URBANO V, papa, beato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

URBANO V, papa, beato

Michel Hayez

URBANO V, papa, beato. – Guillaume Grimoard nacque a Grizac (Francia, dipartimento di Lozère) intorno al 1310 da Guillaume, signore locale, e da Amphélise di Montferrand, imparentata con gli Aigrefeuille, tutte famiglie vassalle dei vescovi di Mende. Fu condotto al fonte battesimale da Elzéar di Sabran, conte di Ariano, parente della madre, l’unico santo canonizzato (15 aprile 1369) da Urbano V a conclusione di un processo avviato nel 1351 da Clemente VI.

Ricevuta la tonsura a dodici anni, dopo aver compiuto gli studi di diritto civile entrò nel priorato di Monastier-Chirac, dove lo zio materno Anglic Grimoard esercitava il suo ministero, e fece la sua professione di fede nell’abbazia di S. Vittore a Marsiglia.

Dopo aver studiato diritto a Tolosa, Montpellier, Avignone e Parigi, si addottorò in diritto canonico il 31 ottobre 1342 a Montpellier, dove ebbe come maestro di decreti Paul de Déaulx, benedettino, nipote e vicario del cardinale Bertrand (creato da Benedetto XII nel 1338). In seguito insegnò con successo ad Avignone (scuola di teologia o del Sacro Palazzo).

Dal 1349 ebbe modo di esercitarsi nell’amministrazione di una diocesi: Pierre d’Aigrefeuille, trasferito dal vescovato di Vabres a quello di Clermont (1349), si avvalse dei talenti di Guillaume come vicario generale.

Priore cluniacense di Notre-Dame du Pré a Donzy (dipartimento di Nièvre), tornò al ramo benedettino allorché Clemente VI lo nominò abate di Saint-Germain d’Auxerre (13 febbraio 1352): Guillaume vi avviò un’opera di ricostruzione sia materiale sia spirituale, resistendo anche agli arbitri dell’arcivescovo di Sens. Il pontefice gli aveva anche affidato un importante incarico in Italia (insediare a Bologna il nuovo vicario pontificio, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano, nel settembre del 1352) e Innocenzo VI, a sua volta, lo mandò a Roma nel 1354 per gestire la delicata situazione in S. Pietro. Nella circostanza, è probabile che Guillaume Grimoard abbia partecipato con il cardinale Egidio Albornoz alla stesura delle costituzioni della S. Sede, promulgate a Montefiascone (settembre 1354).

Pierre d’Aigrefeuille, trasferito alla diocesi di Uzés (febbraio 1357), lo confermò suo vicario generale anche in quella diocesi, accumulando cariche che, sommate all’abbaziato di Auxerre, erano davvero impegnative. Guillaume tornò al di qua delle Alpi nel 1361, a Milano, per un fallito tentativo di riconciliare con il papato Bernabò Visconti, nipote ed erede di Giovanni, che aspirava alla conquista di Bologna. Forse nella stessa occasione (giugno 1361) assolse la regina Giovanna di Napoli e sospese l’interdetto lanciato a causa del mancato pagamento del censo; intanto Innocenzo VI lo pose al vertice di S. Vittore di Marsiglia (2 agosto 1361). A Napoli tornò l’anno successivo (maggio) per proporre da parte del papa a Giovanna, rimasta vedova per la morte di Luigi di Taranto, un nuovo matrimonio con Aimone di Ginevra, nipote di Guy de Boulogne. Qui seppe della morte di Innocenzo VI (12 settembre) e il 28 dello stesso mese fu eletto papa, dopo due settimane di conclave.

Il nome Urbano fu scelto – si è scritto – in ricordo di Urbano II e per realizzare il progetto di crociata. La cerimonia fu priva dell’abituale fasto; il novello papa mantenne del resto durante il pontificato uno stile di vita austero, ispirato alla regola benedettina. E fu in effetti notata la parsimonia nei doni destinati ai cardinali dopo la sua elezione: solo 40.000 fiorini.

Fra i primi provvedimenti, Urbano V nominò Juan Fernández de Heredia dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme grande priore di Castiglia e di Saint-Gilles, come capitano di Avignone e del Contado Venassino, per continuare la battaglia contro i mercenari.

Approvò inoltre l’organizzazione della crociata e in occasione della Pasqua del 1363 incontrò re Giovanni II, desideroso di mettersi a capo della spedizione, che gli chiese l’approvazione di una decima sul clero del regno, peraltro assai impoverito dalle vicende della guerra dei Cent’anni.

La pace di Brétigny (maggio 1360) e la successiva conferma di Calais (con lo scambio di territori e la liberazione del re di Francia Giovanni II, dopo cinque anni, tra il 1356 e il 1361, di prigionia a Londra) non aveva ristabilito la pace, per l’azione destabilizzante delle grandi compagnie che avevano saccheggiato la valle del Rodano e sconfitto le armate reali a sud di Lione (aprile 1362).

Urbano V gli accordò questo diritto per sei anni, ma abbassando della metà l’importo e facendo controllare la riscossione dai prelati, come Giovanni XXII, affinché fosse realmente destinata al progetto di crociata, e dopo aver diminuito preliminarmente della metà il suo tasso.

La stessa concessione avrebbe fatto per tre volte – l’esigenza era quella di respingere le grandi compagnie – al nuovo re Carlo V, con il quale ebbe molta consuetudine e intimità (ma dal quale rifiutò, per motivi di immagine e di onore, l’offerta di una rendita annua).

Nell’immediato, l’interesse per la crociata apparve significativo: nella primavera del 1363, con Giovanni II il Buono, avevano raggiunto la corte di Avignone il re di Danimarca, il potente Valdemaro IV Atterdag, Amedeo VI conte di Savoia, benché alleato sul piano politico e familiare dei Visconti, insignito poi della Rosa d’oro (1364), e soprattutto, il più entusiasta, Pietro I di Lusignano re di Cipro, recentemente vittorioso sui turchi in Cilicia; il papa fece di Leone, imparentato con Pietro, il re fortemente minacciato della Piccola Armenia. Tutti presero la croce e a questo titolo ottennero le decime, ma lo slancio fu ben presto tarpato dalla complessa situazione politica europea, dalla morte di Giovanni il Buono e dalle traversie della spedizione del re di Cipro.

Negli stessi mesi, Urbano V ebbe a occuparsi della guerra dei Cent’anni. Nell’aprile del 1363 riconciliò il conte d’Armagnac, che il trattato di Brétigny aveva reso vassallo del re d’Inghilterra, con Gastone conte di Foix, che aveva liberato dalle grandi compagnie Mirepoix (dipartimento dell’Ariège, in Aquitania), diocesi strategica ove collocò Pierre Raymond de Barrière; favorì in tal modo, indirettamente, la politica di riconquista regia della regione, sostenuta e sollecitata da Armagnac presso i numerosi signori della regione, mediante una serie di appelli e dichiarazioni di fedeltà al sovrano. Dopo la consacrazione di Carlo V (maggio 1364) e la contemporanea vittoria di Bertrand du Guesclin sugli anglo-navarresi (a Cocherel), il papa fece negoziare l’effimero trattato di scambio tra i due sovrani (primavera 1365). In generale, la situazione politico-militare in Francia fu in quegli anni difficilissima, così come i rapporti con la corona d’Inghilterra.

Nel Sud-Est la presenza del ‘principe nero’ Edoardo, principe di Galles e d’Aquitania, che si protraeva da oltre dieci anni, rinfocolava i conflitti, talvolta di natura feudale: il vescovo non intronizzato di Rodez, Faydit d’Aigrefeuille, fratello di Pierre, cercava di sottrarsi al giuramento di vassallaggio. Arnaud Aubert, cameriere del papa, era in balia delle vessazioni degli ufficiali del principe nella sua arcidiocesi di Auch.

La rivincita militare dei tre figli di Edoardo III ebbe comunque risvolti drammatici, in particolare il saccheggio di Limoges (settembre 1370), il cui vescovo Jean de Cros fu accolto in esilio ad Avignone. In questo contesto le relazioni con Edoardo III, re d’Inghilterra, non potevano essere ricomposte: il Parlamento di Londra insorse allorché il papa reclamò il censo d’obbedienza che non veniva più pagato da trentatré anni, sciogliendo il sovrano dall’impegno. E Urbano V a tre riprese rifiutò la dispensa che avrebbe consentito a Edmondo di Cambridge, figlio del re, di sposare Margherita di Fiandra (1364, 1365, 1367), accordandola invece a Filippo di Valois, fratello di Carlo V e duca di Borgogna (settembre 1368).

Questo degrado politico è stato talvolta considerato una delle ragioni che indussero il papa ad abbandonare Avignone per rientrare in Italia, ciò che avvenne nel giugno del 1367, con la protezione militare in terra e in mare assicurata dal grande maestro dell’Ordine gerosolimitano Raymond Bérenger. Il trasferimento della S. Sede a Roma, dove erano venerate le reliquie dei ss. Pietro e Paolo, promesso ai romani nel maggio del 1363, fu in effetti in cima alle preoccupazioni di Urbano V.

Nella sua politica italiana, il papa sostenne sin dal 1363 la campagna contro i Visconti (una minaccia permanente per il Papato, come sotto i precedenti pontificati) avviata da Albornoz in particolare contro Bernabò (che invitato ad Avignone temporeggiò a lungo, fu scomunicato e fatto bersaglio di una crociata, marzo-maggio 1363). Seguì un momento di pacificazione, che condusse alla destituzione di Albornoz (febbraio 1364). Tuttavia, quando il papa rivelò il suo desiderio di ristabilire a Roma la S. Sede, Visconti fu tra gli oppositori e il cardinale Guy de Boulogne, che risiedeva a Lucca in qualità di vicario imperiale, dovette adoperarsi per costituire una lega che riuniva Firenze, Siena e Lucca contro i Visconti (1369-70).

Alla partenza per Roma lasciò come vicario generale di Avignone (aprile 1367), con la responsabilità della difesa, Philippe Cabassole, che aveva già servito quattro papi e che egli aveva nominato rettore del Contado Venassino, nel novembre del 1362, all’inizio del pontificato; poco dopo (settembre 1368) lo nominò cardinale e qualche mese dopo lo richiamò in Italia (febbraio 1369).

Dopo essersi imbarcato a Marsiglia il 19 maggio, Urbano V fece il suo ingresso a Roma il 16 ottobre 1367.

A Roma, intanto, non solo erano stati avviati con ingenti spese i lavori di riparazione della basilica di S. Pietro e del Palazzo Vaticano (autunno 1365), ma fu anche affidata all’architetto senese Giovanni Stefano la ricostruzione della basilica di S. Giovanni in Laterano, che aveva subito due incendi nei primi sessant’anni del secolo. Inoltre si procedette al riconoscimento delle reliquie dei due principi degli apostoli (marzo 1364), che furono quindi custoditi in un doppio reliquiario commissionato a Giovanni di Bartolo, anch’egli senese, e collocato sulla sommità del ciborio ispirato al lavoro di Arnolfo di Cambio.

Per lasciare Avignone, secondo l’annuncio dato nel giugno del 1366, il papa dovette superare le resistenze dei cardinali e del re di Francia. Carlo V si affrettò a inviare ad Avignone un’ambasceria che annoverava nobili e ufficiali reali, per cercare di dissuaderlo; Ancel Choquart lesse un lungo discorso intimidatorio che parafrasava il Quo vadis, Domine? per annunciare il martirio (fine aprile 1367). Al contrario, l’ambasceria di Firenze sollecitava il ritorno.

Nello Stato della Chiesa, malgrado Albornoz avesse sostanzialmente posto rimedio alla gravissima crisi, sigillando il tutto con l’opera legislativa delle Costituzioni egidiane, gli impegni legati alla pacificazione continuavano a essere imponenti nei confronti delle numerose dinastie aristocratiche avversarie o alleate con il Papato a seconda delle circostanze.

La necessità di interventi militari si rivelò rovinosa per le finanze pontificie. A Roma, sin dal giugno del 1363 Urbano V aveva confermato i poteri popolari dei sette riformatori istituiti da Albornoz, mantenendo al senatore (da lui scelto) un ruolo eminentemente rappresentativo. In questa carica si alternarono un cugino di Albornoz, Blasco Fernandez de Belvis (già rettore di Spoleto e negoziatore nel 1365 di un accordo con la Compagnia Bianca), che fu eletto nel settembre del 1367; poi Bertrand Raynard (che inizialmente, nell’agosto del 1367 era stato designato vicario di Corneto e Montalto di Castro), e ancora (con alternanza ‘nazionale’) Gentile da Camerino, Luigi di Sabran conte di Ariano (1369), Berardo de Morvaldensibus di Orvieto.

Quanto al vicariato per gli affari spirituali, era stato affidato nel 1364 allo zelante Pierre Bohier, benedettino della Linguadoca, che il papa aveva nominato vescovo di Orvieto. In previsione dell’arrivo della Curia, egli era stato incaricato di sovrintendere al restauro della basilica di S. Pietro e di riconciliare con i Colonna, concedendo una dispensa matrimoniale, la famiglia dei Prefetti di Vico (che costituirono – almeno sino all’assoluzione ottenuta nel 1370 – con Francesco e Giovanni Battista di Giovanni una delle principali minacce per la tranquillità del territorio del Patrimonio, in alleanza con i perugini). Bohier, trasferito alla sede episcopale di Vaison nel Contado Venassino, fu avvicendato dal vescovo di Arezzo, Jacopo Mutis di Romena (luglio 1370).

Il ruolo di vicario generale (talvolta affidato a due personalità, spesso con il titolo legatizio), che era stato di Albornoz (poi sostanzialmente confinato in Romagna, semiesautorato, e inviato come legato a Napoli nel 1365-66) e, dal novembre del 1363, dell’inetto Androin de la Roche, fu affidato nel novembre del 1367 ad Anglic Grimoard, fratello del papa, che fu poi espulso da Perugia (agosto 1368) dai cittadini alleati ai Prefetti di Vico, con l’appoggio delle bande di Giovanni Acuto, ma fu anche vicario della Marca Anconetana e del Patrimonio, ove sovraintese all’operato del rettore Nicola Orsini conte di Nola (nipote del cardinale Rinaldo Orsini, imparentato con Guy de Boulogne e sposato con una Sabran).

In Campagna e Marittima un canonico agostiniano, Ugo di Bonovillario, all’arrivo del papa sostituì nella carica di rettore Giovanni Guidotti, precettore degli Antoniani di Firenze, e dovette scendere in guerra contro Francesco alias Cicco di Ceccano (primavera 1368) prima di cedere la sua carica a Daniele del Carretto, priore degli Ospedalieri di Lombardia trasferito dalla Romagna (1370).

In questa regione (in precedenza energicamente retta da un nipote di Albornoz, tra il 1361 e il 1364 e ‘liberata’ dai Visconti, che furono allontanati da Bologna mediante la esorbitante corresponsione di 500.000 fiorini da corrispondere in otto anni) il rettore del Carretto aveva soffocato una rivolta contro gli Alidosi, vicari del papa; si avvicendarono poi Hugues di Montferrand (parente di Urbano) e Blasco Fernandez de Belvis.

A Benevento, dove era arcivescovo e rettore Hugues Guitard, fu inviato Guillaume Guitard, cappellano del papa e uditore delle cause, per ricomporre il conflitto tra Filippo di Taranto e Francesco del Balzo, duca di Andria (settembre 1368), dopo che il cardinale Guillaume d’Aigrefeuille, nuovo vescovo della Sabina, ebbe l’incarico di fissare i confini del Ducato di Benevento con i due cognati.

Malgrado le violente rivolte scoppiate a Viterbo poco dopo l’arrivo della Curia (settembre 1367), il papa, rinnovando una tradizione secolare, vi trascorse la fine dell’estate del 1369, prima che la peste decimasse il Sacro Collegio. In quell’anno le maggiori difficoltà furono create dalla rivolta di Perugia, colpita da interdetto (luglio 1369), che aveva coinvolto nella ribellione anche Siena e Orvieto.

L’anno successivo (aprile 1370), avendo partecipato alla liberazione di Firenze minacciata da John Hawkwood (dicembre 1368 e 1369), Urbano V riunì in una lega la repubblica fiorentina, Bologna, Reggio, Pisa e Lucca alle quali si aggiunsero gli Este di Ferrara, i Carrara di Padova, i Gonzaga di Mantova (aprile 1370), e incaricò Anglic Grimoard di concludere la pace a Bologna (novembre). Perugia tornò sotto il governo pontificio.

Nei confronti del Regno di Napoli (vassallo della S. Sede e debitore quasi perpetuo del censo ricognitivo) al momento del suo rientro in Italia Urbano V aveva alle spalle un complesso rapporto con la regina Giovanna, della quale aveva accettato (novembre 1362) le nozze con Giacomo III, sovrano detronizzato di Maiorca.

In prospettiva, Urbano V avrebbe preferito per l’erede presunta al trono, Giovanna di Durazzo (nipote della regina), un matrimonio con Federico IV di Trinacria, ma andò avanti invece il progetto di unione tra costei e Aimone di Ginevra nipote di Guy de Boulogne, già proposto dal suo predecessore; a tale scopo tramava l’arcivescovo di Napoli, Pierre Ameilh, protégé di de Boulogne, che si alleò con Nicola Orsini (cugino di Aimone) e dovette rifugiarsi per circa un anno a Benevento. Nelle complesse vicende della corte napoletana di quegli anni, Urbano V prese anche le distanze dal gran siniscalco Niccolò Acciaioli, sostenitore del legato Albornoz ma presto scomparso (novembre 1365).

La vicenda dinastica napoletana si concluse con il matrimonio fra Giovanna di Durazzo e Luigi di Navarra, fratello del re Carlo V (1365-66), cui Urbano V reagì energicamente, scomunicando gli sposi e la regina Giovanna. Ovviamente aveva anche trasferito Ameilh nell’insignificante e povero arcivescovato di Embrun, sostituendolo a Napoli con Bernard du Bosquet (settembre 1365; creato cardinale nel settembre 1368), protetto del cardinale Talleyrand di Périgord, avversario di Guy de Boulogne. Successivamente Urbano V venne a più miti consigli nei confronti degli Angioini di Napoli, senza tuttavia restituire alla principessa il suo diritto di successione al trono (1369).

Quanto alle relazioni con l’imperatore Carlo IV, negli anni Sessanta erano state sostanzialmente positive.

L’imperatore nel marzo del 1364 aveva partecipato alla Pace di Bologna stipulata con Bernabò Visconti, affiancando il legato pontificio, e gli restituì il titolo di vicario di Milano (marzo 1364). Appoggiò inoltre il papa osteggiando i disegni degli Asburgo, duchi d’Austria: difese Francesco da Carrara, signore di Padova e vicario imperiale, dalle mire del duca Rodolfo, vanificando i progetti matrimoniali del duca Alberto con Elisabetta, nipote del re Luigi I d’Ungheria, e del duca Leopoldo con una figlia di Bernabò Visconti. Pochi mesi dopo, sostando ad Avignone, mentre era diretto ad Arles per esservi incoronato re di Borgogna, Carlo IV confermò i privilegi della Chiesa di Avignone (giugno 1364).

Durante il soggiorno di Urbano V a Roma, che coincise con la sua seconda spedizione in Italia, l’imperatore lo incontrò di nuovo e fece incoronare la sua quarta moglie, Elisabetta di Pomerania (festa di Ognissanti 1368). Nei mesi successivi l’imperatore e il papa agirono in un primo momento di concerto in Toscana: il vicario imperiale fu Guy de Boulogne, che in Lucca – allora sottratta alla tutela pisana – dovette togliere una gravosa imposta imperiale, per la quale il papa, Firenze e i da Carrara (amici di lunga data del cardinale) acconsentirono a un prestito (primavera 1369). Tuttavia Urbano V avrebbe desiderato limitare a Lucca il vicariato di Guy, che invece Carlo IV confermò sull’intera Toscana.

Non appena il cardinale abbandonò Lucca per raggiungere il papa a Montefiascone (marzo 1370), gli abitanti distrussero la fortezza della città.

Per quanto riguarda lo scacchiere iberico, malgrado la stima che nutriva nei confronti del re di Castiglia Pietro il Crudele e i successi diplomatici ottenuti all’inizio del pontificato da Guillaume d’Aigrefeuille il Vecchio, negli anni precedenti al suo ritorno a Roma il papa era stato indotto dal partito franco-aragonese (incarnato da Guy de Boulogne, che agì attraverso il suo uditore Jean de la Grange abate di Fécamp, vicino a Carlo il Malvagio re di Navarra; oltre che ovviamente da Pietro IV il Cerimonioso d’Aragona) ad accordare una decima con il pretesto di una crociata contro i Mori di Granada, ma che in realtà doveva finanziare una spedizione contro Pietro il Crudele. Fu soprattutto l’occasione per far varcare i Pirenei alle compagnie giunte dalla Borgogna nel Contado Venassino sotto il comando di du Guesclin (fine del 1365). Alla fine degli anni Sessanta, dopo l’assassinio di Pietro di Castiglia per mano del fratellastro Enrico Trastamara (marzo 1369), il papa, attraverso l’invio di nunzi, cercò di placare l’ostilità di quest’ultimo nei confronti del re aragonese.

Una considerazione d’insieme del pontificato di Urbano V non può ovviamente prescindere da una valutazione delle sue importanti iniziative di riforma e di governo ecclesiastico. Limitò l’accumulo dei benefici ai cardinali imponendo loro la rinuncia allorché ne ottenevano di nuovi. Fu in grado di tener loro testa quando, al momento di imbarcarsi a Marsiglia alla volta dell’Italia, essi espressero la loro contrarietà per questo trasferimento: innalzò subito alla dignità cardinalizia il solo Guillaume d’Aigrefeuille il Giovane (di appena ventotto anni), nipote di Guillaume il Vecchio, per dare una dimostrazione di autorità. Anche se la riforma del clero perseguita da Urbano V è apparsa ad alcuni storici molto più modesta di quella di Benedetto XII, sembra sia stata condotta instancabilmente e fu rivolta al clero sia secolare sia regolare.

La costituzione Horribilis (perduta) limitava il possesso dei benefici, mentre tramite il cameriere Aubert a tutti i rettori e i curati che si trovavano «alla corte di Roma» veniva intimato di rientrare entro un mese nella loro parrocchia (luglio 1364). La creazione di collegi per giovani chierici era d’altronde destinata a innalzare il loro livello culturale. A Guillaume d’Aigrefeuille il Vecchio il papa affidò la riforma dell’Ordine benedettino (giugno 1365) e, informato della decadenza dell’abbazia di Montecassino, nel 1367 soppresse il vescovato che vi aveva eretto Giovanni XXII, mantenendo l’abbazia con l’intento di rinnovarne la comunità attraverso l’inserimento di olivetani e di monaci spagnoli e tedeschi. Fu propenso a disporre l’unione di piccoli priorati rurali, in particolare in favore della sua antica abbazia di S. Vittore, ma anche nell’Ordine di Saint-Ruf e altri, senza dubbio spesso per ragioni economiche legate all’impoverimento del clero. L’incoraggiamento rivolto ai provinciali francescani di Calabria e di Sicilia perché aprissero nuovi conventi ebbe lo scopo di arginare la corrente dei fraticelli; il riconoscimento del movimento di osservanza francescana di Paoluccio Trinci sotto forma di eremitaggio in prossimità di Foligno evitò una frattura con la gerarchia. Lo stesso accadde nel caso dei senesi Giovanni Colombini e Francesco Vincenti, accolti come ‘poveri del papa’ (giugno 1367), fondatori precocemente scomparsi dei gesuati. Trovò inoltre sostegno, come si è accennato sopra, nell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme.

Attorno al 1369-70 giunsero al pettine anche alcune questioni legate agli strascichi dei progetti di crociata: fu restituita a Genova e a Venezia la libertà di commercio con l’Oriente che il papa aveva dovuto limitare considerevolmente. Ma soprattutto, a Roma il 18 novembre 1369 Giovanni V Paleologo, imperatore di Costantinopoli (che, prigioniero dei bulgari, era stato liberato da Amedeo VI di Savoia, suo parente) fece a titolo puramente personale atto solenne di sottomissione al papa, come moneta di scambio per ottenere aiuto contro i turchi.

Il vicario del papa per gli affari spirituali Pierre Bohier, narrando gli incontri, non si peritò di confrontare il tono umile dei greci con la ristrettezza di vedute del pontefice: il prelato si rammaricava dell’incompletezza della sua formazione canonistica per appellarsi a un concilio.

Tra i provvedimenti di ambito lato sensu culturale presi nell’arco del pontificato, va ricordato che Urbano V si preoccupò di riformare o di dare nuovi statuti alle città di Orléans, Orvieto, Tolosa e Parigi. Ma ancor più significativa fu la fondazione di università – a Cracovia (di concerto con il re Casimiro III il Grande, 1364), Orange (con l’imperatore Carlo IV, 1365), Vienna (1365) – e di collegi (a Montpellier, Saint-Benoît e Douze-Médecins). Un sapore riformistico ha la creazione di piccoli collegi per giovani chierici in diverse diocesi francesi: a Trets (poi trasferito a Manosque), St-Germain-de-Calberte (diocesi di Mende), Saint-Roman d’Aiguille (presso Beaucaire).

Sin dal 1365 diede inoltre direttive ad Albornoz e al segretario Niccolò di Osimo di reclutare in Italia segretari e scriptores di cancelleria, allo scopo di migliorare il livello qualitativo della loro produzione (settembre 1365); nello stesso ambito, con la mediazione di Guy de Boulogne fece nominare Coluccio Salutati cancelliere di Lucca (luglio 1370).

Un cenno meritano infine le iniziative concernenti gli ebrei e gli eretici. Nel 1368 l’arcivescovo Pierre Ameilh, trasferito da Napoli a Embrun, ricevette l’incarico di estirpare l’eresia nella sua provincia con la collaborazione dei francescani, tra cui François Borrel; ma l’attenzione di Urbano V al tema era stata costante.

Nel giugno del 1364 il papa inviò l’inquisitore francescano Hugues de Cardillon nelle contee di Savoia, del Valentinois e Diois e di Provenza per perseguitare coloro che erano tornati al giudaismo. Nondimeno rinnovò le costituzioni generali dei suoi predecessori nei loro confronti, per condannare le conversioni forzate e gli atti di violenza (giugno 1365). Inoltre aveva intensificato la lotta contro l’eresia valdese nelle valli alpine e nelle province di Lione, Vienne, Embrun, Tarantasia e Besançon (estate 1364), ricorrendo al suo cappellano Bernard du Bosquet (poi arcivescovo di Napoli).

Nell’insieme dunque il triennio italiano (1367-70), che Urbano V trascorse fra Viterbo, Roma e Montefiascone, fu turbato da epidemie, violenze, conflitti politici, in Italia come in Francia, e il papa decise a malincuore di rientrare ad Avignone. Imbarcatosi a Corneto il 5 settembre 1370, raggiunse Avignone, per morirvi appena quattro mesi dopo, il 19 dicembre 1370. Per una scelta di umiltà, ciò avvenne nell’antica casa episcopale del fratello Anglic – arcivescovo di quella città dal 1362 – che nel maggio-giugno del 1372 adempì il voto fatto al fratello accompagnando le sue spoglie dalla cattedrale di Notre-Dame-des-Doms di Avignone all’abbazia di Saint-Victor a Marsiglia.

Attorno alla tomba marsigliese si moltiplicarono i miracoli (trecentottanta testimonianze nel 1376-78, alcune delle quali provenienti da Lisbona, dalla Calabria, da Saint-Brieuc, da Utrecht o Buda), che incoraggiarono le richieste di canonizzazione, per esempio da parte di Valdemaro V di Danimarca; ma Gregorio XI, incalzato dagli eventi, rinviò l’apertura del processo (1375). Clemente VII rivalutò la sua posizione, al contrario di Urbano VI, che fu papa a Roma, ma si dovette attendere il 10 marzo 1870 perché Pio IX proclamasse Urbano V beato. La sua memoria liturgica è celebrata il 19 dicembre.

La fisiognomica di Urbano V è ben nota grazie al cenotafio destinato al priorato-collegio di Saint-Martial ad Avignone, il cui gisant è conservato nel museo del Petit Palais di Avignone, all’insieme di lettere ornate di un messale di fattura bolognese (ms. 136 della Bibliothèque Municipale di Avignone) e a una collezione di disegni della Biblioteca reale di Windsor, che rappresentano dei dipinti perduti in cui il papa è associato al reliquiario dei ss. Pietro e Paolo. Infine vanno ricordati anche un dipinto conservato a Bologna, firmato da Simone dei Crocifissi, un affresco del convento di S. Chiara di Assisi, né mancano altre testimonianze: una dovizia che si spiega con la campagna di canonizzazione condotta negli anni successivi alla morte.

Fonti e Bibl.: Per la bibliografia completa fino al 1999 si rimanda a M. Hayez, Urbano V, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 1999, pp. 542-550. L. Vones, Urban V, 1362-1370. Kirchenreform zwischen Kardinalkollegium, Kurie und Klientel, Stuttgart 1999; E. Marinelli, Beato Urbano V. Il papa munifico di Montefiascone, Montefiascone 2006.

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