LUCANI, VASI

Enciclopedia Italiana (1934)

LUCANI, VASI

Giovanni Patroni

. La Lucania è una delle regioni dell'Italia meridionale in cui si ebbe una produzione locale di ceramica dipinta, con tecnica imitata da quella attica a figure rosse, ma con spirito particolare, e ben presto con definiti stili locali, per cui i vasi lucani sono, più degli apuli (v.) e dei campani (v.), lontani dai prodotti attici. Le più recenti trattazioni includono tra i vasi lucani quelli di Paestum, giustamente quanto alla geografia, ma non senza inconvenienti per il giudizio stilistico; perché la ceramografia pestana ha le sue attinenze più chiare con la ceramografia campana anziché con quella lucana, dalla quale pertanto conviene che essa sia nettamente distinta.

Impiantata da un maestro che non mancava di un'accentuata personalità, Assteas (v.), continuata da un seguace più debole, Pitone (v.), l'officina di Paestum quasi si compendia nell'attività del suo fondatore, che dipinse soggetti talora ricercati e rari, con grande sfoggio di colori aggiunti e di ricchi particolari nel costume, con figure piuttosto pesanti e talora goffe, ma molto caratteristiche, spesso piene di espressione e talora di spirito. Tali qualità si continuano con una certa fiacchezza nel vaso firmato da Pitone, al British Museum; si vanno quindi affievolendo col tempo: cessa o si attenua la ricchezza di particolari e di lumeggiature a varî colori, i soggetti non sono più ricercati, si moltiplicano le figure bacchiche, le stesse forme dei vasi divengono meno accurate, e vi si introducono, forse dalla Lucania interna e più probabilmente da Armento, fogge apule; i vasi figurati divengono da ultimo più piccoli e rari, sostituiti da serie a semplici ornati o rustiche, come oggi si vede non solo nel piccolo gruppo di vasi di Napoli, già edito, ma anche nel nuovo museo provinciale di Salerno; e, se una figura c'è, essa mostra sempre chiara la discendenza dalla scuola locale di Assteas. Quando Paestum passa sotto la dominazione romana nel 273 a. C., cessa la produzione ceramica.

Delle fabbriche propriamente lucane, quella di Anzi fu determinata da G. Patroni nel suo studio sulla Ceramica antica dell'Italia meridionale (in Atti Accad. Napoli, XIX, 11, 1897). La seconda, giustamente localizzata ad Armento, fu riconosciuta da V. Macchioro (I ceramisti di Armento in Lucania, in Jahrb. Arch. Inst., 1912, p. 265 segg.). Ricerche più recenti compiute dallo stesso Patroni confermano tale distinzione dei prodotti lucani in due gruppi, che le numerose provenienze accertate con i documenti del vecchio archivio del Museo di Napoli precisano appunto ad Anzi e ad Armento. Questi gruppi si riferiscono a officine che ebbero certo una vita di parecchie generazioni, dato che il loro svolgimento eccede ogni possibile durata dell'attività di un singolo artista.

All'inizio della fabbrica di Anzi, che taluno pensò essersi diramata da uno speciale maestro di Ruvo verso il 430 a. C., debbono probabilmente assegnarsi sia l'idria di Monaco (v. tav. CXLIV) sia il cratere del Louvre con Ulisse e Tiresia (tav. CXLIII) che è uno dei pezzi più insigni della ceramica italiota. Nei prodotti posteriori si nota l'uso di colori aggiunti, dapprima parco, poi più abbondante, mentre il disegno si fa tormentato: il celebre frammento di Napoli con Ercole e Busiride (Patroni, Ceramica, fig. 79) e altri pezzi affini di minor valore, possono datarsi verso il 350. Esemplari scadenti e piccoli, per mancanza di associazioni stratigrafiche, non si può giudicare se rappresentino un vero periodo di decadenza e la fine della produzione: l'uso dei colori aggiunti non è per questo un criterio assoluto.

Differente è il carattere della fabbrica di Armento, che s'inizia alquanto dopo quella di Anzi. Già in vasi ancora privi di colori aggiunti si nota una maggiore fiacchezza del disegno, specie nei nudi, una posa dinoccolata e poco energica, una tendenza delle figure ad allungarsi; le espressioni sono patetiche, e motivo preferito è quello della colomba o di altro uccello posato sulla mano di questo o quel personaggio; altro motivo prediletto è quello dell'amorino ad ali spiegate. Più largo, e forse più precoce che ad Anzi, è qui l'uso dei colori aggiunti, adoperati per particolari architettonici; caratteristici gli spilloni a raggiera delle acconciature muliebri. (V. tavv. CXLIII e CXLIV).

Bibl.: Oltre alle opere già cit. di Patroni, ormai per molta parte antiquata, e di Macchioro, v. E. Pfuhl, Malerei und Zeichung d. Griechen, Monaco 1923; p. 578 (la trattazione è molto scadente, ma vi è riportata tutta la bibl. anteriore), e A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1928, p. 453.