di Marco Bussagli
Urbanistica e architettura
In tutte le epoche e in tutte le culture la forma con cui sono concepiti abitazioni, templi, città e villaggi sottende motivazioni di carattere simbolico, che, per l'urbanistica, riguardano la volontà di distribuzione planimetrica della città o del villaggio secondo un modello antropomorfico e, per l'architettura, rimandano a forme di analogie strutturali tra elementi architettonici e corpo umano.
sommario: I. Macrocosmo e microcosmo. 2. L'Età moderna. □ Bibliografia.
I. Macrocosmo e microcosmo
L'irrinunciabile propensione dell'uomo a essere un 'animale simbolico', per usare la definizione di
Questo processo è particolarmente evidente nelle culture dette etnologiche, dove il mito ha la funzione di ricordare non solo "i riti di ricostruzione del mondo e di propiziazione delle forze vitali, ma anche gli aspetti stagionali e le tecniche della caccia, dell'orientamento territoriale, delle attività di trasformazione. La ricreazione del paesaggio riassume quindi, con la mediazione del mito, un'attività architettonica globale [...] in quanto garanzia di poter incidere attivamente (come gruppo) su un determinato territorio" (Guidoni 1975, p. 11). Nelle culture etnologiche (che possono darci una pallida idea della complessità delle civiltà neolitiche), le planimetrie dei villaggi e, talora, le strutture architettoniche o le piante delle case sono spesso conformate su uno schema antropomorfico. Esempi particolarmente illuminanti sono quelli dei fali (
Per i dogon il villaggio "deve distendersi da nord a sud come un corpo d'uomo che giaccia supino" (Griaule 1966, trad. it., p. 116): a settentrione della piazza principale, che simboleggia il campo primordiale, sono poste la casa del consiglio, che corrisponde alla testa, e la fucina; le grandi case delle famiglie segnano il petto e l'addome, mentre gli altari comuni, a meridione, rimandano idealmente ai piedi come fondanti l'intera struttura simbolico-architettonica; all'esterno delle mura del villaggio sono poste le abitazioni per le donne in stato mestruale, equivalenti delle mani e degli arti superiori; nell'area corrispondente alla zona genitale, infine, sono sistemate le pietre per schiacciare i semi di Lannea acida, da cui si ricava olio commestibile e che alludono al sesso femminile, mentre quello maschile è simboleggiato dal verticale altare di
In civiltà più complesse, come per es. quella indiana, si assiste da una parte a un processo di astrazione dell'immagine urbana e architettonica, dall'altra a un affinamento dell'esposizione del mito cosmogonico nello strumento letterario. Sarà infatti appena il caso di ricordare che la letteratura vedica e quella upanishadica individuano nel Purusha l'uomo cosmico, il macrantropo, dal cui sacrificio nascono le singole componenti del cosmo, le quali contengono anche il tempo e l'alternanza del giorno e della notte, nasce la Terra e si prefigura anche lo stato sociale con la relazione fra le caste. Dal sacrificio creatore poi viene l'idea stessa di sacerdozio che, attraverso il rito sacrificale, riesce a cogliere nuovamente l'unità del cosmo. Non è infatti un caso che l'altare vedico simboleggi
Pure in altre culture, come l'egizia o la mesopotamica, si crea una virtuale relazione fra tre termini di paragone che si spiegano riferendosi al legame analogico fra cosmo, anno e uomo; elemento di mediazione per tale relazione è la disciplina astrologica, ma essa ha alla base - in maniera più o meno esplicita - l'idea del macrantropo cosmico.
Nel mondo grecoromano va rilevata la continuità di un pensiero che tende a unire analogicamente cosmo, uomo e città. Il centro del mondo veniva identificato nell'omphalòs di
Altre volte nel mondo grecoromano il legame fra la figura umana e l'architettura o l'urbanistica è impostato, più semplicemente, in termini di imitazione. Si pensi, per es., alle cariatidi dell'Eretteo sull'Acropoli di
Con l'avvento, la diffusione e la sistematizzazione del pensiero cristiano, buona parte degli aspetti della cultura grecoromana filtrò nella speculazione del nuovo credo. Il modello cosmologico di riferimento è quello della tarda antichità, come dimostra, per es., la Ruota dei venti miniata nel De natura rerum di Isidoro di Siviglia (9° secolo; Laon, Bibliothèque Municipale, ms. 422, f. 6r), dove i venti non solo conservano un'iconografia tardoantica, ma, come nella visione tramandata da Plinio, sostengono il
Una concezione siffatta è alla base dell'opera di Opicinus de Canistris, provetto astrologo e cosmografo che, verso il 1350, realizzò ad
2. L'Età moderna
Nel corso del Rinascimento vari trattatisti e architetti ripresero e svilupparono istanze vitruviane, rimaste vive grazie alla tradizione medievale. La serie della trattatistica rinascimentale è aperta dal De re aedificatoria, pubblicato da L.B. Alberti nel 1452. La concezione dell'architettura albertiana si basa sull'idea che l'edificio sia un tutto organico: "come nell'essere animato ogni membro si accorda con gli altri, così nell'edificio ogni parte deve accordarsi colle altre [...]. Inoltre nel conformare le membra, la semplicità della natura è l'esempio da seguire [...] in ogni caso è mio costume raccomandare di non cadere in quel difetto per cui l'edificio sembra un corpo deforme con le spalle e i fianchi sproporzionati [...]" (1, 9, 14). Alberti estende l'organicità dell'edificio all'intera città affermando che "la città è come una grande casa e la casa, a sua volta, una piccola città", sicché il criterio applicato all'edificio, implicitamente, vale anche per un piano urbanistico. Ancora più esplicito è il Trattato di architettura (1460-65) del Filarete, il quale non solo si preoccupa di precisare che tutte le misure e figure geometriche sono derivate dall'uomo, perché questo, essendo creato da Dio, è sicuramente la più proporzionata e più bella delle forme, ma spiega che l'edificio, proprio come l'uomo, deve avere una gestazione di nove mesi per formarsi completamente e sopravvivere ai genitori. Anche le riflessioni teoriche di Francesco di Giorgio Martini devono essere poste in relazione con l'opera vitruviana (che l'architetto senese conobbe nell'editio princeps del 1486, a cavallo fra le due stesure del suo Trattato di architettura civile e militare, 1479 e 1481) oltre che con quelle di Alberti e del Filarete. Francesco di Giorgio scelse la forma umana come punto di riferimento inalienabile sia per i singoli edifici sia per la planimetria urbanistica. In questo modo, tanto gli uni quanto l'altra brilleranno di luce riflessa e, grazie all'analogia con il corpo umano, si porranno in diretta relazione con la bellezza assoluta di Dio. Per rendersi conto di quanto questa relazione sia puntigliosamente perseguita da Francesco di Giorgio, si possono citare due passi del suo trattato. Il primo passo spiega come "havendo le basiliche
Il fascino della relazione fra architettura e antropomorfismo non si esaurì nell'ambito della ristretta cerchia degli architetti del 15° secolo. Basterà in questo senso rammentare, al di là della diffusione di cariatidi e telamoni o di protomi umane più o meno ornamentali, casi particolari d'impiego della figura umana deformata, quali compaiono nell'Orco del Bosco Sacro di
Con il 17° secolo gli aspetti connessi al rapporto fra architettura e antropomorfismo vennero in parte ripresi da quella corrente ermetica che attraversò l'ordine gesuita e che ebbe in padre
Vi sono due celeberrime applicazioni pratiche e simboliche della concezione antropomorfica dell'architettura nel Seicento. La prima è costituita dal colonnato di S. Pietro, costruito da G.L. Bernini per
L'Oratorio dei Filippini costituisce una delle ultime consapevoli interpretazioni antropomorfiche dell'architettura. Per ritrovare altrettanta consapevolezza, ma con presupposti ben diversi, bisognerà aspettare il modulor di
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