URBINO

Enciclopedia Italiana (1937)

URBINO (A. T., 24-25-26)

Ettore RICCI
Luigi SERRA
Carlo PIETRANGELI
Tammaro DE MARINIS
Giustiniano DEGLI AZZI-VITELLESCHI

Città delle Marche settentrionali, a m. 451 s. m., posta tra il Foglia e il Metauro, sopra un alto bipartito dorso collinoso, a 30 km. in linea d'aria dall'Adriatico. La pianta della città, tutta cinta da salde mura, si presenta di grande sviluppo longitudinale, assecondante le isoipse a somiglianza perfetta degli insedi amenti dello stesso tipo, su crinale collinoso, quali Perugia, Macerata, Recanati: come pure, in rapporto allo stesso elemento morfologico, si hanno poche vie larghe, pianeggianti adagiate secondo le isoipse, e molte strette, scoscese, radiali. Il punto di massima irradiazione di vie interne verso le porte è la piazza VIII Settembre e il largo ove sorge la grande chiesa di S. Francesco; di lì, la via Raffaello sale alla Porta del Monte, donde si gode un'ampia vista.

Le caratteristiche climatiche di Urbino sono: media termica annua 12°,4; massimo assol. 35°,5; minimo assol. −10°,8; precipitazioni mm. 1016,4, con massimo autunnale e minimo invernale; frequenza giorni nevosi 6; umidità relativa 71; venti dominanti del I quadrante, N. e NE., cui segue il SO.

Urbino ha due comunicazioni ferroviarie: la Urbino-Fabriano che si allaccia alla linea Ancona-Roma; la Fermignano-Fano per la linea Ancona-Bologna.

Il territorio del comune è vastissimo: kmq. 232,47, con estremi altimetrici di m. 640 e m. 80; esso è nel bacino sinistro del medio Metauro e destro del medio Foglia (delle due Apse, nascenti dai versante N. del colle d'Urbino e dei monti della Cesana); è costituito di alte e mediocri colline del Miocene, con rocce sedimentarie gessose e solfifere, e di arenarie, di piane alluvionali quaternarie con sedimenti argillosi.

La superficie agraria, che già subì notevole deterioramento dal diboscamento, è di ettari 21.445, di cui oltre un quarto (ett. 5600) sottoposti a coltura intensiva di cereali. Ciò, associato a un buon patto agrario di mezzadria, ha procurato dallo scorcio del secolo XIX in poi un costante aumento nella produzione del grano, con medie da 12 a 15 q. per ettaro. Notevole la coltura della vite e del gelso e l'allevamento del bestiame, che viene esportato. Urbino è la sede del Consorzio agrario e della Cattedra d'agraria per l'intera provincia di Pesaro e Urbino: grandissimi silo sono sorti al perimetro della città.

La popolazione, di 16.659 ab. nel 1881, è salita a 18.244 nel 1901, a 19.932 nel 1921, a 20.371 nel 1931 (densità, circa 90 abitanti per kmq.). La popolazione agglomerata nella città è di circa a 6000 abitanti; le frazioni sono quattro.

L'economia del comune è prevalentemente agricola; industrie storiche sono quelle delle maioliche e delle stoviglie; delle spille, istituita da Benedetto XIII; attuali la filatura della seta, le coltellerie, uno stringhificio, fornaci da laterizî, lavori in ferro battuto.

L'antica dignità di capitale è manifesta, tuttora, in un complesso di istituti religiosi, di cultura, d'arte, di pietà. Si annoverano: la Galleria nazionale delle Marche, nel palazzo ducale; l'Università libera, parificata alle regie, con facoltà. di legge, scuola di farmacia e corsi di laurea in farmacia, con ricca biblioteca e orto botanico; la R. Accademia Raffaello, per gli studî di storia patria urbinate, con sede nella casa di Raffaello; il R. Istituto di Belle Arti per la decorazione e illustrazione del "Libro" (unico in Italia); annessa all'Istituto è la Scuola d'Arti e Mestieri; il liceo ginnasio e il collegio convitto fondato da Clemente XI; l'Istituto e Cappella musicale; l'istituto Magistrale e il convitto femminile; la scuola d'avviamento, ecc. Istituto di particolare carattere, di grande vastità e modernissimi impianti, è il riformatorio per giovanetti, con annessa Colonia agricola e Campo sperimentale.

Monumenti. - Se il carattere artistico di Urbino è determinato in ispecial modo dai monumenti del Rinascimento, certo esso assume considerevole complessità perché si estende dal periodo romanico ai tempi moderni, anche non tenendo conto dell'abbondante suppellettile cimiteriale murata nelle logge del palazzo ducale, che è di provenienza varia, e che presenta valore storico più che artistico.

Nessun monumento dell'antica Urbinum è conservato: solo in uno scavo presso il palazzo ducale si rinvennero resti di edifici di età imperiale. Nel territorio è avvenuta qualche sporadica scoperta, tra cui notevole quella di fondi di capanne dell'età del ferro sul colle di monte Rossano. Nel palazzo ducale è una ricca collezione di antichità proveniente in parte da Urbino e territorio, in parte dalle città vicine e in parte anche da Roma; tra le iscrizioni importate è notevole quella di Eutropo, fabbricante di sarcofaghi, proveniente dal cemeterio romano di S. Elena sulla Labicana. Da Roma provengono anche i frammenti di obelisco, ricomposti in piazza Vittorio Emanuele.

Del momento romanico si hanno, in verità, scarsi e staccati elementi: la chiesa di S. Cassiano a Cavallino, nei dintorni; la stauroteca in argento dorato proveniente alla Galleria urbinate dal convento dell'Avellana, opera dello scorcio del sec. XII.

Più importanti e organici sono gli elementi superstiti della tradizione gotica, che si afferma soprattutto nelle chiese di S. Francesco, di S. Domenico, di S. Agostino e nelle opere dei pittori riminesi. La chiesa di S. Francesco può risalire alla seconda metà del sec. XIV e sembra avesse pianta singolare, a una sola nave, con collaterale dal lato dell'epistola alzata su quattro gradini e coperta e vòlta: in seguito la chiesa venne ridotta a tre navi. Notevoli l'alta e possente torre campanaria coronamento conico e il chiostro con archi a sesto ribassato.

S. Domenico, eretta nel 1365, fu essa pure rimaneggiata e ridotta a una sola nave dalle tre originarie: resta l'ardua facciata a due spioventi sottolineati da filari di archetti pensili, il fianco sinistro rafforzato da lesene, l'organismo delle leggiadre vòlte nervate sulle cappelle fiancheggianti il coro. Ed è anche all'esterno, specie nella decorazione ad archetti intrecciati, che si rivela il primitivo assetto gotico della chiesa di S. Agostino (secoli XIII-XIV), massa solenne non meno delle due altre fabbriche.

Anche la scultura ha saggi considerevoli, quali il monumento al conte Antonio da Montefeltro, già in S. Francesco, ora nel palazzo ducale, opera dei primi anni del sec. XV, leggiadramente intagliato nei modi veneziani. Alla tradizione lombarda è invece da riferire quanto rimane del monumento ad Agnese de' Prefetti (palazzo ducale).

La pittura trecentesca è bene rappresentata nella Galleria nazionale. Vi è un polittico firmato e datato 1345 di Giovanni Baronzio; un trittico, già attribuito a Giuliano da Rimini, ora a un anonimo maestro riminese, ed altre opere che a questa cerchia si riferiscono; vi è altresì l'ultimo dipinto datato (1372) di Allegretto Nuzi.

La pittura senese si insinuò largamente in Urbino, dove è rappresentata da un S. Giovanni Battista e da un S. Michele Arcangelo verosimilmente di Andrea di Bartolo, dalla tavola con la Madonna fra angeli in S. Paolo, opera della seconda metà del secolo XIV, dall'affresco frammentario raffigurante la Vergine col Bambino in duomo, vicino a Pietro Lorenzetti come taluni freschi inediti della chiesa di S. Domenico.

Per le arti industriali è da ricordare specialmente un vessillo navale bizantino databile circa l'anno 1411 (Galleria nazionale) proveniente da Fonte Avellana.

Ma è nel periodo del Rinascimento che Urbino, auspice sopra tutto il duca Federigo da Montefeltro e il figlio Guidobaldo I, risplende del suo maggiore fulgore. È un affluire di artisti e di opere nobilissime d'ogni parte che fanno della piccola città uno dei più fervidi focolari artistici della civiltà italiana in questo magnifico momento. Nel quale si determinò anche un'attività locale, specie nell'architettura, sì da poter parlare di uno stile urbinate, e nella pittura, sì da accennare a una scuola pittorica indigena. Già sul principio del sec. XV s'era sviluppata una considerevole attività pittorica. Lorenzo e Iacopo Salimbeni da Sanseverino eseguirono nel 1416 il mirabile ciclo di affreschi dell'oratorio di S. Giovanni, inteso come vaste pagine miniate, ricco di spunti naturalistici, con un'immediatezza avvincente, un senso limpido e raffinato del colore e vivaci spiriti decorativi. Ottaviano Nelli risulta a Urbino intermittentemente dal 1417 al 1437 e della sua attività quivi restano, segni notevoli, gli affreschi della Madonna dell'Omo, che risentono del ciclo salimbeniano in S. Giovanni e quindi sono posteriori all'anno 1416; quelli dell'oratorio di S. Gaetano, forse del 1417 circa, una Madonna in S. Croce che si classifica fra il 1428 e il 1432.

Antonio Alberti, ferrarese, compare in Urbino dal 1423; nel 1430 frescò una cappella in S. Francesco della quale restano alcuni frammenti distaccati nella Galleria nazionale ove si trova anche una S. Agata di sua mano; nel 1438 dipinse il Gonfalone in parte rifatto ora nel medesimo istituto; nel 1439 un polittico firmato che venne alla galleria dalla chiesa di S. Bernardino. Verso la metà del secolo la fiorita artistica urbinate diventa smagliante. Nel 1449-51 Tommaso di Bartolomeo detto Masaccio addossò alla gotica chiesa di S. Domenico un portale grandioso, che pur derivando da Michelozzo e dall'Alberti, è un'opera originale, in cui risalta una mirabile terracotta, invetriata bianco e azzurro, una delle più elette opere di Luca della Robbia.

Nel 1465 Luciano Laurana imprese la trasformazione del palazzo ducale, inglobandovi probabilmente un fortilizio dei secoli XIII e XIV e una piccola residenza principesca sistemata verso la metà del sec. XV e poco più tardi ampliata, accentrando la fabbrica organicamente intorno a un cortile, conferendole varietà di aspetti e di movenze nelle diverse sue fronti, creando la prima reggia del Rinascimento in una grandiosità raffinata e serena, tuttora affascinante, pur se un po' menomata dall'aggiunta posteriore di un altro corpo di fabbrica anch'esso pensato intorno a un cortile ma rimasto incompiuto. Questo stupendo prototipo venne largamente imitato nella città e fuori di essa; la sua maggiore filiazione è da riconoscersi nel malandato palazzo Passionei.

Non di Luciano Laurana è l'insigne chiesa di S. Bernardino, che con maggiore verosimiglianza si assegna a Bramante o, meglio, a Francesco di Giorgio Martini per la stretta affinità con la Madonna del Calcinaio presso Cortona; di elette proporzioni, quando si elimini idealmente il coro aggiunto, e di singolare schema costruttivo.

Non poca importanza presenta inoltre il recinto bastionato che rinserra la piccola città fatto iniziare nel 1507 dal duca Francesco Maria I: il tracciato è rafforzato da bastioni poligonali a baluardi, con artiglieria scoperta, ed è tra i primissimi esempî in Italia dei nuovi modi di fortificazione, se non forse addirittura il primo fondamento alla moderna fortificazione.

Il palazzo ducale è, poi, una vera antologia scultoria. Vi si afferma una forte corrente lombarda con Ambrogio Barocci e aiuti cui si ascrivono, tra l'altro, le decorazioni del fregio in facciata e quelle dei portali, le decorazioni della scalea, l'ornato della cappella del Perdono, ecc., mentre a Gian Cristoforo Romano si riferiscono, su men saldo fondamento, le bellissime decorazioni di tre portali. Un apporto locale sulla direttiva lombarda si può vedere nella decorazione della cappella ducale in S. Francesco eseguita da Costantino Trappola. La corrente toscana vi crea opere anche più significative: un filone proviene dal tempio Malatestiano di Rimini e impronta la sala della Iole, un altro deriva da Firenze stessa ed ha a capo Domenico Rosselli che illeggiadrisce le armoniose aule lauranesche con le sue eleganti decorazioni policrome; non poca opera diede all'insigne mole anche Francesco di Simone Ferrucci, cui va riferito un soffitto di stucco che inquadra l'aquila feltresca in un vaghissimo ondular di nastri e di putti musici; ed è probabile la presenza a Urbino di Agostino di Duccio. Conviene ricordare altresì l'attività di Tommaso Fiamberti, oltre a quella dei senesi Francesco di Giorgio Martini e Iacopo Cozzarelli, operosi per circa dieci anni a Urbino, senza che restino ora tracce della loro opera scultoria, se non si vuol ricordare il rilievo bronzeo di mano del Martini passato da Urbino a Venezia (chiesa dei Carmini). Pure sulla direttiva artistica fiorentina si può notare qualche contributo locale, ma il miglior frutto della plastica urbinate del periodo è Federigo Brandani, decoratore insigne più che statuario, che lavorò in palazzo e ha lasciato nel Presepio dell'oratorio di S. Giuseppe a Urbino una delle più geniali sue opere, sulla quale aleggia vagamente lo spirito del Correggio, e quello del Begarelli è inteso in proprî modi.

Nella pittura la concentrazione di forze varie, accennatasi fin dall'inizio del Quattrocento, s'intensificò e divenne imponente dalla metà del sec. XV al primo quarto del successivo, e quando non vennero gli artisti in persona arrivarono le opere. Di Piero della Francesca resta tuttora la Flagellazione di Cristo che, pur male conservata, è tra i segni più fulgidi dell'arte sua, mentre la pala di S. Bernardino si trova a Brera, e i ritratti dei duchi di Urbino sono a Firenze; di Paolo Uccello la predella col Miracolo dell'Ostia, squisitamente fiabesca; di Melozzo, che fu due volte nella città ducale, nulla rimane di sicuro; del Signorelli si conserva uno stendardo da lui eseguito nel 1504. Più tardi Tiziano dipinse un altro stendardo ancora in situ, mentre la Venere famosa si trova agli Uffizî e la Bella a Pitti, a coronamento di una importante attività dei maestri veneziani: Palma, Sebastiano del Piombo, Giorgione. Giusto di Gand vi dimorò e operò fra il 1468 e il '71; lo spagnolo Pedro Berruguete vi risulta nel 1477.

La piccola scuola locale non assume lineamenti cospicui; essa si accentra intorno a Giovanni Santi, del quale restano tante opere a Urbino. Egli deriva da Piero e da Melozzo soprattutto, oltre che da Giusto di Gand. Intorno a lui si muovono Bartolomeo di Gentile, del quale non sono conservate opere in sede, Evangelista di Pian di Meleto e Fra Carnevale, dei quali non è noto alcun dipinto certo, e altri anonimi. Intorno all'anno 1495 si stabilì a Urbino Timoteo della Vite, reduce da Bologna, e di lui è conservata la tavola con i Ss. Tommaso e Martino, oltre a opere minori nella Galleria e in S. Agostino. Da questo mirabile fermento sorge la luce di Raffaello del quale al presente non v'ha che un ritratto muliebre proveniente dagli Uffiizî, benché alla reggia Urbinate egli avesse dato il Sogno del Cavaliere ora a Londra, il S. Michele del Louvre, il ritratto del Castiglione e qualche altra opera.

Le arti industriali accompagnano questa mirabile ascesa. Le tarsie che ingemmano le porte e lo studiolo di Federigo nella mole ducale, eseguite verosimilmente su disegno di Francesco di Giorgio Martini, con larghi influssi botticelliani, da Baccio Pontelli, sono le più belle estrinsecazioni di quest'arte nel Rinascimento. La maiolica fiorì a Urbino quando Nicola Pellipario vi trasmigrò da Castel Durante (Urbania). Nel Cinquecento dànno opera ad essa due famiglie, soprattutto i Fontana e i Patanazzi, senza tacere del considerevole slancio impresso dal rodigino Francesco Xanto Avelli. Nella galleria e in duomo sono conservati stoffe, arazzi, cuoi, ferri battuti di varia provenienza che contribuiscono ad attestare il rigoglio della fiorita rinascimentale nella città feltresca.

Né col Rinascimento si può dire esaurita la vitalità artistica di Urbino. Dal manierismo si eleva per genialità e caratteri originali Federigo Barocci (1535-1612), del quale le chiese e la galleria mostrano tuttora molte opere, notevoli per vaghezze cromatiche a sfumati e velature raffinate. A un maestro contemporaneo, il Giambologna, era attribuito il Cristo Morto dell'Oratorio della Grotta, parte del monumento funerario che si faceva preparare il duca Francesco Maria II della Rovere, ma ora si tende a ritenerlo di Giovanni Bandini.

La pittura del Seicento, specie quella marchigiana, è largamente rappresentata, soprattutto nella galleria. Il neoclassicismo lasciò nobili opere. Luigi Vanvitelli trasformò le chiese gotiche di S. Francesco e di S. Domenico, con singolare nobiltà, specie quest'ultima che si riporta nel ritmo delle luci di due misure a S. Andrea di Mantova ed è improntata di solenne maestà. La facciata del duomo si deve al ravennate Camillo Morigia (1743-1795) che si ispirò a schemi palladiani, l'interno a Giuseppe Valadier che la intonò a vanvitelliana grandiosità in un giuoco di colonne aggettanti, in uno schema spaziale imponente. (V. tavv. CIX-CXII).

Arte della stampa. - Fu Henricus de Colonia, proveniente da Lucca, a stampare il primo libro pubblicato ad Urbino. Sono due trattati giuridici, la Summa quaestionum compendiosa di Tancredo de Corneto e il Tractatus de paleis et olivis di Angelo de Periglis, formanti un volume in folio di 76 carte "impressum Urbini per magistrum Henricum de Colonia in nobili domo Gallorum in valle bona anno MCCCCLXXXXIII die xv mens. Maii". È libro di grande rarità, conservato al British Museum. Seguì, nell'agosto dello stesso anno 1493, il De ludo di G. B. Caccialupi, di cui si conoscono i tre esemplari delle bibl. universitarie di Breslavia e Tubinga e della Studienbibliothek di Salisburgo.

Storia. - È ormai accertato, dopo lunghe incertezze, che l'odierna città di Urbino sorge sul luogo dove fu in età romana Urbinum Metaurense. Questa città, che dalle iscrizioni risulta essere stata un municipio di notevole importanza e che è più volte menzionata dagli autori antichi e apparteneva alla tribù Stellatina, non ha storia per noi. Sappiamo solo che durante la guerra gotica Belisario la cinse d'assedio e la prese nel 538 d. C.

Fortificata e ingrandita da re Liutprando, fu poi compresa nelle donazioni dei Carolingi alla Chiesa che sempre ne pretese, e spesso riuscì ad averne, il dominio. Nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini seguì le parti di questi, distinguendosi per la sua fedeltà agli Svevi, che però mal ne la compensarono, privandola della sua autonomia comunale per concederla prima in vicariato (1155) e poi in feudo comitale (1213) ai conti di Montefeltro, i quali solo più tardi e dopo fieri contrasti poterono ridurla in soggezione. Guido il Vecchio di Montefeltro e i suoi successori dilatarono il loro stato fino a Cagli, Gubbio, Casteldurante e altri luoghi e nel 1443 ebbero da papa Eugenio IV il titolo di "Duchi d'Urbino". Valorosi e astuti condottieri in guerra non meno che principi saggi e munifici in pace, arricchirono la città di monumenti mirabili, la cinsero di mura, la dotarono di una fiorente università e di una celebre biblioteca (poi da papa Alessandro VII riunita alla Vaticana come l'altra, pure ricchissima, di Casteldurante), e la loro corte, dove fiorirono o furono ospiti gli artistì più insigni e i più famosi letterati dell'epoca, come Raffaello, il Bramante, il Barocci, e il Brandani, il Bembo, il Castiglione, fu tra le più gloriose e splendide del Rinascimento italiano. Successori non indegni dei Feltreschi furono i duchi della Rovere; ma alla morte dell'ultimo di questi, Francesco Maria II (1631), Urbino, caduta alla fine in potere della Chiesa, decadde rapidamente dalla sua importanza, che non riacquistò neppure più tardi quando fu scelta a sede della legazione di Pesaro e Urbino. Occupata, malgrado una nobilissima resistenza, dalle armi francesi (febbraio 1797), fece poi parte della repubblica romana (febbraio 1798), poi di nuovo dello stato pontificio (giugno 1808), e quindi del regno italico fino all'aprile del 1814. Dopo una brevissima occupazione murattiana tornava (7 maggio 1815) sotto il dominio della Chiesa. Fu occupata l'11 settembre 1860 dalle truppe del Cialdini, e il decreto d'annessione 17 dicembre di quell'anno la riunì al regno di Sardegna.

Bibl.: P. Mortier, Urbino Ville dans l'État de l'Église, pianta, inc. in rame, Amsterdam 1690; C. Segre, Nota sul bacino solfureo di Urbino, Pesaro 1881 (con 6 tavv.); Memorie concernenti la città di Urbino, Roma 1724; G. B. Pericoli, Passeggiata nella città di Urbino, accennando le cose principali di essa, Urbino 1846; O. T. Locchi, La provincia di Pesaro e Urbino, Roma 1934, pp. 251-434, con moltissime carte geogr., corogr., piante, illustraz., relative alla città e al ducato; Lazzari, in Colucci, Antichità picene, III, IV, VI, IX, 1788-90; E. H. Bunbury, in Smith, Dict. of anc. geogr., Londra 1873, s. v. Urbinum (Urbinum Hortense); Ciccolini, in Notiz. scavi, 1877, pp. 255-57; 1878, pp. 362-64; H. Nissen, Ital. Landesk., II, i, pp. 381-82; E. Bormann, Corp. Inscr. Lat., XI, ii, pp. 893 segg. e 1397; U. Rellini, Fondi di capanna dell'età del ferro presso Urbino, in Bull. paleotn., XXXIII (1907), pp. 23-37. Sul museo, cfr. Serra, Il palazzo ducale e la galleria nazionale di Urbino, Roma 1930, pp. 14, 16, 20, 22. Sull'obelisco egizio, cfr. L. Serra, Catalogo delle cose d'arte e d'antichità: Urbino, Roma s. a., n. 44; E. Calzini, Urbino e i suoi monumenti, Firenze 1899; G. Lipparini, Urbino, Bergamo s. a.; L. Serra, Guida di Urbino, Milano s. a.; A. Lazzari, Delle chiese di Urbino, ivi 1811; A. Venturi, L'ambiente artistico urbinate nella seconda metà del '400, in L'Arte, XX (1917), p. 278 segg.; L. Serra, L'arte nelle Marche, I, Pesaro 1929; II, Roma 1934, passim; B. Castiglione, Il Cortegiano, a cura di V. Cian, 3ª ed., Firenze 1929; B. Baldi, Descrizione del palazzo ducale di Urbino, Roma 1724; A. Arnold, Der herzögliche Palast von Urbin, Lipsia 1857; C. Badinich, Il palazzo ducale di Urbino, Trieste 1904; L. Venturi, Studi sul palazzo ducale di Urbino, in L'Arte, XVII (1914), p. 415 segg.; L. Serra, Le varie fasi costruttive del palazzo ducale di Urbino, in Boll. d'arte, s. 2ª, X (1930-31), p. 433 segg.; L. Nardini, Sunti di storia urbinate, Urbino 1921.

Ducato di Urbino.

Buonconte, nipote del conte Antonio di Montefeltro vicario imperiale d'Urbino per il Barbarossa (1155), in premio dei suoi servigi militari ebbe da Federico II (1213) l'investitura del feudo comitale d'Urbino, di cui non poté venire in possesso che nel 1234 e per forza d'armi. Da allora, salvo alcune brevi interruzioni (1286-1294; 1322-1323; 1359-1377; 1502-1503), il comitato, poi, dal 23 marzo 1474, ducato di Urbino, rimane in possesso della casa dei Montefeltro sino al suo estinguersi nel 1508, con Guidobaldo. Questi aveva adottato come figlio e successore il nipote ex sorore Francesco Maria Della Rovere, figlio di Giovanni duca di Sora (17 settembre 1504). Il ducato passò così alla famiglia Della Rovere (v.), a cui appartenne - salvo l'interruzione dal 1516 al 1521 (v. francesco maria Della Rovere) - fino all'estinguersi della dinastia nella linea maschile. Francesco Maria II, figlio e successore di Guidobaldo II e nipote di Francesco Maria I, tenne infatti il governo del ducato sino al 1621, nel quale anno lo rinunciò al figlio Federico Ubaldo, giovane scostumatissimo, che morì malamente dopo aver avuto dalla moglie Claudia de' Medici la figlia Vittoria, poi granduchessa di Toscana. Alla morte di Federico Ubaldo il padre riprese le redini dello stato, ma da papa Urbano VIII fu obbligato a consentire la devoluzione del ducato alla Chiesa che, lui morto (28 aprile 1631), lo occupò subito riunendolo ai suoi dominî fino all'invasione francese del febbraio 1797.

Bibl.: G. A. Magini, Carta geografica del "Ducato d'Urbino", inc. in rame, 1600; Janson, Carta geografica del "Ducato di Urbino", inc. in rame e a colori, 1620; F. Titi, Legazione del "Ducato d'Urbino" con la diocesi e governo di Città di Castello et altri governi e stati confinanti, carta geografica di eccezionale esattezza, inc. in rame da A. Barbey, Roma 1697; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'Urbino, voll. 2, Firenze 1859.

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