UNIONE MONETARIA EUROPEA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

UNIONE MONETARIA EUROPEA

Giovanni Magnifico
Ercole Tuccimei

I capi di Stato o di governo dei paesi della CEE riunitisi all'Aia nel dicembre 1969 decisero di trasformare la Comunità da una unione doganale in una vera e propria unione economica e monetaria. A questo riguardo nel comunicato finale della Conferenza (punto 8) si legge che i responsabili dei sei paesi "hanno riaffermato la propria volontà di imprimere un più rapido ritmo agli ulteriori sviluppi necessari per rafforzare la Comunità e trasformarla in un'unione economica. Ritengono che il processo di integrazione debba portare ad una Comunità caratterizzata dalla stabilità e dall'espansione economica. A questo scopo hanno convenuto che nel 1970 in seno al Consiglio verrà elaborato un piano per la creazione di un'unione economica e monetaria, da attuarsi a tappe successive". Questa decisione fu presa al termine del periodo transitorio previsto dal Trattato di Roma, in un momento assai delicato per la Comunità, sia sul piano politico che su quello economico, caratterizzato quest'ultimo da forti tensioni inflazionistiche e movimenti di capitali speculativi indotti da aspettative, poi avveratesi, di mutamenti di alcune parità monetarie.

A seguito delle decisioni dell'Aia, il Consiglio della CEE, nel marzo 1970, affiidò a un gruppo di esperti, presieduto da P. Werner, allora presidente del Consiglio e ministro delle Finanze del governo lussemburghese, l'incarico di predisporre un rapporto sulla realizzazione graduale dell'Unione Economica e Monetaria (UEME). Nell'ambito del "gruppo Werner" si confrontarono sin dall'inizio due diverse impostazioni: l'una sottolineava la necessità di procedere anzitutto a un'unificazione monetaria fondata sul progressivo restringimento dei margini di oscillazione delle monete, quale primo passo verso l'adozione di una moneta unica; l'altra, partendo dalla constatazione che le economie europee presentavano e presentano tuttora andamenti divergenti, proclamava la necessità di far precedere i passi verso l'unificazione monetaria da importanti progressi verso l'armonizzazione delle politiche economiche. Il contrasto tra "monetaristi" ed "economisti" traspare nel progetto di rapporto presentato da Werner al Consiglio della CEE nel mese di maggio dove si legge fra l'altro: "circa l'opportunità di dotare la Comunità, già nella prima fase, di un regime specifico di cambi, e circa i mezzi da adottare a tale effetto, le scelte restano aperte. Taluni membri del gruppo sono favorevoli ad una riduzione, anche limitata, delle fluttuazioni di cambio tra le monete della Comunità... Altri membri ritengono invece che la solidarietà monetaria debba seguire l'armonizzazione delle politiche e delle situazioni economiche, e non risultare quindi da azioni monetarie specifiche, da essi considerate, nella prima fase, premature e troppo rischiose". Il Consiglio optò per una soluzione di compromesso secondo la quale l'UEME sarebbe stata realizzata attraverso "progressi paralleli" in campo monetario e in quello economico. Sulla base di questo principio, il gruppo Werner procedette alla stesura definitiva del rapporto che fu pubblicato nel mese di ottobre.

Nel rapporto si considerava l'UEME un obiettivo raggiungibile nel corso di un decennio, al termine del quale esisterebbe in Europa "una zona al cui interno i beni e i servizi, le persone e i capitali circoleranno liberamente, esenti da distorsioni di concorrenza, senza per questo generare squilibri strutturali e generali". Sul piano monetario, sarebbe realizzata "la convertibilità totale e irreversibile delle monete, l'eliminazione dei margini di fluttuazione dei cambi, la fissazione irrevocabile dei rapporti di parità". Il rapporto Werner venne approvato nelle sue grandi linee dal Consiglio della CEE e trasfuso nella Risoluzione del 22 marzo 1971 contenente l'indicazione dei provvedimenti da prendere nel periodo 1971-73 per realizzare l'UEME. Tali provvedimenti riguardavano il coordinamento delle politiche economiche a breve e a medio termine, l'armonizzazione dei sistemi fiscali, la libera circolazione dei capitali e la creazione di un mercato finanziario unificato, l'adozione di politiche volte ad avviare a soluzione i problemi strutturali, il coordinamento delle politiche monetarie e creditizie interne, la progressiva individualizzazione della Comunità nel sistema monetario internazionale. Nel settore monetario era prevista l'instaurazione, a titolo sperimentale, di un sistema di progressivo restringimento dei margini di oscillazione dei tassi di cambio delle monete CEE e la creazione di un Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (FECoM), organismo destinato a integrarsi successivamente nella futura organizzazione comunitaria delle banche centrali.

Per assicurare il rispetto del principio di "progressi paralleli" nei settori economico e monetario, venne inserita nella risoluzione una "clausola di prudenza", in base alla quale la validità dei provvedimenti di carattere monetario (restringimento dei margini di oscillazione, FECoM, ecc.) sarebbe stata di cinque anni; essa sarebbe stata prorogata solo se, nel frattempo, gli stati membri avessero raggiunto un accordo sul passaggio alla seconda fase dell'UEME.

Al fine di realizzare il progressivo restringimento dei margini di oscillazione, il Consiglio della CEE invitava il comitato dei governatori delle banche centrali a contenere le fluttuazioni di cambio delle monete dei paesi membri entro limiti più ristretti di quelli risultanti dai margini in vigore nei confronti del dollaro SUA. Come primo passo venne decisa nel 1971 una riduzione dall'1,50 all'1,20%, a decorrere dal 15 giugno 1971. Ma la riduzione non poté essere attuata in conseguenza di una crisi scoppiata sui mercati mondiali dei cambi verso la fine di aprile e culminata nella sospensione della convertibilità (in oro) della moneta americana annunciata il 15 agosto dello stesso anno. La crisi venne composta, dopo quattro mesi di serrate trattative, con gli accordi di Washington del 17 e 18 dicembre (accordi smithsoniani); il riallineamento monetario comportò una svalutazione del dollaro nella misura del 7,9%; tutte le altre principali monete vennero rivalutate, in misura differenziata. Fu, inoltre, deciso di allargare i margini di oscillazione delle monete (2,25%, al di sopra e al di sotto della parità o "tasso centrale") al fine di meglio contrastare i movimenti di capitali di natura speculativa.

Con l'ampliamento dei margini di oscillazione, lo scarto (massimo) tra la moneta europea più apprezzata e quella più deprezzata poteva raggiungere il 4,50% in un dato istante e il 9% in momenti diversi, in quanto vi fosse un rovesciamento delle rispettive posizioni, da moneta forte a debole e viceversa. L'allargamento dei margini, deciso in sede internazionale, era evidentemente in contrasto con il piano di unificazione monetaria europea. Il 21 marzo 1972 il Consiglio della CEE adottava una Risoluzione in base alla quale lo scarto istantaneo (massimo) tra due monete comunitarie non avrebbe dovuto superare il 2,25%, ossia la metà di quello consentito dagli accordi di Washington. La Risoluzione trovava pratica applicazione nell'"accordo di Basilea", concluso il 20 aprile fra le banche centrali dei paesi della CEE.

Il 24 aprile 1972 nasceva il sistema comunitario di cambio, noto - secondo un'espressione tratta dal gergo giornalistico e ispirata dalla rappresentazione grafica del meccanismo - come il "serpente nel tunnel": le monete europee erano tenute a oscillare entro una fascia del 2,25%, il cosiddetto "serpente", il quale a sua volta si snodava all'interno di un "tunnel", la cui ampiezza corrispondeva alla massima oscillazione consentita nei confronti del dollaro. Il mantenimento dei margini di oscillazione veniva assicurato dalle banche centrali con interventi obbligatori in dollari ai limiti del tunnel e con interventi in monete comunitarie ai limiti del serpente; gl'interventi entro le due fasce di oscillazione potevano avvenire solo a seguito di concertazione tra i partners. Per realizzare gl'interventi in monete comunitarie, le banche centrali si concedevano linee di credito reciproche senza limiti d'importo, ma a brevissimo termine in quanto scadenti l'ultimo giorno lavorativo del mese successivo a quello di accensione dell'operazione.

Il regolamento dei debiti avveniva mediante utilizzo della moneta del creditore eventualmente posseduta, ovvero mediante cessione di oro e strumenti ad esso assimilabili (DSP, crediti sul FMI), dollari e altre monete convertibili secondo la proporzione in cui comparivano nelle riserve del paese debitore.

Il sistema del restringimento dei margini, al quale nel maggio 1972 aderirono anche Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda, venne sottoposto ben presto a gravi tensioni, dato che crisi valutarie si verificavano a partire già dal mese di giugno. A seguito del peggioramento dei conti con l'estero del Regno Unito, la sterlina fu sottoposta ad attacchi speculativi che resero necessari interventi a suo sostegno per importi ingenti (oltre 2,5 miliardi di dollari in una settimana): per evitare ulteriori perdite di riserva, la Banca d'Inghilterra fu costretta a sospendere, dal 23 giugno, la difesa dei limiti di fluttuazione della sterlina, uscendo quindi dal sistema comunitario di cambio. Poiché successivamente si profilava il pericolo che la lira fosse attaccata come moneta più debole del serpente, le autorità italiane ne chiesero la sospensione generalizzata. Ma essendosi tale richiesta scontrata con la decisa opposizione degli altri paesi membri, venne chiesta e ottenuta la facoltà, peraltro prevista dagli accordi di Basilea, di effettuare interventi a sostegno della lira in dollari, anziché in monete comunitarie. In tal modo si evitava di sottostare alla onerosa regola, che imponeva al paese debitore di saldare i debiti ricorrendo a tutti gli elementi di riserva posseduti ivi compreso, nel caso italiano, l'oro. Ciò avrebbe comportato la cessione di un elemento di riserva difficilmente ricostituibile, data la diversa composizione delle riserve dei paesi della CEE, incorrendo nella forte perdita rappresentata dal divario tra prezzo ufficiale dell'oro e quello di mercato, all'epoca superiore al primo di circa tre volte. Nei primi mesi del 1973 il serpente europeo venne sottoposto a nuove tensioni: la lira italiana usciva dal sistema, nello stesso giorno in cui veniva annunciata la seconda svalutazione (febbraio-marzo) del dollaro SUA. Mentre i mercati valutari dei principali paesi restavano chiusi (dal 1° al 17 marzo) si delineava, nell'ambito comunitario, un orientamento favorevole alla fluttuazione congiunta delle monete CEE nei confronti della moneta americana; ma non fu possibile pervenire a una soluzione comunitaria a causa delle divergenze tra i partners sui criteri in base ai quali la fluttuazione congiunta sarebbe stata organizzata e regolata.

Pertanto, il Consiglio della CEE, nella sessione del 12 marzo 1973, si limitava a prendere atto del fatto che Belgio, Francia, Rep. Fed. di Germania, Danimarca e Paesi Bassi continuavano a osservare per le loro monete lo scarto del 2,25%, mentre Italia, Irlanda e Regno Unito fluttuavano isolatamente pur proponendosi "di associarsi appena possibile alla decisione presa per il mantenimento dei margini comunitari di fluttuazione". Con l'abbandono degl'interventi sui margini di fluttuazione rispetto al dollaro, il tunnel scompariva ma, anche nella nuova versione, il sistema di cambio comunitario ha conosciuto tensioni che hanno potuto essere superate solo a costo di cospicui interventi delle banche centrali interessate e di tre modifiche dei tassi centrali (due rivalutazioni del marco e una del fiorino). Inoltre, alla fine del 1973, in concomitanza con un sensibile apprezzamento del dollaro, il franco francese veniva sottoposto a pressioni speculative tali da indurre le autorità a decidere, il 19 gennaio successivo, di sganciarsi dal serpente. Lo sganciamento del franco francese, inizialmente previsto per un periodo di sei mesi, ha avuto termine il 9 luglio 1975, allorché esso è rientrato, con lo stesso tasso centrale, a fare parte del se rp e nte.

La permanenza del franco francese nel serpente è stata peraltro di breve durata. A seguito di pressioni speculative susseguitesi con vigore crescente a partire dal gennaio 1976, e nonostante imponenti interventi di sostegno effettuati dalla Banca di Francia, le autorità francesi sono state costrette di nuovo a sospendere, dal 16 marzo, la difesa dei margini di fluttuazione. Nello stesso giorno i paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi) ponevano fine all'accordo particolare che conteneva entro l'1,50% le oscillazioni delle proprie monete, l'una in termini dell'altra (meccanismo cosiddetto del "verme nel serpente").

Le regole di funzionamento del sistema comunitario di cambio, rivedute e riadattate in varie riprese, sono ora le seguenti:

Partecipanti: Belgio, Danimarca, Rep. Fed. di Germania, Paesi Bassi e, in qualità di associati, Norvegia e Svezia.

Interventi: le banche centrali possono acquistare e vendere sui mercati dei cambi le valute dei paesi membri senza limiti d'importo, quando queste si trovano ai corsi limite. Gl'interventi intramarginali sono, invece, soggetti a preventiva autorizzazione delle banche centrali interessate alle operazioni di acquisto o di vendita. Gl'interventi in dollari sono, in linea di principio, soggetti a preventiva concertazione tra i partners; peraltro, quando essi sono compiuti in conformità alle direttive di ordine generale concordate tra tutte le banche centrali, è sufficiente la notifica nell'ambito delle normali sedute di concertazione. Queste avvengono di regola tre volte al giorno per mezzo di una speciale rete telefonica creata nel 1971. Alle sedute di concertazione, oltre alle banche centrali dei paesi della CEE, partecipano anche quelle dei paesi associati (Norvegia e Svezia) e, più recentemente, la Banca nazionale svizzera.

Finanziamento. - Come già accennato, per effettuare interventi in monete comunitarie, le banche centrali si concedono, ai sensi dell'accordo di Basilea, linee di credito reciproche, illimitate nell'importo, e con scadenza all'ultimo giorno lavorativo del mese successivo all'intervento (cosiddetto finanziamento a brevissimo termine). I debiti e i crediti risultanti dagl'interventi in monete comunitarie sono contabilizzati presso il Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (FECoM) dopo essere stati convertiti in Unità di Conto Monetarie Europee (UCME) sulla base del tasso di conversione della moneta del creditore (i UCME è uguale a DM 3,21978; i FB = 48,6572;1 DK = 7,57831;1 FL = 3,35507). I crediti sono remunerati con un tasso d'interesse pari alla media aritmetica dei tassi di sconto praticati dalle banche centrali partecipanti al sistema. Allo scadere del finanziamento a brevissimo termine il credito può essere prorogato, a richiesta della banca centrale debitrice, per altri tre mesi, ma sino a concorrenza di un determinato ammontare.

Regolamento. - I debiti sono regolati utilizzando la moneta del creditore, ovvero versando elementi di riserva secondo la proporzione in cui compaiono nelle riserve del paese debitore: posizioni di riserva presso il FMI, diritti speciali di prelievo e valute convertibili. Dal luglio 1975 l'oro è stato escluso dal calcolo delle riserve.

Oltre al finanziamento a brevissimo termine sopra ricordato, esistono nell'ambito comunitario facilitazioni creditizie a breve e a medio termine. Nel settore del breve termine, opera tra le banche centrali dei paesi della CEE il "sostegno finanziario a breve termine" destinato a finanziare disavanzi temporanei della bilancia dei pagamenti. Il credito, che ha la durata di tre mesi e può essere rinnovato una volta per lo stesso periodo, può essere prelevato automaticamente sino a un certo ammontare (per l'Italia 400 milioni di unità di conto), oltre il quale la concessione - fino a 1500 milioni di u. c. - sarà decisa dal Comitato dei Governatori.

Nell'ambito del medio termine, sono operanti il "meccanismo di concorso finanziario a medio termine", istituito con decisione del Consiglio della CEE del 22 marzo 1971 allo scopo di aiutare gli stati membri che devono far fronte a difficoltà nella bilancia dei pagamenti e il sistema dei "prestiti comunitari", instaurato con regolamento del Consiglio CEE del 17 febbraio 1975, per concedere prestiti agli stati membri la cui bilancia dei pagamenti versi in difficoltà a causa della crisi energetica (dal 1973).

Il concorso finanziario a medio termine viene finanziato dagli stati membri sino a concorrenza di un massimale d'impegno (per l'Italia 600 milioni di u. c.). I crediti sono accordati per una durata media compresa tra i due e i cinque anni. I prestiti comunitari sono assunti dalla Comunità, direttamente presso paesi terzi, organismi finanziari o sul mercato, sino a un ammontare massimo di tre miliardi di dollari SUA, comprensivo del capitale e degl'interessi. I prestiti sono assistiti dalla garanzia solidale degli stati membri data in proporzione alle quote di partecipazione al sostegno monetario a breve termine. I fondi così raccolti sono poi riprestati agli stati membri che ne facciano richiesta: la loro durata non può essere inferiore a cinque anni. L'assistenza finanziaria della Comunità è subordinata all'accettazione da parte del paese beneficiario di un programma di politica economica volta ad assicurare il risanamento della bilancia dei pagamenti.

Le vicende del serpente comunitario rivelano che questo si è dimostrato incapace di promuovere il coordinamento delle politiche economiche e monetarie e di agire come deterrente contro la speculazione.

Poiché, nel breve periodo, l'andamento del tasso di cambio della moneta di un paese è influenzato principalmente dalle condizioni di disponibilità e di costo del denaro all'interno, in relazione a quello prevalente negli altri mercati, un impegno relativo al tasso di cambio introduce un vincolo per la politica monetaria, nel senso del coordinamento con quelle degli altri paesi. Nell'ambito del sistema di cambio comunitario, il coordinamento è stato parziale: esso è avvenuto principalmente tra la Germania e i paesi minori dell'Europa centrale e settentrionale grazie, fra l'altro, al forte grado d'integrazione commerciale esistente tra l'una e gli altri. Tra i grandi paesi, il coordinamento delle politiche è stato frammentario; qualche risultato è stato registrato dalla Francia nello sforzo di sintonizzarsi con il marco tedesco. L'insoddisfacente coordinamento delle politiche monetarie e di stabilizzazione ha ridotto anche la funzione del serpente quale deterrente contro la speculazione valutaria. La secessione di tre delle quattro maggiori monete (sterlina, lira e franco) è stata determinata da attacchi speculativi che il serpente non è stato in grado di arginare.

Il rapporto Marjolin, pubblicato nel marzo 1975, sotto gli auspici della Commissione CEE, dal gruppo di studio per l'unione economica e monetaria 1980, sostiene che l'Europa oggi è lontana da questo obiettivo come lo era nel 1969. Le principali ragioni di questo insuccesso sono state così individuate: "eventi sfavorevoli, una mancanza di volontà politica e una insufficiente comprensione del concetto di unione monetaria europea". In particolare vanno sottolineati: a) il contesto internazionale particolarmente avverso (crisi monetarie che hanno travagliato il mondo occidentale dalla fine degli anni Sessanta e crisi energetica, scoppiata nel 1973, a seguito della quadruplicazione del prezzo del petrolio); b) la scarsa volontà politica dei governi europei i quali, in un periodo di profonde difficoltà, hanno avuto di mira soprattutto gl'interessi nazionali (a breve termine) ignorando i vantaggi che sarebbero derivati a ciascuno di essi dal consolidamento delle strutture comunitarie; c) l'approccio usato, troppo rigido e incompleto, per realizzare l'unione economica e monetaria.

Nonostante l'asserito parallelismo tra progressi economici e progressi monetari, l'approccio ufficiale ha dato un'importanza determinante agli aspetti monetari e, in particolare, al tentativo di congelare i tassi di cambio tra le monete CEE. Questo approccio veniva tentato nel momento in cui il sistema monetario internazionale, fondato a Bretton Woods e basato sulla nozione di parità fisse e su quella complementare della convertibilità, all'occorrenza, in oro, si andava dissolvendo.

In tale contesto, la soluzione di congelare i tassi di cambio intracomunitari era la meno appropriata, in quanto i fattori di squilibrio che avevano reso progressivamente insostenibile il mantenimento del sistema delle parità fisse sussistevano anche all'interno della Comunità. Avvalendosi di opzioni che un cambio fluttuante può dare, un cambio fisso no, le politiche della domanda seguite nei diversi paesi accentuavano le diverse propensioni nazionali all'inflazione delle rispettive economie, creando le condizioni per movimenti perversi dei capitali sui mercati valutari. Va inoltre notato che, anche come approccio meramente monetario, il sistema adottato era incompleto, in quanto il congelamento dei tassi di cambio non è stato accompagnato dall'adozione di misure complementari, quali l'ampliamento del potenziale di credito intracomunitario e il conferimento delle riserve di cambio presso un fondo comune, che avrebbero consentito ai paesi membri di superare, almeno in parte, le conseguenze negative derivanti dalle diverse propensioni nazionali all'inflazione.

I modelli alternativi di realizzazione dell'unione economica e monetaria prendono atto del fatto che le economie europee sono scarsamente integrate tra loro e affermano la necessità che la politica comune in materia di tassi di cambio sia sorretta dal coordinamento delle politiche monetarie, economiche e fiscali di breve e medio periodo.

Nel rapporto sull'Unione europea, preparato dal primo ministro belga Tindemans, nel corso del 1975, a seguito di un mandato ricevuto dai capi di Stato o di governo, riunitisi a Parigi nel dicembre 1974, si propone che, per riprendere la marcia verso l'unione economica e monetaria, i paesi membri, che siano in grado di farlo, dovrebbero procedere più speditamente di quelli che "obiettivamente" non lo siano. Il rapporto Tindemans appare nell'insieme ancorato all'approccio tradizionale, imperniato sull'unione dei cambi. Il processo di rilancio dell'UEME è, infatti, incentrato sul serpente e sull'introduzione di alcune regole: a) la modifica dei tassi di riferimento dovrebbe essere decisa di comune accordo anche con i paesi membri che sono al di fuori del serpente e fluttuano individualmente; b) i paesi del serpente dovrebbero impegnarsi a non uscire dal sistema se non nei casi di crisi manifesta, accertata con una decisione comune; c) le facilitazioni di credito tra i paesi del serpente sarebbero notevolmente rinforzate e rese automatiche. Pertanto mancano proposte atte a promuovere l'instaurazione di un sistema dei cambi comunitario in grado di abbracciare tutti i paesi membri, come pure suggerimenti sul modo di effettuare quei trasferimenti di reddito tra paesi e regioni economiche della Comunità, che appartengono all'essenza di un'unione economica.

Il problema centrale del rilancio dell'unione economica e monetaria è rappresentato dall'adozione di misure che consentano, nel medio periodo, di far convergere l'evoluzione dei costi e dei prezzi nei paesi della Comunità. Nel settore più specificamente monetario, si pone la necessità di adottare una struttura dei tassi di cambio coerente con le politiche economiche perseguite dai Nove.

Per pervenire a un accordo sui tassi di cambio, che possa includere tutti i paesi della CEE e funzionare con regolarità crescente, si potrebbe, in una fase intermedia, temperare l'accordo sui tassi nominali, com'è attualmente il caso del serpente, tenendo conto dei tassi di cambio effettivi, ossia dei tassi ponderati in relazione alla distribuzione geografica o alla moneta di fatturazione del commercio estero. Più specificamente, il tasso centrale, che è un tasso nominale, potrebbe essere modificato quando mantenerlo invariato condurrebbe a un tasso effettivo che non fosse quello di equilibrio. L'innovazione, rispetto all'attuale sistema di cambio, consisterebbe soprattutto nel fatto che ci sarebbe una presunzione a favore di un mutamento del tasso centrale, quando il tasso effettivo si spostasse verso condizioni di squilibrio: ciò potrebbe avvenire, fra l'altro, a seguito di un evento esterno alla Comunità quale, per es., la svalutazione o la rivalutazione del dollaro SUA. In siffatta ipotesi, infatti, i paesi che avessero difficoltà ad accettare il mutamento potrebbero procedere all'aggiustamento del tasso nominale della loro moneta. Inoltre, all'inizio, l'accordo sui tassi nominali potrebbe vertere, piuttosto che sulla fissazione di un tasso centrale, sulla determinazione di zone-traguardo (target zones): per i paesi membri non ci sarebbe, di regola, un obbligo d'intervento sui mercati dei cambi onde mantenere il tasso di cambio all'interno della "zona-traguardo"; essi sarebbero tenuti ad astenersi dal prendere misure in grado di allontanare il tasso di cambio dalla "zona" stabilita.

L'esperienza della fluttuazione ha confermato quanto sia difficile, obiettivamente, legare in un rapporto fisso le monete dei paesi maggiori fino a quando questi siano economicamente e commercialmente semi-integrati e, quindi, posseggano una diversa propensione nazionale all'inflazione. Al contrario, i paesi minori possiedono un grado di apertura più elevato e una maggiore concentrazione del commercio estero rispetto ai paesi maggiori: sono, in breve, più fortemente integrati con uno o più paesi della comunità e si trovano in una situazione assai prossima a quella che si definisce "area monetaria ottimale". Poiché per i paesi di minori dimensioni la fluttuazione indipendente è difficile, la migliore soluzione consisterebbe nell'agganciare le loro monete a un paniere comunitario. In questa ipotesi, le monete dei paesi in discorso seguirebbero la media delle monete dei principali paesi con i quali essi sono destinati a diversificare ulteriormente il loro commercio. L'integrazione economica e monetaria man mano che si compie implica un riorientamento in profondità dei flussi commerciali, seguendo lo schema multilaterale secondo il quale ciascuna regione economica è integrata con l'insieme delle altre regioni e con ciascuna di esse. Questo processo verrebbe accelerato collegando le monete a un "paniere" rappresentativo. Un tale paniere esiste dal marzo 1975. Si tratta dell'Unità di Conto Europea (UCE) la quale comprende le monete CEE, ciascuna con un peso stabilito secondo un parametro, che tiene conto del prodotto nazionale lordo e del commercio intracomunitario del rispettivo paese. L'UCE è per il momento applicata nell'ambito della Comunità Europea Carbone e Acciaio (CECA), del Fondo Europeo di Sviluppo (FES) e della Banca Europea per gl'Investimenti (BEI); ma è prevista la sua applicazione ad altri settori.

Il collegamento delle monete nazionali all'unità di conto implica che ciascuna variazione di quest'ultima si rifletta integralmente su tutte le monete collegate che, dal punto di vista economico, rappresenterebbero un'unica moneta. Si potrebbe aggiungere alla denominazione di ciascuna moneta quella di "Europa", ciò che sarebbe più facile se il rapporto con l'unità di conto fosse 1 a 1, o uno dei suoi multipli. Siffatto collegamento faciliterebbe il processo di assimilazione dell'UCE a una vera e propria moneta europea, in circolazione accanto alle monete nazionali. Durante una fase intermedia l'"Europa" svolgerebbe il ruolo di moneta parallela: il suo uso nelle transazioni internazionali verrebbe favorito dal fatto che essa offrirebbe a creditori e risparmiatori una migliore ripartizione dei rischi di cambio: una formula basata su un paniere di monete è particolarmente interessante per operazioni a medio e a lungo termine, perché in questi casi è maggiore la dispersione delle previsioni circa l'evoluzione delle diverse monete.

Infine, va osservato che l'inflazione galoppante degli ultimi anni ha fatto sentire la necessità di uno strumento monetario e finanziario, il quale offra una protezione piuttosto che in termini di cambio contro la perdita di potere d'acquisto, in termini di beni e servizi. Un'indicizzazione totale della moneta parallela europea è stata proposta nel "manifesto d'Ognissanti", sottoscritto da un gruppo di "monetaristi" europei. Il suo valore dovrebbe essere ancorato a un paniere di beni e servizi, in modo che ne risulti garantito il potere d'acquisto costante. Questo approccio, peraltro, si presta a numerose critiche. Attribuendo all'"Europa" una garanzia di potere d'acquisto costante, si darebbe vita a un'attività finanziaria dominante che, in un periodo caratterizzato da un elevato tasso d'inflazione nel quale i titoli a medio e lungo termine offrono rendimenti reali negativi, verrebbe ad alterare tutti gli equilibri di portafoglio. Inoltre, un' "Europa" che fosse per definizione la più forte tra le monete forti non consentirebbe di procedere gradualmente all'unificazione monetaria. Meno problematica appare una semi-indicizzazione dell'l"Europa", che tenesse conto cioè, soltanto per una frazione, dell'aumento medio dei prezzi nella Comunità. Il meccanismo di compensazione entrerebbe in funzione quando l'incremento superasse una certa soglia. L' "Europa" così congegnata potrebbe svolgere un ruolo importante come strumento di unificazione dei mercati monetari e finanziari; ma ciò non potrebbe avvenire in assenza di iniziative da prendere su diversi fronti e, in particolare, su quello della Comunità. Un'iniziativa importante sarebbe un accordo intracomunitario che faccia dell'"Europa" un'attività di riserva da utilizzare per le transazioni ufficiali.

La progressiva convergenza nell'estensione delle monete comunitarie e la creazione di una moneta parallela europea sono elementi essenziali di un nuovo approccio all'unificazione monetaria europea. L'indebolimento dei poteri del Fondo Monetario Internazionale in materia sia di tassi di cambio sia di creazione e gestione della liquidità internazionale, come risulta dall'accordo siglato alla conferenza di Giamaica nel gennaio 1976 sulla riforma del sistema monetario internazionale, richiede che poteri analoghi vengano esercitati su base regionale; in particolare, si pone con urgenza la creazione di una zona monetaria europea, quale condizione per evitare il ritorno a una frammentazione del Mercato Comune in mercati nazionali, contraddistinti da dimensioni nettamente sub-ottimali e la ricaduta nel disordine commerciale e monetario internazionale.

Il sistema monetario europeo. - Il problema centrale del rilancio dell'u. economica e monetaria - come venne rilevato dagli studiosi più accorti dell'integrazione europea - è rappresentato dall'adozione di misure che consentano, nel medio periodo, di far convergere l'evoluzione dei costi e dei prezzi nei paesi della Comunità e, sul piano specificamente monetario, nell'adozione di una struttura dei tassi di cambio coerente con le politiche economiche nazionali. Una possibilità in tal senso venne individuata nella proposta di temperare l'accordo su tassi nominali - qual è il serpente monetario - mediante un riferimento a quelli effettivi, ossia ai tassi ponderati in relazione alla distribuzione geografica e/o alla moneta di fatturazione del commercio estero. Specificamente, si modificherebbe il tasso centrale di una moneta (che è un tasso nominale) quando mantenerlo invariato condurrebbe a un tasso effettivo diverso da quello di equilibrio. Ciò potrebbe avvenire anche in conseguenza di un evento esterno alla Comunità quale, per es., la svalutazione o la rivalutazione del dollaro SUA. In tal filone di pensiero s'inserisce anche la proposta di determinare zone traguardo (target zones) per ciascuna moneta che comporterebbe per i paesi membri, anziché un obbligo d'intervento sui mercati dei cambi, l'impegno di astenersi dall'adottare misure in grado di allontanare i tassi di cambio dalla "zona" stabilita. Altra possibilità operativa venne individuata nella possibilità di stabilire gl'impegni di cambio con riferimento a un indice ponderato di cambio, per es., all'unità di conto europea (UCE), definita come un "paniere" delle nove monete comunitarie nel quale a ciascuna di esse viene attribuito un peso stabilito con riferimento a parametri obiettivi (PNL e quota del paese nel commercio intracomunitario). L'unità di conto, variamente denominata ("Europa" o "scudo"), durante una fase intermedia, svolgerebbe il ruolo di moneta parallela; il suo uso dapprima limitato alle transazioni tra autorità monetarie ufficiali si estenderebbe gradualmente ai circuiti privati favorito dalla circostanza che offrirebbe ai risparmiatori una migliore ripartizione dei rischi di cambio in conseguenza della sua struttura di paniere di monete. Per proteggere i detentori dell'unità di conto dai rischi dell'inflazione è stato previsto anche il suo collegamento, attraverso un meccanismo d'indicizzazione, all'andamento di un indice dei prezzi. Nel corso del 1978 il processo d'integrazione europea ha ricevuto nuovo impulso con la decisione presa dal Consiglio europeo, riunito in luglio a Brema, di realizzare il sistema monetario europeo (SME) al fine di creare una zona di stabilità monetaria ancor prima che fossero state sostanzialmente ridotte le divergenti tendenze delle economie europee.

Istituito con la Risoluzione del Consiglio europeo del 5 dicembre 1978, ma entrato in vigore il 13 marzo 1979, lo SME si è incentrato sullo scudo (traduzione della parola francese écu che corrisponde anche alle iniziali dell'espressione inglese European Currency Unit): il suo valore e la composizione delle monete di riferimento sono gli stessi dell'UCE. Lo scudo viene utilizzato come: a) numerario per il meccanismo di cambio; b) base per l'indicatore di divergenza; c) denominatore per le operazioni d'intervento e di credito; d) mezzo di regolamento per le autorità monetarie della CEE. Le banche centrali partecipanti allo SME conferiscono al FECoM (in swaps alla pari a tre mesi contro scudi) il 20% delle riserve in oro e in dollari in contropartita di scudi utilizzabili per il regolamento dei debiti connessi con gl'interventi sul mercato dei cambi in monete comunitarie.

Il funzionamento dello SME, cui aderiscono tutti i paesi membri della CEE compreso il Regno Unito che non partecipa ai meccanismi di cambio e d'intervento, è regolato dalle norme seguenti: Il meccanismo di cambio. Nonostante le affinità con il serpente, il meccanismo di cambio presenta caratteristiche proprie. I corsi centrali di ciascuna moneta sono utilizzati per determinare una griglia di tassi di cambio bilaterali attorno ai quali viene fissata una fascia di fluttuazione del 2,25%: l'Italia, avvalendosi della facoltà concessa ai paesi a moneta individualmente fluttuante di osservare all'inizio dello SME margini più ampi, ha optato per la fascia di oscillazione del 6% con l'intesa di ridurne l'ampiezza non appena le condizioni economiche lo consentiranno. Per tener conto del fatto che la lira ha un margine del 6% e che la sterlina non partecipa al meccanismo di cambio, è stato previsto un meccanismo di correzione che evita a una valuta che osserva il margine ristretto (2,25%) di superare la soglia di divergenza per il solo fatto che la lira sfrutta un margine più ampio o che la sterlina si muove rispetto a fittizi tassi centrali iniziali di più del 2,25%. Allorché una moneta superi la propria soglia di divergenza, scatta la presunzione che le autorità interessate provvederanno a correggere tale situazione con adeguate misure, in particolare con: a) interventi diversificati sui mercati dei cambi; b) misure di politica monetaria interna; c) cambiamento dei tassi centrali; d) altre misure di politica economica. Se, per circostanze speciali, non venissero adottate queste misure, le autorità degli altri paesi dovrebbero essere informate, attraverso gli appropriati canali, delle ragioni del mancato intervento. In linea di principio, gl'interventi sono effettuati nelle monete dei paesi partecipanti e diventano obbligatori quando le quotazioni raggiungono i corsi limite. Gl'interventi in moneta terza (in particolare in dollari statunitensi) sono effettuati sulla base delle disposizioni stabilite dal Comitato dei governatori.

Per facilitare gl'interventi in monete comunitarie, ogni banca centrale concede a ciascuna delle altre facilitazioni di credito a brevissimo termine con scadenza al 45° giorno dopo la fine del mese in cui è avvenuto l'intervento - senza limitazione d'importo - che assumono la forma di vendita (acquisto) di monete comunitarie contro accreditamento (addebitamento) dei conti denominati in scudi che le banche intrattengono presso il FECoM. Alla scadenza, il credito può esaere rinnovato per tre mesi su richiesta della banca centrale debitrice limitatamente a un importo corrispondente alla quota parte debitrice della banca interessata nell'ambito del sostegno monetario a breve termine. Il regolamento, qualora non venga utilizzando prioritariamente la moneta del creditore, si effettua mediante cessione di scudi (per un importo massimo pari alla metà del debito) e, per la quota residua, mediante cessione di elementi di riserva secondo una proporzione determinata dalla composizione delle riserve della banca centrale debitrice a esclusione dell'oro. È consentito il rimborso anticipato (parziale o totale). Queste disposizioni non pregiudicano la possibilità che le parti possano convenire di procedere al regolamento con modaltà diiverse.

I meccanismi di credito comunitario.

A) Sostegno monetario a breve termine (SMBT). - Istituito con l'Accordo tra le banche centrali degli stati membri della CEE del 9 febbraio 1970, il sostegno monetario a breve termine fornisce crediti alle banche centrali dei paesi che debbano far fronte a un disavanzo temporaneo della bilancia dei pagamenti. L'importo delle facilitazioni creditizie, ampliato da ultimo con l'accordo del 9 gennaio 1979, ammonta a 7900 milioni di scudi a titolo di "quote-parti debitrici" e a 15.800 milioni a titolo di "quote-parti creditrici". Le prime indicano l'ammontare di credito di cui ciascuna banca può beneficiare, le seconde l'ammontare di credito che ciascuna banca può essere chiamata a finanziare. In casi particolari, il Comitato dei governatori può concedere un sostegno per importo superiore a quello rappresentato dalla quota parte debitrice della banca richiedente, attivando le cosiddette rallonges ma non eccedente, come regola generale, la metà delle rollanges debitrici. La durata dei crediti è di tre mesi e può essere rinnovata al massimo due volte, per sei mesi complessivamente, su richiesta della banca centrale beneficiaria.

B) Concorso finanziario a medio termine (CFMT). - Istituito con decisione del Consiglio del 22 marzo 1971, il concorso finanziario a medio termine è un meccanismo di credito a favore degli stati membri che debbano far fronte a difficoltà attuali o previste di medio periodo della bilancia dei pagamenti e/o a un deterioramento persistente delle riserve. La concessione dei crediti è subordinata all'impegno del paese beneficiario di adottare le misure stabilite dal Consiglio per il ripristino dell'equilibrio interno ed e ste rno.

L'importanza dello SME come elemento fondamentale di un rinnovato impulso all'integrazione economica e finanziaria europea, quale risulta chiaramente dalle decisioni assunte nel vertice di Brema, ha ispirato nel corso delle trattative l'azione della delegazione italiana che ha sostenuto la necessità che gl'impegni reciproci in materia di cambio dovevano essere accompagnati sia da aiuti finanziari, per contrastare attacchi speculativi, sia da aiuti sostanziali alle economie meno prospere per ridurre, e poi ribaltare, gli effetti perversi derivanti dall'attuale distribuzione delle risorse attraverso il bilancio comunitario.

Per evitare che lo SME subisca una sorte analoga a quella del sistema di cambio previsto dal piano Werner, è necessario che gl'impegni rigorosi in materia di tassi di cambio siano sorretti da un adeguamento reciproco e progressivo delle politiche economiche e monetarie. Il meccanismo di cambio previsto nell'ambito dello SME presenta elementi nuovi che eliminano gl'inconvenienti del serpente; in particolare, è assicurata una maggiore elasticità e una più equa ripartizione degli oneri di aggiustamento. Sono certamente necessarie ulteriori modifiche del sistema tra le quali va posto il problema della combinazione ottimale tra margini bilaterali e indicatore di divergenza. Altri problemi ancora irrisolti, tra i quali la definizione di una politica comune nei confronti del dollaro, il trattamento dei debiti involontariamente accumulati a seguito degl'interventi effettuati da paesi in avanzo e la trasformazione del FECoM in un vero Fondo monetario europeo dovranno essere risolti in occasione della revisione degli accordi di Bruxelles da realizzarsi entro il periodo transitorio dello SME della durata di due anni.

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