VENOSA

Enciclopedia Italiana (1937)

VENOSA (A. T., 27-28-29)

Luchino FRANCIOSA
Carlo CESCHI
Giuseppe LUGLI
Nicola NICOLINI

Paese della Lucania in provincia di Potenza, situato (412 m. s. m.) in felice posizione sull'antica via Appia, al confine con la provincia di Bari, nel fondo di un bacino lacustre che si allarga alla periferia nel gruppo Vulturino. Antica città dell'Apulia, fu nel Medioevo un gran centro di traffico, e lo è tuttora per il commercio di grano e di ottimi vini da taglio. Il territorio comunale (169 kmq.), costituito da terreni vulcanici a N. e da sabbie plioceniche a E., con una vasta zona, nel resto, di calcari marnosi, fogliettati, del Miocene e del Cretacico, è coltivato a cereali, leguminose, ortaggi, patate, viti e olivi; per 1/6 è tenuto a pascoli e per 1/10 è coperto da boschi. La popolazione di 9985 ab., in prevalenza agricoltori, vive tutta accentrata. Venosa ha la stazione ferroviaria fuori dell'abitato a circa 3 km., sulla linea Rocchetta-Spinazzola, ed è allacciata al melfese per mezzo di autocorriera.

Monumenti. - L'abbazia della Trinità, fondata dai monaci benedettini sulla metà del sec. XI, sotto il governo del conte Drogone normanno, costituisce il più singolare complesso monumentale. La prima chiesa, di pianta basilicale a tre navate e abside semicircolare, ci è giunta molto rimaneggiata con parte delle navate laterali trasformate in cappelle e un portale frammentario della fine del sec. XIII. Adoperando grandi pietre dell'anfiteatro romano, venne iniziata nel 1135, dietro l'abside e in prosecuzione della prima, una seconda chiesa più vasta i cui lavori rimasero incompiuti. Architettonicamente molto interessante, questo edificio costituisce, con le cattedrali di Acerenza e Aversa, il gruppo meridionale di più chiara derivazione oltramontana. Particolarmente la disposizione icnografica delle cappelle irradiate dall'ambulacro che circonda il coro, donando alle tre absidi bellissimi effetti, rivela influssi d'arte borgognona importata, dai benedettini agl'inizî del sec. XII.

Costruita nel 1470, la cattedrale è oggi deturpata, ma conserva ancora la primitiva ossatura a tre navate con archi ogivali su pilastri e un portale marmoreo del 1512 firmato da Cola da Conza. Il castello, di pianta quadrata, anch'esso della fine del sec. XV, conserva le mura e le torri cilindriche angolari e, nell'interno ora abbandonato, una fine loggia su pilastrini ottagonali.

Bibl.: É. Bertaux, I monumenti medievali nella regione del Vulture, in Napoli Nobilissima, 1897, p. 12; id., L'art dans l'Italie méridionale, Parigi 1904; G. de Lorenzo, Venosa e la regione del Vulture (coll. Italia artistica, n. 24), Bergamo 1906; G. T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda, Milano 1908; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, III, ivi 1904, p. 504; P. Toesca, Storia dell'arte ital., I: Il Medioevo, Torino 1927; R. Bordenache, La cappella romanica (benedettina) della Foresteria nell'abbazia di Venosa, in Boll. d'arte, XXVII (1933), pp. 178-82.

Storia. - L'antica Venusia fu città dell'Apulia, posta al confine con la Lucania, tanto che Orazio (Sat., II,1, 34) dice che il suo territorio era situato in parte fra gli Apuli e in parte fra i Lucani. Il suo nome compare nella storia soltanto nel 291 a. C., quando fu occupata dal console L. Postumio: poco dopo vi fu condotta una colonia latina di 20.000 uomini e questo le diede una grande importanza, specialmente durante la seconda guerra punica, perché Terenzio Varrone vi si rifugiò con 50 cavalieri dopo la battaglia di Canne e vi ricompose una piccola parte (Liv., XXII, 49, 54) dell'esercito. Dopo la seconda punica, la città ricevé un rinforzo di coloni (Liv., XXXI, 49). Durante la guerra sociale fu una delle roccheforti degli alleati contro Roma, ma fu sottomessa dal propretore Q. Cecilio Metello Pio. Dopo ciò divenne municipio e fu iscritta nella tribù Orazia; e durante il secondo triumvirato fu ripopolata con una nuova colonia. Rimase col rango di colonia durante l'impero e come tale fu una delle città più prospere dell'Italia meridionale (splendida civitas Venusinorum). Molto della sua fama deriva dall'esservi nato nel 65 a. C., Orazio. Nell'impero è ricordata come una stazione della Via Appia al 320 miglio da Roma; pochi avanzi rimangono dell'età romana, tra cui la tomba creduta di M. Claudio Marcello e le catacombe ebraiche.

Divenuta dal sec. V sede vescovile, soffrì devastazioni da buona parte delle popolazioni belligeranti in Italia, e fu saccheggiata e quasi distrutta (851) dai Saraceni, che, restatine padroni fino all'866, la risaccheggiarono nel 926. Finalmente, caduta in potere (1041) dei Normanni, e assegnata in sorte (1043) al conte Drogone d'Altavilla, riprese l'antica importanza militare, e vantò una famosa abbazia benedettina (1046), consacrata (1059) da Niccolò II, la quale accolse le spoglie di quasi tutti i principi normanni di Puglia. Alla morte del duca Guglielmo (1127), partecipò alla rivolta antinormanna delle città pugliesi, e fu, pertanto, distrutta da Ruggiero II (1133); ma più tardi, contesa, per la sua posizione, dalle opposte fazioni sveve, angioine e aragonesi, riebbe fortificazioni, mura e castelli. Feudo dei Sanseverino, dei Caracciolo, degli Orsini, dei Del Balzo (che vi costruirono nel 1470 un castello esistente tuttora), e poi dei Gesualdo e dei Ludovisio, dai quali ritornò (1634) al fisco, che non tardò a rinfeudarla, fu posseduta, sino all'abolizione della feudalità, dai Caracciolo del Sole.

Bibl.: Un'ampia bibl. in S. De Pilato, Saggio bibliografico sulla Basilicata, Potenza 1914, passim (indice dei nomi). Cfr. inoltre, A. Cimaglia, Antiquitates Venusinae, Napoli 1757; D. Romanelli, Topografia del regno di Napoli, II, ivi 1818, p. 241; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902; L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del regno di Napoli, X, pp. 30-37; F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Parigi 1907, passim (indice dei nomi); E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, Milano-Roma-Napoli 1924-32, III, pp. 53-55.

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