Uso della forza. Diritto internazionale

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Nel diritto internazionale, l’uso della forza, inteso come il ricorso da parte di uno Stato a operazioni militari contro un altro Stato, è stato legittimo – sia pure a determinate condizioni e nel rispetto di eventuali obblighi assunti a livello pattizio – fino alla nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel secondo dopoguerra.

Più in particolare, il regime della guerra si distingueva da quelli previsti per i procedimenti di autotutela (intervento, rappresaglia, legittima difesa, necessità), per i quali era necessario dimostrare l’esistenza di uno specifico titolo giuridico. Quanto alla guerra, almeno fino al Patto della Società delle Nazioni, gli Stati godevano di un illimitato ius ad bellum. La guerra era, infatti, uno strumento ammesso nel diritto internazionale per risolvere le controversie internazionali, in specie quelle politiche, facendo prevalere il proprio sull’altrui interesse, anche in assenza di un titolo giuridico idoneo a fondarlo. Proprio in quell’epoca, peraltro, ha iniziato a svilupparsi il cosiddetto diritto bellico, vale a dire il diritto applicabile alla condotta delle ostilità, che disciplina la violenza bellica e la protezione delle vittime dei conflitti armati e della popolazione civile (Diritto umanitario).

L’uso della forza nella Carta delle Nazioni Unite. - Il regime giuridico internazionale relativo all’uso della forza è radicalmente mutato con l’entrata in vigore, il 24 ottobre 1945, della Carta delle Nazioni Unite che ha portato a compimento il processo finalizzato a limitare e bandire il ricorso alla guerra iniziato con il Patto della Società delle Nazioni del 1919 (che condizionava tale ricorso a una serie di vincoli procedurali, senza peraltro disciplinare i procedimenti di autotutela violenta diversi dalla guerra) e proseguito con la conclusione del Patto Kellogg-Briand del 27 agosto 1928 (che, pur prevedendo che le controversie dovessero essere risolte in modo pacifico, non bandiva espressamente le misure non implicanti l’uso della forza).

Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è imperniato su un divieto generale dell’uso della forza armata (esteso anche alla sua minaccia) stabilito dall’art. 2, par. 4 della Carta (che si riflette nell’obbligo di soluzione pacifica delle controversie tra Stati membri: Controversia internazionale) e che prevede come un’unica eccezione quella della legittima difesa individuale e collettiva (Legittima difesa. Diritto internazionale). Nell’ambito di questo sistema il monopolio dell’uso della forza è attribuito al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Sicurezza collettiva), che, a partire dall’ultimo decennio del 20° secolo, ha autorizzato gli Stati membri, in vari casi, a ricorrere all’uso della forza uti singuli o nell’ambito di organizzazioni internazionali regionali.

Il funzionamento, per vari aspetti imperfetto, del sistema di sicurezza collettiva non ha peraltro impedito che il divieto dell’uso della forza assurgesse a norma di diritto internazionale consuetudinario, come riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia nella celebre sentenza del 27 giugno 1986 relativa al caso Nicaragua-USA. Si può anzi affermare che il nucleo duro della proibizione dell’uso della forza, costituito dal divieto di aggressione (cfr. risoluzione 3314-XXIX dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla definizione di “aggressione”), appartenga ormai al novero delle norme imperative del diritto internazionale (Ius cogens. Diritto internazionale).

Il quadro giuridico delineato non è certo al riparo da continue sollecitazioni da parte delle grandi potenze, specie dopo gli attacchi terroristici contro gli USA dell’11 settembre 2001, che tendono a giustificare i loro interventi militari invocando un’interpretazione estensiva della nozione di legittima difesa (la dottrina sulla “azione preventiva” del presidente statunitense G.W. Bush) o delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza ex capitolo VII della Carta (nel senso di contenere autorizzazioni “implicite”) o addirittura la nascita di nuove eccezioni alla proibizione generale dell’uso della forza (per esempio, l’intervento umanitario). Ciononostante, tale prassi “interventista”, in tutte le sue ramificazioni, ha una portata giuridica inferiore al suo significato politico, perché poco omogenea, a volte contraddittoria e soprattutto contestata dalla stragrande maggioranza degli Stati.

Voci correlate

Legittima difesa. Diritto internazionale

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