GENTILE, Valentino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GENTILE, Valentino (Giovanni Valentino)

Stefano Calonaci

È incerta la data di nascita del 1520, indicata da Del Re senza supporti documentari (e comunque le fonti sulla vita del G. sono scarsissime e spesso obbligano a procedere per congetture nella ricostruzione di fatti e momenti della sua biografia). Definito napoletano in quanto regnicolo da alcuni contemporanei, tra cui Giovanni Calvino, il G. si firma come cosentino nel registro della Chiesa italiana di Ginevra, essendo quasi certamente nato a Scigliano, nei pressi di Cosenza. Figlio di Margherita e di Francesco, probabilmente piccolo proprietario terriero, il G. ebbe almeno tre fratelli, Pietro, Bartolo e Padovano, secondo quanto si deduce dagli atti rogati a Scigliano nel marzo 1550 dal notaio ser Paolo D'Elia. Nessun legame di parentela sembra sussistere invece tra il G. e il medico marchigiano Matteo Gentili e i suoi figli giuristi Alberico e Scipione, tutti dissidenti religiosi.

Giovane d'ingegno acuto, dopo aver ricevuto un'istruzione letteraria e filosofica, il G. si recò a Napoli in data imprecisata, ma anteriore al 1550, quando, di ritorno a Scigliano, viene segnalato tra i membri dell'Accademia degli Sturnini. A Napoli esercitò la professione di grammatico e fu precettore, a quanto pare con buoni risultati, di Orazio, nipote del poeta Giovanni Francesco (Giano) Anisio, il quale lo ricorda in alcune poesie sia come giovanissimo pedagogo sia come revisore dei propri scritti poetici. È probabile che tramite lo stesso Anisio - sacerdote in relazione con Marcantonio Flaminio - il G. a Napoli si sia avvicinato al circolo di Juan de Valdés e abbia potuto conoscere personalmente il riformatore spagnolo, che dimorò in città dal 1533 al 1541. Dalla lettera del G. preposta al terzo libro dei Varia poemata di Giano Anisio, stampati secondo Mazzuchelli nel 1536, si può infatti far risalire la sua permanenza a Napoli alla seconda metà degli anni Trenta. Le idee e l'insegnamento diretto o indiretto di Valdés, Bernardino Ochino e Pier Martire Vermigli contribuirono certo a orientare i suoi studi verso la teologia, in particolare verso il problema della Trinità, che il G. affrontò anche in forma poetica, come testimoniano alcuni Carmina de Trinitate ritrovati tra le sue carte dopo la morte. Discioltosi il circolo valdesiano, sembra che nel 1546 il G. fosse tra i partecipanti dei Collegia Vicentina, riunioni di anabattisti tenutesi a Vicenza su cui abbiamo invero pochissime notizie e a cui avrebbero preso parte numerosi degli eretici italiani di quegli anni, quali Lelio Sozzini, Camillo Renato, Niccolò Paruta, il giureconsulto Matteo Gribaldi Mofa, i medici Giovanni Paolo Alciati Della Motta e Giovanni Giorgio Biandrata. Tra questi personaggi saranno soprattutto Gribaldi, Alciati e Biandrata a intrecciare a più riprese, in tempi e paesi diversi, le proprie biografie e le loro idee teologiche con quelle del Gentile. Insieme con costoro il G. avrebbe ad esempio soggiornato a Padova, dove fu discepolo del Gribaldi e si distinse per l'originalità delle sue idee e per la sua volontà di farsi capo di una dottrina autonoma.

Dopo una serie di peregrinazioni per l'Italia, sulle quali mancano notizie precise, sembra che proprio da Padova il G. si sia recato a Ginevra, attirato dalla fama di Calvino e da quella della città, illusoriamente ritenuta la patria della libertà religiosa. Qui il G. è registrato come abitante nel dicembre del 1557, ma il suo arrivo insieme con un folto gruppo di italiani provenienti dal Regno di Napoli risale all'anno precedente. Fra questi vi era il sacerdote calabrese Apollonio Merenda, già cappellano del cardinale Reginald Pole, che a Napoli aveva seguito il magistero del Valdés, per poi passare in Calabria, dove venne incarcerato dall'Inquisizione. In base a queste coincidenze è probabile che i due potessero essersi conosciuti a Napoli, per poi passare, forse insieme, in Svizzera.

A Ginevra il G. lesse, secondo Calvino, gli scritti di Serveto e quelli di Ario e Paolo di Samosata, ma soprattutto ritrovò Alciati e Biandrata. Le loro posizioni sulla Trinità arrivarono alle orecchie del riformatore, il quale non tollerava queste nuove voci dissidenti, che venivano ad aggiungersi alle critiche del loro maestro Gribaldi in merito alla recente condanna del Serveto. Di fronte a simili preoccupanti fermenti che minacciavano l'ordine cittadino, il 18 maggio 1558 Calvino sottopose una confessione di fede alla Chiesa italiana di Ginevra, di cui era pastore Lattanzio Ragnoni. In sette si rifiutarono di sottoscrivere il documento: il G., che si diede malato, Silvestro Tellio, Nicola Gallo, Ippolito da Carignano, Filippo Rustici, Francesco Porcellino e Alciati. L'indomani fu loro consigliato di rivedere la decisione appena presa, se non volevano essere costretti a lasciare la città. Mentre Alciati fuggì la mattina stessa nella vicina Farges presso il Gribaldi, dopo una riunione in casa del Ragnoni gli altri sottoscrissero la confessione. In questo clima intimidatorio il G. continuò, nonostante l'adesione formale, a professare le sue idee fin quando fu denunciato da Alexandre Guyottin, che era stato presente a una sua incauta discussione con N. Gallo. Arrestato il 9 luglio 1558 con l'accusa di aver diffuso idee ereticali e con quella non meno grave di aver criticato Calvino, il G. fu costretto a firmare una nuova confessione di fede. A questa aggiunse tuttavia un documento scritto di sua mano per giustificare le proprie idee teologiche (Fateor unicum illum Deum…, in Opera Calvini, VIII, pp. 568-588).

Dalla teosofia del G., molto simile a quella gribaldina, traspare il valore prioritario da lui accordato al Padre ("Dio per se stesso") rispetto al Figlio, e l'assoluto rifiuto dei termini di essenza, persona e ipostasi (di derivazione neoplatonica) su cui si basava la confessione calvinista (Arezio, pp. 28 s.), ma che, secondo il G., non si ritrovavano in alcun modo nelle Scritture. Dio è l'essere "non generato", essenziatore; il Figlio e lo Spirito Santo sono sì di essenza divina ma essenziati, "proles", e non Dio per se stessi; il Figlio è uguale al Padre nell'essenza, ma non è la fonte del divino. Per il G., la Trinità nella concezione di Calvino è in realtà una quaternità perché si attribuisce sofisticamente a Dio l'essenza divina e perché ogni persona, sia singolarmente sia fuori dalla sua ipostasi, è "essenzialmente" Dio (il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito è Dio, ma Dio è tale anche al di fuori delle tre persone). La visione teosofica del G. è quindi, contrariamente a quello che pensava Calvino, distante dalle concezioni di Serveto, il cui preoccupante ricordo era tanto vivo che il cancelliere del tribunale di Ginevra confuse il nome del G. con quello dell'eretico spagnolo. Le idee del G. sono semmai più vicine a quelle di Ario, senza che peraltro il G. ne sia pedissequo seguace. Nelle Controversiae Roberto Bellarmino fa risalire la teologia del G. a Giovanni Filopono, dal momento che non viene sostenuta la negazione della Trinità, ma una forma di "triteismo" dove le tre persone sono sì di essenza divina, ma distinte per ordine, grado ed essenza.

Le proposizioni del G., che lui stesso diceva esser diverse da quelle di Sabellio e di Ario, certamente indisponevano Calvino, ma non meno lo preoccupava il fatto che questi italiani mettevano in discussione la sua autorità. Il G. subì pertanto un processo in cui Calvino fu a un tempo giudice e accusatore.

Fra i testimoni a suo carico alcuni erano veramente singolari, quali Lucia Ferrine, cameriera del lucchese Cristoforo Trenta presso cui il G. era vissuto in affitto per un anno, la quale lo accusò di insistite e grossolane avances, accompagnate dal più garbato dono di un grembiule: testimonianza curiosa, la sua, ma comunque di scarso peso.

Le notevolissime doti dialettiche e filosofiche di cui il G. diede prova nell'esposizione delle proprie tesi spinsero il Beza a ritenerlo più dotto di Biandrata, e Caterina Coppa - una ferrarese processata a Ginevra per futili motivi di lì a pochi mesi - a giudicarlo superiore nettamente allo stesso Calvino. Già Nicolao Liena, un lucchese esule a Ginevra, in una lettera indirizzata al Senato cittadino a sostegno del G., ne aveva testimoniato le particolari capacità nell'esporre le questioni filosofiche e per simili motivi Josias Simler, genero e collaboratore di Heinrich Bullinger, doveva definirlo "princeps antitrinitariorum". Il G., a cui fu negata l'assistenza di Pier Martire Vermigli, allora docente di teologia a Zurigo, venne condannato a morte e solo grazie all'intercessione di Liena e di altri italiani riuscì a ottenere la commutazione della pena in una umiliante cerimonia di ritrattazione: nella notte del 2 settembre il G., coperto solo da una camicia, dovette girare per le vie della città a piedi nudi e in ginocchio, con in mano la torcia con cui aveva dato fuoco ai propri scritti.

Violando il divieto di varcare le mura cittadine, il G. raggiunse il Gribaldi - "cuius Valentinus est histrio", secondo lo sprezzante Calvino (Opera Calvini, VIII, p. 583) - nel suo feudo di Farges, da dove passò, sempre ospite del Gribaldi, a Lione. Qui ebbe di nuovo l'appoggio di Liena e di un altro italiano, Battista da Lucca, che gli fornì le opere dei Padri della Chiesa utili a sostenere le sue idee teologiche: Giustino, Ilario, Ignazio e Tertulliano, gli stessi autori che l'Arezio userà contro di lui per negare che contenessero proposizioni antitrinitarie. Sempre grazie all'aiuto di Battista da Lucca e del Liena il G. poté dare alle stampe il suo libretto Antidota, la cui seconda edizione, arricchita da altri scritti, dedicherà al re di Polonia Sigismondo II Augusto.

Dopo la stampa degli Antidota, da Lione il G. si recò a Grenoble, ospite del Gribaldi che insegnava diritto nella locale università. Fermato anche qui dalle autorità locali, fu rilasciato solo dopo aver dimostrato la sua estraneità alla dottrina di Calvino ed essersi dichiarato buon cristiano. Da Grenoble riparò comunque a Chambéry, per poi tornare a Farges, dove fu arrestato dal balivo di Gex, Simon von Würstenberger, da cui la contea dipendeva. Grazie all'aiuto di Alciati, che pagò la cauzione, ottenne la libertà, ma fu costretto dal balivo a scrivere una confessione di fede, che il G. abilmente gli dedicò (Valentini Gentilis Itali Domini Iesu Christi servi… ad ill. dom. Simonem Wurstenbergerum…). Tornato a Lione, fece stampare questo scritto, a cui aggiunse delle annotazioni Contra symbulum s. Athanasii e quaranta Protheses, ma venne di nuovo arrestato. Dopo cinquanta giorni di carcere fu rilasciato, essendo evidentemente riuscito a convincere i giudici che i suoi scritti criticavano Calvino e non il dogma della Trinità. Di nuovo libero, si recò in Italia, dove, in una località non nota, fu fatto imprigionare da un vescovo di cui si ignora il nome. Uscito non si sa come da quest'oscura vicenda, accolse l'invito di Biandrata e Alciati a raggiungerli in Polonia, dove dovette arrivare nell'autunno del 1562, se, come pare, intervenne nel sinodo della Chiesa riformata tenuto a Pińczów nel novembre.

In Polonia gli antitrinitari italiani beneficiavano della protezione di Sigismondo II grazie all'influenza di Francesco Lismanini, che, oltre a essere capo della Chiesa riformata polacca, era confessore della regina madre Bona Sforza e in ottimi rapporti con il re e sua moglie, Caterina d'Asburgo. Biandrata era intimo amico oltreché medico del Lismanini, e, stando a G.B. Possevino (Rotondò, pp. 163 s.), condivideva le idee del G., di cui insieme con Alciati aveva introdotto gli Antidota e la Confessio fidei dedicata al Würstenberger prim'ancora dell'arrivo del G. in Polonia. Le dottrine del G. avevano quindi già avuto una larga diffusione, soprattutto in Lituania, e avevano riscosso tale successo da durare anche dopo la sua partenza e la sua morte, se nel marzo 1568 un polacco scriveva con apprensione al Bullinger che i "Valentinisti" dalla Lituania stavano mettendo profonde radici anche in Polonia.

Il G. soggiornò in Polonia due anni, professando le sue originali dottrine e stabilendo numerosi contatti con gli eretici che vi si trovavano, sia polacchi sia italiani, tra cui Francesco Stancaro, con il quale ebbe una controversia. Questa situazione di tolleranza e di libero scambio delle idee venne meno con l'editto di Parczów del 7 ag. 1564, allorché sotto la pressione dei nunzi papali S. Osio e G.F. Commendone si arrivò a un compromesso tra la Chiesa calvinista ortodossa e quella cattolica, riconosciute come uniche confessioni di Stato, con la conseguenza che gli eretici stranieri avrebbero dovuto lasciare il paese. Dopo essersi nascosto per qualche tempo, il G. lasciò la Polonia nel maggio 1565, come veniva comunicato da Cracovia al Beza ai primi di maggio, riparando in Moravia, dove avrebbe avuto contatti con gli anabattisti, per poi arrivare in Valacchia, allora sotto il controllo dell'Impero ottomano, chiamatovi forse dal despota locale Jacobus Heraclides. Di lì fu poi a Vienna e di nuovo a Farges, nella speranza di incontrare il Gribaldi, scomparso però nel 1564. Venuto a conoscenza, nello stesso anno, anche della morte di Calvino, l'ansia di cancellare l'umiliazione del 1558 lo portò nel territorio di Berna, dove fece sapere che avrebbe sfidato e sconfitto qualsiasi confutatore delle proprie convinzioni. A seguito della delazione di un italiano, tale Volfango Muscolo, il balivo di Gex Würstenberger, che per sfortuna del G. era ancora in carica, lo fece arrestare l'11 ag. 1566, nel tentativo evidente di allontanare il sospetto di eresia che il G. gli aveva procurato con la dedica della Confessio fidei.

Sottoposto a un nuovo processo che si protrasse per un mese, questa volta nessuno riuscì a far scampare il G. dalla decapitazione, che avvenne a Berna il 10 sett. 1566.

Opere: Perdute le edizioni a stampa delle opere del G., nonché per alcune di esse anche i manoscritti, rimangono un gruppo di scritti di e su di lui prodotti durante il processo del 1558: la confessione di fede sottoposta da Calvino alla Chiesa italiana di Ginevra; due altre confessioni di fede firmate dal G.: quella di adesione formale all'ortodossia e quella che riporta il suo vero pensiero (Fateor unicum illum Deum…); la risposta di Calvino; altre lettere del G. al Senato di Ginevra e la sentenza, oltre a una lettera sempre del G. alla Signoria in cui chiede di essere esentato da pagare la cauzione. A queste si aggiungono le quaranta Protheses con il commento di Calvino. Tutti questi scritti si possono leggere, sotto il titolo Valentini Gentilis impietatum et triplicis perfidiae ac periuri, de quibus cognovit Senatus Genevensis, brevis explicatio ex actis publicis descripta, nell'Opera omnia di Calvino, con la prefazione del suo biografo e successore Th. di Beza (l'edizione da noi utilizzata è Opera omnia Calvini, VIII, Tractatus theologici omnes…, Amstelodami 1667, pp. 568-588), ma l'operetta apparve originariamente, con titolo leggermente diverso, a Ginevra nel 1567. Alcuni manoscritti del G. sono conservati nella Biblioteca di Berna: Ioannis Pauli Alciati et Valentini Gentilis confessio, di mano dell'Alciati; Valentini Gentilis Itali Domini Iesu Christi servi, de uno Deo Patre, de unius Dei vero filio et de Spiritu Santo Paracleto catholica et apostolica confessio…, indirizzata a S. von Würstenberger e stampata in seguito a Lione; Valentini Gentilis Itali piae ac doctae in symbolum Athanasii adnotationes; Veri Dei Patris et Pseudo-Dei Trinitatis anthithese (questi tre ultimi scritti sono stati pubblicati da F. Trechsel, Lelio Sozini und die Antitrinitarier seiner Zeit, II, Heidelberg 1844, pp. 471-479, 480-487); Protheses theologiae (edite anche negli Opera di Calvino); Ad Ioannem Calvinum et pios fratres carmen e, infine, una lettera del balivo di Gex S. von Würstenberger al G. con la risposta di questo. Vi sono poi opere andate in buona parte perdute, come gli Antidota, stampati a Lione intorno al 1560, e altre di non sicura attribuzione, di cui conosciamo soltanto i titoli, quali i Carmina de Trinitate e il De Christi incarnatione, che il Sandius dice furono ritrovate tra le carte del G. dopo la morte.

Fonti e Bibl.: In Opera Calvini, VIII è contenuta, oltre agli scritti già citati, l'Impietas Valentini Gentilis detecta et palam traducta di Calvino (pp. 579 ss.), pubblicata a Ginevra nel 1561. Alla confutazione della teologia del G. si adopera anche Benedetto Arezio, teologo calvinista di Berna nonché pastore della città, che assistette molto probabilmente al secondo e fatale processo del G. (Valentini Gentilis iusto capitis supplicio Bernae affecti brevis historia, et contra eiusdem blasfemias orthodoxa defensio articuli de Sancta Trinitate, auctore d. Benedicto Aretio Bernensis Ecclesiae doctore theologo, Genevae, F. Perrini, 1567: vi sono riportati, almeno in parte, gli Antidota). Sul G. avrebbe scritto anche Th. di Beza, De supplicio Valentini Gentilis natione Itali, patria Cosentini…, Genevae 1567, testo irreperibile, che supponiamo coincidere con la Valentini Gentilis impietatum, cit. Utilissima anche Th. di Beza, Correspondance, a cura di H. Aubert - H. Meylan et al., IV (1562-63), Genève 1965; VI (1565), ibid. 1970; VIII (1566), ibid. 1973; XII (1571), ibid. 1986, ad indices; Id., L'histoire de la vie et mort de Jean Calvin, Genevae 1667, pp. 82 s. e passim.

Livres des habitants de Genève, a cura di P.F. Geisendorf, Genève 1973, p. 93; L. Sozzini, Opere, a cura di A. Rotondò, Firenze 1986, pp. 345 ss. e ad indicem; R. Bellarmino, De controversiis christianae fidei… adversus huius temporis haereticos…, I, Lugduni 1603, pp. 197 s.; P.Th. Petreius, Catalogus haereticorum seu de moribus et erroribus omnium prope modum heresiarcharum…, Coloniae 1629, p. 222; S. Lubieniecki, Historia Reformationis Polonicae, Freistadii 1685 (rist. anast. Varsoviae 1971), pp. 40 ss., 107; C. Sandius, Bibliotheca antitrinitariorum, Freistadii 1686 (rist. anast. Varsoviae 1967), pp. 18, 26 s.; D. Petavius, Opus de theologiciis dogmatibus, II, Liber tertius de Trinitate, Proemium, Venetiis 1721, pp. 126 s.; S. Spiriti, Memorie degli scrittori cosentini, Napoli 1750, pp. 64-77; G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, pp. 800 ss.; F. Trechsel, Lelio Sozini und die Antitrinitarier seiner Zeit, cit., pp. 316-354; E. Comba, V. G. Un nuovo Serveto?, in La Rivista cristiana, I (1899), pp. 20-25, 41-52; O. Grosheintz, L'église italienne a Genève au temps de Calvin, Lausanne 1904, pp. 96-114; Le procès de Valentin Gentilis et de Nicolas Gallo (1558) publié d'après les documents originaux, a cura di H. Fazy, in Mémoires de l'Institut national genévois, XIV (1878), pp. 1-103; Th. Wotschke, Geschichte der Reformation in Polen, Leipzig 1910, passim; T.R. Castiglione, Il rifugio calabrese a Ginevra nel XVI secolo, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, VI (1936), pp. 165-201; Id., V. G. antitrinitario calabrese del XVI secolo, ibid., VIII (1938), pp. 109-128; IX (1939), pp. 41-54; XIV (1944), pp. 101-117; XXVIII (1958), pp. 97-116; F.C. Church, I riformatori italiani, Firenze 1935, ad indicem; B. Croce, Vite di avventure, di fede e di passione, Bari 1936, pp. 239, 254 ss.; S. Kot, Le mouvement antitrinitaire au XVIe et au XVIIe siècle, Paris 1937, pp. 29, 40; D. Cantimori, Eretici italiani del '500, Firenze 1939, pp. 225-230; M. Wilbur, A history of unitarianism, socinianism and its antecedents, Cambridge 1947, pp. 315-320; A. Altamura, Noterelle sul Cinquecento calabrese. V. G. e il Quattromani, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, XIX (1950), pp. 56 s.; F. Ruffini, Studi sui riformatori italiani, a cura di A. Bertola - L. Firpo - E. Ruffini, Torino 1955, ad indicem; N. Del Re, G.V. G., in Enciclopedia cattolica, VI, Città del Vaticano 1956, col. 36; T.R. Castiglione, La "Impietas Valentini Gentilis" e il corruccio di Calvino, in Ginevra e l'Italia, Firenze 1959, pp. 151-176; Id., V. contro Calvino. Il processo del secondo Serveto nel 1558 a Ginevra, in Studia nad Arianizmen, Warszawa 1959, pp. 49-71; G.H. Williams, The radical Reformation, Philadelphia 1962, pp. 635-638, 655-663; J. Doumergue, Jean Calvin. Les hommes et les choses de son temps, VI, La lutte, Genève 1969, pp. 491-496 e passim; A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche, Padova 1969, pp. 147 ss. e passim; D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia Polonia e Transilvania (1558-1611). Studi e documenti, Firenze 1970, pp. 13 ss., 22 s., 93, 137, 164; A. Rotondò, Studi e ricerche di storia ereticale del Cinquecento, Torino 1974, pp. 57-86, 163 s. e passim; M. Firpo, Antitrinitari nell'Europa del '500. Nuovi testi di Szymon Budny, Niccolò Paruta e Iacopo Paleologo, Firenze 1977, ad indicem; M. Körner, Profughi italiani in Svizzera durante il XVI secolo…, in Città italiane del '500 tra Riforma e Controriforma, Lucca 1988, p. 8; R. De Mattei, Alta ruet Babylon. L'Europa settaria del Cinquecento. Lineamenti storici e problemi ecclesiologici, Milano 1997, pp. 79-90; P. Bayle, Dictionnaire historique et critique, I, 2, Rotterdam 1697, coll. 1229 ss.

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