DE SABATA, Victor

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 39 (1991)

DE SABATA, Victor

Raoul Meloncelli

Nacque a Trieste il 10 apr. 1892 da Amedeo, maestro di canto d'origine friulana, e da Rosita Tedeschi, di famiglia israelita. Dal padre, maestro del coro all'Opéra di Montecarlo, ereditò la passione per la musica e quando nel 1900 la famiglia si trasferì a Milano, ancora fanciullo entrò nel conservatorio "G. Verdi" per compiervi gli studi musicali sotto la guida di M. Saladino (contrappunto e fuga) e G. Orefice (composizione).

Diede un primo saggio del suo talento creativo con una Suite per orchestra che, composta nel 1909 ed eseguita al teatro alla Scala, all'Augusteo di Roma e in seguito in varie sale da concerto anche straniere, presentò quale saggio di diploma, conseguito l'anno successivo in violino, pianoforte e composizione con il massimo dei voti e la lode. Tuttavia la sua vera vocazione era la direzione d'orchestra, tanto che a soli undici anni aveva diretto con esito trionfale un concerto di allievi del conservatorio poi replicato in altre città. In questo periodo fece le sue prime esperienze importanti all'interno del conservatorio suonando il timpano nell'orchestra diretta da Arturo Toscanini.

Il primo riconoscimento ufficiale alla sua attività di compositore risale al 30 marzo 1917, allorché la sua opera Il macigno (libretto di A. Colantuoni) fu rappresentata al teatro alla Scala di Milano sotto la direzione di E. Panizza, interpreti C. Melis e G. Danise. Frattanto il D. andava maturando la sua formazione professionale e nel 1918 fu scritturato come direttore stabile dall'Opéra di Montecarlo: nella stagione del 1919 diede le prime importanti prove del suo talento direttoriale in opere di G. Puccini (Tosca, La Rondine, La fanciulla del West) e G. Verdi (Falstaff) sempre con compagnie di canto di prim'ordine. Diede una dimostrazione della sua versatilità nella stagione del 1920 ampliando il suo repertorio che venne esteso ad A. Ponchielli (La Gioconda), I. Montemezzi (L'amore dei tre re) e alla Madama Butterfly di Puccini, autore prediletto che dirigerà per tutta la carriera e dalle cui partiture saprà individuare i più riposti valori espressivi, rivelando uno straordinario vigore drammatico e la capacità di sottolineare le più sottili sfumature orchestrali.

Nel 1921 fu chiamato a dirigere all'Accademia di S. Cecilia in Roma e, accanto a composizioni di W. A. Mozart, C. Franck, J. Sibelius, R. Pick-Mangiagalli e R. Strauss, presentò il suo poema sinfonico Juventus (composto nel 1919), offrendo un'ulteriore prova del suo talento direttoriale, divenuto ormai un'autorevole presenza nel panorama musicale non soltanto italiano. Tornato a Montecarlo, si cimentò nell'opera Sadkò di N. Rimskij-Korsakov e tornò al repertorio pucciniano con Il trittico, nuovo per il teatro monegasco. Da questo momento alternò la sua attività tra Roma e Montecarlo e, dividendo i suoi interessi tra il teatro musicale e il repertorio sinfonico, maturò la sua concezione direttoriale imponendosi come una delle personalità di maggiore spicco negli ambienti musicali italiani. Frattanto, oltre al repertorio tradizionale (continuò a dirigere opere di Puccini, Verdi, Giordano, Boito, Ravel, Mussorgsky), affrontò composizioni di autori contemporanei come F. Alfano, O. Respighi, J. Roger-Ducasse, P. Dukas e continuò a coltivare la composizione scrivendo nel 1923 il suo secondo poema sinfonico, La notte di Platon, che diresse in prima esecuzione all'Accademia di S. Cecilia in Roma il 25 nov. 1923. Nell'ottobre dello stesso anno sposò Eleonora Rossi.

Il 21 marzo 1925 diresse all'Opéra di Montecarlo in prima rappresentazione L'enfant et les sortilèges di M. Ravel, di cui presentò anche L'heure espagnole; compose nello stesso periodo il poema sinfonico Gethsemani, che diresse a Roma Il 20 dicembre in un concerto all'Augusteo. In questi anni, oltre al repertorio verista, si avvicinò al teatro di R. Strauss, di cui diresse in prima esecuzione a Montecarlo Ilcavaliere della rosa. Da questo momento la sua carriera non conobbe soste. Stabilitosi a Milano nel 1926, si dedicò prevalentemente all'attività sinfonica, riducendo quella teatrale; fu dapprima a Bologna, poi a Pisa, Milano, Venezia, Palermo, Parigi e nuovamente a Roma ove, tra l'altro, diresse in prima esecuzione in Italia il poema sinfonico La ridda sotto la campana di P. A. Coppola (1927). Diresse concerti sinfonici alla Scala e partì poi per gli Stati Uniti chiamato a dirigere a New York, e poi la Symphony Orchestra di Cincinnati. Tornato in Italia agli inizi del 1928, riprese la carriera nei maggiori centri musicali del paese, presentando spesso opere in prima esecuzione (Preludio, fanfara e fuga di V. Tommasini e Cecilia di V. Frazzi, Roma 1929). Proseguì frattanto la sua attività all'Opéra di Montecarlo e in vari teatri italiani e nel 1929, anno in cui gli nacque il figlio Elio, fu più volte a Parigi. Nel 1930 fece il suo esordio alla Scala con La fanciulla del West di Puccini, protagonista G. Dalla Rizza, cui fece seguito La dannazione di Faust di H. Berlioz con G. Cobelli, F. Merli e C. Galeffi. Compose nello stesso periodo il poema sinfonico Le mille e una notte su soggetto di G. Adami e, tornato alla Scala, vi riportò un vero trionfo con un memorabile Tristano e Isotta di R. Wagner (con G. Cobelli ed E. Stignani); sempre alla Scala l'anno seguente diresse in prima assoluta il suo poema sinfonico Le mille e una notte in forma di balletto.

Interrotti i rapporti con il teatro milanese per divergenze artistiche, vi tornò da trionfatore nel novembre dello stesso anno con Fedora di U. Giordano con una compagnia di canto di cui facevano parte G. Cobelli, I. Adami Corradetti, A. Pertile e M. Stabile. Fu poi a Firenze, a Roma, quindi nuovamente alla Scala, ove per più stagioni diresse rappresentazioni memorabili, tra cui si ricordano: Andrea Chénier di U. Giordano con B. Gigli e G. Cigna (1932), Salomè di R. Strauss con G. Tess (1933), Aida di Verdi con B. Scacciati e A. Pertile (1933), Il figliol prodigo di A. Ponchielli (1934-35), Falstaff di Verdi con M. Stabile, M. Caniglia e M. Carosio (1935), Sansone e Dalila di C. Saint-Saéns con E. Stignani (1936), Ifigenia in Tauride di Ch. W. Gluck (1937). Nello stesso periodo tornò più volte all'Accademia di S. Cecilia per dirigervi concerti sinfonici e fu poi ospite del Maggio musicale fiorentino ove diresse Falstaff (1933) e Otello di Verdi con F. Merli e M. Caniglia (1937), Aida con G. Cigna, E. Stignani e B. Gigli (1938), La bohème di Puccini con M. Favero e B. Gigli (1941), La forza del destino di Verdi con M. Caniglia e G. Bechi (1942).

Ormai consolidata la sua fama, venne richiesto dalle maggiori istituzioni musicali europee e dopo aver diretto l'Otello di Verdi allo Staatsoper di Vienna nel 1935, diresse un ciclo di concerti con i Berliner Philharmoniker, quindi fu ancora a Vienna con Aida (1936) e a Praga per la Messa di requiem di Verdi; nello stesso periodo, sempre con i Berliner Philharmoniker, diresse numerosi concerti ad Amburgo, Berlino, Dresda, Francoforte, poi nel 1937 con il complesso della Scala fu a Monaco e a Berlino (Messa di requiem e Aida di Verdi, La bohème di Puccini). Nel 1939 all'Opera di Roma diresse Tristano e Isotta di Wagner con interpreti tedeschi e Madama Butterfly di Puccini e ancora, per il Tristano, fu al festival di Bayreuth ove, fatta eccezione per Toscanini, nessun altro direttore estraneo all'orbita tedesca era mai stato ammesso a dirigere (26 luglio-27 agosto). Contemporaneamente fu ospite delle più importanti istituzioni concertistiche in Italia e all'estero e non trascurò mai completamente la composizione; tra il settembre e il dicembre 1933 aveva infatti composto le musiche di scena per il Mercante di Venezia di W. Shakespeare che eseguì in prima assoluta a Venezia il 18 luglio 1934 con la regia di Max Reinhardt.

Ormai la sua attività non conosceva soste e si guardò a lui come il più prestigioso dei direttori italiani attivi nel nostro paese non soltanto per l'impegno professionale e la straordinaria versatilità che gli consentiva di poter affrontare un repertorio vastissimo, ma soprattutto per il rigore stilistico e la serietà interpretativa.

Dal 1942 diresse numerosi concerti con le orchestre dell'Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR) di Roma e di Torino; fu ospite di varie istituzioni concertistiche internazionali, come il Festival di Lucerna, e continuò a collaborare con la Scala fino al 1943, anno in cui il teatro venne distrutto da un bombardamento. Tra il 1943 e il 1945 visse a Roma; alla fine della guerra raggiunse la famiglia a Gavarno (Bergamo) e fu subito invitato a dirigere a Londra, ove si recò nell'aprile del 1946 raccogliendo unanimi consensi dalla critica inglese, che volle sottolineare l'importanza del riconoscimento tributato alla sua figura artistica ed umana. Tornato in Italia, riprese l'attività; a Roma diresse l'Otello verdiano al teatro Adriano e una memorabile Missa solemnis di Beethoven all'Accademia di S. Cecilia, ove tornò poi periodicamente fino al 1952. Sempre nel 1946 fu a Londra per dirigervi concerti con la London Philharmonic Orchestra; fu poi in tournée a Genova, Zurigo, Ginevra, Basilea, Lugano, quindi, sempre nel 1946, al teatro dell'Opera di Roma per Sansone e Dalila di Saint-Saëns con Ebe Stignani e l'anno successivo nuovamente a Roma per realizzarvi incisioni discografiche con l'orchestra dell'Accademia di S. Cecilia; successivamente concentrò la sua attività teatrale soprattutto alla Scala ove diresse fino al termine della carriera, lasciando il ricordo di memorabili edizioni.

Tra queste si ricordano, anche per l'alto livello delle compagnie di canto: Otello di Verdi (con R. Vinay e G. Bechi, 1947), L'enfant et les sortilèges di M. Ravel (con S. Danco, 1948), Tristano e Isotta di Wagner (con K. Flagstadt, 1948), Il Trovatore di Verdi (con G. Bechi, O. Fineschi, F. Barbieri, 1949), Andrea Chénier di U. Giordano (con M. Del Monaco e R. Tebaldi, 1949), Pelléas et Mélisande di C. Debussy (1949), La Walkiria di Wagner (con K. Flagstad e M. Reining, 1949). Poi nella stagione 1949-50: La bohème di Puccini (con M. Carosio), Falstaff di Verdi (con M. Stabile, R. Tebaldi e F. Barbieri), Sansone e Dalila di Saint-Saëns (con F. Barbieri e R. Vinay), Messa di requiem di Verdi per il cinquantenario della morte del compositore (con R. Tebaldi e G. Prandelli), La Traviata di Verdi (con R. Tebaldi), Aida di Verdi (con M. Del Monaco, F. Barbieri), Madama Butterfly di Puccini (con L. Albanese), Le martyre de st-Sebastien di Debussy; nella stagione 1951-52: I Vespri siciliani di Verdi (con M. Callas e B. Christoff), Tristano e Isotta (con G. Grob-Prandl); nella stagione 1952-53: Mefistofele di A. Boito (con R. Tebaldi e F. Tagliavini), Il barbiere di Siviglia di Rossini (con G. Simionato, F. Tagliavini, G. Bechi), Falstaff e Macbeth di Verdi (con M. Callas), La bohème di Puccini (con R. Carteri e G. Di Stefano), Tosca (con R. Tebaldi e F. Tagliavini), L'amore dei tre re di I. Montemezzi.

Contemporaneamente continuò a svolgere un'intensa attività concertistica e, oltre che alla Scala, all'Accademia di S. Cecilia e al Maggio musicale fiorentino, che furono i centri più importanti della sua carriera direttoriale, fu ospite di varie istituzioni straniere tra cui la British broadcasting Corp. (BBC), I'Albert Hall, il Covent Garden di Londra, il teatro Colón di Buenos Aires, i Berliner Philharmoniker e i Wiener Philharmoniker; fu più volte negli Stati Uniti: a Chicago (ove diresse la Chicago Symphony Orchestra con cui fece varie tournées in numerose città americane), a New York (Carnegie Hall), Boston (Boston Symphony Orchestra), Washington, Filadelfia, Los Angeles; quindi, tornato in Europa, fu a Salisburgo, a Edinburgo e in vari centri artistici italiani e stranieri. Nel 1953 concluse la sua carriera teatrale alla Scala: durante un'incisione discografica della Tosca avvertì i primi disturbi del male che lo avrebbe costretto a rinunciare all'attività. Poco dopo dovette infatti annullare un concerto al Festival di Lucerna per l'aggravarsi dei sintomi e si trasferì a Santa Margherita Ligure per un periodo di riposo. Tornato a Milano nel 1954, volle iniziare le prove per la registrazione del Requiem di Verdi per mantenere fede agli impegni, pur sapendo di non poter più sostenere la fatica direttoriale per il ripetersi delle crisi cardiache.

Il 10 nov. 1954 fu nominato sovrintendente artistico del teatro alla Scala, ma rinunciò all'incarico nel 1956 accettando quello di alto consulente artistico a titolo onorifico. Diresse per l'ultima volta in occasione dei funerali di Arturo Toscanini alla Scala e nel duomo di Milano, concludendo definitivamente la carriera direttoriale il 18 febbr. 1957.

Morì a Santa Margherita Ligure (Genova) la notte tra il 10 e l'11 dic. 1967.

Artista sensibilissimo e raffinato, fu con G. Marinuzzi, A. Guarnieri, B. Molinari e A. Toscanini uno dei direttori più rappresentativi della sua generazione e uno dei maggiori del nostro tempo. Personalità geniale e versatilissima, dotata di qualità direttoriali autoritarie e trascinanti che gli consentirono di affrontare con pari sicurezza e assoluto dominio partiture del repertorio sia sinfonico sia teatrale, rivelò di possedere una tecnica agguerritissima e una padronanza straordinaria dell'orchestrazione conquistate negli anni della prima giovinezza. Fu infatti nel periodo trascorso a Montecarlo che il D. si mostrò particolarmente interessato alle possibilità coloristiche di ogni singolo strumento e poté maturare quella padronanza della concertazione e affinare il gusto timbrico che gli consentì di avvicinarsi con particolare fortuna anche al repertorio francese, soprattutto a Debussy e Ravel, autori in cui diede prova della sua raffinata sensibilità interpretativa. Dotato di una memoria straordinaria che gli permetteva di dirigere con estrema sicurezza composizioni tra le più complesse senza seguire la partitura e in possesso di un infallibile intuito nell'individuare anche le più sottili imperfezioni, fu sempre assai esigente e pretese da se stesso e dagli esecutori il massimo delle possibilità interpretative.

Osannato dalla critica e amato dagli artisti che diresse nella sua lunga carriera, fu direttore personalissimo e avocò a sé ogni responsabilità interpretativa pur nel rispetto del segno scritto al quale, tuttavia, guardò con una personalissima visione del fraseggio e delle inflessioni coloristiche. Questa concezione lo portò a offrire interpretazioni del repertorio tradizionale che possono considerarsi riletture critiche intese quale programmatica e, in un certo senso, polemica opposizione alla routine direttoriale che aveva ormai cristallizzato in formule di maniera il patrimonio operistico anche contemporaneo. In tal senso, se il suo approccio a Puccini portò alla "riscoperta" di dettagli soprattutto sinfonici, tanto che sia Bohème sia Madama Butterfly sia Tosca furono restituite alla loro originale concezione interpretativa, anche opere di Verdi, sulle quali più pesantemente si erano accumulati compiacimenti dinamici, esasperazioni timbriche ed espressive, furono ricondotte entro i canoni di una fedele e rigorosa interpretazione stilistica. Parimenti la sua sensibilità acutissima e l'interesse per i valori strumentali lo fecero avvicinare con intuito infallibile al teatro francese e a quello wagneriano, rivelando per unanime consenso della critica una capacità di penetrazione psicologica pressoché inimitabile soprattutto in Tristano e Isotta.

Della sua singolare personalità di direttore, costantemente ostile alla routine, tra i vari giudizi espressi dalla critica, particolarmente significativo quello di G. M. Gatti che sottolineò come spesso mostrasse una "natura dionisiaca di artista che rivive la pagina non con la dedizione del professionista esperto ma obbedendo all'impulso della sua natura e della sua viva intelligenza creativa ... Ed è perciò che sarà ricordato specialmente come interprete di opere romantiche e che il suo Tristano rimarrà nella memoria come un modello insuperato... Sotto l'aspetto virtuosistico egli era insuperabile fra tutti i direttori d'orchestra contemporanei e il suo gusto lo portò a preferire il poema sinfonico straussiano, mentre tutto ciò che era passato attraverso il filtro neoclassico non lo interesso e respinse decisamente i prodotti delle scuole più recenti" (Gatti, V. D., 1958).

Una preziosa testimonianza della sua arte interpretativa è affidata alle purtroppo scarse incisioni discografiche realizzate sempre con grande riluttanza tra il 1936 e il 1951 dal D. che, diversamente da Toscanini adeguatosi perfettamente alle esigenze consumistiche americane, non amò il disco, tormentato come fu sempre da una rigorosa coscienza autocritica. La sua concezione stilistica lo pose di fronte alla pagina scritta con una umiltà e un rigore che nascevano dalla consapevolezza di potere e dovere scavare fin nelle più riposte e intime sottigliezze da essa suggerite; la minuziosa concertazione, la profondità del fraseggio e il desiderio di trarre dall'orchestra i più raffinati effetti sonori, uniti ad una straordinaria forza magnetica, caratterizzarono la sua concezione interpretativa.

Memorabili rimangono alcune registrazioni delle sinfonie beethoveniane realizzate con la London Philharmonic e la New York Philharmonic Orchestra, della Messa di requiem di Verdi con E. Schwarzkopf, G. Di Stefano, O. Dominguez, C. Siepi e l'orchestra del teatro alla Scala (COL CX 1195/96) ed una trascinante Tosca di Puccini del 1953 con Maria Callas (COL QCX 10028/29, ristampa del 1964 COL CX 1094/95 ed EMI C 16300410/11), considerata tuttora da gran parte della critica la migliore della storia del disco, soprattutto per la direzione del D., che della partitura seppe rendere l'incandescente atmosfera drammatica scavando in essa con una profondità ed una tensione interpretativa che rasentò lo spasimo. Tutta la sua discografia, anche le edizioni amatoriali fuori commercio, ribadisce la sua costante aspirazione ad un ideale interpretativo in cui la precisione minuziosa si fonde con la sensibilità di un artista che guardò al dettaglio solo per giungere ad una organica e unitaria visione d'insieme sempre posta al servizio dell'arte e tesa al raggiungimento delle più profonde e alte realizzazioni interpretative.

Non irrilevante fu la sua attività di compositore in cui, pur restando legato ad una tradizione postimpressionistica, rivelò di non ignorare le più avanzate tendenze compositive.

Si ricordano in particolare per il teatro: Ilmacigno (libretto di A. Colantuoni, Milano, teatro alla Scala, 30 marzo 1917, poi con modifiche al teatro Regio di Torino, 12 nov. 1935 col titolo Driada); Sagredo (libretto di G. Adami, Milano, teatro alla Scala, 26 apr. 1930); l'azione coreografica in sette quadri Mille e una notte (libr. di G. Adami, teatro alla Scala, 20 genn. 1931, pubblicata a Milano dall'editore Ricordi nel 1937), le musiche di scena per Ilmercante di Venezia di W. Shakespeare (regia di M. Reinhardt, Biennale di Venezia, 1934) e Lisistrata di Aristofane (non rappr.). Per orchestra, Suite per grande orchestra in quattro tempi, Risveglio mattutino, Tra fronda e fronda, Idillio, Meriggio, (1909; Milano, 1912); i poemi sinfonici Juventus (ibid. 1919); La notte di Platon (1923, ibid. 1924); Gethsemani (ibid. 1925); 2 ouvertures (1910); inoltre, sempre pubblicate a Milano, Melodia per violino con accomp. di pianoforte (1918), tre pezzi per pianoforte, Câline, Habanera, Do you want me? (1918) e altra musica da camera.

Fonti e Bibl.: Oltre ai necr. nei vari giornali e riviste cfr. G. M. Gatti, V. D., in Some Italian composers of today, in The Musical Times, XII (1921), pp. 244 ss.; R. Mucci, V. D., Lanciano 1937; G. M. Gatti, V. D., Milano 1958; F. Aprahamian, V. D., in Gramophon record review, LIV (1959), pp. 269ss. (con discografia a cura di F. F. Clough e G. J. Cuming); Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, Bologna 1966, I, pp. 38, 40, 44; II, pp. 150, 156, 162, 166, 168, 183, 185; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell'arte, Milano 1964, I, ad Indicem; II, pp. 74, 89-94, 96-102, 108 s., 116-121, 123-128;L. Pinzauti, Il Maggiomusicale fiorentino, Firenze 1967, ad Indicem; V. D.: a memoir, in Opera, XIX (1968), pp. 1555 s.;G. M. Gatti, Ricordi di V. D., in Nuova Riv. music. ital., II (1968), p. 5; M. Abbado, V. D. allievo del Conservatorio di Milano, in Annuario del Conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano, Milano 1969, pp. 191-200; T. Celli, L'arte di V. D., Torino 1978 (con discografia a cura di L. Bellingardi); V. Frajese, Dal Costanzi all'Opera, IV, Roma 1978, ad Indicem; P. Isotta, D., genio da rivalutare, in Corr. della sera, 22 febbr. 1983;D . Courir, La Scala ha dimenticato mio padre, ibid., 12 dic. 1987;U. Manferrari, Diz. univ. delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1954, p. 309; Enc. dello spett., IV, coll. 509 s.; Enc. della musica Rizzoli Ricordi, II, pp. 273 s.; The New Grove Dict. of music. V, pp. 384 s.

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