Venezuela
bandiera posizione mappa Dati geografici
La storia del Venezuela e dei suoi rapporti col mondo è profondamente condizionata dal petrolio, di cui è tra i maggiori produttori ed esportatori del pianeta e di cui il suo sottosuolo custodisce tra le maggiori riserve a tutt’oggi note. Tale circostanza rende il Venezuela un attore assai rilevante della politica e dell’economia mondiali, come testimonia il suo protagonismo in seno all’Opec – organizzazione di cui è tra i fondatori – e in numerosi altri forum, ma anche un paese vulnerabile ai cicli spesso erratici del mercato petrolifero e ai loro corollari politici e strategici. Ma se il petrolio dà al Venezuela un orizzonte globale, la sua collocazione geografica ne fa un protagonista delle relazioni internazionali nell’emisfero americano, sia per gli stretti rapporti commerciali che intrattiene con gli Stati Uniti, cui viene venduto gran parte del petrolio venezuelano, sia per la tradizionale influenza sull’intera area caraibica, sia, infine, per il crescente peso esercitato in vari paesi del Sudamerica. Ordinamento
In termini politici e istituzionali, la República Bolivariana de Venezuela è una repubblica federale formata da 23 stati, dove il potere centrale mantiene però estese funzioni politiche e amministrative, sia nei confronti dei poteri locali, sia rispetto agli altri poteri dello stato, che in base alla Costituzione del paese, non sono solo quelli esecutivo, legislativo e giudiziario, ma comprendono anche il potere elettorale, rappresentato dal Consejo nacional electoral, e il potere ‘morale’ incarnato nel Consejo moral republicano, dalle funzioni in realtà assai vaghe.
Popolazione e società
I circa 30 milioni di venezuelani sono in larga parte meticci, ossia la risultante storica dell’incrocio tra le popolazioni autoctone (nel caso del Venezuela poco numerose), i colonizzatori spagnoli e la cospicua quantità di africani portati a lavorare nelle piantagioni della costa caraibica durante la tratta degli schiavi.
Popolazione
Libertà e diritti
Dall’ascesa al potere di Hugo Chávez, scomparso recentemente (5 marzo) dopo una lunga malattia e sostituito temporaneamente fino alle elezioni di aprile dal vice presidente Nicolás Maduro, il Venezuela ha assunto i tratti tipici dei regimi populisti, di cui i cultori enfatizzano l’ampliamento della cittadinanza sociale mentre i critici evidenziano l’autoritarismo politico e la compressione dei diritti civili. Le riforme costituzionali e legislative da allora introdotte hanno infatti sia riconosciuto più ampi diritti sociali, sia agevolato la concentrazione del potere politico nell’esecutivo, e in particolare nelle mani del caudillo che lo esercita. Abolendo il bicameralismo, ampliando le funzioni delle forze armate e la loro sottomissione al presidente, accrescendo la sfera dell’intervento statale nei settori informativo ed economico, modificando le circoscrizioni elettorali in modo da favorire i candidati governativi, introducendo la possibilità della rielezione indefinita della massima autorità dello stato, Chávez ha potuto ampliare e perpetuare il proprio potere.
Nel complesso, le elezioni venezuelane avvengono in modo corretto, certificando l’elevato benché calante consenso di cui gode il governo. Al tempo stesso, tuttavia, l’ampio ricorso del regime alle risorse pubbliche per assicurarsi il consenso suole distorcere la competizione elettorale, così come i numerosi ostacoli frapposti all’azione delle opposizioni. Spiccano, a tale proposito, le forti pressioni esercitate dal governo contro le autorità locali elette nelle liste delle opposizioni, il massiccio ricorso del presidente ai mezzi di informazione come strumento di propaganda, la legislazione introdotta nel 2004 per limitare la libertà di espressione, seguita da frequenti misure volte a colpire le voci critiche su stampa e televisioni. Pur godendo di una solida maggioranza in Parlamento, inoltre, il presidente Chávez ne ha più volte sospese di fatto numerose funzioni chiave, ottenendone la delega di poteri speciali che lo autorizzano a legiferare per decreto su una vastissima gamma di tematiche. In tal senso, se si aggiunge la pesante ingerenza del governo nel settore giudiziario, si può dire che la separazione dei poteri in Venezuela sia soggetta a fortissime restrizioni. Nell’ottobre 2012 si sono tenute le elezioni presidenziali vinte per la quarta volta di fila da Chávez con il 55,25% dei consensi contro il candidato di opposizione Henrique Capriles (44,13%).
Un discorso a parte merita la libertà religiosa: benché nel complesso sia rispettata, sia la Chiesa cattolica, sia la comunità ebraica sono entrate più volte in conflitto con il governo: la prima accusandolo di limitare le libertà pubbliche e di invadere il suo ambito pastorale e la seconda a causa degli stretti rapporti, sia politici che ideologici, intrattenuti da Chávez con taluni regimi noti per la propria retorica antisemita, quale quello iraniano.
Una certa tolleranza nei confronti degli sconfinamenti dei guerriglieri e dei trafficanti di droga colombiani nel paese e l’aumento del crimine nelle città hanno infine contribuito a trasformare il Venezuela, dal 2006, nel paese più violento dell’intero continente sudamericano.
Economia, energia e ambiente
Sospinta dagli elevati prezzi del petrolio, cui si deve il 90% circa delle esportazioni venezuelane, e dai medesimi fattori esterni che hanno favorito la crescita economica di tutta la regione, l’economia del Venezuela è cresciuta per anni a ritmi elevati, salvo subire il contraccolpo della crisi finanziaria iniziata nel 2008 e mostrare maggiori difficoltà a risollevarsi rispetto agli altri paesi latinoamericani. Nel 2011, infine, è tornata a crescere con un ritmo pari a quasi il 5% annuo.
Guidato da Hugo Chávez, il Venezuela ha rinnegato la via economica del libero mercato, tornando per molti aspetti ai principi classici del nazionalismo latinoamericano. In tal senso, il governo di Caracas ha invocato il ‘socialismo del 21° secolo’ nel procedere a numerose nazionalizzazioni, a espropriazioni di terreni e imprese, a crescenti interventi statali in materia di prezzi e cambi e a partnership fondate più sull’affinità ideologica che sulla convenienza economica. I risultati di tale politica, che il governo venezuelano s’è adoperato con grande dispiego di risorse a esportare nei paesi più affini, sono soggetti a grandi controversie. Se i loro fautori ne celebrano gli effetti sociali virtuosi e l’aumento dell’indipendenza nazionale al cospetto degli Stati Uniti, i critici osservano che tale modello sta mettendo in ginocchio il sistema economico nazionale perché mette in fuga i capitali ed è causa del basso tasso di investimenti, di una spirale inflazionista senza uguali in America Latina (26% nel 2011), nonché della corruzione, incentivata dall’enorme e incontrollato potere della nuova classe politica in tutti i gangli dell’attività economica. Tali critiche si concentrano in particolar modo sulla gestione del vero e proprio motore dell’economia venezuelana, ossia il settore energetico (i consumi venezuelani dipendono per oltre l’85% da petrolio e gas naturale), e la grande impresa che lo gestisce, cioè la Pdvsa (Petróleos de Venezuela, S.A.). Anche in tal caso, mentre il governo vanta lo stretto controllo imposto sulla Pdvsa, al fine di trattenere la maggiore quantità possibile di risorse nelle casse nazionali, e si sforza di differenziare i mercati attraverso un’ambiziosa politica petrolifera globale, le opposizioni ne denunciano la demagogia e il dilettantismo. Osservano, in particolare, come l’impiego ideologico dell’arma petrolifera abbia causato la diminuzione di investimenti vitali nel settore, il massiccio uso clientelare delle risorse di Pdvsa e infine un progressivo calo della produzione.
A ciò si aggiungono i ritardi e le inefficienze nel settore idroelettrico, che hanno causato estesi blackout in larga parte del paese. Negli ultimi anni, la stessa Pdvsa s’è incaricata di dare impulso alla produzione di energie rinnovabili, specie quella eolica, ma nel complesso il Venezuela si trova ancora arretrato su questo terreno e in generale la sua performance ambientale risulta peggiore di quella della maggior parte dei paesi latinoamericani.
Difesa e sicurezza
Nel corso del primo decennio del 21° secolo le spese militari venezuelane sono decollate di oltre il 120%, grazie sia alla crescita economica, sia ai ricchi proventi petroliferi, riducendosi solamente in parte per effetto della crisi finanziaria iniziata nel 2008.
Una storia agitata
di Loris Zanatta
Per molti decenni e con diversi regimi, il Venezuela ha impiegato il peso che il petrolio le conferiva sul piano internazionale per accrescere la propria influenza e dare impulso al proprio sviluppo. Da quando, tuttavia, nel 1998 è salito ai vertici del paese il colonnello Hugo Chávez, il petrolio è diventato lo strumento chiave di una politica assai più ambiziosa che in passato. Una politica che per la prima volta nella sua storia esprime l’esplicita ambizione del Venezuela a guidare un fronte di paesi uniti da una forte pulsione nazionalista e da una ancor più radicale ostilità agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali, non solo in America Latina, ma perfino in Medio Oriente, in Asia e in molti paesi del Sud del mondo. Perlopiù espressa in termini radicali e accompagnata da generosi aiuti, tale politica ha permesso a Caracas di farsi nuovi amici, ma le ha anche attirato numerose critiche e una diffusa fama di inaffidabilità. Oltre a coltivare intense relazioni con varie potenze emergenti, dalla Russia all’Iran, passando per la Cina, il governo di Chávez ha lanciato una nuova iniziativa di cooperazione coi paesi caraibici volta a fornire loro petrolio a condizioni agevolate (Petrocaribe), ha accresciuto il suo attivismo in America centrale, sostenendovi in particolar modo il governo sandinista in Nicaragua e quello, poi deposto dai militari, di Manuel Zelaya in Honduras, ha ampliato a dismisura il suo raggio d’azione in Sudamerica, sia affermandosi come importante creditore dell’Argentina, sia candidandosi all’ingresso nel Mercosur, del quale è diventato membro effettivo solo nel luglio 2012. La massima espressione di tale attivismo è stata tuttavia la creazione della Alternativa Boliviariana para los Pueblos de Nuestra América (Alba), un fronte cui hanno aderito Cuba, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, più varie piccole repubbliche caraibiche e di cui Hugo Chávez è stato il regista assoluto, sia per il ruolo dominante del Venezuela sul piano economico, sia per l’impronta ideologica del suo ‘socialismo del 21° secolo’. Tali sforzi hanno però causato spesso tensioni nei rapporti internazionali del Venezuela, non solo con gli Stati Uniti, i quali hanno perlopiù cercato di non rispondere alle provocazioni, ma ancor più coi loro principali alleati nella regione, per esempio con Perù e Colombia, la cui politica interna è stata più volte soggetta all’influenza più o meno esplicita di Chávez. Lo stesso gigante regionale, ossia il Brasile, s’è più volte adoperato per svolgere una funzione di amichevole contenimento nei confronti del radicalismo venezuelano ed è anche in tal senso che va intesa la creazione, sotto egida brasiliana, di Unasur, l’Unione delle nazioni sudamericane (2008), di cui anche il Venezuela è membro.