VADDAMANU

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

VADDAMANU

G. Verardi

Località dell'Andhna Pradesh (India) nei cui pressi, sulla collina di Peddakoṇḍa, sono stati portati alla luce i resti di un santuario jaina sorto nel III sec. a.C. e frequentato fin verso il 450 d.C. Il sito, posto sulla riva destra del corso inferiore del fiume Krishna, si trova a una decina di chilometri dal celebre sito buddhista di Amarāvatī. Il bacino medio e inferiore della Krishna è una delle regioni a più denso insediamento umano dell'India antica, dal Paleolitico (v. nāgārjunakoṆḌa, satanikoṭa, vïrapuram) al primo periodo storico (v. amarāvatī, nāgārjunakoṆḌa). L'area di V. faceva perno sull'insediamento urbano - e porto fluviale - di Dharanikoṭa, parzialmente indagato negli anni '60, di cui Amarāvatī costituiva il grande santuario appena fuori le mura.

Il primo periodo d'insediamento a V. è compreso tra il 300 e il 100 a.C., ed è caratterizzato, oltre che dalle prime strutture, da sculture, abbondante ceramica e materiale epigrafico. In una cisterna cavata nella roccia ai piedi della collina, una breve iscrizione in pracrito e in caratteri brāhmï risalente al III sec. a.C. ricorda le gesta del re Sāmaka, un sovrano locale altrimenti ignoto. In alto sul colle venne costruita la prima area sacra, di cui restano le fondazioni di uno stūpa costruito su una piattaforma quadrata (sarvatobhadra) con accesso principale a E e ingressi agli altri punti cardinali. La particolarità dello stūpa è di essere costruito da anelli concentrici di mattoni alternati ad anelli di grossi ciottoli. Più in basso, a N, vi sono i resti di un monastero costruito con grandi mattoni cotti (50 X 30 X 8 cm), composto di tre sole celle, e di due piccole terrazze che - come suggeriscono le buche di palo disposte a intervalli regolari lungo i muri perimetrali - dovevano essere coperte da tetti lignei. Una seconda struttura monastica, di cui restano poche tracce, si trovava a SE: verso la fine del periodo fu forse trasformata in stalla per elefanti. I frammenti scultorei, scarsi e con ogni verosimiglianza databili agli ultimi anni del periodo, sono vicini alla produzione di Bhārhut: comprendono un frammento di pilastro con animale mitico dal muso leonino, e uno con mithuna (coppia amorosa) presso un edificio su pilastri con entrata «a caitya» e copertura a botte e un albero con piattaforma. Il periodo è caratterizzato dalla presenza di monete punzonate e dalla ceramica nera e rossa di tipo megalitico, da ceramica nera e rossa di tipo comune e da esempi (ciotole e piatti) di Ceramica nera polita del Nord (Northern Black Polished Ware, NBPW) di buona qualità, che trova riscontro in analoghi ritrovamenti fatti ad Amarāvatī, dove è stata datata intorno al 300 a.C. Essa è ben distinguibile dalla ceramica nera polita del tipo documentato a Kauśāmbī e a Ujjain. Un'iscrizione su pietra ricorda Uttara, probabilmente un maestro jaina.

Il secondo periodo copre i secoli che vanno dal 100 a.C. al 200 d.C. circa, che nel Deccan si usano considerare dominati politicamente dai Sātavāhana ma che - come in parte suggeriscono gli stessi scavi di V. - le ricerche più recenti tendono a suddividere in maniera più analitica. Sin dai livelli più antichi del periodo sono attestate le monete in piombo della c.d. dinastia Sada, di cui, da V., si conoscono i nomi di tre sovrani, Maha Sada, Sivamaka Sada (già noto da un'iscrizione di Amarāvatī) e Asaka Sada, riportati nelle leggende in brāhmï. I re Sada sono probabilmente i discendenti del re Khāravela dei Cedi, sovrano del Ralinga nel I sec. a.C. o agli inizî del secolo successivo, le cui conquiste territoriali (a spese dei Sātavāhana?) si spinsero fin nel cuore del paese āndhra. Monete sātavāhana compaiono a V. soltanto intorno al 200 d.C. Brevi iscrizioni su ceramica ci consegnano i nomi di altri re, che visitarono l'area sacra e fecero probabilmente donazioni: tra essi, Sathāo, un re ceḍi.

In questo periodo fu costruito un nuovo stūpa , di cui rimangono le fondazioni, sulla cima del Peddakoṇḍa. Ha un diametro di 10,8 m ed è costruito in mattoni, con rivestimento in pietra. Una parte dei frammenti scolpiti (pilastrini, traverse, ecc.) sono probabilmente da riferire alla balaustra che lo circondava, delimitante il sentiero processionale. I motivi rappresentati sono stūpa (uno dei quali con più ombrelli e con devoti che compiono un rituale), toraṇa (portali di accesso ai monumenti sacri), animali mitici, yakṣa-atlanti, simboli di buon auspicio e figure umane. Pur molto vicini ai temi della scultura buddhista coeva, richiamano in particolare gli analoghi motivi dellostūpa jaina di Kaṅkālī Ṭīlā a Mathurā e dei monumenti rupestri di Udayagiri e Khaṇḍagiri nell'Orissa (v. śiśupālgarh). Fra le altre strutture del periodo, che vide frequenti rimaneggiamenti, si notano un edificio a pianta ellittica diviso all'interno da due tramezzi in tre ambienti (due dei quali absidati), con ingresso al centro del lato N, e monasteri di poche celle. La classe ceramica più caratteristica è la rouletted ware, oggi datata tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., rappresentata soprattutto da piatti di varie dimensioni (fino a 50 cm di diametro), molto vicina agli esempi di Amarāvatī (com'è ovvio), Arikamedu e Sālihuṇḍām (v.). Un'attenzione tutta particolare meritano i frammenti iscritti su questa e su altre classi ceramiche, e su pietra: documentano infatti la diffusione del jainismo nella regione (dove inizialmente aveva goduto della protezione dell'imperatore Candragupta Maurya, che alla fine della vita si era portato nel Deccan insieme con il guru Bhadrabāhu) ricordando nomi di maestri, di monasteri, di scuole. Un frammento menziona il Sampati vihāra, o monastero fatto costruire da Samprati, forse da identificare con il nipote di Aśoka, protettore - come il padre e il nonno - del jainismo. Un'altra iscrizione fa intendere che l'intera fondazione monastica sul Peddakoṇḍa fosse intitolata a Mahavīra, fondatore storico del jainismo, ricordato col suo nome di Vardhamāna.

Il terzo periodo di V. è compreso tra il 200 e il 350 d.C. I suoi inizî sono caratterizzati dalla presenza di monete sātavāhana, rapidamente sostituite da quelle della dinastia Ikṣvāku. Si segnala anche un sigillo in argilla riproducente una moneta del re kṣatrapa Vijayasena (238-250 d.C.). Le strutture di quest'epoca sorgono sulle rovine dei monumenti dei periodi precedenti, seguendo un allineamento diverso. I materiali antichi, come p.es. le sculture, furono riutilizzati come gradini, in fondazione, o per rialzare pavimenti. I responsabili dello scavo di V. non hanno spiegato questa discontinuità nella vita dell'area sacra, poco comprensibile alla luce dello sviluppo interno della comunità jaina. Durante questo periodo l'attività edilizia fii particolarmente intensa. Venne aperto un nuovo sentiero che collegava tra loro i nuovi edifici, furono innalzati nuovistūpa votivi (diam. c.a 4 m), un maṇḍapa o sala pilastrata e ambienti monastici con le celle riunite a gruppi di tre o quattro, intonacate a calce.

Le parti decorative erano realizzate in gesso, bene attestato accanto alla produzione scultorea (pilastri con loti, rappresentazioni distūpa e toraṇa, l'albero sacro entro balaustra, un mithuna in cui la donna, ignuda, sembra voler attrarre a sé l'uomo che, pure ignudo, le resiste, yakṣa, ecc.). Predomina una ceramica rossa ingubbiata e lucidata (ciotole, piatti, vasi di varie dimensioni). Tra i frammenti iscritti si ricorda la menzione di un Sona vihāra, dono di uno Śaka o di un Occidentale, e nomi di discepoli. Un'iscrizione frammentaria su pietra ricorda il diciottesimo tīrthaṃkara, Aranātha.

Il quarto e ultimo periodo (350-450 d.C.) segna un netto declino. Non si osserva quasi alcuna nuova struttura, comunque ottenuta con materiali riutilizzati, ma solo conservazione degli edifici del periodo precedente. Scompaiono anche le classi ceramiche di pregio, a esclusivo favore della ceramica rossa comune. Accanto alle monete ikṣvāku, il cui numero diminuisce, compare la monetazione dei Viṣṇukuṇḍin, una dinastia che ebbe la sua culla nella regione di Kurnool, nel medio bacino della Krishna. Con i Viṣṇukuṇḍin, ortodossi hindu che celebrarono più volte il sacrificio vedico del cavallo, venne certamente a mancare ogni protezione per gli srāmaṇa, ovvero per le istituzioni monastiche, sia jaina sia buddhiste. Tra il IV e il V sec. d.C., il santuario di V. |continuò tuttavia a vivere: abbiamo un'iscrizione su pietra che ricorda Gadoḍa, seguace di Godaśa (che conosciamo come uno degli antichi maestri del jainismo). Un'iscrizione su un elemento di balaustra dichiara che esso è il dono di Dhamuti, abitante di V., e della sua famiglia. A quest'epoca sono stati attribuiti altri frammenti di balaustra, scolpiti con i soggetti usuali.

Bibl.: T. V. G. Sastri, Vaddamanu Excavations and Explorations in Krishna Valley, Hyderabad 1983; T. V. G. Sastri e altri, Vaddamanu Excavations (1981- 85), Hyderabad 1992.

(G Verardi)