Barnaba, Vangelo di

Enciclopedia Dantesca (1970)

Barnaba, Vangelo di

Angelo Penna

Fra i molti scritti apocrifi che pullularono nei primi secoli è ricordato anche un vangelo attribuito a B., uno dei primi convertiti dall'ebraismo e personaggio di primo piano nella Chiesa (cfr. Ad. Ap. 4, 36-37; 9, 27; 11, 22-26; 12, 25-15, 39). Il libro è catalogato fra quelli di Mattia e di Giacomo il Minore nel decreto pseudogelasiano (cfr. G. Bonaccorsi, Vangeli apocrifi, I, Firenze 1948, VIII). Compare anche in qualche altro catalogo, ma finora non se ne conosce neppure una frase sicura, se si eccettuano due espressioni - del resto assai discutibili - segnalate in un manoscritto greco e nell'orazione funebre di s. Gregorio Nazianzeno su s. Basilio.

Nel 1907 Lonsdale e Laura Ragg pubblicarono in Oxford un Gospel of Barnabas. Il testo originale proveniva da un manoscritto viennese del sec. XVI (molto probabilmente una copia e non l'autografo). Esso è in un italiano talvolta quasi incomprensibile per la singolarità della grammatica e dell'ortografia. Senza dubbio l'autore era italiano; ma varie annotazioni in arabo e tutto il contenuto del libro lo dimostrano conoscitore di tale lingua e di religione maomettana. Scopo dell'autore è di esaltare Maometto e la sua dottrina. Per dimostrare come questa sia molto vicina all'insegnamento primitivo di Gesù - infatti nel testo si possono leggere affermazioni contrarie alla divinità di Cristo e la predizione dell'avvento di Maometto, messaggero di Dio - si accusa l'apostolo Paolo come responsabile di numerose deviazioni. In particolare costui avrebbe insegnato erroneamente la divinità di Gesù e il ripudio di talune usanze giudaiche (circoncisione, divieto di mangiare carni impure, ecc.). L'autore si ispirò ad Act. Ap. 15; egli ricorse al nome di B. compagno dell'Apostolo (cfr. anche I Corinth. 9, 6; Gal. 2, 9 e 13; Coloss. 4, 10), per rendere più efficace la condanna antipaolina. Nel libro si parla anche delle pene dei dannati e della felicità dei beati. Esso unisce la tradizione cristiano-maomettana sul Paradiso terrestre con quella aristotelico-tolemaica sulla configurazione dei cieli. In maniera diversa descrive i tormenti degl'iracondi, dei golosi, degli accidiosi, dei lussuriosi, degli avari, degli invidiosi e dei superbi.

Tale divisione dei peccati, insieme con talune espressioni, è stata segnalata da L. Ragg come probabile indizio di una dipendenza di D. dallo strano apocrifo. Ella vi aggiunge anche un certo rispetto del poeta per Maometto, collocato fra gli eretici e non fra i pagani. Sono tutti argomenti discutibili e ipotetici - del resto vengono presentati come tali -; contro una certa probabilità di una conclusione positiva si possono ricordare la diffidenza di D. per gli apocrifi in genere e la sua grande stima per l'apostolo Paolo, tanto criticato nel Vangelo di Barnaba. Inoltre c'è la questione cronologica. L'apocrifo è assegnato fra il 1300 e il 1349 in forza della frase (fol. 85b. 87a) " il iubileo... che hora viene ogni cento hanni ". Si accetti pure tale argomento e si ponga la composizione dell'apocrifo all'inizio del secolo; è difficile ammettere che un'opera che non ebbe alcun successo, e con una diffusione minima, influenzasse la Commedia, la cui redazione definitiva è anteriore al 1321.

Bibl. - L. e L. Ragg, The Gospel of B., Oxford 1907; L. Ragg, D. and the Gospel of B., in " The Modern Language Review " III (1908) 157-165; É. Amann, Évangile de B., in Dictionnaire de la Bible, Supplément, I 480.

TAG

Gregorio nazianzeno

Paradiso terrestre

Giacomo il minore

Apostolo paolo

Ebraismo