Artusi, un secolo dopo: il gentiluomo in cucina

Il Libro dell'Anno 2011

June di Schino

Artusi, un secolo dopo: il gentiluomo in cucina

Era un mercante. Un signore alto, distinto, con gli occhi scurissimi, dallo sguardo penetrante. Ciglia e capelli neri, la fronte piuttosto bassa e il naso regolare; il mento era tondo e la bocca di forma giusta. Queste sembianze all’età di 25 anni si evincono dal suo passaporto per Padova (formato in folio) emesso dal Governo pontificio in nome di papa/sua santità Gregorio XVI.

A ottant’anni il portamento e lo sguardo erano ancora uguali e, nell’unica fotografia rimasta, tra due immensi favoriti bianchi, si intravede un farfallino vezzoso.

A quell’età era ancora attivissimo: revisionava regolarmente La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene e redigeva la sua autobiografia. A novant’anni, seppur con la vista ridotta, correggeva ancora ricette. Dopo i tanti rifiuti e giudizi negativi sul suo lavoro, l’insperato successo del libro era diventato per lui una rivincita da assaporare, quasi una raison d’être.

Nato nel 1820 a Forlimpopoli da Teresa Giusti e Agostino, un commerciante benestante, si trasferì a Firenze, dove viveva in compagnia dei suoi amati gatti, Biancani e Sibillone, con il cuoco, Francesco Ruffilli, e la «buona e onesta» Marietta Sabbatini, ambedue generosamente ricordati nel suo testamento. Morirà a Firenze nel 1911.

All’anagrafe Pellegrino Artusi risultava celibe ma si era sposato in tarda età con La Cucina Italiana, una moglie amabile e burrosa, profumata alla cannella, saporita quanto bastava, alla quale rimase fedele.

Per Pellegrino la cucina era «un’arte inesauribile», fonte di gioia e di piacere, e credendo nella tradizione egli volle autofinanziare tutte le 14 edizioni stampate da Landi e distribuite dall’editore Bemporad.

Artusi non era uno chef e non cucinava. Era un gentiluomo gastronomo dal palato esperto che seguiva una metodologia scrupolosa – rispecchiata nella sua calligrafia precisa – per elaborare e raccontare ricette, ognuna con una storia. Mentre in cucina sobbolliva la «minestra di carne passata», nello studio il pennino si intingeva d’inchiostro elencando ingredienti e descrivendo procedure con un italiano chiaro, semplice e corretto. Pellegrino era un grande maestro del far sapere.

Nella prima edizione del 1891 le ricette erano articolate in 21 sezioni, come minestre, fritti, erbaggi e legumi, umidi, pesce, arrosti e dolci, dai babà napoletani ai presnitz triestini, dalla pasta genovese ai brigidini toscani.

Il volume riporta alla fine «Minute di pranzi» per un anno, con due pranzi di sette e sei portate rispettivamente per ogni mese.

L’uomo è il libro: sono diventati un unicum. L’Artusi, come era noto familiarmente, dopo 14 edizioni, nel 1911, aveva conquistato ben 58.000 lettori che nel tempo sono diventati tre milioni. Un vero primato, quasi da personaggio mediatico. Qual era il suo segreto? Forse la risposta si cela nell’intimità della casa, dove ideò, sperimentò, scrisse e riscrisse il suo manuale per le famiglie. I profumi che emanavano dalle pentole di casa Artusi entravano nell’immaginario degli italiani dal Nord al Sud. Attraverso l’intensa corrispondenza egli era in contatto con migliaia di persone ansiose di confrontarsi sulla conserva di rose, di migliorare la cottura di un brasato o di conoscere la ricetta per il ‘gelato di banano’.

Pur non avendo famiglia, Pellegrino era identificato come una figura essenzialmente familiare dai suoi lettori, la personificazione della cucina di casa. Si sapeva dove abitava, perché il suo indirizzo dalla terza edizione figurava nel frontespizio e il libro veniva venduto o spedito dal suo domicilio. Senza poter disporre di una ‘trasmissione in onda’, egli aveva creato una ‘audience’, una rete di conoscenze incentrata sulla cucina. Lisa Biondi fu un’invenzione di Van den Bergh per creare un contatto ‘umano’ con la gente, mentre Pellegrino Artusi era una persona vera, riconosciuta per la sua autorevolezza: pater e mater familias degli italiani.

Per primo Piero Camporesi ha rilevato come La scienza in cucina ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto siano riusciti a fare I promessi sposi.

Il libro rappresenta un felicissimo connubio tra lingua e palato italiano e la sua fortuna attraverso il tempo testimonia il profondo significato di un viaggio culinario, un classico tutto italiano che coglie lo spirito di un’epoca.

Non è soltanto un ricettario, è un racconto di vita, uno spaccato della società borghese fiorentina. Si legge quasi come un romanzo, dove si incontrano personaggi noti come Paolo Mantegazza, insigne antropologo e patologo, che ha voluto dedicargli il suo Almanacco del 1893 (con 25 ricette), e Olindo Guerrini, poeta, scrittore e bibliotecario dell’Università di Bologna, ambedue amici che hanno contribuito al successo del libro. Il testo, che ha una sua dimensione umanistica, è ricchissimo di aneddoti e ricordi personali, digressioni scientifiche, economiche, culturali e storiche, come l’incontro dell’autore con Felice Orsini ai Tre Re a Bologna o la ricetta per «le fave dei romani o dei morti» che ricorda Pitagora e le feste Lemurali.

La prima edizione del libro è stata dedicata ai suoi due gatti, caso unico nella letteratura gastronomica italiana. La scienza in cucina, pubblicato quando l’autore aveva settantuno anni, è un autentico work in progress che nasce con 475 ricette e, attraverso un ventennio, giunge all’ultima edizione con 790. In questo arco di tempo le ricette cambiano sia in quantità che in qualità. Artusi, uomo colto, come si intuisce dal catalogo della sua biblioteca, prestava molta attenzione all’importante aspetto linguistico, revisionando l’ortografia e sostituendo parole francesi con quelle italiane. Introduceva anche utensili e metodi nuovi, dimostrando straordinario dinamismo e flessibilità davvero inconsueti per la sua età.

L’Artusi è forse il primo ricettario interattivo. L’autore riceveva regolarmente una ricca corrispondenza con elogi, quesiti, consigli, commenti e richieste.

E, sempre attento, egli aggiungeva, toglieva e modificava le ricette accreditando il contributo dei suoi lettori. Testimonianza di tali scambi epistolari sono oltre 1750 lettere presenti negli archivi di Forlimpopoli e Piancastelli.

L’autore dimostra una preferenza per il gusto soave del dessert con una ricca selezione di 174 ricette: 76 per la pasticceria, 74 per torte e dolci al cucchiaio, 24 per i gelati. Con il Dolce Roma, di «gusto signorile» a base di mela e crema, il Dolce Torino, «preparato con savoiardi bagnati col rosolio, cioccolato e nocciole», e il Dolce Firenze, una sorta di budino di «pane sopraffino» con uva sultanina, quasi fosse il «Garibaldi della forchetta», Artusi conferisce alle capitali d’Italia una degna rappresentanza nell’arte dolciaria.

Casa Artusi

Si trova a Forlimpopoli ed è un luogo entusiasmante poiché coinvolge e istruisce valorizzando storia e memoria. Lo spazio del Centro di Cultura Gastronomica è ben articolato, luminoso ed emana tutta l’energia e la vitalità di Pellegrino attraverso mostre, convegni e incontri con l’ausilio di un ristorante per degustarne le ricette. In casa si custodisce l’archivio dei suoi documenti e nella biblioteca una sezione è riservata ai ricettari. A giugno di ogni anno, si tiene ‘La festa Artusiana’ e per le celebrazioni del 2011 sono stati organizzati eventi culturali e gastronomici. Qui sicuramente Pellegrino Artusi e La Cucina Italiana convivranno felicemente nel tempo.

I libri

Giuseppe Prezzolini, L’Italia finisce, ecco quel che resta, 1958

Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, edizione critica a cura di Piero Camporesi, 1970

Autobiografia di Pellegrino Artusi, a cura di Alberto Capatti, 1993.

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