UNIFICAZIONE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

UNIFICAZIONE

Riccardo Barbieri

(App. II, II, p. 1063; III, II, p. 1014; IV, III, p. 722)

Fisica. - Grande unificazione. - Le teorie di unificazione, o di grande unificazione, descrivono le interazioni fra i costituenti elementari della materia come diverse manifestazioni di un'unica forza fondamentale, cui è associata una scala di lunghezze caratteristica dell'ordine di 10−30 cm, molto più piccola di qualunque distanza esplorata in un esperimento diretto. La teoria fornisce in effetti una descrizione coerente e unificata delle interazioni cosiddette forti, che regolano la struttura dei nuclei atomici, delle interazioni elettromagnetiche e delle interazioni deboli, che danno luogo, per es., ai fenomeni di radioattività. Tale descrizione è valida per ogni distanza superiore alla distanza caratteristica menzionata. In particolare, e come conseguenza, una teoria unificata include le teorie comunemente accettate delle interazioni forti (v. cromodinamica quantistica, in questa Appendice) e delle interazioni cosiddette elettrodeboli (la teoria di Glashow-Weinberg-Salam). Tali interazioni si esercitano fra gli elementi costituenti della materia, detti quark e leptoni, che sono considerati come puntiformi, cioè privi di struttura interna almeno fino a distanze dell'ordine della scala di lunghezza caratteristica della teoria.

All'osservazione sperimentale, le varie interazioni fra i costituenti della materia mostrano proprietà profondamente diverse fra loro, sia nell'intensità sia nel raggio d'azione. Inoltre, e non meno importante come asimmetria, i quark e i leptoni si comportano diversamente rispetto alle interazioni stesse: i quark, che compongono il neutrone e il protone, e dunque tutti i nuclei atomici, sono soggetti alle interazioni forti, oltre che a quelle elettrodeboli, al contrario dei leptoni, per es. l'elettrone, che sono influenzati da queste ultime soltanto. Tutto ciò sembra costituire un serio ostacolo a una descrizione unificata. L'idea alla base delle teorie di grande u. che consente di superare questa difficoltà è che le interazioni osservate siano solo la manifestazione della forza fondamentale e unitaria a distanze molto più grandi della distanza caratteristica già menzionata, di circa 10−30 cm, che viene detta distanza di unificazione. L'enorme differenza fra questa scala di distanze e quelle esplorate negli esperimenti spiega l'apparente asimmetria osservata fra le diverse interazioni, così come le diverse proprietà di quark e leptoni. Alla distanza di 10−30 cm corrispondono tempi cosmici, a partire dall'esplosione originale (big bang), di circa 10−40 sec.

Le caratteristiche principali delle teorie di grande u. sono:

1) la razionalizzazione dello schema delle cariche forti ed elettrodeboli dei quark e dei leptoni, cioè delle loro proprietà rispetto alle diverse interazioni;

2) la possibilità di prevedere, in ottimo accordo con l'osservazione sperimentale, l'intensità delle interazioni forti a partire da quella delle interazioni deboli ed elettromagnetiche;

3) la violazione di leggi di conservazione caratteristiche delle interazioni ordinarie, cioè normalmente rispettate in ogni processo fra le particelle elementari, come la conservazione del numero barionico, che è alla base della stabilità del protone e, in ultima analisi, di tutta la materia.

Che sia affatto possibile una razionalizzazione semplice ed elegante dello schema di cariche dei quark e dei leptoni costituisce una forte motivazione di carattere estetico per la validità delle teorie di grande unificazione. Particolarmente evidente, a questo proposito, è il problema della quantizzazione della carica elettrica, l'osservazione cioè che la carica elettrica delle particelle elementari ricorre soltanto in multipli interi di un'unità fondamentale, fatto questo alla base della neutralità elettrica degli atomi e quindi di tutta la materia. Questa proprietà, anziché essere forzata dall'esterno come nella teoria di Glashow-Weinberg-Salam sopra citata, appare al contrario, nella teoria unificata, come una conseguenza necessaria del sistema complessivo di cariche dei quark e dei leptoni.

I quark e i leptoni noti sono raggruppabili in tre cosiddette ''generazioni'' o ''famiglie'', con una completa identità di comportamento rispetto alle varie interazioni dei membri corrispondenti in generazioni, o famiglie, diverse. Ogni generazione comprende: due quark di carica 2/3 e −1/3 in unità elettroniche, ciascuno in tre stati di colore (la carica delle interazioni forti), un leptone di carica −1 e uno neutro (il neutrino). Se si tiene conto che ogni particella carica interviene in due stati di elicità, destrorsa o sinistrorsa, mentre il neutrino può intervenire in uno solo o in due stati, ogni generazione comprende 15 o 16 diversi stati, oltre alle corrispondenti antiparticelle. Sono questi gli stati elementari della materia che debbono essere inclusi in una teoria unificata.

Nella cromodinamica quantistica e nella teoria di Glashow-Weinberg-Salam, che costituiscono complessivamente il modello di riferimento, o standard, delle particelle elementari, a ciascun membro di ogni generazione sono attribuite, oltre alla carica elettrica Q, anche una carica debole T3 e due cariche di colore C1 e C2. Per ogni stato di elicità i valori delle quattro cariche sono indicati nella tab. 1. Benché ridondante, essendo una combinazione delle cariche elettrica e debole, è utile introdurre anche l'ipercarica Y = Q-T3. In questo modo le particelle che appaiono nella tab. 1 si organizzano in: 1) tripletti di colore, cioè stati di diverse cariche di colore, ma uguale ipercarica e carica debole; 2) doppietti deboli, cioè stati che differiscono solo per la carica debole; 3) un unico singoletto, il positrone sinistrorso, ec, che possiede solo ipercarica, o carica elettrica.

Si noti nella tab. 1 la presenza di un unico stato elettricamente neutro, il neutrino ν. Come detto, per simmetria con le altre particelle, può essere introdotto un ulteriore stato di elicità del neutrino, νc, il quale però non ha alcuna carica, non essendo soggetto ad alcuna delle interazioni note.

Da un punto di vista elementare, le interazioni forti sono descrivibili come transizioni fra i diversi stati di un tripletto di colore, un quark, u(d), mediante l'emissione di un gluone G12 (v. fig. 1A). Analogamente le interazioni deboli cariche avvengono per emissione di un bosone W± fra i due stati, u e d, di un doppietto debole (v. fig. 1B). Infine le interazioni elettromagnetiche hanno luogo per emissione da parte di una particella elettricamente carica e di un fotone γ, senza cambiamento della natura della particella emettente stessa o, come si dice, con una transizione diagonale (v. fig. 1C).

Nelle interazioni forti ci sono nove possibili transizioni fra i tre diversi colori di un quark, definite da una matrice 3 × 3. Poiché le cariche di colore sono conservate, esistono sei gluoni colorati, associati agli elementi fuori diagonale della matrice e, apparentemente, tre gluoni neutri corrispondenti alle trasformazioni diagonali. Siccome però due sole cariche di colore indipendenti bastano a definire i tre stati di colore del quark, corrispondentemente esistono due soli gluoni neutri. Allo stesso modo, le interazioni deboli sono definite da una matrice 2 × 2, con tre bosoni deboli, due carichi e uno neutro. La fenomenologia delle interazioni elettrodeboli vuole che il fotone sia una combinazione lineare del bosone debole neutro e del bosone associato all'ipercarica, che media anch'esso transizioni soltanto diagonali.

La presenza di gluoni colorati che mediano transizioni non diagonali implica la quantizzazione delle cariche di colore. Particelle con cariche di colore possono interagire scambiandosi un gluone colorato solo se le loro cariche differiscono per la carica del gluone. Ciò, insieme al fatto che la somma delle cariche di colore all'interno di ciascun tripletto si annulla, fissa il valore dell'unità fondamentale. Per la stessa ragione è quantizzata la carica debole T3, mentre non lo è l'ipercarica, o la carica elettromagnetica, dal momento che il fotone, mediando solo transizioni diagonali, è esso stesso neutro.

Sin qui la descrizione delle cariche dei quark e dei leptoni nella teoria standard delle interazioni fondamentali. In una teoria unificata, insistendo sulle stesse cariche, le interazioni elementari sono completate in modo che le interazioni fuori diagonale connettano uniformemente tutti gli stati di cariche diverse. Corrispondentemente, insieme ai gluoni, ai bosoni W e al fotone, sono introdotti nuovi bosoni che mediano queste interazioni.

Lo schema minimale è quello della teoria introdotta da Georgi e Glashow nel 1974. In questo caso, le cariche C1, C2, T3, Y corrispondono alle transizioni diagonali di una matrice 5 × 5, così come nelle interazioni forti le cariche C1 e C2 sono incluse in una matrice 3 × 3 e nelle interazioni deboli la carica T3 è inserita in una matrice 2 × 2 (v. tab. 2). Sia le transizioni forti sia quelle elettrodeboli sono naturalmente incluse come sottocasi delle transizioni più generali della teoria di Georgi e Glashow. L'u. consiste nel fatto che, per omogeneità, esistono anche transizioni che cambiano allo stesso tempo sia le cariche forti sia la carica debole o l'ipercarica. In particolare, tutte le cariche risultano quantizzate, non esistendone più alcuna che interviene soltanto in transizioni diagonali. Nella teoria di Georgi e Glashow le transizioni elementari sono 24, quanti gli elementi di una matrice 5 × 5 meno uno (v. tab. 2).

L'analogia con il caso delle interazioni forti o deboli farebbe pensare alla necessità di organizzare gli stati elementari della tab. 1 in multipletti di cinque elementi. Non è così: nella teoria di Georgi e Glashow i 15 stati della tab. 1 sono organizzati in un quintupletto (dc1, dc2, d3, ν, e) e in un decupletto (u1, u2, u3, d1, d2, d3, uc1, uc2, uc3, ec). Si noti che, fatta questa scelta, tutte le cariche della tab. 1 sono fissate. Questo s'intende per razionalizzazione del sistema di cariche dei quark e dei leptoni.

Si parla di teorie unificate al plurale, perché lo schema descritto può essere esteso. L'estensione più interessante consente di organizzare le particelle della tab. 1 in un unico multipletto di sedici stati, che include anche l'elicità destrorsa del neutrino, νc. In questo caso, non solo sono unificate le interazioni, ma tutte le diverse particelle elementari appaiono come diverse manifestazioni di un'unica entità. Viene in particolare a cadere ogni distinzione fondamentale fra quark e leptoni. In effetti le interazioni descritte da una tale teoria unificata sono originariamente simmetriche per lo scambio di quark con leptoni e, in generale, per lo scambio di qualunque componente del multipletto unificato di particelle materiali.

Questa simmetria dell'unica forza fondamentale, che rende originariamente indistinguibili i diversi costituenti della materia, pone naturalmente il problema delle diverse interazioni osservate e delle differenze fra le particelle elementari, come sottolineato all'inizio. Il punto è che la simmetria è pienamente realizzata solo alla distanza caratteristica della teoria, mentre a distanze più grandi essa è nascosta o, si dice, ''spontaneamente rotta''. In questo modo s'indica il fenomeno per cui, mentre le forze continuano a essere pienamente simmetriche, le manifestazioni osservabili delle forze stesse non lo sono più.

Si pensi, per analogia, a una sbarra cilindrica compressa simmetricamente alle due basi, la quale, a un certo punto, s'incurva, rompendo la perfetta simmetria cilindrica delle forze che la comprimono. Nel caso della teoria unificata, questo fenomeno può essere formulato in modo matematicamente preciso. Come conseguenza, a distanze grandi rispetto alla distanza caratteristica della teoria, le transizioni elementari ulteriori a quelle forti ed elettrodeboli vengono schermate e, dunque, i quark e i leptoni acquistano la loro distinguibilità fenomenologica. Questo stesso meccanismo fa sì che le interazioni forti, deboli ed elettromagnetiche, di eguale intensità alla distanza caratteristica della teoria, abbiano diverse intensità alle distanze più grandi, come è stato sperimentalmente osservato.

È particolarmente interessante in effetti che, se si precisa la simmetria unificata e il contenuto in particelle della teoria, sia possibile determinare teoricamente l'intensità di una delle tre interazioni, oltre che la distanza caratteristica della teoria, note le intensità delle altre due. A questo scopo, e a un grado di approssimazione consistente, si può in effetti pensare una teoria unificata come dipendente da due parametri ignoti: l'intensità della forza unificata e la distanza caratteristica a cui l'u. si manifesta. Pertanto, in termini di questi due parametri, si ottiene una relazione fra le intensità delle interazioni forti, deboli ed elettromagnetiche alle distanze tipicamente esplorate nelle collisioni fra particelle, oggi dell'ordine di 10−16 cm. È in particolare possibile eliminare il parametro corrispondente all'intensità della forza unificata, usando la determinazione sperimentale dell'intensità delle forze elettromagnetiche. In questo modo si ottiene una relazione a un solo parametro, la distanza di u., fra le intensità delle interazioni deboli e forti, mostrato in fig. 2.

Tali intensità sono rappresentate da due grandezze adimensionali, convenzionalmente indicate come sen2ϑW(MZ) e αS(MZ) rispettivamente. Nella fig. 2 sono indicati i valori sperimentali attuali per queste grandezze, con il relativo intervallo d'incertezza, sovrapposti alle curve teoriche che rappresentano la relazione a un parametro illustrata. Sono riportate due curve teoriche, in corrispondenza a due diverse teorie unificate: la teoria di Georgi e Glashow, indicata con il simbolo SU(5), che corrisponde al gruppo di simmetria di questa teoria, e la teoria SU(5) supersimmetrica, che è definita brevemente nel seguito. Alle due curve è associata rispettivamente una banda, che indica il grado di precisione teorica con cui le curve stesse sono determinate. Come si vede dalla fig. 2, l'accordo dei dati sperimentali con la curva teorica corrispondente alla teoria supersimmetrica è sorprendente, mentre altrettanto non si può dire per la teoria SU(5). Si noti anche che i dati sperimentali si sovrappongono alla curva teorica denotata SU(5) supersimmetrica in corrispondenza di una distanza caratteristica di circa 10−30 cm, che è in effetti determinata in questo modo. Per consistenza, questa determinazione è significativa solo se la teoria è estrapolabile in quanto tale, cioè senza modificazioni importanti, almeno sino alla distanza caratteristica di 10−30 cm.

La teoria SU(5) supersimmetrica si basa sullo stesso identico schema di cariche illustrato in precedenza per la teoria di Georgi e Glashow, ma include nella teoria unificata una nuova simmetria di carattere completamente diverso da quelle descritte, detta supersimmetria. È storicamente interessante osservare che l'opportunità d'includere la supersimmetria nello schema della grande u., per ragioni teoriche indipendenti, è stata rilevata alla fine degli anni Settanta, mentre ancora all'inizio degli anni Ottanta i dati sperimentali, allora assai più incerti di oggi, sembravano mostrare un accordo sostanziale, relativamente alla fig. 2, con la teoria SU(5) non supersimmetrica.

La predizione dell'intensità delle interazioni forti, in accordo con i dati sperimentali nella teoria supersimmetrica, per quanto significativa, va pur sempre considerata come una conseguenza relativamente indiretta dell'u. delle forze. Diretta è invece l'implicazione che, alla distanza caratteristica della teoria unificata, altre forze si manifestino, come indicato nella tab. 2. Poterne mettere in evidenza qualche conseguenza sperimentale è la chiave per mostrare inequivocabilmente il rilievo fisico delle teorie unificate in natura. Per altro, la difficoltà di questo ambizioso programma consiste nell'enorme differenza fra la distanza caratteristica della teoria e le distanze esplorabili in realistiche condizioni sperimentali.

La possibilità, almeno in linea di principio, di superare quest'ostacolo è fornita dalla considerazione delle leggi di conservazione caratteristiche di tutte le reazioni fra le particelle elementari fino a oggi osservate. Nella classificazione delle particelle elementari della tab. 1, oltre alle cariche che regolano le interazioni nel modo descritto, come la carica elettrica, esistono altre cariche che si possono chiamare esterne. Le cariche esterne si differenziano da quelle della tab. 1, perché non esiste alcuna evidenza che esse siano associate ad alcuna transizione elementare, cioè a nessun bosone, come il fotone o i gluoni, che medii queste transizioni. L'importanza delle cariche esterne è tuttavia essenziale nel regolare le reazioni fra le particelle elementari, e quindi in tutta la realtà fisica che ci circonda, dal momento che sono anch'esse fenomenologicamente conservate in modo rigoroso. Esse sono: 1) la carica barionica (o numero barionico), uguale a 1/3 per tutti i quark, −1/3 per gli antiquark, e 0 per i leptoni e gli antileptoni; 2) la carica leptonica (o numero leptonico), che vale 1 per i leptoni, −1 per gli antileptoni e 0 per i quark e gli antiquark.

Non si conosce alcuna eccezione alla regola che in una reazione elementare la somma delle cariche barioniche e delle cariche leptoniche delle particelle nello stato iniziale eguaglino separatamente quelle nello stato finale. Si è menzionato all'inizio il fatto che i quark e i leptoni occorrono in tre generazioni distinte, la prima delle quali è descritta nella tab. 1: esistono cioè i quark e i leptoni della prima, della seconda e della terza generazione, o famiglia. La regola fenomenologica appena enunciata dev'essere ulteriormente specificata in questo modo: in una reazione elementare non solo si conserva la carica leptonica totale, ma si conservano anche quelle individualmente associate con le singole famiglie. Mentre i quark, pur conservando il numero barionico totale, possono cambiare nelle reazioni elementari la loro natura generazionale, così non è per i leptoni. Un elettrone non può trasformarsi in un muone, che è l'analogo dell'elettrone nella seconda generazione.

Il rilievo che le leggi di conservazione delle cariche esterne assumono nella discussione delle teorie di u. deriva semplicemente dal fatto che tali leggi di conservazione sono affatto incompatibili con l'u. delle forze che è stata descritta. Ciò segue dalla considerazione che, in una teoria unificata, la distinzione fra quark e leptoni non è fondamentale, ma è definita solo fenomenologicamente in modo approssimato. Alla distanza caratteristica della teoria, tale distinzione perde in effetti significato: a livello fondamentale, ci si aspetta che le cariche barioniche e leptoniche non siano separatamente neppure definibili. Inoltre e per la stessa ragione, dal momento che i quark non conservano la loro identità generazionale nelle transizioni elementari, così ci si deve aspettare che succeda anche per i leptoni. È questo un elemento di evidente discriminazione fra la teoria standard delle interazioni forti ed elettrodeboli da una parte e le teorie di grande u. dall'altra. Per questo motivo, riuscire a mettere in evidenza una qualche violazione delle leggi di conservazione delle cariche esterne costituirebbe un risultato determinante a sostegno della visione unificata di tutte le interazioni fondamentali.

Il fatto che meglio illustra le considerazioni generali ora svolte è la stabilità del protone: in ultima analisi, la stabilità della materia. Il protone, composto di tre quark, ha carica barionica uguale a 1. È in effetti la particella con carica barionica non nulla più leggera. La conservazione dell'energia (o della massa) implica pertanto che il protone non possa trasformarsi spontaneamente in nessun'altra particella o insieme di particelle, senza violare al tempo stesso la conservazione della carica barionica. Dunque nelle teorie unificate, che violano tale legge di conservazione, il protone è generalmente instabile.

Considerazioni semplici e generali permettono di concludere che se il protone non è stabile, cioè decade spontaneamente, la sua vita media è sicuramente ben più lunga dell'età dell'universo, a sua volta superiore a 10 miliardi di anni (o 1010 anni). La vita media del protone è definita come il tempo necessario perché un certo numero di protoni instabili si riduca di un fattore 1/e, cioè circa a 1/3, per effetto del decadimento spontaneo. Per quanto lunga possa apparire l'età dell'universo, questo limite inferiore alla vita media del protone non è affatto imbarazzante per la teoria unficata. La distanza caratteristica infinitamente piccola delle teorie unificate si riflette infatti in un'aspettazione per la vita media del protone superiore a 1030 anni. A sua volta, però, quest'aspettazione non esclude la possibilità che il decadimento del protone sia messo in evidenza in condizioni sperimentali opportune. A questo scopo è necessario controllare una quantità di massa sufficientemente grande, contenente cioè almeno 1030 protoni, per un tempo appropriato, almeno un anno, ed essere in grado di stabilire se uno o più protoni sono nel frattempo decaduti. Ricordando il numero di Avogadro, circa 1023 per grammo-atomo, occorre controllare almeno qualche tonnellata di materia.

Gli appositi esperimenti hanno dato sino a oggi risultati negativi. Essi mostrano che il protone, se decade, ha una vita media maggiore di circa 1031 anni. Più precisamente gli esperimenti forniscono limiti inferiori sul rapporto τ/β fra la vita media τ e la frazione di decadimento β del protone in uno stato finale determinato, cioè la probabilità relativa che il protone, decadendo, si trasformi in tale stato finale. Diversi stati finali richiedono diversi accorgimenti sperimentali. Un limite particolarmente significativo è quello per il modo di decadimento in un positrone, e + , e in un pione neutro, π0: τ/β(p→e + π0)>8 × 1032 anni. Questo è un altro risultato, oltre a quello già illustrato in fig. 2, che non si accorda con le aspettative della teoria SU(5), mentre è compatibile con la versione supersimmetrica della teoria unificata, che non prevede un rapporto di decadimento particolarmente favorevole per il modo e + π0. Nel caso della teoria unificata supersimmetrica, altri modi di decadimento del protone sono in effetti favoriti, come quello in un mesone carico K + e in un neutrino, di più difficile rivelazione sperimentale.

È importante osservare che le forze della teoria unificata che provocano il decadimento del protone potrebbero anche essere all'origine dell'asimmetria cosmica fra materia e antimateria, cui è rispettivamente associata carica barionica positiva e negativa. Secondo questa ipotesi, l'attuale eccesso di materia nell'universo avrebbe origine negli istanti iniziali immediatamente successivi al big bang, cioè dell'ordine della scala di tempo caratteristica della teoria unificata, 10−40 sec, menzionata in precedenza.

Bibl.: H. Georgi, S. Glashow, in Physical Review Letters, 32 (1974), p. 418.

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