera, Maestà del Picchio) e i ponti (oltre a quelli più noti di Narni e di Spoleto sono da ricordare quelli sul torrente Caldaro, il Ponte Fonnaia, il Ponte del Diavolo presso Bastardo, il Pontecentesimo, in comune di Foligno, in loc. S. Giovanni di Fossato di Vico, in località Colle di Nocera, in località Palazzolo di Fossato, il Ponte Spriano a Sigillo, oltre ai ponti di nuovo e vecchio ritrovamento sul versante nord-orientale).

Negli anni compresi tra la guerra sociale e l'epoca augustea si ha un notevole riassetto del territorio, anche sulla base della centuriazione (Fano, Spello, Spoleto), ben documentata dal Liber coloniarum, in parte dovuto alla riorganizzazione augustea e alla nuova divisione in regioni.

Approfondendo i rapporti tra città e campagna e la stessa urbanizzazione delle città di nuova e vecchia formazione, si nota nell'U. meridionale e nord-orientale una prevalenza di impianti rustici e produttivi databili tra la fine del I sec. a.C. e l'età augustea - abbandonati spesso con un intervallo di vita nel II sec. d.C. - una ripresa nel III sec. d.C. e un ulteriore nuovo abbandono dopo il IV-inizî del V sec. d.C. Considerata la morfologia del territorio e una certa diversificazione tra la fascia meridionale e quella nord-orientale, si è rilevata una concentrazione del popolamento lungo le fasce collinari (in pendio, su una terrazza, o sulla sommità) prospicienti i fondi vallivi, che vengono lasciati liberi per le coltivazioni. Gli insediamenti sparsi, testimoniati dalla presenza di piccoli sepolcreti o dal ritrovamento di epigrafi isolate, risultano distribuiti sulle aree libere fino a una certa altezza. Addensamenti più circoscritti e omogenei si notano nelle immediate vicinanze dei centri urbani, ubicati quasi sempre nei fondovalle e in corrispondenza delle arterie viarie principali e secondarie. In taluni casi è possibile ipotizzare la presenza di vici, suggerita da una fitta concentrazione di insediamenti in specifiche situazioni territoriali.

Si può ipotizzare che le maggiori e più importanti coltivazioni siano state dedicate a viti e olivi, come deve essere avvenuto nella villa suburbana di Via Baldini a Spello, di cui sono documentate le fasi di I-II sec. d.C., presso la quale è stata rinvenuta una fornace che ha permesso la ricostruzione di un tipo di anfora locale ribattezzata proprio con il nome di questa località.

In epoca augustea sembra esservi il tentativo di rivitalizzare la piccola proprietà, ma esso deve essere stato di breve durata e non supera il cinquantennio. Nel II sec. d.C., infatti, già è evidente un forte declino produttivo negli impianti di ville e strutture rustiche, e si ha un veloce diradarsi degli insediamenti.

Le testimonianze tardoantiche, anche se meno numerose di quelle delle epoche storiche precedenti, ridisegnano la mappa dell'occupazione, della vitalità urbana (in particolare per i casi di Gubbio, Spello, Spoleto, Fano) e del territorio, basandosi sulle necropoli, tombe sporadiche (Gubbio, Spoleto) e su qualche raro testo epigrafico. In pochi casi (Spello) sono sufficientemente documentati restauri delle mura della città. Il «Rescritto di Costantino» (CIL, XI, 5265) del 333-335 d.C. è da rivedere sulla base delle ricerche più recenti sul santuario extraurbano in località Villa Costanzi/Fidelia a Spello.

A Pesaro, dove l'abitato subisce distruzioni con la guerra gotica (cfr. Procop., Bell. Goth., III, 11), le mura vengono restaurate da Belisario.

È inoltre da mettere in relazione con opere di ripristino della Via Flaminia uno dei cippi miliari di Fano che ricorda l'imperatore Costanzo; un altro cippo ricorda gli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano (370 d.C. circa); altri ancora Costantino, Valentiniano e Valente.

Sempre a Fano è stato rinvenuto un tesoretto di 42 monete d'oro che vanno da Teodosio a Valentiniano III.

A Fossombrone nel Museo Civico è un ritratto di dama con pettinatura a turbante.

Nel territorio gli insediamenti rustici testimoniano, in modo particolare nella parte meridionale della regione e specialmente nelle vallate e nei pianori che circondano il Tevere, una discreta vitalità intorno al III-IV sec. d.C. (Amelia, Spoleto). Una particolare estensione d'impianto sembra notarsi nel III sec. d.C. nel territorio costituito dalla grande vallata umbra che si allarga di fronte a Spoleto, documentata da monumenti funerari di notevoli dimensioni (loc. Cortaccione, loc. Camposalese) e da ampie fasce superficiali di materiali ceramici.

Oltre ai letterati più noti dalle fonti (Plauto, Properzio e Tacito), sono ricordati nelle iscrizioni un argentarius (a Urbino, loc. Schietti, CIL, XI, 6077), un cisarius (a Senigallia, loc. Montignano, CIL, XI, 6215), un lintiarius (a Fano, loc. Camminate, CIL, XI, 6228), un tector (a Pietrafitta, CIL, XI, 6395), e una societas picaria (a Pesaro, loc. Muraglia, CIL, XI, 6393).

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Singoli siti per i quali non vi sono voci specifiche: Avigliano Umbro: D. Monacchi, Nota sulla stipe votiva di Grotta Bella (Terni), in StEtr, LIV, 1986, pp. 75-99. - Bevagna: M. Bergamini, Necropoli di età romana a Bevagna. Prima campagna di scavo (1977), in AnnPerugia, XXI, 1983-84, p. 53 ss.; D. Manconi, Il territorio di Bevagna. Inquadramento storico-topografico, ibid., pp. 115-123; AA.VV., Mevania da centro umbro a municipio romano, Perugia 1992; P. Puppo, Le coppe megaresi in Italia, Roma 1995, pp. 77-81.

-Carsulae: AA.VV., San Gemini e Carsulae, Roma 1976; P. Bruschetti, Carsulae, Roma 1995. - Fano: L. Mercando, Tombe romane a Fano, in Omaggio a F. Benoit, IV (RStLig, XXXVI, 1970), Bordighera 1972, pp. 208- 272; F. Battistelli, L. De Sanctis, Museo Civico del Palazzo malatestiano di Fano, sezione archeologica, Fano 1984; AA.VV., Fano romana (cat.), Fano 1992. -Fossombrone: M. Luni, G. Gori, Edificio con caratteristiche termali a S. Martino del Piano di Fossombrone (Forum Sempronii), in Notizie da Palazzo Albani, VII, 1, 1978, p. 9 ss. - Nocera Umbra: G. Sigismondi, Nuceria in Umbria, Foligno 1979; AA.VV., Il territorio nocerino tra protostoria e alto-medioevo, Firenze 1985. - Tifemum Tiberinum (Città di Castello): D. Monacchi, La «gens Pedia» a Pietralunga: articolazione del territorio orientale di «Tifemum Tiberinum» in età romana, in AnnPerugia, XIX, 1981-82, pp. 125-136; P. de la Ruffinière, The Villas of Pliny from Antiquity to Posterity, Londra 1994, pp. 77-81. - Valfabbrica: C. Masseria, La fornace romana di Valfabbrica, in AnnPerugia, XX, 1982-83, pp. 361-371.

(D. Manconi)