Vettori ed enzimi

Lessico del XXI Secolo (2013)

vettori ed enzimi


vettóri ed enzimi. – A partire dagli anni Settanta del 20° sec., la possibilità di moltiplicare frammenti di DNA (deoxyribonucleic acid) per produrre una grande quantità di copie tutte uguali e studiarne le caratteristiche si è basata sullo sfruttamento delle caratteristiche di molecole di DNA circolare, i plasmidi. Tali molecole, presenti nei batteri, sono capaci di duplicarsi in modo autonomo. I plasmidi naturali possono essere modificati in modo da essere utilizzati come vettori per accogliere, in un’unica molecola di DNA detto ricombinante, frammenti di DNA estraneo (inserti) che, in una popolazione di ospiti batterici, viene moltiplicato insieme al DNA plasmidico fino a 1012 volte nell’arco di poche ore. Questo non sarebbe possibile senza l’ausilio degli enzimi di restrizione di tipo II, ossia endonucleasi batteriche capaci di tagliare un filamento di DNA in corrispondenza di una precisa sequenza di nucleotidi. L’uso combinato di enzimi di restrizione e della DNA ligasi, enzima capace di saldare estremità di filamenti di DNA in presenza di ATP (adenosine triphosphate), permette operazioni di ‘taglia e cuci’ per l’inserimento di nuovo DNA in quello plasmidico. Quando questo processo si svolge a carico di un vettore e di un determinato frammento di DNA proveniente da una qualsiasi cellula, esso prende il nome di clonaggio del DNA e i vettori corrispondenti sono detti vettori di clonaggio. Per lo stesso scopo possono essere utilizzati i batteriofagi, virus batterici capaci, a differenza dei plasmidi, di entrare nelle cellule batteriche, dove il loro DNA viene integrato nel genoma batterico. Successivamente, verso l’inizio degli anni Ottanta, gli studi funzionali sulle proteine codificate dal DNA richiesero lo sviluppo di vettori capaci di determinare i vari passaggi necessari all’espressione dei geni clonati nella cellula batterica. Tali vettori d’espressione contenevano quindi regioni adatte al controllo della trascrizione (promotori) in batteri in modo da garantire la sintesi dell’RNA messaggero (mRNA, ribonucleic acid) corrispondente al gene inserito e la sua traduzione in proteina. Contemporaneamente è stata sviluppata anche una vasta famiglia di vettori-navetta capaci di permettere il clonaggio in batteri e la propagazione in cellule di eucarioti per studiare la funzione delle sequenze di DNA sia regolatrici sia codificanti direttamente nelle cellule di origine. Da questo momento in poi l’espansione della famiglia dei vettori di DNA, in precedenza dovuta allo sforzo degli scienziati nei laboratori di ricerca, è divenuta prerogativa principale di alcune case produttrici di reagenti per DNA ricombinante che hanno sviluppato una molteplicità di vettori diversi ma tutti riconducibili allo stesso schema funzionale iniziale. Si tratta quindi di uno sviluppo tecnologico piuttosto che concettuale. L’ulteriore evoluzione, ancora in corso, di queste tecniche di ingegneria genetica consiste in molecole con le caratteristiche dei vettori ma capaci di mediare il trasferimento di geni finalizzato alla loro espressione duratura nelle cellule di un organismo ospite, come quello umano. In tal modo, con la terapia genica, si pensa di correggere difetti genetici o anche di controllare lo sviluppo di fenomeni neoplastici. I requisiti da soddisfare in questo caso sono: a) la possibilità di trasferire geni funzionali in cellule di mammifero; b) la possibilità di selezionare il tipo di cellule in cui trasferire il DNA (in cellule da espianto o direttamente nell’organismo); c) la possibilità di controllare l’espressione del gene trasferito in modo possibilmente identico, o simile, a quello in cui è controllato l’equivalente gene endogeno. Ancora una volta non si è inventato nulla di veramente originale, ma si sono sfruttate le caratteristiche di sistemi già esistenti e capaci di svolgere queste funzioni: i virus eucariotici, che da più di un decennio sono il punto di partenza per l’elaborazione di molecole di DNA capaci di fornire i suddetti requisiti. La necessità di somministrare il DNA ricombinante a un intero organismo pluricellulare invece che a cellule isolate pone diversi problemi, dall’ingresso del materiale genetico estraneo nelle cellule all’esistenza di un sistema immunitario che neutralizza l’intero processo di infezione. Nel corso dell’evoluzione, i virus hanno sviluppato e raffinato adeguate capacità per affrontare tali problemi, anche se non rappresentano l’unico sistema di introduzione di DNA esogeno in organismi interi. Infatti, il metodo scelto per il trasferimento genico dipende dalla natura del tessuto bersaglio e dalla localizzazione delle cellule (ex vivo oppure direttamente nel paziente). Nessun metodo di trasferimento genico è perfetto a priori e ognuno ha vantaggi e svantaggi. Fra le molteplici possibilità, i vettori virali per cellule umane sono preferiti per la loro alta efficienza di trasduzione.

Vettori oncoretrovirali. − I retrovirus sono virus a RNA dotati di una funzione di trascrittasi inversa, ossia capaci di sintetizzare una copia di DNA complementare (cDNA). In seguito a infezione (trasduzione), il retrovirus rilascia un complesso nucleoproteico nel citoplasma dell’ospite (complesso di preintegrazione), che provvede a retrotrascrivere il genoma virale e quindi integra il DNA risultante in un singolo sito del genoma ospite. I retrovirus sono estremamente efficienti nel trasferimento di DNA alle cellule ospiti e il DNA integrato può essere propagato stabilmente, offrendo così la possibilità di una correzione permanente di un difetto genico. Per queste proprietà i retrovirus sono stati a lungo considerati i più promettenti vettori per il trasferimento genico e al momento sono utilizzati da circa il 60% dei protocolli approvati in clinica. I vettori retrovirali tradizionalmente utilizzati sono derivati da semplici retrovirus, per es. quello della leucemia murina. Poiché tutti i geni virali sono stati rimossi dal vettore esso non può replicarsi in modo autonomo e i virioni ricombinanti possono essere prodotti solo con bassi titoli, rendendo difficile la somministrazione di grandi quantità di vettori al tipo cellulare desiderato in vivo. I retrovirus possono accettare inserti fino a una dimensione di 8 Kbp di DNA estraneo e richiedono una complessa serie di metodi di ‘impacchettamento’ per racchiudere il genoma virale difettivo dentro alle particelle virali. I retrovirus possono trasdurre solo cellule in corso di attiva proliferazione, perché il complesso di preintegrazione non può essere trasportato nel nucleo e quindi entra in contatto con i cromosomi dell’ospite solo al momento del disassemblaggio della membrana nucleare durante la mitosi. Questo restringe il campo delle potenziali cellule bersaglio: per es., le cellule della mucosa intestinale o gli eritroblasti proliferano continuamente, mentre altre cellule si dividono saltuariamente oppure mai (come i neuroni). La capacità di infettare solo cellule in attiva proliferazione può tuttavia essere utile quando in tessuti normalmente quiescenti si trovano cellule neoplastiche che vengono selettivamente infettate ed eliminate senza sostanziali rischi per le cellule sane.

Vettori adenovirali. − Gli adenovirus sono virus a DNA che infettano le cellule delle vie aeree superiori e hanno un tropismo naturale per l’epitelio respiratorio, la cornea e il tratto gastrointestinale. Dopo i vettori retrovirali, essi sono i vettori più comuni per la terapia genica e offrono molti vantaggi: si basano su virus umani che possono essere prodotti a titoli molto alti in coltura e possono infettare un vasto numero di cellule umane, comprese quelle in quiescenza, con un’efficienza di trasduzione così alta da sfiorare talvolta il 100% in vitro. Date le notevoli dimensioni dei virioni, essi possono tollerare inserti di DNA di decine di migliaia di nucleotidi. Questi vettori non sono però privi di svantaggi, che ne limitano l’uso a casi specifici. Infatti, il DNA inserito non si integra e quindi l’espressione dei geni trasferiti è generalmente limitata nel tempo. Questo rende necessaria la somministrazione ripetuta, con la possibilità di problemi di vario tipo, principalmente immunitari. Inoltre, la capacità che hanno questi vettori di infettare un elevato numero di tipi cellulari può teoricamente rappresentare un rischio in certi tipi di terapia, dove la selettività dell’infezione è essenziale, per es. nel trattamento di alcune neoplasie. Infine, tali vettori possono dare luogo a una risposta immunitaria indesiderata, causando uno stato di infiammazione cronica nel corso delle somministrazioni ripetute. Molte di queste difficoltà sono state affrontate nei vettori adenovirali di seconda generazione, che richiedono la presenza di un virus helper, ossia capace di fornire funzioni virali indispensabili (replicazione virale, assemblaggio e reinfezione). Il rischio di risposta immunitaria verso tali vettori è trascurabile e questo è importante data la necessità di una somministrazione frequente. Essi offrono anche il vantaggio di accettare inserti di dimensioni ancora maggiori (fino a 35 Kbp), ma l’efficienza di trasduzione è molto più bassa.

Vettori adenovirus associati. − I virus adenoassociati sono un gruppo di piccoli virus a DNA a singolo filamento, normalmente incapaci di dare luogo a infezione produttiva senza l’aiuto di un virus helper (come un adenovirus o un Herpes simplex), ma capaci di integrarsi autonomamente nel genoma rimanendo allo stato latente. Una sovrainfezione successiva con il virus helper attiva il DNA virale integrato con produzione di progenie di virioni ricombinanti. I vettori adenoassociati possono ospitare inserti fino a 4,5 Kbp, ma hanno il vantaggio di determinare un’espressione stabile a lungo poiché si integrano, e di essere estremamente sicuri grazie alla delezione di più del 96% del loro genoma.

Vettori Herpes simplex. − I vettori basati sul virus Herpes simplex hanno uno spiccato tropismo per il sistema nervoso centrale e possono causare infezioni che restano latenti nei neuroni per tutta la vita dell’ospite. Accettano inserti di dimensioni cospicue (>20 Kbp) ma non si integrano e quindi l’espressione a lungo termine dei transgeni non è possibile. Probabilmente, nel futuro, la loro principale utilità sarà nella possibilità di trasferire geni nei neuroni, normalmente refrattari a questo tipo di terapia con vettori virali ricombinanti, per il trattamento di malattie neurologiche, come il morbo di Parkinson, oppure nel trattamento di determinate neoplasie del sistema nervoso centrale.

Vettori lentivirus. − La famiglia dei lentivirus, che comprende HIV (virus della immunodeficienza umana), è formata da retrovirus complessi che infettano macrofagi e linfociti. A differenza dei retrovirus oncogeni, i lentivirus sono capaci di trasdurre cellule quiescenti. Nel caso di HIV, per es., il complesso di preintegrazione contiene segnali di localizzazione nucleari che ne permettono il trasporto attivo nel nucleo durante l’interfase. Grazie alla loro capacità di infettare cellule quiescenti e di integrarsi nei cromosomi dell’ospite, essi sono al momento al centro della ricerca per lo sviluppo di nuovi vettori virali.

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