Viaggiare: il treno

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giorgio Strano
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Se con l’invenzione della macchina a vapore inizia la rivoluzione industriale, con la locomotiva a vapore, e in generale con la ferrovia, il macchinismo si diffonde dall’ambiente di fabbrica e invade la società civile. Del resto, la ferrovia non è soltanto il treno, una locomotiva seguita da una serie di vagoni, ma è soprattutto un sistema e un’infrastruttura territoriale, destinata a mutare le geografie.

Lo sviluppo ferroviario

Nel 1838 Cesare Cantù scrive: “Anche ai trasporti per terra fu applicato il vapore, giacché ultimamente si inventarono le carrozze a vapore, che corrono sopra le carreggie di ferro tanto veloci, da fare sino a 24 miglia all’ora; e ogni macchina trascina dietro a sé un traino di vetture e di carri […] vedi quali miracoli produce l’industria! […] Da Venezia a Trieste occupavano fino a tre giorni: adesso otto o nove ore. Ad arrivare da Milano a Venezia pareva d’andare al finimondo: fra poco, sulla strada di ferro vi si giungerà in 10 o 12 ore”.

Nel 1803 Richard Trevithick costruisce la prima locomotiva con trasmissione alle ruote motrici tramite ingranaggi; la macchina è dotata di un solo stantuffo e di un gigantesco volano per regolarizzare il moto. Nel 1813 George Stephenson progetta e costruisce una locomotiva con due assi di ruote motrici, accoppiate tra loro tramite bielle: la macchina è più leggera delle precedenti, raggiunge i soli 6 km/h, ma è affidabile nel suo funzionamento e può trascinare sino a 30 tonnellate.

Il 27 settembre 1825 viene ufficialmente inaugurata la strada ferrata Stockton-Darlington, nella contea di Durham. La compagnia che gestisce l’impresa possiede solo una locomotiva – la Locomotion N. 1 – in grado di viaggiare a una velocità media di 10 km/h. Ma le ferrovie non costituiscono una novità assoluta: sin dai primissimi anni del secolo, nel bacino carbonifero di Newcastle, strade ferrate lunghe fino a 10 miglia fuoriescono dalle gallerie delle miniere e trasportano il carbone sino alle chiatte sul fiume Tyne. Introdotte da Newcomen alle soglie del XVIII secolo per drenare acqua dal sottosuolo e perfezionate in seguito da James Watt sino a produrre energia meccanica su un albero rotante, le macchine a vapore sono diventate l’oggetto del nuovo mercato aperto dalla ditta Boulton & Watt. A partire dal 1815, quando il carbone diventa più a buon mercato del foraggio per i cavalli che trasportano i vagoncini, le locomotive a vapore si diffondono con velocità vertiginosa per tutta l’Inghilterra, ma esse servono soltanto a trasportare merci e soprattutto minerali.

Dopo un primo decennio di sviluppo disordinato, ben presto si prende coscienza della necessità di una regolamentazione. Così, nel 1839 una commissione del parlamento inglese stabilisce che su una stessa linea ferrata non possono circolare convogli di differenti società tra di loro concorrenti e l’anno seguente la commissione decide che praticamente le società proprietarie delle locomotive hanno il monopolio dei trasporti in ferrovia. Nel 1842 si raggiunge per la prima volta un accordo di regolamentazione generale del traffico ferroviario su tutto il territorio dell’isola.

Ben presto alla ferrovia si affianca il telegrafo e l’infrastruttura di trasporto e telecomunicazione assume il carattere di un complesso sistema territoriale.

Le linee ferroviarie in Italia e in Francia

La prima linea ferrata italiana viene progettata dall’ingegnere francese Armand Bayard de La Vingtrie sul percorso Napoli-Portici e viene inaugurata il 3 ottobre 1839 dal re Ferdinando II. Il successo è immediato, ma l’iniziativa rimane “semplice passatempo e curiosità”: risulta che il 31 dicembre dello stesso anno il nuovo mezzo di locomozione è già stato sperimentato da ben 131.116 passeggeri.

Nel 1841 Carlo Cattaneo scrive: “O le strade non si devono fare in nessuna parte del mondo; e i popoli e i governi che le fanno, i Belgi, gl’Inglesi, gli Americani, i Francesi, i Tedeschi, i Russi, sono tutti deliranti; o in nessuna parte del mondo le strade ferrate possono come tra noi trovare un campo più favorevole, un terreno più popolato, più ubertoso, più ameno, più opportuno ad accogliere questo poderoso strumento di pubblica e privata prosperità”. Nel 1845, presso la Tipografia Elvetica, Carlo Ilarione Petitti pubblica le Strade ferrate italiane, un’opera di 650 pagine che – con una ricchissima documentazione – getta le basi per lo sviluppo delle ferrovie in Italia. L’anno successivo, sulla “Revue nouvelle” di Parigi, Camillo Benso conte di Cavour pubblica un Étude des chemins de fer en Italie, in cui si legge chiaramente il significato politico del sistema ferroviario in vista dell’Unità: “Allo stato attuale delle cose è possibile determinare, se non con perfetta esattezza, almeno con approssimazione, quale deve essere il tracciato della grande rete ferroviaria destinata, fra qualche anno, a collegare tutti i punti dell’Italia e dal piede delle Alpi fino al golfo di Taranto”.

La ferrovia napoletana, terminata nel dicembre 1843, si estende per 33 km sulla linea Caserta-Cancello-Napoli; presto si inaugurano anche la Portici-Castellammare di Stabia (20 km) e nel maggio 1844 la Capua-Caserta (11 km). L’Imperial Regia Privilegiata strada ferrata da Milano a Monza entra in funzione il 18 agosto 1840, mentre nel 1842 si inaugura la Padova-Mestre (28 km), che arriverà sino a Venezia, attraverso il lungo ponte lagunare solo quattro anni più tardi, e nel 1844 viene inaugurata la ferrovia toscana da Livorno a Pisa (18 km). Presto il Granducato di Toscana sarà dotato di tre linee: la Strada ferrata Leopolda (Firenze-Empoli-Livorno), la Strada centrale Toscana (Empoli-Siena) e la Strada ferrata Maria Antonia (Firenze-Pistoia, Lucca-Pisa). Il 18 gennaio 1846 entra in funzione la Padova-Vicenza (30 km) e soltanto nel 1856, anno in cui si inaugura la Roma-Frascati, le ferrovie faranno il loro ingresso nello Stato pontificio.

Il Piemonte arriva penultimo con la linea Torino-Moncalieri-Trofarello (13 km), inaugurata il 24 settembre 1848, ma in fretta recupera il tempo perso e nel 1851 si lavora febbrilmente sulla linea Torino-Genova, il cui progetto risale al 1846. L’ingegner Sebastiano Grandis studia di impiegare la propulsione idropneumatica per superare le elevate pendenze dei Giovi, ma la soluzione definitiva per superare le montagne sarà quella di attraversarle con le gallerie.

La linea completa (165 km, di cui 7.381 metri in galleria) viene inaugurata il 20 febbraio 1854; nonostante le gallerie, la pendenza della linea richiede l’impiego – nei tratti critici – di ben due locomotive Stephenson che lo Stato sabaudo ha dovuto acquistare. Inoltre, per la manutenzione dei macchinari e l’addestramento del personale tecnico, sin dal 1846 viene costituita la Taylor & Prandi con un prestito di 500 mila lire concesso dal governo all’ingegnere inglese Philip Taylor e all’imprenditore Fortunato Prandi, vissuto a lungo da fuoriuscito in Inghilterra e tornato a Torino al seguito di Charles Babbage in occasione del secondo Congresso degli scienziati italiani (1840).

Ma la Taylor & Prandi, che ha stabilimento a Genova Sampierdarena, non riesce a raggiungere la propria dimensione economica; nel 1852 è costretta a restituire il prestito ricevuto e per interessamento diretto di Cavour – allora ministro della marina, dell’agricoltura e del commercio – viene affidata a imprenditori genovesi. Nel 1853 Giovanni Ansaldo, Carlo Bombini, Raffaele Rubattino e Giacomo F. Penco ricevono il compito di rilevare lo stabilimento di Sampierdarena e costituiscono la Gio. Ansaldo & C. che ha il compito di fornire materiali e apparati a vapore per le locomotive. Nel 1854 viene costruita nelle officine di Verona la prima locomotiva italiana, mentre la prima motrice a vapore delle officine Ansaldo di Genova, la Sampierdarena (417 cavalli con velocità massima di 65 km/h), esce dalla fabbrica l’anno seguente.

Dal 1823 sino a tutto il 1850, in Francia non c’è alcuna significativa innovazione in campo ferroviario. I fallimenti di molte compagnie ferroviarie nel triennio 1846-1848 confermano largamente le previsioni pessimiste azzardate da molti imprenditori e anche la situazione di crisi permane negli ultimi due anni del governo di Luigi Filippo d’Orléans.

Nei suoi taccuini di giornalista, Émile Zola racconta che le locomotive nei tardi anni Ottanta “sono più o meno le stesse che nel 1869”, almeno per un viaggiatore ordinario. A parte il freno ad aria compressa, sono ben riconoscibili “il duomo, nel quale il vapore si asciuga e dove si raccoglie per essere introdotto nei cassetti di distribuzione. La cassa della sabbia, più bassa, per aiutare la locomotiva a partire con il tempo umido […]. Sul davanti c’è una porta per la pulizia dei tubi. Tutta la locomotiva (una Pacific 231) è protetta da un rivestimento. Il praticabile tutt’attorno, il passaggio su cui si cammina per andare a dare il grasso, si chiama grembiule. In stato di riposo il vapore, quando la pressione è eccessiva, sfugge dalla valvola […]. Il tender è agganciato, e il piccolo ponte di lamiera li unisce […]. Il tender contiene un recipiente d’acqua, tutt’intorno; e in mezzo è conservato il carbone”.

Nel 1841 il pastore inglese Thomas Cook convince la Midland Countries Railway Company a organizzare treni speciali tra Leicester e Loghborough e fonda così la prima agenzia di viaggi. Il successo di questa nuova attività trova coronamento in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1855.

Alla fine del 1860 il territorio italiano è attraversato da 2.170 km di strade ferrate; nel 1861 vengono costruiti 369 km di binari, 336 nel 1862, 616 nel 1863 e sino ai 651 nel 1866. Nel maggio del 1865 viene emanata la legge n. 2.279 “pel riordinamento e ampliazione delle strade ferrate del regno, con la cessione di quelle governative”.

Nascono la Società delle Strade ferrate romane, la Società delle Strade ferrate lombarde e dell’Italia centrale, e la Società italiana delle Ferrovie meridionali.

Negli anni Sessanta, lungo la strada napoleonica che collegava Susa a Lanslebourg attraverso il colle del Moncenisio, l’ingegnere inglese John Barraclaugh Fell incomincia a realizzare una ferrovia a scartamento ridotto, dotata di una terza rotaia abbracciata da una coppia di ruote ad asse verticale, al fine di migliorare l’aderenza della motrice nei tratti di maggiore pendenza. La linea viene inaugurata il 15 giugno del 1868, ma rimane in esercizio solo fino al 1871, quando l’apertura del traforo del Frejus (17 settembre 1871) ne rende obsoleto il servizio, peraltro mai completamente efficiente. Le fortissime pendenze – pari all’83 percento – e l’elevata quota – superiore a 2000 metri – la resero famosa soltanto per i primati ottenuti. Il traforo del Frejus, legato ai nomi dei progettisti e ingegneri Germano Sommeiller, Severino Grattoni e Sebastiano Grandis, è realizzabile grazie all’impiego delle perforatrici pneumatiche appositamente progettate per lo scopo che permettono di completare l’opera in soli nove anni. Nel 1872 si costituisce la Compagnia del San Gottardo, per la costruzione di un altro importante tunnel ferroviario che si completa nel 1880, consentendo l’apertura all’esercizio della linea nel gennaio del 1882.

L’evoluzione delle ferrovie

Le ferrovie ben presto si riconoscono come sistema che supera le frontiere e si estende sull’intero continente. Verso la metà degli anni Quaranta, in Gran Bretagna sono in funzione circa 4000 km di binari. Nel 1861, in Piemonte la rete ferroviaria si estende per 819 km, mentre nel Lombardo-Veneto le strade ferrate hanno un’estensione di 522 km. Il 45 percento di tutta la rete ferroviaria italiana si estende sul territorio del solo Piemonte. Nel 1850 le ferrovie europee si estendono per 33 mila km, quelle americane per 32 mila km e, trent’anni più tardi, diventeranno rispettivamente di 200 mila e 250 mila km.

Il primo motore elettrico per trazione ferroviaria, a corrente continua, viene costruito da Werner von Siemens nel 1878; alimentato da una terza rotaia centrale ai binari, non offre ancora garanzie per venire impiegato sulle linee commerciali e fa la sua prima comparsa nell’Esposizione di Berlino del marzo 1879: il treno assomiglia a un grosso giocattolo e può trasportare solo 18 persone. È nel 1882, sempre a Berlino, che entra in funzione il primo convoglio elettrico, mentre la metropolitana di Londra entra in servizio nel 1863, ma con motrici a vapore – nel primo anno di esercizio trasporta 10 milioni di passeggeri – e la metropolitana di Parigi dovrà attendere il 1898.

La metropolitana londinese viene elettrificata nel 1890, ma è a Parigi – tra le stazioni d’Orsay e d’Austerlitz – che nel 1895 avviene la prima elettrificazione di una linea ferroviaria europea.

Nel 1899 si effettuano i primi esperimenti di trazione elettrica in Italia e nello stesso anno si attiva il servizio di navi traghetto ferroviario sullo stretto di Messina.

La ferrovia e il viaggio in treno, come motivo romantico e come metafora della vita, entrano nell’immaginario collettivo, contaminando arte e letteratura. Anche in Italia il treno è protagonista di molti romanzi: Passa il treno di Viganò, Effetto di luna di Balestrieri, Paesaggio di Barbieri, Partenza mattutina di Selvatico, Il fischio del vapore di Tommasi. Di fronte ai nuovi mostri di acciaio non possono fare a meno di commuoversi o di esaltarsi né Ippolito Nievo, né Giacomo Zanella e Giacomo Marradi o ancora Augusto de Dominicis. Per Giosuè Carducci il treno è “corrusco e fumido/ come i vulcani/ i monti supera/ divora i piani;/ sorvola i baratri/ poi si nasconde,/ per antri incogniti,/ per vie profonde”.

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