VERBO

Enciclopedia Italiana (1937)

VERBO (fr. verbe; sp. verbo; ted. Zeitwort; ingl. verb)

Giacomo Devoto

Categoria di parole che indicano un'azione, opposta al nome che indica cosa o qualità; come il nome, categoria di parole fornita di semantema (v. morfologia).

Questa classificazione delle parole risale già ai grammatici greci che contrapponevano ὄνομα (nome) e ῥῆμα (verbo). Ma, come è stato detto a proposito del nome (v.), questa opposizione non è sostanziale, ma conseguenza di uno svolgimento storico: si rimanda una volta per tutte al luogo citato, per l'esemplificazione di costrutti sintattici a base verbale e nominale (amo la patria, il mio amor di patria).

I caratteri formali che il verbo distingue sono: l'aspetto, la diatesi, il modo, il tempo, il numero, la persona. Non distingue invece nelle nostre lingue il genere grammaticale. L'aspetto distingue l'azione rappresentata dal verbo da una parte a seconda che dura o si ripete, dall'altra a seconda che è momentanea, si inizia o giunge a compimento: dormiva, inciampava; oppure dormì, s'addormentò, venne. La diatesi distingue l'azione riferita all'oggetto, al soggetto o subita dal soggetto: guardo la gente che passa, mi guardo la gente che passa, son guardato dalla gente che passa. Questa triplice distinzione presuppone l'esistenza di verbi transitivi che ammettano quella specificazione dell'azione rappresentata dal verbo che è l'oggetto. Il modo distingue la realtà dalla possibilità o dalla desiderabilità dell'azione. Il tempo, il numero e la persona sono concetti noti. Ora tutti questi caratteri non sono sempre legati da uno stesso rapporto di necessità né da mezzi di distinzione morfologica equivalenti.

1. L'aspetto, che specialmente in alcune lingue, come per es. in quelle slave, ha un valore sostanziale di primo ordine, è sentito in italiano come categoria morfologica solo nell'imperfetto (p. es. cadevo; caddi), ma sembra a noi allora un criterio sussidiario per distinguere fra loro i tempi del passato, l'imperfetto dai passati prossimo e remoto. Nelle regioni poi dove il passato remoto sussiste ancora, è ancora una differenza d'aspetto che lo distingue da quello prossimo: quello, di valore momentaneo, questo che prolunga l'azione del passato verso il presente. Al di fuori di questi casi, l'aspetto è rappresentato semanticamente da parole diverse senza che appaia la coscienza o la necessità del loro rapporto. La differenza fra "dormire" e "addormentarsi" non implica per noi che i due verbi facciano parte di una coppia regolarmente costituita, che possa servire da modello per altri verbi separati fra loro soltanto dalla differenza di aspetto. In tedesco manca del tutto la distinzione morfologica dell'aspetto; viceversa compare l'esigenza semantica in casi che in italiano non si presentano, p. es. warten auf jemanden, jemanden erwarten "aspettar qualcuno", nel primo caso insistendo sulla durata dell'attesa, nel secondo constatando semplicemente il fatto.

2. La diatesi con le sue tre categorie di attivo, passivo e medio solo in parte è evidente come categoria morfologica e a sua volta la categoria morfologica solo in parte è definita con mezzi strettamente morfologici. Quando si usa in italiano la forma corrispondente al medio mi son fatto una scorpacciata di funghi, non abbiamo coscienza di impiegare una determinata diatesi del verbo, ma soltanto di costruire il verbo con un procedimento sintattico particolare, una specie di dativo etico. Solo attivo e passivo sono categorie grammaticali viventi in italiano: ma di queste solo l'attivo ha la determinazione strettamente morfologica di suffissi e desinenze. Il passivo è indicato da una costruzione perifrastica con l'aiuto del verbo "essere" che ha per ora un carattere piuttosto sintattico che morfologico.

3. Le differenze di modo sono, dal punto di vista formale, contraddistinte più chiaramente; ma da un punto di vista sostanziale sono meno facilmente classificabili. Realtà, desiderabilità, possibilità, comando "possono" essere messe in un rapporto determinato con i modi indicativo, condizionale, congiuntivo, imperativo. Ma questa distinzione potrebbe indifferentemente contemplare varietà più o meno numerose diversamente dalle nette differenze di "aspetto" durativo o momentaneo. Perciò è difficile uno schema astratto dei modi e, a seconda delle lingue, può sembrare normale che ogni modo debba contenere le stesse forme temporali (l'imperativo avere l'aoristo o il perfetto come in greco) o viceversa che ci siano forme temporali compatibili con un modo ma non con un altro: come per noi il futuro che va d'accordo con l'indicativo ma non con il congiuntivo né con il condizionale.

4. Le differenze di tempo influiscono più di tutte le altre sulle vicende della organizzazione del verbo. Nella parola "tempo" è da distinguere accuratamente il valore "grammaticale" di "tempo" come "formazione derivata del verbo che ne definisce l'azione nel senso dell'aspetto, modo e anche tempo e si distingue ulteriormente per mezzo di elementi morfologici o non morfologici secondo la diatesi, il numero e la persona", dalla categoria "psichica" del tempo che può, ma non deve necessariamente, essere definita dalla formazione grammaticale: tale l'aoristo greco. L'accordo fra le due espressioni è più facile nelle lingue che alle tre categorie di passato, presente e futuro fanno corrispondere tre formazioni grammaticali e non più. Ma questo stato di cose teoricamente ideale è complicato dall'azione di due forze di origine assai diversa, l'una di natura intellettuale, l'altra affettiva. Appartiene alla prima classe il sistema della "consecutio temporum" latina, vale a dire lo sforzo di distinguere oltre al passato e al futuro assoluti anche il passato e il futuro relativi: dunque amicis gratias egit qui dona attulerant e, ugualmente, in italiano "ringraziò gli amici che avevano portato i doni"; dunque un più che perfetto o un trapassato prossimo di fronte al perfetto e al passato prossimo; e così nello stesso modo al futuro "ringrazierò quando mi avrete ottenuto la grazia". Le forze di natura affettiva provocano turbamenti anche maggiori: da una parte prendono per ottenere definizioni ancora più precise, un passato appena accennato, un futuro prossimissimo come per sottolineare con la leggerezza del distacco dal presente, l'immediatezza, l'intensità dell'azione: Je vais faire (tout ce que je pourrai), je viens de l'apprendre (il est mort): nascono così due forme verbali perifrastiche. Dall'altra parte motivi affettivi deformano il concetto del tempo, attribuendo alla differenza di presente e passato o di passato e trapassato una differenza di modo: se vi foste mossi con tutte le vostre forze potrei anche esservi grato; che vi siate mossi così, quasi contro voglia, non mi può bastare. La differenza modale che passa fra "non mi può bastare e e "potrei essere" nelle proposizioni principali è rappresentata nelle proposizioni dipendenti da una differenza di tempo: questa logicamente non ha giustificazione, ma affettivamente si giustifica con la formula che "il tempo più lontano è quello più irreale".

5. La differenza di persona è caratteristica del verbo, ma può anche essere facilmente supplita per mezzo di elementi estranei al verbo, e cioè i pronomi personali. La rappresentazione formale della categoria morfologica della persona è infatti influenzata da elementi fonetici e da elementi affettivi: fonetici perché le desinenze, trovandosi nella posizione più debole in fondo alla parola, sono esposte al pericolo di oscurarsi e scomparire; affettivi, perché la sostituzione per mezzo di pronomi è facile o meno facile a seconda che è sentita l'esigenza di distinguere forme più o meno epressive: dice, egli (non altri) dice. Questo appare chiaro in frances- dove la sostituzione dei pronomi alle desidenze personali è avvenuta in modo si può dire completo: accanto alla formula il dit che sarebbe la sola possibile, si è creata quella, affettivamente più intensa, c'est lui qui dit.

6. La categoria del numero è, fra quelle definite nel sistema del verbo, la meno caratteristica: le desinenze delle persone del plurale non hanno in sé elementi caratteristici che si oppongano a quelli proprî del singolare, ma continuano in modo indipendente la serie delle desinenze, quasi esistessero nel paradigma le persone quarta, quinta e sesta da imparare a memoria.

L'insieme di tutte queste specie e sottospecie, quando si stringe in un sistema di appartenenza e dipendenza reciproca, si chiama "coniugazione". La coniugazione è una difficile conquista che presuppone un certo grado di astrazione. In origine i verbi, secondo il significato e l'aspetto, avevano solo il tema del presente o solo quello dell'aoristo: verbi diversi si associavano per costituire una cosiddetta coniugazione suppletiva (in latino fero associato con il tema di perfetto tuli). Questo non giustifica l'opinione che si tratti di verbi "difettivi": sarebbe come chiamare difettivi i nomi che non hanno costituito un ampio sistema, per il quale da un sostantivo si deriva un aggettivo, dall'aggettivo un astratto, dall'astratto un altro aggettivo (per es., legge, legale, legalità, legalitario).

Accanto a tutte le specie e sottospecie di determinazioni grammaticali del verbo illustrate sopra, ci sono elementi grammaticali che dànno luogo a verbi nuovi, suscettibili di una regolare flessione e nello stesso tempo legati da un rapporto grammaticale vivente con il verbo da cui hanno preso vita. In italiano abbiamo veri e proprî diminutivi o vezzeggiativi del verbo come leggicchiare, dormicchiare, trotterellare, parlottare. In sanscrito esiste tutto un sistema di verbi derivati: verbi intensivi, causativi, desiderativi. Così del verbo kar "fare" esiste, oltre alla terza persona normale del presente indicativo karoti, anche quella dell'intensivo karkaroti (oppure cekriyate) "fa con attenzione", del causativo karayati "fa fare" e del desiderativo cikirsati "desidera di fare". Così in latino esistono verbi incoativi caratterizzati dal suffisso sco che indicano il principio dell'azione, senesco, albesco: ma i più antichi di essi, come nosco e posco, esistevano un tempo da soli come presenti, senza le forme normali, perché le due radici avevano un significato momentaneo e non potevano avere un presente puro e semplice.

Per le forme intermedie fra la categoria del verbo e del nome cfr. gerundio; infinito; participio e soprattutto nome, dove è sottolineata la differenza fra elementi nominali statici e dinamici, e quindi, nell'ambito del nome, l'esistenza di elementi lontani dal verbo.

Dal punto di vista sintattico infine il verbo si trova in condizione di maggiore rilievo in quanto esso dà vita all'unico elemento essenziale della frase, il predicato (v.; e v. anche morfologia).

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