Vicino Oriente antico. Conservazione e trasmissione

Storia della Scienza (2001)

Vicino Oriente antico. Conservazione e trasmissione

Dominique Charpin
Simo Parpola
Wilfred G. Lambert

Conservazione e trasmissione

Archiviazione e amministrazione

di Dominique Charpin

L'idea della conservazione e della trasmissione del sapere è in genere collegata alla tradizione orale e, nel caso di testi scritti, alle biblioteche, con le scuole che appaiono il luogo privilegiato di questa trasmissione; anche gli archivi, tuttavia, possono essere veicolo di informazioni, sebbene di tipo differente. La nozione di archivio non è sempre distinta correttamente da quella di biblioteca: mentre quest'ultima è costituita da raccolte di opere classificate, il primo rappresenta l'accumulo di tracce scritte, lasciate dalle attività di un uomo o di un gruppo.

In rapporto al Vicino Oriente antico, gli archivi si possono suddividere in due categorie principali: gli archivi privati, da un lato, e quelli di 'grandi organizzazioni' (palazzi e templi), dall'altro lato, che svolgono ruoli assai diversi rispetto alla trasmissione e alla conservazione dell'informazione.

La trasmissione dell'informazione attraverso i documenti d'archivio dipende, in primo luogo, dalla durata del supporto su cui i documenti sono stati annotati. In questa prospettiva, il mondo cuneiforme è straordinariamente privilegiato: il supporto della scrittura, infatti, è costituito quasi esclusivamente dalla tavoletta d'argilla, che presenta il vantaggio di una buona resistenza sia all'umidità che al fuoco, due nemici tradizionali della scrittura nella maggior parte delle civiltà. I Mesopotamici, però, non scelsero l'argilla con un intento di longevità: le iscrizioni commemorative, destinate a durare nel tempo, sono spesso incise nella pietra o nel metallo. La ragione per cui, a partire dal IV millennio, all'argilla è stato affidato il compito di serbare la memoria delle transazioni è la facilità con cui era possibile procurarsi questa materia prima nella piana alluvionale del Tigri e dell'Eufrate, scelta destinata a perdurare fino al I sec. della nostra era: la scrittura cuneiforme è divenuta inscindibile dal supporto che le ha conferito la sua stessa forma. In senso tecnico, le tavolette erano in grado di attraversare i secoli e perfino i millenni, senza richiedere condizioni eccezionali per assicurarne la conservazione, al contrario dei papiri o delle pergamene, che sono sopravvissuti soltanto in ambienti particolarmente secchi.

Gli archivi cosiddetti 'privati', che sarebbe più corretto designare come archivi 'familiari', coprono in genere uno o due secoli, fino a sei generazioni; gli esempi più significativi sono quelli della casa di Ur-Utu a Sippar (XVIII-XVII sec.) e gli archivi degli Egibi (VII-V sec.). In questi archivi si conservavano soprattutto titoli di proprietà, trasmessi di generazione in generazione insieme ai beni cui facevano riferimento, in particolare le terre. I testi relativi all'ultima generazione sono spesso più copiosi e diversificati, perché al momento della distruzione finale della casa che ospitava questi archivi, non era stata ancora effettuata una cernita tra documenti che contenevano informazioni superate e testi che contenevano informazioni ancora utili. A seconda delle epoche, le tavolette erano conservate in ceste oppure in giare.

Gli archivi privati e quelli dei palazzi mostrano una notevole difformità; i secondi, infatti, coprono sempre un lasso di tempo molto limitato. Per esempio, gli archivi riportati in luce nel palazzo di Mari documentano il regno degli ultimi due sovrani, Yasmakh-Addu e Zimri-Lim, come dire i 25 anni precedenti la distruzione della città, avvenuta intorno al 1760. Gli studi più recenti sugli archivi di Ebla (XXIV sec.) tendono a ridurre la durata di questi ultimi al massimo a una trentina d'anni. Gli archivi del palazzo di Ugarit, del XIII sec., sembrano coprire un lasso di tempo poco più lungo, ma sembrerebbe che una parte di essi fosse già stata scartata.

Archivi viventi e archivi morti

Si parla di 'archivi viventi' quando l'accumulo dei testi è proseguito fino all'ultimo; così, gli archivi del re Zimri-Lim, nel suo palazzo di Mari, sono stati aggiornati fino all'ingresso delle truppe babilonesi nell'edificio, nel 1760. Tuttavia, molto spesso, i documenti ritrovati dall'archeologo costituiscono archivi morti: si tratta infatti di testi che già gli stessi antichi avevano scartato. Nel caso degli archivi del tempio di Ninurta a Nippur, per esempio, centinaia di tavolette risalenti al XIX e XVIII sec. sono state rinvenute durante gli scavi di un edificio costruito in epoca partica sulle rovine del tempio di Ishtar. Evidentemente gli antichi costruttori, mentre scavavano in cerca d'argilla con lo scopo di farne mattoni, si erano imbattuti in un lotto di archivi databile a oltre un millennio addietro e avevano giudicato che le tavolette d'argilla sarebbero state un eccellente materiale per consolidare la piattaforma su cui intendevano erigere una fortezza. Esempi analoghi abbondano e spesso succede che uno stesso edificio contenga sia archivi viventi sia archivi morti.

Nel palazzo di Mari sono state scoperte svariate decine di documenti contabili, sprofondati nell'argilla, all'interno di una mensola che serviva da sostegno a grandi giare; si trattava, in particolare, di piccole tavolette in cui erano registrate le spese per l'olio. Le tavolette che documentano i regni di Yakhdun-Lim e Sumu-Yamam, predecessori di Yasmakh-Addu, sono state ritrovate sotto il pavimento di alcune stanze; vi erano state gettate quando era stato realizzato un nuovo pavimento di terra battuta allorché Yasmakh-Addu si era insediato a palazzo. I testi che avevano un valore unicamente temporaneo, come i promemoria o i piccoli testi di contabilità, non erano conservati, ma se ne eseguivano cernite regolari. Talvolta i documenti superati, invece di essere gettati via, erano riciclati: era sufficiente inumidire le tavolette per renderle nuovamente malleabili, consentendo in tal modo di recuperare l'argilla per fabbricare nuove tavolette; questa pratica è attestata per le scuole, ma non era confinata soltanto a questo ambito. In tal caso si tratta di archivi che, per così dire, si consumano da soli: allora i testi conservati corrispondono esclusivamente alla fase che precede immediatamente il livello archeologico in cui sono stati rinvenuti.

Gli archivi dei palazzi

In Mesopotamia non sono mai esistiti veri archivi 'pubblici' o anche archivi 'di Stato'; nel palazzo di Ebla, del III millennio, come pure in quello di Mari, del II, o di Ninive, del I, sono stati trovati archivi reali.

Il sovrano conservava, in particolare, la corrispondenza ricevuta sia dai suoi pari sia dai funzionari in carica nelle province o in missione all'estero. Questa pratica appare tanto più significativa in quanto nel caso inverso, di regola, non era conservata copia delle lettere inviate. Gli archivi dunque si limitano a trasmettere la corrispondenza passiva degli individui, quale che fosse il loro statuto. Le lettere, di norma, non erano datate né era precisato il luogo da cui erano scritte: il messaggero latore della missiva poteva dare oralmente le indicazioni relative al momento in cui era stata redatta e alla residenza del mittente.

Quando, eccezionalmente, compare una data, indica soltanto il giorno e il mese della stesura, mai l'anno; è evidente come gli antichi Mesopotamici fossero incuranti dell'archiviazione della loro corrispondenza. Tuttavia, i Babilonesi che in seguito alla conquista di Mari passarono al vaglio gli archivi della cancelleria del palazzo della città, furono in grado di distinguere le lettere risalenti all'epoca di Shamshi-Adad da quelle di Zimri-Lim, un'operazione impossibile senza una classificazione preliminare. Quest'intento di conservazione appare tanto più sorprendente in quanto tutte le citazioni di lettere precedenti, che peraltro non risalgono a periodi così lontani nel tempo, sono quasi sempre fatte a memoria e non alla lettera. La corrispondenza dei sovrani della III dinastia di Ur (XXI sec.) rappresenta un caso particolare: s'ignora che cosa ne sia stato degli originali e siamo in possesso soltanto di copie 'modernizzate', eseguite da apprendisti scribi dell'inizio del II millennio. Alcune lettere erano state selezionate da maestri di scuola, che le facevano ricopiare ai loro alunni per esercizio; questa scelta era palesemente guidata da un obiettivo politico, in quanto gli scribi al servizio dei re di Isin dovevano dimostrare ai loro apprendisti la legittimità della secessione di Ishbi-Erra, primo re di Isin, dal re di Ur.

Il sovrano conservava anche i trattati stipulati con sovrani stranieri: i palazzi di Khattusha e di Ugarit ne hanno fornito numerosi esemplari. Gli archivi dei palazzi custodivano anche la contabilità interna: liste di razioni d'olio o di indumenti distribuiti alle donne dell'harem o ai visitatori, spese per la tavola del re e i suoi banchetti, e così via. Gli archivi ritrovati a Ebla o a Mari hanno salvaguardato migliaia di documenti amministrativi di questo tipo. I testi relativi alla totalità del regno sono rari: le grandi tavolette di censimento, compilate nelle province e raccolte nella capitale, rappresentano un'eccezione in tal senso.

L'accesso agli archivi

Il problema posto dagli archivi, in ogni epoca, consiste nel modo di accedere all'informazione conservata: come ritrovare ciò che si cerca? Bisogna ammettere che i Mesopotamici adottavano tecniche ancora piuttosto rudimentali. A Ebla, per esempio, le tavolette erano disposte su ripiani di legno che è stato possibile ricostruire. Il più delle volte erano conservate in cesti o cassoni, sigillati e provvisti di etichetta che ne indicava il contenuto. Uno dei casi più interessanti è quello dell'archiviazione dei documenti relativi a processi legali (in sumerico di-til-la) nella città di Girsu nel corso del XXI secolo. Sono state ritrovate, infatti, etichette di cesti per tavolette che sembrano segnalare come i processi fossero classificati per anno e per giudice; questi testi servivano palesemente a conservare la memoria della giurisprudenza e, in caso di necessità, si doveva poterli leggere. Purtroppo non resta alcuna attestazione di questo genere di consultazione. È noto inoltre che all'inizio del II millennio i "giudici del tempio" di Sippar, incaricati di vigilare sugli interessi dei religiosi consacrati al dio Shamash, conservavano nella loro casa testi con valore giurisprudenziale, come un rescritto del re Samsu-iluna, pubblicato di recente.

Si pone quindi il problema di appurare se i testi amministrativi, una volta archiviati, fossero effettivamente consultati. Uno studio sui testi del "pasto del re" di Mari, che elencavano vivande per la corte e di cui esistono riepiloghi generali, tende a dimostrare che i redattori preposti ai riepiloghi non sempre si curavano di consultare gli appunti compilati quotidianamente e spesso preferivano procedere per stime forfettarie. Tuttavia, esistono anche esempi opposti: Zimri-Lim, per esempio, dà disposizioni per lettera affinché alcuni cesti con tavolette di censimento siano tirati fuori dal luogo di archiviazione e gli siano inviati riepiloghi precisi allo scopo di sapere su quali forze potrà contare per la sua prossima campagna militare. Esistono liste con il conteggio, per località, del numero di uomini arruolabili (informazione ricavata dalle tavolette di censimento), del numero di uomini che si sono effettivamente presentati alla convocazione del sovrano e infine del saldo negativo. Il documento scritto è quindi uno strumento di conoscenza al servizio diretto del potere. Anche il re Hammurabi scrive a Shamash-hazir, che amministra il dominio reale di Larsa, per chiedergli di raggiungerlo a Sippar con tutte le tavolette relative ai campi assegnati a funzionari nei tre anni precedenti. Un caso ancora più sorprendente è costituito dalle rimostranze di un funzionario, il quale reclama la restituzione del campo posseduto dal padre e cita, come prova, le "vecchie tavolette del tempio di Nisaba" da lui consultate. Il re domanda a Shamash-hazir di ascoltare la testimonianza degli anziani del luogo, in grado di confermare queste richieste suffragate da documenti scritti.

I periodi di rivolgimenti politici comportano, per i conquistatori, la necessità di conoscere le ricchezze acquisite, ed è questa necessità che porta a redigere inventari come quello dei tesori del palazzo di Mari nel momento in cui se ne impossessò Shamshi-Adad. La memoria degli individui talvolta poteva però colmare le lacune dell'informazione scritta. Così, quando Shamshi-Adad dovette equipaggiare le sue armate, avendo bisogno con urgenza di ingenti quantità di bronzo volle prelevare gli oggetti in metallo custoditi nella tomba di Yakhdun-Lim, che era stato re di Mari; s'interrogarono allora i responsabili dell'epoca, che furono in grado di riferire il peso di questi oggetti, il cui modesto ammontare suscitò il disappunto del sovrano.

Per concludere, è opportuno citare alcuni casi limite dove la differenza tra archivi di palazzo e archivi privati non è netta come si potrebbe ritenere. Ugarit rappresenta senz'altro l'esempio migliore di questo fenomeno: nelle case di certi alti dignitari, come Urtennu, infatti, è stata rinvenuta corrispondenza reale.

Gli archivi privati e il diritto

Nel diritto mesopotamico un contratto non aveva bisogno di essere messo per iscritto perché fosse valido: era sufficiente che le due parti raggiungessero un accordo in presenza di testimoni. La prova scritta, comunque, si diffuse in Mesopotamia all'inizio del II millennio; gli archivi familiari, che in quell'epoca si moltiplicarono, servivano in primo luogo alla trasmissione dei titoli di proprietà da una generazione all'altra. In effetti, bisognava essere in grado di provare l'origine dei beni che si possedevano, così, per ogni trasferimento di proprietà (vendita, ma anche eredità, adozione, ecc.), i titoli di proprietà precedenti erano scrupolosamente trasmessi al nuovo proprietario. Questa procedura talvolta risultava problematica, perché il venditore poteva non essere in condizione di produrre i documenti richiesti. Si trattava, probabilmente, di archivi mal tenuti piuttosto che di disonestà: a ogni modo, in questi casi veniva redatto un documento in cui si specificava che il titolo non era stato rimesso all'acquirente e che pertanto ormai non aveva più valore.

Si era compreso, evidentemente, come la memoria dei testimoni di un contratto fosse limitata, essendo connessa innanzitutto alla durata della vita. Un testo di Nuzi (XIV sec.) fornisce la lista dei "testimoni [ancora] viventi in relazione al campo di Kuzuya". La memoria, tuttavia, non poteva trattenere tutte le informazioni, come dimostra un caso di ricostruzione di un titolo di proprietà perduto: nella descrizione catastale della parcella di terreno i nomi dei vicini sono rimasti in bianco, a riprova che dopo qualche tempo erano stati dimenticati.

In Mesopotamia, quindi, prove testimoniali e prove scritte non erano in contrasto: lo si può constatare nel caso di due fratelli originari di Isin, i quali dopo essersi associati avevano dovuto lasciare la loro città e in seguito ebbero una vertenza. I giudici della città in cui si trovavano in esilio chiesero di esaminare la tavoletta che documentava l'associazione e di ascoltare i loro testimoni. I due non furono però in grado di produrre né l'una né gli altri: archivi e testimoni erano rimasti nella città d'origine.

Le scuole scribali e le biblioteche

di Simo Parpola

Le origini del sistema scolastico mesopotamico risalgono all'epoca dell'invenzione della scrittura (intorno al 3200), se non prima. Fra le più antiche tavolette pittografiche scoperte a Uruk si trovano diversi esercizi di scrittura redatti su un tipo di tavolette a forma di lente, formato divenuto caratteristico degli esercizi scolastici nei periodi successivi. Anche il modello tipico di trasmissione della cultura mesopotamica, di padre in figlio, è già presente nel più antico componimento didascalico mesopotamico giunto fino a noi, gli Insegnamenti di Shuruppak, attestato a partire dal XXVI secolo. Sebbene le testimonianze scritte sull'organizzazione dell'istruzione nel III millennio siano piuttosto scarse, se ne può comunque desumere che il sistema scolastico maturato nel II millennio fosse già in uso, nei suoi aspetti essenziali, dalla seconda metà del III millennio.

L'istruzione di base

A partire dal 2100 ca., al più tardi, allievi provenienti da vari strati della popolazione potevano ricevere un'istruzione di base presso le scuole scribali (chiamate edubba in sumerico e bīt ṭuppī in accadico).

Molti componimenti letterari sumerici descrivono la edubba come istituzione didattica e non lasciano dubbi sul fatto che si trattasse di una scuola pubblica nella piena accezione del termine. Un saggio intitolato Giorni di scuola (Kramer 1949) descrive la routine quotidiana di uno scolaro, che al mattino va a scuola portando con sé il pranzo, poi ripete la lezione, ha un intervallo per mangiare, nel pomeriggio prepara e scrive le tavolette imitando un modello e infine, concluso l'orario scolastico, torna a casa portando con sé gli esercizi per ripetere al padre le tavolette. Dallo stesso testo apprendiamo che a scuola non si lesinava l'uso della verga per ottenere le buone maniere e il silenzio. Altri saggi simili a questo riportano gli obiettivi del corso di studi attuati a scuola, il numero mensile di giorni scolastici (24), le punizioni per il comportamento scorretto e così via.

Sicuramente gli scopi di questi componimenti, che facevano parte dei programmi scolastici, erano di educare e di fornire delle norme, ossia di imprimere negli studenti un atteggiamento corretto nei riguardi della scuola e di assicurarsi che questo atteggiamento divenisse la regola in ogni circostanza. Veniamo a sapere che l'istruzione degli scribi era considerata "una delle attività più difficili" (Sjöberg 1973, riga 109), la quale però era ampiamente ricompensata: coloro che la completano "riescono nella vita" (Kramer 1963a, p. 174) e "si levano alti verso il cielo" (Kramer 1963b, p. 248); a scuola "persino un idiota può diventare un uomo saggio" (Sjöberg 1973, riga 60). La qualità richiesta era così alta da costringere gli studenti a lavorare con un impegno che sarebbe encomiabile anche ai giorni nostri: "la diligenza è il reale fondamento di un risultato positivo, la perdita di tempo è vietata" (Kramer 1963b, p. 246). Uno studente doveva essere ambizioso, competere con i compagni di scuola e sforzarsi di diventare "il migliore studioso della città" (Sjöberg 1973, righe 48 e 178).

Gli accenni alle materie insegnate a scuola dimostrano che era presente un orientamento pratico, in base al quale si aspirava soprattutto a formare degli scribi estremamente competenti per gli impieghi sia pubblici sia privati. Tra le materie insegnate occupavano, infatti, un posto di rilievo gli studi della grammatica e del linguaggio, la fraseologia legale e la stesura delle lettere, la matematica (che comprendeva l'aritmetica, l'algebra e la geometria, inclusi il calcolo delle aree e dei volumi, la divisione delle proprietà e il rilievo topografico del terreno), la ragioneria, oltre alle competenze specifiche richieste agli scribi (la calligrafia e il dettato).

È tuttavia necessario sottolineare che anche le materie prettamente culturali, quali la musica (inclusa la teoria musicale) e la letteratura, costituivano una componente importante dell'istruzione di base. Le tavolette dei cataloghi che elencano i componimenti studiati a scuola, così come le tavolette delle opere effettivamente ritrovate in edifici sia scolastici sia privati, dimostrano che il programma di studi delle edubba copriva potenzialmente l'intera letteratura sumerica. Di fatto, la nostra conoscenza della letteratura sumerica deriva in larga misura dai testi che, ricopiati nelle scuole scribali, diventavano poi di proprietà degli studenti. La scuola aveva perciò un ruolo chiave non soltanto nella trasmissione della cultura ma anche nel preservare e diffondere l'eredità culturale mesopotamica. Quest'ultimo aspetto si riflette proprio nella parola edubba, che letteralmente significa 'casa (che distribuisce) tavolette'.

La scuola iniziava a cinque o sei anni e terminava in età adulta. Il metodo di insegnamento consisteva nell'insegnare a ricopiare, a leggere, a memorizzare e a comporre testi, oltre che a risolvere problemi. Lo studente iniziava con semplici esercizi di scrittura di segni, del tipo tu-ta-ti, per poi giungere gradualmente, attraverso esercizi grammaticali e lessicali, a testi sempre più complicati e specializzati. Anche se i programmi di studio potevano variare a livello locale, sembra tuttavia che fossero abbastanza uniformi, anche al di fuori della Mesopotamia vera e propria. I problemi e gli enigmi avevano un ruolo importante specialmente nello studio della matematica. Il lavoro degli studenti era controllato dagli alunni più anziani (i "grandi fratelli") e poi esaminato dai supervisori. A capo della scuola era posto un ummia ("studioso"), il quale aveva anche il compito di riscuotere le rette per l'istruzione.

In generale, si ritiene che i saggi usati nelle edubba fossero composti presso la grande scuola scribale di Nippur, definita "eccezionale" dai testi sumerici. Questa scuola era sicuramente collegata al tempio di Enlil e probabilmente era sovvenzionata dallo Stato. Sarebbe tuttavia un errore dedurre da ciò che le scuole fossero sempre collegate ai templi: in alcune città della Mesopotamia (Larsa, Mari e Uruk) sono state identificate con assoluta certezza scuole annesse ai palazzi, e nella città di Ur è stata rinvenuta almeno una scuola collocata in un'abitazione privata. Questa casa, di proprietà di un certo Igmil-Sin, era stata appositamente modificata per essere adattata all'uso scolastico e al suo interno sono state trovate quasi 2000 tavolette, centinaia delle quali erano di forma lenticolare, impiegate per gli esercizi.

Poiché le tavolette scolastiche sono state trovate per lo più in abitazioni private e nei quartieri degli scribi, è probabile che la maggior parte delle scuole fosse, di fatto, gestita in modo autonomo da studiosi privati. Nella scuola di Igmil-Sin le classi erano collocate, come nell'Accademia di Platone, nel cortile dell'edificio. È tuttavia necessario sottolineare che in Mesopotamia non sono state rinvenute le prove dell'esistenza di vere e proprie 'aule scolastiche'. Probabilmente, infatti, le stanze rinvenute nel palazzo di Mari, identificate in passato come aule, erano invece magazzini per le provviste alimentari.

Sembra che le scuole private fossero aperte a chiunque fosse in grado di versare la retta richiesta. Una lettera privata paleobabilonese riporta che la retta scolastica per due bambini in un'edubba di campagna consisteva in un chilogrammo di farina e un litro di birra al giorno. Questo spiega perché, durante il II e il I millennio, in Mesopotamia il livello di alfabetizzazione fosse relativamente alto, tanto da includere diversi ceti della società, dai membri della famiglia reale fino agli schiavi, comprese eccezionalmente le donne.

Nelle edubba del II millennio la prima lingua scolastica era il sumerico e gli studenti cui capitava di usare accidentalmente l'accadico erano puniti con una verga. Ci sono tutte le ragioni per ritenere che questa situazione si sia mantenuta fino al I millennio a.C. e non vi è alcun motivo per supporre che a quel punto il sistema scolastico in quanto tale abbia subito un profondo cambiamento. Infatti, quando nei programmi scolastici del I millennio scompaiono i testi che contenevano le norme delle edubba, questi sono sostituiti da componimenti bilingui, in sumerico e in accadico, che perpetuano le stesse tradizioni e gli stessi valori, arricchiti dallo studio della paleografia e delle iscrizioni antiche.

Diversi problemi ed enigmi geometrici sono sopravvissuti grazie a traduzioni letterali (passando per Erone di Alessandria) nella tradizione matematica islamica e occidentale, evidenziando così la continuità e la durata del sistema scolastico mesopotamico nel periodo ellenistico. Per quanto riguarda l'istruzione, il graduale passaggio dai caratteri cuneiformi alla scrittura alfabetica è testimoniato da una piccola raccolta di tavolette scolastiche scritte in caratteri cuneiformi e trascritte in caratteri greci, composte dal I sec. a.C. al I sec. d.C.

L'istruzione superiore

Mentre l'istruzione impartita nelle edubba era sostanzialmente aperta a chiunque potesse permetterselo, l'accesso all'istruzione superiore era limitato. Le discipline che costituivano il corpo della cultura scientifica mesopotamica non erano insegnate a scuola, ma erano monopolio di cinque categorie di studiosi, i cui rappresentanti più eminenti, a corte, fungevano da consiglieri e guardiani spirituali del re. Un passaggio tratto dalle iscrizioni di Assurbanipal (668-631) illustra le caratteristiche e l'orientamento dell'istruzione superiore:

ho appreso il mestiere del saggio Adapa e i segreti esoterici dell'intera tradizione degli scribi. Ho osservato i segni del cielo e della Terra e li ho discussi nell'assemblea degli studiosi. Io, insieme a esperti indovini, considero il fegato l'immagine del cielo. Posso risolvere problemi matematici pressoché indecifrabili. Leggo testi sofisticati scritti in un sumerico oscuro e in un accadico a mala pena comprensibile. Ho studiato le iscrizioni su pietra provenienti dal tempo precedente al diluvio. (Streck 1916, p. 252)

L'educazione del re, perfezionata sotto la guida dei più eminenti studiosi, comportava essenzialmente la padronanza di un'erudita dottrina segreta che dava accesso alla corretta interpretazione dei presagi e alla soluzione di complicati enigmi matematici e filologici (cfr. Daniele, 5, 11). Questa 'sapienza' orientata in senso metafisico, che costituiva la base della religione mesopotamica e dell'ideologia monarchica, era strettamente limitata agli iniziati ed era trasmessa agli estranei soltanto attraverso simboli, metafore ed enigmi. I principali guardiani della sapienza erano le famiglie di studiosi che, attraverso i millenni, spesso con forti pretese di perfezione spirituale e fisica, l'hanno tramandata di padre in figlio. Infatti i colophon dei testi eruditi testimoniano la continuità di questo modello di trasmissione della cultura fino alla fine del I millennio a.C., mentre le fonti classiche rendono probabile la sua persistenza almeno fino al II sec. (v. Diodoro Siculo, Bibliotheca, II, 29, 4). Questa continuità deve essere presa in considerazione per una corretta valutazione dell'influenza mesopotamica sulla filosofia e sulla scienza sia ellenistiche sia ebraiche, ricordando, tra le altre cose, il ruolo preminente dei Caldei nella Roma imperiale, l'importanza degli oracoli caldei nel II secolo d.C. e gli stretti contatti tra gli Ebrei palestinesi e quelli mesopotamici.

Altri importanti canali di trasmissione della 'sapienza' erano la corte imperiale e le sue propaggini religiose, come i templi e i culti misterici. La corte faceva affidamento sugli studiosi per diverse ragioni, in particolare per la diffusione dell'ideologia imperiale tra le masse per mezzo di arti figurative altamente simboliche, del cerimoniale di corte, delle festività religiose e della mitologia. Il ruolo degli studiosi quali tutori e consiglieri del re risale all'antichità più remota e poteva accadere che i membri di una stessa famiglia potessero occupare a corte posizioni influenti per molti secoli consecutivi.

Quando i figli di questi studiosi cercavano un impiego a corte, non mancavano di sottolineare di aver appreso il mestiere dal padre. Nel I millennio a.C., nei palazzi e nei templi di tutto l'impero, esistevano numerosi centri di istruzione superiore (le "assemblee di studiosi").

Esistono elenchi di opere che facevano parte dei programmi di studio degli eruditi, dai quali si può desumere la vastità della letteratura che un aspirante studioso doveva padroneggiare, in nessun modo limitata a una singola area di apprendimento. Altre testimonianze dimostrano che il tratto caratteristico del vero sapere era considerato un'ampia competenza interdisciplinare, se non addirittura la piena padronanza dell'intera 'sapienza' mesopotamica.

Sebbene l'accesso all'istruzione superiore fosse essenzialmente ristretto alle categorie degli studiosi, vi erano tuttavia delle eccezioni. Oltre che al re e al principe ereditario, i quali naturalmente dovevano essere a conoscenza delle dottrine del sistema ideologico, è certo che la 'sapienza' mesopotamica era insegnata ai figli dei sovrani stranieri tenuti in ostaggio presso la corte imperiale. In seguito, questi giovani sarebbero tornati nei loro paesi d'origine come governanti vassalli e quindi lo scopo della loro educazione era certamente quello di trasformarli in regolari membri della classe dirigente, zelanti nel promuovere la causa imperiale nei loro paesi.

Appare ovvio che questo sistema di indottrinamento doveva servire alla diffusione dell'ideologia della monarchia mesopotamica, nonché della visione del mondo e delle dottrine religiose e filosofiche dell'impero. È probabile, anche se non certo, che l'intera classe dirigente ricevesse un'educazione simile a corte, mentre sembra che i comuni cittadini che, a loro spese, cercavano di apprendere la 'sapienza' fossero puniti.

Le biblioteche

Nella Mesopotamia meridionale le prime collezioni organizzate di tavolette apparvero subito dopo l'invenzione della scrittura. Tali raccolte, distinte da quelle del confinante Elam, non possono essere considerate delle biblioteche vere e proprie, poiché servivano ad archiviare e poi a eliminare testi che erano conservati per un uso economico e amministrativo. Tuttavia, persino gli archivi più antichi contenevano materiale di cruciale importanza per la storia della scienza, in particolare liste sistematiche di funzionari pubblici, di città, di animali, di piante, ecc., che, in seguito, sarebbero state sviluppate in ampie compilazioni lessicografiche, la vera spina dorsale della scienza mesopotamica.

In tutta la Mesopotamia, fino alla Siria settentrionale, vi sono testimonianze dell'esistenza di archivi di tavolette databili a partire dal XXIV sec., i cui contenuti sono molto vari. I più estesi e meglio documentati sono gli archivi reali di Ebla (2400 ca.), che comprendono 7412 fra tavolette e frammenti e rivelano un sistema di archiviazione altamente sviluppato. L'archivio centrale C in origine conteneva, oltre a circa 1670 documenti (lettere, trattati, ecc.), 378 tavolette scolastiche di forma lenticolare, 28 liste lessicali e 25 testi letterari che comprendevano inni, incantesimi e miti; sembra perciò evidente che esso funzionasse sia come scuola, sia come biblioteca. La tradizione lessicale e letteraria di Ebla è stata chiaramente importata dalla Mesopotamia, sia pure riadattandola alle condizioni locali.

Soltanto dopo l'inizio del II millennio è attestata la presenza di vere e proprie biblioteche, fornite di una quantità significativa di testi sia letterari sia eruditi. Tali biblioteche sono comparse contemporaneamente alle scuole ed è possibile che tutto ciò sia dovuto a una riforma dell'istruzione attuata dal sovrano sumerico Shulgi (2094-2047). Gli scavi archeologici a Nippur e a Ur hanno portato alla scoperta di numerose biblioteche private, databili intorno alla prima metà del II millennio, nei quartieri scribali delle due città.

Da questo periodo in poi il sistema di scrittura cuneiforme si diffuse in tutto il Vicino Oriente (compresi l'Anatolia, la Palestina e l'Egitto) e presso le corti straniere, sulla base dell'esempio mesopotamico, comparvero nuove scuole e biblioteche cuneiformi. Queste ultime svolgevano un ruolo importante nella trasmissione dell'influenza della cultura mesopotamica nel resto del mondo mediterraneo e, in alcuni casi, è possibile ricostruire il processo in base al quale esse sorsero. Sembra che la tradizione cuneiforme hittita debba molto a uno scriba mesopotamico chiamato Anu-shar-ilani (dal nome accadico) vissuto a Khattusha nel XV sec. e i cui discendenti (tutti aventi nomi hittiti) alla fine del XIII sec. erano ancora attivi in qualità di scribi reali. In alcune città siriane, come Ugarit ed Emar, sono stati trovati, accanto a testi scritti in lingua ugaritica e hurrita, centinaia di testi lessicali, eruditi e letterari scritti in sumerico e accadico.

Nella seconda metà del II millennio si verificò in tutto il Vicino Oriente un incremento di biblioteche sempre più grandi: i magazzini delle maggiori biblioteche dei palazzi reali erano riforniti non soltanto attraverso la ricopiatura dei testi, ma anche con le tavolette prese come bottino di guerra. Per esempio, la principale biblioteca di Assur, risalente al regno medioassiro, era stata rifornita in questo modo al tempo del sovrano Tukulti-Ninurta I (1244-1208) e si era poi sviluppata fino a diventare un notevole centro di cultura, che produceva importanti opere letterarie ed erudite, tra le quali il compendio di astronomia MUL.APIN.

La più grande biblioteca cuneiforme conosciuta fu creata a Ninive nel VII sec. a.C.; s'ingrandì grazie a un massiccio lavoro di copiatura, ma anche per mezzo di donazioni private, di confische, di saccheggi e a seguito di una ricerca sistematica di testi rari compiuta per tutto l'impero. La sola raccolta in caratteri cuneiformi comprendeva più di 30.000 esemplari tra tavolette e frammenti fra cui si trovavano migliaia di titoli diversi, molti dei quali consistevano in opere scritte su più tavolette, che in alcuni casi potevano anche superare il centinaio. La maggior parte di questa raccolta era costituita da componimenti eruditi e scientifici. Inoltre, la biblioteca conteneva una vasta collezione di letteratura in caratteri cuneiformi su tavolette ricoperte di cera, oltre a documenti scritti in aramaico su papiri e su pergamene. Non vi è alcun dubbio che una tale concentrazione di sapere nella città di Ninive abbia avuto un impatto profondo sulla vita intellettuale del tempo: è molto probabile, per esempio, che la diffusione delle conoscenze scientifiche mesopotamiche in India abbia avuto inizio proprio in questo periodo.

Il patrimonio di testi raccolti a Ninive era organizzato in almeno tre diverse collezioni di testi letterari: nel palazzo settentrionale dell'acropoli (il cosiddetto Palazzo della successione) dove è stata individuata la biblioteca personale di Assurbanipal, nel palazzo Sud-Ovest di Sennacherib (704-681) dove è stata individuata un'altra grande biblioteca in caratteri cuneiformi e, infine, in un'altra parte di questo stesso palazzo dove si trovava una collezione di papiri e di pergamene. Oltre a queste collezioni, vi era una grande quantità di tavolette di Assurbanipal depositata nel tempio di Nabu a Ninive, mentre molte biblioteche minori erano sparse nei templi e nei palazzi dell'acropoli. Altre biblioteche risalenti a questo stesso periodo sono state ritrovate nei palazzi, nei templi e nelle case private di Assur, di Nimrud e di altre città dell'impero.

Le tavolette destinate alla biblioteca personale di Assurbanipal si distinguono dalle altre trovate a Ninive per la loro squisita rifinitura, per i colophon elaborati e per la qualità elevata dei loro contenuti. Sembra che nel processo di copiatura siano state usate diverse fonti manoscritte e una critica testuale nel chiaro sforzo di arrivare a stabilire un testo standard di alta qualità. È possibile che dietro quest'attività di copiatura fosse presente uno sforzo sistematico di convertire l'intera letteratura cuneiforme in un canone uniforme e ben organizzato.

Le biblioteche di Ninive furono completamente distrutte nel 612 a.C., quando la città cadde nelle mani dei Babilonesi e dei Medi. Questa catastrofe ebbe però uno scarso impatto sulla trasmissione della letteratura mesopotamica. Sembra, infatti, che durante il regno di Assurbanipal fossero state fatte alcune copie delle tavolette delle biblioteche di Ninive per il tempio principale di Babilonia, l'Esagila, e che le biblioteche scoperte a Babilonia e quelle mesopotamiche appartenenti all'ultima parte del I millennio a.C. si differenziassero poco dalle biblioteche di Ninive in quanto al materiale contenuto. Una tavoletta neoassira trovata in una biblioteca di Uruk e databile intorno al 300 a.C. dimostra che gli esemplari originali della biblioteca di Assurbanipal erano ancora in circolazione nella Uruk ellenistica e probabilmente anche in altre città.

Canone e trasmissione letteraria

di Wilfred G. Lambert

La scrittura sorse in Mesopotamia per scopi eminentemente pratici, amministrativi (v. cap. VI). Nella gran massa di testi cuneiformi pervenutici, soltanto pochi sono qualificabili come testi 'letterari'. Le più antiche tavolette con iscrizioni di questo tipo, e sicuramente contenenti documenti letterari, risalgono al periodo protodinastico II (2700 ca.). Questo elemento innovativo in seguito si stabilizzò e fu mantenuto senza interruzione fino al II sec. d.C., sebbene a quell'epoca fossero pochissimi gli scribi ancora in grado di usare tale sistema di scrittura.

Il passaggio dalla trasmissione orale, per sua natura dotata di notevole variabilità, alla codificazione scritta dei testi letterari fu contenuto da due fattori: in primo luogo, dalla recitazione orale dei testi, che continuò a svolgere un ruolo importante in una società in cui l'accesso alla scrittura era limitato agli scribi di professione, e, in secondo luogo, dal fatto che il sistema di scrittura era inizialmente atto a registrare piuttosto entità (e quantità) che non parole e frasi.

Fino a che questo sviluppo non fu completato, la letteratura nella sua forma scritta non riusciva a comunicare il testo nella sua interezza nemmeno allo scriba e dunque la memoria svolgeva ancora un suo ruolo nell'arricchire la struttura fornita dal testo scritto. Tuttavia, alcuni scribi iniziarono a codificare in forma scritta i testi letterari; per affrontare questo compito era necessario acquisire un livello di competenza più elevato rispetto a quello normalmente posseduto da quegli scribi che svolgevano essenzialmente mansioni amministrative, con l'incarico di scrivere di giorno in giorno documenti concernenti questioni pratiche, relative ad ambiti limitati. Allo stesso modo, gli scribi che verbalizzavano i processi trattavano argomenti a loro familiari, che richiedevano la conoscenza di una gamma ristretta di espressioni.

Gli scribi che sappiamo aver codificato per iscritto opere di letteratura lavoravano in genere per il re, oppure in un tempio, o in una scuola scribale. In sostanza, soltanto i più qualificati tra gli scribi di professione si cimentavano con la letteratura in forma scritta. Alcuni re, di cui i più noti sono i due sovrani assiri Tukulti-Ninurta I e Assurbanipal, nominati poco sopra, coltivarono ambizioni letterarie che trovarono espressione nella creazione di biblioteche contenenti tavolette con opere letterarie; naturalmente, essi si servivano di scribi di alta levatura. I governanti che non avevano interessi di questo tipo si circondavano comunque degli scribi migliori per tutte le diverse esigenze della corte, e questi talvolta gratificavano le proprie aspirazioni professionali creando le loro biblioteche personali, come avvenne in Assiria circa tra il 1200 e il 1100. Quasi tutti i re, inoltre, facevano comporre grandiose epigrafi che celebravano le loro lodi e che perpetuavano il loro ricordo; spesso erano brevi ed espresse con formule convenzionali, ma talvolta le iscrizioni raggiungevano una lunghezza considerevole e contenevano materiale di alto livello letterario, per esempio nel periodo neoassiro. Le scuole scribali potevano essere di diverso livello qualitativo: le migliori erano quelle impegnate nella codificazione scritta e, forse, anche nella composizione stessa, di opere di carattere letterario.

Possiamo soltanto elaborare ipotesi in merito al motivo originario che portò a una codificazione scritta della letteratura. Gli scribi che si assunsero questa incombenza provavano, probabilmente, un senso di orgoglio professionale nel possedere in forma scritta ciò che altrimenti poteva esistere soltanto in forma orale; inoltre avevano modo di esercitare la propria facoltà di giudizio nel decidere di codificare quella che, fra le numerose varianti in circolazione, essi consideravano la versione migliore. Una volta avviato, questo processo divenne una pratica consueta. I migliori scribi disponibili s'impegnarono nella codificazione dei testi letterari e li tramandarono poi ai propri studenti; sorsero, così, scuole e centri famosi, dai quali le scuole minori e gli scribi di rango meno elevato si procuravano copia dei testi letterari. Spesso le versioni di riferimento di alcuni testi si ritrovano in più di una città, a conferma della fama acquisita dal centro culturale in cui tali versioni erano state elaborate. Il possesso di una collezione di tavolette di questo genere costituiva certamente motivo di orgoglio per il possessore, e questo contribuiva alla diffusione del fenomeno.

Un ulteriore fattore che favoriva la produzione di copie dei testi letterari e la creazione di raccolte di tavolette fu forse la scomparsa del sumerico come lingua parlata. Il periodo preciso in cui questo avvenne è ancora oggetto di discussione, tuttavia il 2000 è la data approssimativa più accettabile, dal momento che si deve tener conto del fatto che il fenomeno avvenne con modalità variabili e in alcune città può essersi verificato prima rispetto ad altre della stessa area. Una volta estinto come lingua parlata, il sumerico continuò però a essere studiato nelle scuole scribali, come avvenne per il latino in Europa durante il Medioevo e nei periodi ancora successivi. Alcuni scribi si consideravano, senza dubbio, i custodi della tradizione culturale ed è probabile che se ne siano sentiti responsabili nel momento in cui il processo di estinzione del sumerico come lingua parlata portava necessariamente, con la sola eccezione delle scuole scribali, all'estinzione della tradizione letteraria orale sumerica.

L'accadico, che era la lingua effettivamente parlata a quel tempo, non era considerato di eguale importanza rispetto al sumerico in quello che era stato il paese di Sumer (la Bassa Mesopotamia), dove erano situate le più importanti scuole scribali. È un dato di fatto che la maggior parte dei testi letterari sumerici di cui siamo a conoscenza risale al 2000-1600 ca. e proviene dall'Iraq meridionale. Naturalmente, bisogna considerare le diverse condizioni dei luoghi di ritrovamento; l'improvvisa distruzione di un edificio o di una città potrebbe aver creato le condizioni più favorevoli per la sopravvivenza di archivi letterari (ma anche di altro tipo), mentre il lento declino di una città comporta una graduale asportazione degli oggetti di valore. Nonostante la valutazione di questo fattore, sembra comunque probabile che la quantità considerevole di testi letterari sumerici del periodo paleobabilonese, 2000-1600 ca., a noi pervenuta, sia testimonianza di una politica nell'ambito della quale gli scribi letterati si dedicarono alla stesura in forma scritta del corpus letterario sumerico in loro possesso, con un'intensità maggiore rispetto ai periodi precedenti. Quegli stessi scribi potrebbero aver mantenuto viva la tradizione della recitazione orale dei testi e l'usanza di impararli a memoria, tuttavia il fatto che ne esistesse una versione in forma scritta deve aver modificato l'importanza che aveva l'esecuzione orale quando il sumerico era una lingua parlata. Nel corso di questo periodo il livello di competenza degli scribi variava da città a città. I testi sumerici di carattere letterario provenienti da Nippur sono di livello qualitativo più elevato rispetto a quelli contemporanei provenienti da Ur: ovviamente gli scribi di Nippur erano di livello superiore rispetto a quelli che operavano a Ur nello stesso periodo.

I testi letterari in lingua accadica erano già stati sottoposti a codificazione scritta nel corso della seconda metà del III millennio, ma prevalentemente al di fuori dell'area sumerica. Quando il sumerico cessò di esistere come lingua parlata per essere sostituito dall'accadico, la letteratura espressa in quest'ultima lingua cominciò a presentarsi più frequentemente in forma scritta; tuttavia i testi sumerici erano ancora molto diffusi nel corso del periodo paleobabilonese. I testi orali, invece, erano a quel tempo esclusivamente in accadico e, al di fuori dell'ambiente delle scuole scribali, si verificarono notevoli sviluppi originali della letteratura accadica, sebbene non ce ne siano pervenute molte testimonianze tramite le scuole.

I poemi epici su Gilgamesh

Il periodo compreso circa tra il 1600 e il 1400 fu un'epoca difficile dal punto di vista politico. La I dinastia di Babilonia fu spodestata da un attacco degli Hittiti di Anatolia, in seguito al quale i Cassiti, provenienti dal Kurdistan, presero il potere nel regno di Babilonia, governandolo per circa quattro secoli. Per quanto riguarda il primo secolo non sappiamo nulla, ma indizi di epoche successive fanno ipotizzare che la letteratura ricevette un forte impulso. I poemi epici su Gilgamesh ne sono un esempio efficace: nel periodo paleobabilonese circolavano nella cerchia degli scribi cinque poemi epici in sumerico sul personaggio di Gilgamesh. Si trattava di racconti indipendenti che non formavano un ciclo, ma che, sebbene di alcuni di essi esistessero versioni differenti, facevano parte del patrimonio letterario sumerico del tempo. Nessuno di essi è sopravvissuto al periodo critico compreso tra il 1600 e il 1400 circa. Non fu fissato un canone preciso dei racconti babilonesi su Gilgamesh esistenti nel periodo paleobabilonese (le varie versioni erano caratterizzate da grande fluidità), anche se furono fatti tentativi di elaborare poemi epici compositi che racchiudessero il ciclo di storie in un'unica opera letteraria. Nel corso di questa epoca difficile e durante la dinastia cassita questo tipo di produzione letteraria continuò e quando, dopo un secondo periodo di crisi tra il 1100 e il 900, la situazione fu più tranquilla, nei principali centri di attività scribale in Babilonia e in Assiria era attestata una sola versione in babilonese di un poema epico composito su Gilgamesh.

Nel corso dei 1000 anni compresi tra il 1900 e il 900 prese forma in qualche modo quello che è spesso indicato come il poema epico babilonese 'canonico' su Gilgamesh, sebbene esso non possegga un'autorità paragonabile a quella che si attribuisce al canone biblico. Esso è il risultato di una lunga storia di versioni differenti e di testi spesso notevolmente divergenti. In qualche caso un autore babilonese ha fuso due delle storie sumeriche esistenti, unendovi poi materiale di altra origine in modo da creare un lungo racconto drammatico sul tema della lotta dell'uomo per l'immortalità. L'artefice di tutto ciò, da considerarsi un genio della letteratura, visse probabilmente nel periodo paleobabilonese tardo, tra il 1800 e il 1700, ma non ci sono pervenute testimonianze precise.

Nel periodo cassita ‒ o mediobabilonese ‒ continuarono a circolare versioni ampiamente divergenti, e fu soltanto nel I millennio a.C. che ne sopravvisse un'unica versione. Gli studiosi babilonesi di quel tempo attribuirono questa versione a un certo Sin-leqe-unninni, e una tavoletta tardobabilonese asserisce che questo scriba era contemporaneo allo stesso Gilgamesh; si tratta ovviamente di una affermazione falsa. Egli era comunque di certo uno scriba della città di Uruk ‒ la città natale di Gilgamesh ‒ poiché molti scribi del periodo tardobabilonese si dichiaravano suoi discendenti e non vi è motivo per dubitare delle loro affermazioni. Era pratica usuale, infatti, che chi svolgeva professioni di rango più elevato sostenesse di discendere dal nome di qualcuno che era stato il fondatore originario della sua professione in una particolare città. Lo studio di questi predecessori suggerisce che quando si tratta di personaggi reali, e non semplicemente, per esempio, di un generico 'signor Fabbro' antenato di tutti i fabbri, essi risalgono al primo periodo cassita, forse tra il 1600 e il 1400 circa. Se questo vale anche per Sin-leqe-unninni, egli non fu dunque il genio della letteratura che concepì e architettò il poema epico babilonese su Gilgamesh, ma fu semplicemente uno scriba studioso che curò e autorizzò una particolare versione di questo poema; per qualche motivo la sua versione sopravvisse rispetto a tutte le altre redazioni dei poemi epici babilonesi su Gilgamesh.

La trasmissione di altre opere letterarie

Non tutte le opere letterarie babilonesi hanno avuto vicissitudini così lunghe e movimentate. Non sembra, per esempio, che il Mito di Anzû abbia avuto un antecedente sumerico; l'opera narra di un uccello demoniaco che ruba le "tavole dei destini", minacciando quindi il Caos cosmico, e che deve perciò essere sconfitto. Tale mito esisteva in lingua babilonese nel periodo paleobabilonese e fu tramandato nel tempo fino a giungere nelle biblioteche del periodo neoassiro e neobabilonese, con relativamente poche modifiche. Anche il Poema di Erra, che sembra riportare, in termini fortemente teologici e mitologici, un episodio risalente al secondo periodo di crisi in Babilonia, ebbe origine non prima della fine del II millennio; tra le copie che ci sono pervenute esistono poche differenze e probabilmente esso è rimasto all'incirca come l'autore lo ha scritto.

La versione babilonese del poema di Gilgamesh offre comunque l'occasione per sottolineare alcuni aspetti della cultura letteraria dell'epoca. In primo luogo, gli autori erano liberi di attingere ad altri e di elaborare adattamenti a proprio piacimento; molto poco di ciò che veniva prodotto era originale nel senso che noi attribuiamo oggi al termine. In secondo luogo, il concetto di paternità letteraria era allora, di conseguenza, assai poco significativo rispetto all'importanza che ha nella nostra civiltà. La versione definitiva del poema epico di Gilgamesh circolava senza recare il nome di Sin-leqe-unninni. In un breve testo (redatto probabilmente dopo il 900 a.C.) è elencato un catalogo di opere molto note delle quali sono forniti anche i nomi degli autori; alcuni di essi sono chiaramente fittizi, mentre altri non suscitano sospetti. Il Poema di Erra è l'unica opera che contiene all'interno del testo stesso il nome dell'autore, al quale un dio avrebbe rivelato la storia di argomento teologico da lui narrata. Abbiamo anche un testo sapienziale che fornisce il nome dell'autore, tuttavia lo fa per mezzo di un acrostico, un modo piuttosto criptico di divulgarlo. È chiaro dunque che queste modalità di composizione e trasmissione delle opere letterarie, tipiche del tempo, diminuivano il prestigio degli autori come individui.

Un tale sistema di trasmissione della letteratura consentiva comunque ad alcune opere di sopravvivere più a lungo. Nel corso dei secoli esse potevano, infatti, subire un processo di revisione, o essere riscritte in modo da eliminare i punti oscuri e gli arcaismi non più comprensibili. Il successo di questa operazione tuttavia dipendeva dal livello di competenza, non sempre adeguato, degli scribi che si dedicavano a questo lavoro. Il poema epico Atram-ḫasīs, che è la storia babilonese del diluvio universale, fu composto nel periodo paleobabilonese, prima del 1700, ma non fu sottoposto sistematicamente a revisione nel corso del periodo cassita; le copie più tarde, risalenti alla metà del I millennio, presentano perciò numerose differenze l'una rispetto all'altra e, in alcuni passi, risultano oscure se non addirittura incomprensibili. Dal momento che non esisteva più una tradizione orale, l'opera si era corrotta e la produzione di copie del testo era diventata un processo puramente meccanico.

Verso la fine del I millennio a.C. la civiltà babilonese si stava esaurendo; alcune opere letterarie furono copiate travisando completamente il testo, a testimonianza del fatto che esse risultavano incomprensibili anche agli scribi che avevano eseguito il lavoro. Comunque, fino alla seconda metà del II secolo a.C. esisteva almeno uno studioso assolutamente degno di rispetto a Babilonia, Tanittu-Bel, le cui tavolette recano l'impronta di un grande dotto.

Gli scribi svolgevano la loro attività anche nell'ambito di altri settori; in particolare, si dedicavano alla stesura di testi magici, come incantesimi, prescrizioni rituali relative a riti pubblici o di carattere privato, presagi (eventi di qualsiasi genere che si riteneva preannunciassero particolari accadimenti), inni e preghiere, liste di segni e di parole, spesso corredati di materiale esplicativo. Le modalità di compilazione e di trasmissione di questo tipo di testi non differivano molto da quelle caratteristiche della letteratura vera e propria. Spesso il materiale fornito dalla tradizione costituiva la base, e i 'nuovi' testi erano redatti sulla base delle opere già esistenti; nel corso dei secoli la trasmissione di questi documenti fu accompagnata da un processo di revisione.

Le liste lessicali

Le liste di parole e di segni costituiscono una categoria particolare che non trova equivalenti nelle altre civiltà antiche del Vicino Oriente quanto ad ampiezza, varietà e antichità della datazione (v. cap. VII). Agli albori della scrittura, tra il 3200 e il 2900 (periodi di Uruk e di Jemdet Nasr) furono compilate, e quindi trasmesse, più di 15 liste di sostantivi e nomi raggruppati per categorie: per esempio, pesci, piante, oggetti metallici e nomi di città. Il più noto è un elenco, comprendente circa 130 titoli di personaggi insigniti di cariche ufficiali, che comincia con "signore della mazza", equivalente al nostro 're'. Furono fatte copie di questa lista nella Mesopotamia meridionale almeno fino a circa il 1700 e sono stati rinvenuti esemplari risalenti al 2300 a Ebla, in Siria, e a Susa, nell'Iran sudoccidentale. Le altre liste di epoca più antica non hanno avuto lo stesso grado di diffusione nei periodi successivi in quanto gli scribi si dedicavano piuttosto alla compilazione di liste proprie o all'ampliamento di quelle già esistenti. Il più notevole elemento innovativo, introdotto nel corso del III millennio, fu lo sviluppo del bilinguismo negli elenchi di parole. A Ebla sono stati ritrovati esemplari, risalenti al 2300, di una lunga lista costituita da oltre 1000 parole sumeriche, e in alcune copie era stata inserita, di tanto in tanto (nella stessa colonna), la traduzione in semitico della parola sumerica immediatamente precedente. Gli scavi eseguiti nella Mesopotamia meridionale hanno fornito una quantità esigua di materiale di questo tipo, risalente agli ultimi secoli del III millennio, mentre ci sono pervenuti numerosi reperti relativi al periodo paleobabilonese, tra il 2000 e il 1600 ca., i quali ci offrono importanti testimonianze degli sviluppi in atto. In primo luogo, la più antica tipologia di lista di parole sumeriche risulta ampliata per numero di termini inclusi e comincia a fare la sua comparsa la tipologia bilingue, organizzata su due colonne, con il sumerico a sinistra e il babilonese a destra. In secondo luogo, anche la documentazione filologica era diventata, nel frattempo, un importante criterio nell'organizzazione del materiale. Erano poi compilate liste di segni sumerici, suddivisi a seconda della forma e corredati di trascrizione fonetica delle numerose pronunce possibili; talvolta erano indicati anche i vari significati che i segni potevano assumere nella traduzione in babilonese. Un interesse esclusivamente filologico portò alla compilazione di liste accurate di forme verbali sumeriche, ciascuna accompagnata dalla traduzione in babilonese, in colonne parallele (v. cap. VIII). Non ci sono pervenute molte liste di questo tipo per il periodo compreso tra circa il 1600 e l'800, e la maggior parte proviene dall'Assiria, dalla Siria e dall'Anatolia e risale al 1400-1200 circa. In quell'epoca si erano verificati alcuni cambiamenti e ne erano ancora in atto altri, ma i risultati che quel processo di sviluppo produsse si possono valutare principalmente sulla base di copie di origine assira (circa 800-612) e babilonese (circa 600-400). A quanto sembra, nel periodo paleobabilonese il materiale disponibile fu ampliato seguendo in gran parte le stesse linee di sviluppo: le liste già esistenti furono accresciute e perfezionate. Per fare un esempio, una lista paleobabilonese di segni sumerici corredati di glosse sulla pronuncia presenta più di 900 glosse; nella versione finale, babilonese, oltre a un ampliamento dell'elenco di simboli sumerici con relative glosse sulla pronuncia, sono annotati più di 10.000 significati in babilonese; sfortunatamente ce ne sono pervenute soltanto alcune parti.

Bibliografia

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