VESPASIANO DA BISTICCI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VESPASIANO DA BISTICCI

Eva Rammairone

Nacque a Bisticci tra il 26 giugno 1422 e i primi mesi del 1423 da Filippo di Leonardo da Bisticci, di professione stamaiolo, e da Mattea di Piero Donato Balducci. La famiglia paterna era originaria di Bisticci, un piccolo paese nel Valdarno inferiore, ma subito dopo il matrimonio i coniugi si trasferirono a Firenze e dettero alla luce, tra il 1411 e il 1426, sei figli: Jacopo, Lucrezia, Leonardo, Vespasiano, Marsilia e Filippo. Il padre-famiglia morì prematuramente il 4 febbraio 1426 ma assicurò alla moglie e ai figli un podere con villa all'Antella, frazione dell’odierno comune di Bagno a Ripoli, che costituì per la famiglia una fonte di reddito oltre che un luogo fondamentale per Vespasiano.

Fin da giovane Vespasiano si impegnò in un’attività lavorativa dato che nel febbraio 1433 venne associato, in un’attestazione di credito, a Michele di Giovanni Guarducci possessore di due botteghe di cartolai «dirimpetto alla porta di detta Badia (fiorentina, ndr)» (ASF, Corporazioni, 78, Badia di Firenze, vol. 261 memoriarum, c. 39v). Al Guarducci si deve probabilmente un’educazione di base del giovane apprendista che con acume e curiosità coltivò da autodidatta prendendo parte anche ai circoli letterari e filosofici del tempo. Infatti gli anni dell’apprendistato di Vespasiano coincisero con quelli del Concilio di Firenze. In questa fucina intellettuale una conoscenza rilevante per il giovane Vespasiano fu quella con il Cardinal Giuliano Cesarini, che lo invitò ad abbracciare la carriera ecclesiastica. Vespasiano rifiutò l’offerta per la formazione sacerdotale ma tenne in grande considerazione l’aiuto del Cesarini per poter frequentare la scuola per fanciulli, seguita, tra gli altri, dall’umanista Jacopo Ammannati e dai membri delle famiglie ‘ottimate’ come Donato e Piero Acciaiuoli. I fratelli Acciaiuoli coinvolsero Vespasiano a prendere parte alle discussioni filosofiche che periodicamente tenevano nelle loro ville di campagna, come si evince da diverse lettere che il libraio scrisse a Giannozzo Manetti per dirimere questioni teologiche a cui i giovani non sapevano dare risposta.

Manetti fu l’uomo più importante per l’educazione e per la vita di Vespasiano: i due si conobbero quattordici anni prima del 1453, anno dell’esilio di Manetti, e strinsero un rapporto di amicizia molto solido nonostante la notevole differenza d’età e la disparità sociale. Tale legame è ricostruibile mediante le lettere che si scambiarono, piene di incoraggiamenti che Manetti rivolse all’ingegnoso Vespasiano e di compassione, che il cartolaio dimostrò nei confronti dell’umanista una volta esiliato. Si potrebbe, a ragione, definire il Vespasiano letterato un’appendice di Manetti, poiché da lui apprese gli argomenti, lo stile compositivo, e in nome di questa amicizia ridimensionò la stima che aveva avuto per Cosimo de’ Medici, mecenate della sua carriera artigianale.

L’inizio ufficiale della produzione libraria di Vespasiano avvenne infatti nel 1445 quando ottenne l’incarico da Cosimo de’ Medici di allestire la biblioteca di San Marco. Cosimo, per essere sicuro che nessuna opera fondamentale mancasse nella sua nuova collezione, scrisse all’allora cardinale Tommaso Parentucelli affinché stilasse un canone per la biblioteca; fu proprio Vespasiano che, sulla base di questo elenco, si occupò del reperimento dei libri acquistandoli in diversi conventi o confezionandoli ex novo nella sua bottega. Riconosciuto il valore di Vespasiano, Cosimo gli affidò anche il completamento della biblioteca della Badia Fiesolana. Il libraio riuscì così a consolidare con il mecenate mediceo e con Tommaso Parentucelli un rapporto saldo di amicizia e fiducia reciproche, tanto che fu inviato a Roma nel 1447, quando il cardinale venne eletto al soglio pontificio con il nome di Niccolò V, ricevendo una privatissima udienza. Nel 1458, alla morte del Guarducci, Vespasiano ereditò la bottega sul canto della «via del Palagio», dove si potevano trovare edizioni prêt-à-porter dei libri più venduti al tempo: tali manoscritti, oltre ad essere esteticamente pregevoli, contenevano testi filologicamente vagliati o tradotti dagli umanisti di cui il libraio si circondava.

Il 1479 fu un anno di grandi scelte per Vespasiano: la bottega non fungeva più da fulcro culturale e gli affari non fruttavano più come una volta ora che la stampa stava iniziando a diffondersi. Nel 1480 Vespasiano lasciò definitivamente l’attività e da questo momento tutta la sua corrispondenza partì e giunse da e all’Antella. Vespasiano si rifugiò nella villa “a Monte”, che sorge tra gli olivi con uno stupendo panorama che spazia sul capoluogo toscano. Gli ultimi affari che Vespasiano dovette svolgere nella città furono affidati al nipote Giovanfrancesco Mazzinghi, figlio della sorella Marsilia, che si occupò di vendere i beni mobili e immobili, come si evince dal suo prezioso diario conservato all’Archivio di Stato di Firenze (Archivio di Stato di Firenze, Acquisti e Doni, 301, inserto 1, Ricordanze Da Bisticci-Mazzinghi) che rivela molto circa le modeste condizioni economiche dei da Bisticci. Non si deve tuttavia ritenere che il ritiro all’Antella sia un rifugio nel quale Vespasiano rimase totalmente estraneo alle vicende fiorentine dato che, dal 1483 al 1494, nei registri dell’Arte dei Cuoiai e Galigai, il nome di Vespasiano di Filippo, di professione cartolaio, compare quattro volte per l’estrazione al consolato dell’arte. I rapporti con la città di Firenze furono coltivati anche grazie al tramite dei libri: è certo che Vespasiano portò all’Antella i volumi a lui più cari, che gli venivano puntualmente chiesti in prestito dagli amici, seppure oggi della collezione privata del libraio non sia rimasta traccia. La cura con cui egli predisponeva persino le copie destinate alla sua famiglia è testimoniata da settantuno volumi di argomento medico-specialistico, conservati alla Biblioteca Laurenziana, che confezionò per suo nipote Lorenzo, figlio di Jacopo, e che costituiscono oggi un esempio importante di biblioteca settoriale privata del Quattrocento.

Vespasiano trovò all’Antella l’ispirazione per cambiare prospettiva: da editore ad autore in prima persona delle Vite dei personaggi che aveva conosciuto e che decise di elevare a exempla per le generazioni future. Lo spunto per la composizione delle sue opere gli venne tra il 1477 e il 1478, dopo la morte dell’amico fidato Manetti, per il quale compose il Commentario alla vita, un profilo biografico molto dettagliato che rivela particolari non rintracciabili nei documenti ufficiali sulla sua vita e sui suoi rapporti con il potere mediceo.

Su questa scia scrisse poi le Vite, schede biografiche di personaggi accomunati da una spiccata religiosità e da una dedizione per le lettere. Nate da documenti, annotazioni, ricordi che Vespasiano accumulò durante la sua attività artigianale, le 103 biografie rivelano una prassi compilatoria, appresa da Manetti, che portò alla redazione di medaglioni raccolti, in ultima fase redazionale, sotto un’unica rilegatura, oggi rappresentata dal manoscritto di Bologna, Biblioteca Universitaria, 1452.

L’accusa di misoginia che, a detta dell’autore, gli venne comminata dopo la redazione delle biografie maschili gli dettero lo spunto per comporre opere più spiccatamente muliebri come l’Exhortazione a Caterina de’ Portinari, scritta in occasione del matrimonio tra la donna e Giannozzo Pandolfini nel 1480, e la Vita di Alessandra de’ Bardi, l’unico ritratto femminile equiparabile, per devozione e virtù, ai corrispettivi maschili delle Vite. Queste due opere aprirono la strada al Libro delle lodi e comendazione delle donne (post 1479-ante 1486), una trattazione cronologica che ambì a presentare le figure femminili più rilevanti dell’Antico e del Nuovo Testamento, dell’epoca romana e delle illustri famiglie fiorentine.

A Vespasiano si può ricondurre anche una produzione letteraria più moraleggiante, iniziata nel periodo della sua formazione intellettuale ma concretizzatasi verso la fine della sua vita. L’opera maggiore per estensione, dopo le Vite, è infatti il Libro della vita et conversatione dei cristiani, iniziata prima degli anni Settanta e rimasta in bozze fino al 1497. Il Libro dei cristiani testimonia l’operazione del libraio di aver compreso la distanza tra il cristiano devoto e il testo patristico in latino che viaggiava in volgarizzamenti poco diffusi di cui egli si fa divulgatore stendendo un prontuario di ammaestramenti e buone norme, utili al raggiungimento della salvezza cristiana.

L’impostazione didascalico-religiosa del Libro dei cristiani fu ripresa anche nel Lamento d’Italia, opera scritta nel febbraio del 1481 in occasione dell’assalto turco a Otranto. Essa è da considerare non tanto come un’opera storica, dato che mancano le ricostruzioni degli eventi dell’avanzata turca, quanto un prodotto retorico che coniuga gli stilemi religiosi alla simbologia popolare e si inserisce nel genere letterario profetico che presentava l’invasione turca come una punizione divina per una cristianità degenerata e corrotta.

L’opera che ad oggi lascia aperti i maggiori interrogativi, per la mutilazione dell’unico manoscritto ove è conservato, è il Tratato contro a la ingratitudine. Composto tra il 1494 e il 1497 il Tratato potrebbe considerarsi un’appendice del Libro dei cristiani sul tema del peccato dell’ingratitudine di cui probabilmente Vespasiano si sentì vittima per l’irriconoscenza del potere laurenziano dopo tale fama libraria. L’ingratitudine era stata anche quella che aveva colpito molti cittadini illustri fiorentini come Dante, Francesco Petrarca e Manetti, ingiustificatamente costretto a un esilio che lo portò a vivere i suoi ultimi anni presso corte alfonsina.

L’intento divulgativo delle sue opere, o almeno di una parte di esse, è testimoniato dai numerosi proemi indirizzati ai giovani rampolli delle famiglie aristocratiche fiorentine e dalle lettere. Le ultime sue parole sono contenute proprio in un’epistola mandata a Giovanni di Pierfilippo Pandolfini, datata 24 aprile 1497, alla quale Vespasiano affidò il suo odio per la Firenze colpita dal germe delle guerre civili e rimpianse i tempi che aveva elogiato nelle sue Vite attraverso i personaggi biografati.

Morì all'Antella il 27 luglio 1498 e fu sepolto nella Chiesa di Santa Croce, laddove riposavano i suoi familiari.

Opere

Virorum illustrium 103 qui saeculo extiterunt vitae, a cura di A. Mai, in Spicilegium Romanum, I, Romae 1839-43; Proemio di Vespasiano a Lorenzo Carducci nel Commentario di più vite da lui composte, Vita di Alfonso Re d’Aragona e di Napoli, proemio di Vespasiano nel libro delle lode e commendazione delle donne, mandato a Monna Maria, donna di Pierfilippo Pandolfini e Lamento d’Italia per la presa d’Otranto, a cura di F. del Furia, in Archivio Storico Italiano, IV (1843), pp. 303-463; Vite di uomini illustri del sec. XV, a cura di A. Bartoli, Firenze 1859; Commentario della vita di Giannozzo Manetti, aggiuntevi altre vite inedite del medesimo e certe cose volgari di esso Giannozzo, a cura di P. Fanfani, Torino 1862; Vite di uomini illustri del secolo XV scritte da V. d. B., rivedute sui manoscritti da L. Frati, I-III, Bologna 1892-93; L. Sorrento, Il libro delle lodi e commendazione delle donne di V. d. B.: Cod. Riccardiano 2293, Milano 1911; Vite di uomini illustri, a cura di E. Aubel, Lanciano 1911; “Exhortatione alla Caterina de’ Portinari donna d’Agnolo Pandolfini”, scritta da Vespasiano da Bisticci (codice II. XI.34 della Nazionale di Firenze), a cura di E. Gandolfo, Genova 1929; Vite di portoghesi illustri, a cura di H.T. Coelho - G. Battelli, Firenze 1934; Vite di uomini illustri del secolo XV, a cura di P. D’Ancona - E. Aeschliman, Milano 1951; G.M. Cagni, V. d. B. e il suo epistolario, Roma 1969; Le Vite, edizione critica con introduzione e commento di A. Greco, I-II, Firenze 1970; P. Viti, Le Vite degli Strozzi di V. d. B., in Atti e Memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “la Colombaria”, XLIX (1984), pp. 77-117; Il libro delle lodi delle donne, a cura di G. Lombardi, Roma 1999.

Fonti e bibliografia

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