Urbano e rurale

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Urbano e rurale

Angelo Turco

Locuzione mediante la quale si individuano i complessi rapporti che intercorrono tra i modelli di organizzazione del territorio e i contesti sociali ed economici propri della città e della campagna. Con il ricorso alla coppia u. e r. si individua, inoltre, l'evoluzione nel tempo dei processi iterativi fra i due soggetti, oltre che le dinamiche delle rispettive configurazioni funzionali e territoriali. Nel corso dei secoli e dei decenni, infatti, i modelli di organizzazione del territorio incentrati sulla coppia u. e r. hanno subito notevoli trasformazioni. Invero, tra città e campagna i rapporti sono sempre stati improntati a un vivace dinamismo, spesso marcato dialetticamente: lo schema interpretativo dominante è stato tradizionalmente quello di due realtà oppositive e non riducibili l'una all'altra. Questo atteggiamento ha assunto poi profili molteplici nel corso del tempo, e anche in tempi recenti ha avuto modo di manifestarsi con motivazioni ed esiti politici di grande rilevanza. Si pensi, per l'Italia, al ruralismo fascista, che vedeva nella campagna il luogo di custodia dei valori tradizionali in grado di garantire quell'alta natalità che rappresentava un obiettivo fondamentale del regime. O ancora, in tutt'altro contesto storico e geografico, alla teoria maoista dell'accerchiamento della campagna nei confronti della città come condizione per la definitiva vittoria della rivoluzione, teoria che ha influenzato altre formazioni sociali del Sud-Est asiatico e di cui la terribile esperienza cambogiana dei Khmer rossi, con l'esodo forzato della popolazione da Phnom Penh, la capitale, e la 'rieducazione' delle masse urbane nelle campagne in condizioni penose, costituisce una drammatica degenerazione.

Tuttavia un'altra tradizione ha posto non tanto l'opposizione, quanto piuttosto la cooperazione e l'armonia tra la città e la campagna, viste come espressioni distinte di una medesima realtà territoriale. È vero che tutto questo sottintende un primato della città, che promuove dunque i processi sia di incivilimento sia di diffusione delle condizioni tecno-strumentali per vivere meglio e per produrre più efficacemente. Ma è altrettanto vero, e qui risiede l'essenza stessa dell'armonia e della complementarità, che senza la campagna e le sue risorse la città non potrebbe né vivere né prosperare.

Da tutto ciò si possono ricavare alcune caratteristiche fondamentali della città e cioè: una certa densità e tipologia del costruito; l'addensarsi di popolazione che è dedita, se non prevalentemente almeno in misura rilevante, alle attività secondarie e terziarie - e quindi caratterizzata da una struttura sociale più articolata e mobile - ; infine, una vocazione di direzione e di controllo di un territorio circostante di dimensioni più o meno vaste. Fatto eminentemente agglomerativo, la città viene rappresentata (e peraltro si autorappresenta) tradizionalmente come un insediamento compatto, che si espande in modo tendenzialmente onnidirezionale (a macchia d'olio, come si dice), fatti salvi i limiti imposti dalle condizioni geografico-fisiche del sito: la morfologia, per es., oppure l'idrografia, fluvio-lacustre oppure marittima che sia. La definizione della città come fatto agglomerativo costituisce l'assunzione implicita basilare della teoria delle località centrali elaborata da W. Christaller negli anni Trenta del 20° sec.: una teoria funzionalistica che offre un modello coesivo all'insieme delle città di una regione o di un Paese, presentandolo come una rete gerarchicamente ordinata di centri che producono beni e servizi di rango diversificato, beninteso, ma comunque in eccesso rispetto alle esigenze dei propri abitanti e li offrono pertanto alle plaghe circostanti (umland). Secondo questo schema interpretativo il contesto urbano ospita le cosiddette funzioni 'centrali' la cui area di mercato si estende sulle aree rurali; da questo insieme di rapporti trae origine un paradigma interpretativo basato su relazioni centro-periferia. Il superamento del modello urbano che era fondato prevalentemente sui caratteri agglomerativi, di tipo compatto e territorialmente ben definito, rappresenta forse uno degli indicatori più pregnanti del mutamento progressivo in atto del rapporto tra città e campagna, particolarmente sensibile tra la fine del 20° e l'inizio del 21° secolo. Intanto, fin dalla metà del secolo scorso, si osservano nuove forme di agglomerazione espansiva, da cui scompare però la compattezza. La 'conurbazione' fu la prima ad attrarre l'attenzione degli studiosi, a cominciare da P. Geddes negli anni Venti del 20° sec.: una coalescenza di insediamenti attraverso uno sviluppo nastriforme lungo le principali vie di comunicazione interurbane.

Sulla scia dell'urban sprawl americano, si è andata concentrando l'attenzione anche in Europa - e particolarmente in Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta - su fenomenologie agglomerative indicate con designatori assai vari: città diffusa, ovviamente, ma anche città dispersa, città esplosa, quindi con più complesso significato città-regione (o regione-città), area metropolitana fino a megalopoli, come per primo il geografo francese J. Gottmann designa l'agglomerazione orientale degli Stati Uniti, una pluri-città che si sviluppa da Boston a Washington, ricomprendendo, tra le altre grandi metropoli, anche New York. Nel loro insieme questi fenomeni sono denotati da una agglomerazione espansa, anche molto vasta, e tuttavia lasca, discontinua, in cui il tessuto insediativo e infrastrutturale appare morfologicamente dominante: sicché la campagna, pur restando importante, appare paesisticamente residuale, inquadrata com'è in una trama di edificato filiforme oppure di edificato a chiazze.

Di là dagli elementi insediativi, demografici e funzionali, l'attenzione degli studiosi, dei pianificatori e degli amministratori locali è venuta concentrandosi sulla qualità urbana che questi fenomeni mettevano in gioco. Di fatto, fin dagli anni Sessanta, studiando la 'conurbazione dello Stretto' - l'insieme Reggio Calabria-Messina - il geografo italiano L. Gambi metteva l'accento su qualcosa di nuovo, sul fatto cioè che lo Stretto fungeva da fattore di unione più che di separazione e stava dando corpo alla formazione di una 'regione umana solidale'. È nella direzione aperta da Gambi che si iscrivono i tentativi più maturi di definizione delle 'aree metropolitane'. Anche queste formazioni, invero, vengono inizialmente individuate in base a criteri quantitativi di tipo demografico e morfofunzionale, su cui si innestano gradualmente indicatori di tipo gravitativo (per es., flussi di pendolari, di merci ecc.). Ma è la qualità urbana, infine, a costituire il segno decisivo di ciò che può dirsi metropoli e area metropolitana. È così dunque che viene messo l'accento su un tipo particolare di funzioni che connotano la metropoli, funzioni dette appunto metropolitane e che sono orientate a produrre 'organizzazione territoriale' con impulsi, stimoli, ordini capaci di dirigere e coordinare le relazioni del territorio cui si rivolgono. È anche vero che un ruolo di questo tipo la città lo ha sempre avuto. Ma sono la forza e l'estensione territoriale dell'influenza metropolitana che si tratta ormai di mettere a fuoco. Non è più solamente il territorio 'circostante' a essere coinvolto nei processi di metropolizzazione; accanto a esso, di fatto contiguo e fisicamente integrato al nucleo centrale dell'area metropolitana, si situa un'area di influenza discontinua, sulla quale la metropoli esercita la sua polarizzazione e che oramai, nell'epoca dei processi globalizzati, può coincidere con il mondo intero. Si capisce come, a fronte della vastità degli spazi coinvolti, debbano esservi funzioni adeguate all'impresa: si tratta di quelle funzioni dette quaternarie, vale a dire attività e istituzioni capaci di trasmettere impulsi organizzativi: organismi finanziari, centri direzionali, poli tecnoscientifici, e anche industrie dell'informazione e della comunicazione. Nel corso di questa particolare evoluzione la città non solo ha esportato un complesso di servizi un tempo esclusivamente urbani, ma ha esercitato anche un'influenza nella diffusione di un genere di vita urbano nonché di una qualità di vita urbana in spazi un tempo tipicamente rurali. Tale fenomeno è stato denominato rururbanizzazione, e la diffusione di servizi di rango superiore come pure di modalità un tempo prevalentemente rurali ha determinato la nascita di un diverso modello interpretativo che trova i propri riferimenti teorici nel concetto di rete e di cluster urbano. Resta da sottolineare come la qualità urbana di tipo metropolitano si possa certo acquistare; però ben difficilmente potrebbe sopravvivere nel lungo periodo riuscendo fronteggiare le tensioni del mondo globalizzato e le crisi che esso genera a ripetizione, senza una base storica, senza una tradizione culturale che coltivi l'idea dell'eccellenza urbana, la vocazione al cambiamento come fatto strategico, la proiezione sui vasti spazi come matrice di civilizzazione piuttosto che come atto di imperio e di dominazione.

In questi complessi scenari, la campagna sembra perdere importanza sia economica sia sociale, anche se accresce enormemente la sua valenza ecologica e paesistica. Per un verso, infatti, essa appare come il riflesso delle dinamiche urbane, di cui è insieme cassa di risonanza e di riserva, un tempo di manodopera e ormai soprattutto di spazio. Per altro verso, tuttavia, è investita anche da processi produttivi nonché organizzativi che ne rimodellano i contenuti umani. Deruralizzazione, spopolamento di centri, nuclei e case sparse marcano la storia del territorio italiano nel corso dell'ultimo mezzo secolo. Tra il 1950 e il 2000 la superficie agricola utilizzabile (SAU) è calata di ben 5 milioni di ettari, mentre gli addetti al settore si sono ridotti da poco meno del 40% a neppure il 6%. Nel contempo tuttavia l'attività agricola, non più legata alle esigenze alimentari del conduttore ma piuttosto alle opportunità offerte dal mercato nazionale e internazionale, cambia volto. Le innovazioni nella gestione del suolo, il miglioramento genetico, la difesa fitosanitaria, insieme con la meccanizzazione, con l'irrigazione, con la fertilizzazione, accompagnano il grande passaggio dalla coltura promiscua a quella specializzata, sia erbacea sia arborea (vigneti, oliveti, agrumeti, frutteti). Scompare praticamente l'allevamento poderale, rimpiazzato da quello industriale. Si diffonde pure l'agricoltura part-time, mentre compaiono alcune strutture in risposta ai nuovi bisogni urbani: bisogni di spazio e di natura, bisogni di paesaggio, di riscoperta delle tradizioni culturali, architettoniche, enogastronomiche. Peraltro, l'intensificazione delle vie di comunicazione favorisce la mobilità rurale e facilita pure l'accesso ai beni e ai servizi di tipo urbano. Compaiono nelle sempre più dilatate zone di influenza delle aree metropolitane i cosiddetti neo-rurali, cittadini i quali scelgono di insediarsi in campagna, pur mantenendo il posto di lavoro in città, mentre le vecchie abitazioni rurali vengono utilizzate come strutture ricettive e ricreative di tipo turistico.

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