VILLA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

Vedi VILLA dell'anno: 1966 - 1973

VILLA (villa; vella, in Varr., Re rust., i, 2, 14; connesso con vicus)

G. A. Mansuelli

Il termine latino indica l'edificio per abitazione e attività agricola, isolato nella campagna, contrapposto all'abitazione entro l'agglomerato urbano. Il greco non ha un termine esplicito per indicare la v., d'ordinario οἶκος e δώματα (questo come indicazione del quartiere padronale: Od., xxiv, 391); τέμενος (v.) indica più propriamente la parcella di terreno assegnata. Del resto in Grecia le strutture democratiche portavano i cittadini, piccoli e medi proprietarî, a riunirsi nel capoluogo o in agglomerati, declassando la fattoria isolata, che invece distingue le strutture aristocratiche, fondate sulla grande proprietà terriera, non coltivata direttamente come nei tempi dinastici (Laerte vive in una casa fuori città, sul terreno che coltiva insieme con pochi servi), ma attraverso agenti (del resto Odisseo aveva in Eumeo l'amministratore dei suoi beni di campagna). La diversità di costituzione incide quindi direttamente nel popolamento e nell'economia; si devono aggiungere le proprietà dei santuarî, spesso descritte negli inventarî, e svincolate dall'economia delle città. Gli inventarî (Bull. Corr. Hell., xiv, 1890, p. 422; I. G., xi, 2, 287) indicano a sufficienza il carattere strettamente praticistico di queste costruzioni, ripartite in quartieri d'abitazione (ἀνδρώνιον, ϑάλαμος), alloggi per i servi (κλείσιον), stalle (Βούστασις), ovili (προβατών), mulini (μουλίον), granai, cantine, disposti attorno ad una corte e talora su due piani. Le descrizioni e reperti abbastanza tardi (v. della ἀγαϑὴ τύχη di Olinto) indicano quindi un raggruppamento di stanze e servizi attorno ad uno spazio centrale di disimpegno e quindi una vita interna del complesso. Galeno (De antic., i, 3, xiv, 17) ha descritto minutamente un'abitazione di campagna del territorio di Pergamo, con rilievi di natura igienica e distributiva. Una documentazione monumentale esauriente, anche per incompletezza di ricerche, non l'abbiamo a nostra disposizione. Non sembra tuttavia che nei paesi greci la v. abbia dato luogo a interpretazioni architettoniche non strettamente inerenti alla sua funzionalità.

Il fondamento agricolo della società romana spiega fin da epoca remota la funzione e la ragion d'essere della v., anche se il patriziato romano è in origine un diretto coltivatore, coadiuvato da una ristretta familia servile. Catone, il quale riflette nella sua precettistica una mentalità arcaica, consigliava la permanenza del proprietario sul fondo, limitando la presenza in città al disbrigo degli affari e ai doveri politici. Ma ancestralmente la v., materializzazione del concetto di proprietà come condizione di libertas, cioè della fisionomia sociale e politica del cittadino, si pone come una sorta di equivalente privato della funzione pubblica, una specie di provincia privata dove si esplicavano senza limitazioni le prerogative del dominus e del paterfamilias, come elemento che identificava, inoltre, la rigida discriminazione classista della Roma più antica. Che la fisionomia del popolamento distribuito in accentrato e sparso non fosse esclusiva del territorio strettamente romano, è indicato da resoconti su incursioni in territorio nemico (Liv., ii, 64, 3; anno 470 a. C., a proposito della Sabina). Le fonti che abbiamo non vanno oltre Catone e sappiamo che v. era in certo senso un neologismo, come equivalente di fundus; nel testo delle XII Tavole si diceva hortus (Plin., Nat. hist., xix, 4, 19); l'accezione lata è in Catone e in Varrone, anche se poi con v. si indicò spesso solo l'edificio centrale del fundus e non il complesso del fundus stesso. Ma una distinzione tassativa non pare possibile. La documentazione monumentale su cui possiamo studiare la v. e che la qualifica come un fatto peculiare della romanità o della romanizzazione, è vastissimo, ma quasi assente per le età più antiche, sicché noi non conosciamo direttamente lo stadio arcaico della v. che rientra, ad ogni modo, nella problematica della domus (v. casa). Nonostante le ipotesi possiamo dire di non sapere nulla dell'organizzazione agricola periferica delle città etrusche; certo la prima Età del Ferro, almeno in certi settori, conosce un popolamento sparso, che la distingue dalla tendenza centripeta della preistoria e accomuna per questo rispetto la protostoria italiana a quella europea: i Galli, ancora al tempo di Cesare (De Bell. Gall., i, 5), mantenevano questo sistema di popolamento sparso, ciò che spiega il favore che in età romana la v. ebbe nei paesi di tradizione celtica.

La trasformazione della v. che portò alla distinzione fra v. urbana e v. rustica fa parte della trasformazione dell'economia e del costume a partire dalla fine del III sec. a. C. L'ampliarsi dei possessi territoriali portava alla loro organizzazione prediale entro più larghi complessi, aziende agrarie di varia entità fino al latifondo, che escludeva la conduzione diretta da parte di proprietarî d'ordinario altrimenti occupati. La v. rustica, resta pertanto la semplice fattoria, il centro dell'azienda agraria. Il concetto di villeggiatura è ancora estraneo agli inizi del II sec., ma la v. serve già (ed è istruttivo il caso di Scipione Africano) come ritiro ed evasione dalle ordinarie occupazioni della vita pubblica. Il concetto di soggiorno piacevole, da unire all'esigenza di curare i proprî interessi, si fa strada con l'ampliarsi delle esigenze e con l'allontanarsi dall'ancestrale austerità, in favore della quale si levavano i moralisti. La pluralità dei possessi portava ad allestire più ville per la temporanea dimora del dominus, fino alla moda della v. esclusivamente di soggiorno in luoghi paesisticamente piacevoli e di v. che consentissero ai grandi proprietarî di viaggiare anche a largo raggio facendo tappa sempre in proprî possessi. Ma anche in queste deviazioni della v. dal suo primitivo scopo, per le quali appunto si passò alla v. urbana (riproducente i comodi e il decoro della residenza di città) la v. non è mai isolata e resta sempre un elemento economicamente autosufficiente, specializzando in seguito le proprie risorse anche al di fuori dell'agricoltura: allevamento, piscicultura, industria, attività bancaria (certo nelle Gallie in età imperiale avanzata, forse prima nella Cisalpina avanti la costituzione delle città) spesso variamente combinate: la villa di Brioni espletava almeno la piscicultura e l'industria olearia. Occorre distinguere fra attività industriale e artigianato limitato alle necessità interne della v. stessa: la v. di Chiragan, per esempio, con i suoi molteplici impianti certamente esercitava un'attività economica di produzione per la vendita, ma già prima la più modesta v. di Russi (v.) presso Ravenna possedeva una fornace per la produzione della suppellettile ceramica ed un'officina di fabbro, attività senza dubbio limitate al consumo interno di un'azienda agraria. Questa autosufficienza pone già le basi per l'econornia curtense tardoantica, assimilata dalla società feudale del Medioevo, in un processo che modifica lentamente, fino all'opposizione, i rapporti fra città e campagna, all'inizio di aspetto puramente demografico. Senza dubbio la v. rustica ebbe un proprio particolare incremento per alloggiare e per frammentare le consistenti familiae servili, la cui formazione è concomitante con quella del latifondo. L'interpretazione letteraria e poetica della v. da Catullo e Orazio fino a Plinio il Giovane e a Sidonio è un fatto d'altro genere, interessante per comprendere in vari momenti la psicologia di alcuni personaggi e constatare come l'atteggiamento intellettualistico (di cui si fece assertore anche Cicerone, sistemando nel suo Tuscolano un ambiente ellenizzante per le proprie meditazioni filosofiche) facesse passare in seconda linea gl'interessi economici; si tratta talora di una forma di compiacimento, mescolato con la nostalgia dell'isolamento e della semplicità agreste come antidoto alla occupatio urbis ac vitae e alla dignità che l'otium letterario veniva ad assumere anche di fronte àl negotium politico.

Se la v. rustica si conchiudeva nel proprio organismo interno per esigenze di sicurezza e di praticità, nel suo fermo limite perimetrale, ancora nel I sec. a. C. rinforzato da torri (agro Cosano), la v. urbana si conchiudeva per accentuare il senso dell'intimità, della comodità e dell'isolamento, attrezzandosi per quanto richiedeva un soggiorno esaurentesi entro i suoi limiti, arricchendosi di stanze di soggiorno (diaetae) e di portici e viali per passeggiate (xysti), dotandosi di un proprio paesaggio interno realizzato dal giardinaggio, (da quell'ars topiaria che aveva origini orientali e una mediazione ellenistica, ma che i Romani considerarono come una propria espressione originale) e non di rado anche da pitture che aprivano le pareti in visioni paesistiche o di finti giardini. La scelta del luogo di costruzione della v. urbana difficilmente prescindeva dalla possibilità di abbracciare una visione panoramica di monti, di mare o di campagna, ma questo godimento e quasi possesso visivo del paesaggio si voleva raggiungere senza muoversi dal recinto della propria casa, attraverso portici, belvedere, terrazze, solaria, senza rinunciare cioè al riposo, in una sorta di statica contemplazione (v. anche giardino; topiarius).

Una specifica ragion d'essere funzionale è riconoscibile alla v. rustica, appoggiata ad una lunga tradizione di esperienze, senza tuttavia tradursi in termini di architettura, cioè d'espressione artistica. La v. urbana era condizionata dai criterî distributivi della domus, ma consentiva agli architetti una vasta possibilità di soluzioni per quanto riguardava sia l'organizzazione interna sia l'inserimento della costruzione nel paesaggio, per quanto la libertà degli architetti fosse limitata dalle esigenze e dal capriccio dei proprietarî, che doveva entrare in larga misura in ogni progettazione o adattamento. Orazio considera il redemptor, l'impresario edile come esecutore della volontà del dominus, terrae fastidiosus (Carm., iii, i, 33-37), riferiva cioè, sia pure in chiave moralistica (cfr. del resto II, 18, 17-22), un rapporto fra due persone senza considerare la terza, chiamata a dar forma architettonica alle esigenze del committente. Diversamente Cicerone (ad Att., ii, 1, ii) riferiva, condividendolo, il parere del suo architetto Cyrus (v.) sull'apertura delle finestre.

Per questi motivi non esiste una tipologia fissa della v. urbana, espressione anzi di un individualismo contingente; la casistica delle v. porta alla necessità di considerarle ciascuna per sè, come fatto singolo e singolarmente apprezzabile. La pluralità di v. in possesso di un solo - ne sono esempî le v. di Cicerone e di Plinio il Giovane (v.) - consentiva anzi ad una stessa personalità di esplicarsi in più direzioni, quasi di moltiplicarsi. L'architettura poteva fondarsi su poche costanti, sull'esigenza cioè di determinati settori ed impianti, con grandi varietà anche di criteri distributivi. Quando il fenomeno si diffuse e divenne, da italico, ecumenico, motivi di ordine climatico e geografico fecero sentire fortemente il loro peso: le ville delle zone renane non potevano esser concepite sullo stesso metro di quelle della Campania, anche senza mettere in conto conservazioni di tradizioni locali, del resto da non escludersi mai. Tardi e specie in alcune zone d'Africa e d'Oriente si tornò alla v. fortificata e quindi ad una forma chiusa e compatta, in contrasto con la distesa paratassi dell'ultima Repubblica o dell'alto Impero. La v. caserma, che Diocleziano si fece erigere presso Salona non era tanto l'espressione personale di un vecchio uomo d'armi, quanto l'allinearsi con le esigenze dei tempi, specie in area provinciale (v. palazzo, spalato).

Fin dalla tarda Repubblica tuttavia si è diffuso un tipo medio di v., che potrebbe definirsi urbano-rustica, risultante sia dalla tendenza di medi e piccoli proprietarî a risiedere permanentemente nel fondo, continuando la conduzione diretta delle origini, sia dall'esigenza di migliorare la comodità o il decoro del settore residenziale anche dei vilici, quando la v. non serviva per saltuaria residenza del dominus. La v. di Boscoreale (v.), decorata con le singolari pitture oggi a New York, era di questo tipo, giacché al quartiere residenziale si affiancavano gli ordinari impianti di produzione e conservazione. Tale è anche il caso della v. di Russi, nella quale la pars urbana s'incastra entro gl'impianti della pars fructuaria, tale carattere rimanendo fermo negli ampliamenti che la v. ebbe dalla fine dell sec. a. C. fino almeno alla metà del II d. C. Questa v. anzi, al pari di quelle dell'agro foroiuliense, presenta il particolare di un ampliamento realizzato continuando le linee ortogonali di uno schema originario più ridotto, non di rado, come a Russi appunto (v. russi) impostandosi sulla pluralità delle aree scoperte interne e distinguendo la corte utilitaria dai peristili. Vitruvio del resto avvertiva che le v. urbane non si costruissero con detrimento della rustica utilitas (vi, 6, 6) e Columella (De re rust., ii, 4-6) sembra considerare ormai come fatto acquisito la dipendenza della v. rustica dalla urbana, cui troviamo praticamente aderire tutte le v. che conosciamo in area provinciale. La vecchia concezione romano-italica si adattava ai tempi e alle circostanze, senza perdere la sua interna continuità e, in fondo, la sua logica concettuale. In certo senso si potrebbe considerare la v. fine a se stessa come un fatto eccezionale, specie in quella sua massima enfatizzazione che fu la V. Adriana (v.) di Tivoli. Gli imperatori, che si costituirono anche come produttori economici su larga scala, assunsero come fatto proprio lo sviluppo della v. e se la domus aurea neroniana era in effetto un immensa v. urbana entro il tessuto cittadino di Roma, il tipo urbano-rustico trovò un particolare incremento nei centri amministrativi dei saltus imperiali, residenze di funzionari dell'amministrazione della casa regnante, di rango libertino o servile (v. anche subiaco).

Come non esiste un tipo fisso di v. e le varie realizzazioni si adattano attraverso il tempo alla sensibilità architettonica dei varî momenti, così non c'è un tipo particolare di decorazione, esclusiva della v., se si eccettua il giardinaggio, parzialmente comune alle domus di lusso (e purtroppo per noi mal documentabile direttamente) come del resto i giochi d'acqua. Natationes e sistemazioni idrauliche decorative erano meglio applicabili alla v. che alla domus.

Una esemplificazione distinta per ordine cronologico può servire ad orientare su questo particolare tipo di edificio. Il tipo fortificato con torri risale almeno alla fine del III sec. a. C. (Sen., Epist., li, 286: V. degli Scipioni a Liternum) e continuava nel I, anche nelle amene vicinanze di Baia (Plut. Mar., 34) quando probabilmente il concetto del fortilizio va connesso con l'esistenza di guardie personali, servi e gladiatori, da parte dei protagonisti della lotta politica, quando Cicerone sognava di restituire nel preferito Tusculano l'ambiente, idillicamente visto, dei ginnasî filosofici greci e arricchiva il suo ginnasio con sculture adatte (ad Att., iv, 3; 6, 2; viii, 2, ix, 2; x, 3; ad Fam., vii, 23). La pompeiana V. dei Misteri nota già nella sua prima fase del III sec., presenta il tipo div. organizzata su di un terrapieno con criptoportico, la basis villae caratteristica di molti esempî dell'edilizia laziale-campana (Gaeta, Terracina) e utilizzato anche come terrazza panoramica. Un'altra v. di età sillana, ampliata alla metà del I sec. a. C., più tardi inclusa nel complesso di V. Adriana, è già costruita a terrazze, in consonanza con l'urbanistica scenografica dell'ellenismo e delle sue applicazioni, appunto di età sillana, all'architettura italica (v. palestrina). La basis villae dell'edificio detto "dei Centroni" sulla via Anagnina aveva una fronte articolata con arconi inquadrati da paraste, prospicienti una vasta piscina. L'effetto che si poteva ricavare dai giochi d'acqua portò allora a combinarla con la costruzione dei ninfei (v.) che nelle v. tardo-repubblicane assunsero particolare grandiosità. La basis si articolò più tardi, nell'esempio di Anguillara Sabazia, in un immenso emiciclo frontale, movimentato da nicchioni, che dovette essere abbastanza frequente, dato che lo ritroviamo in rappresentazioni di v. in pitture paesistiche, mentre l'ultima fase della V. dei Misteri presenta un elemento absidato in funzione di veranda, motivo ripetuto in seguito nella v. tiberiana di Capri e nel Laurentinum di Plinio (Plin., Ep., ii, 17). La V. di Diomede presenta un giardino fra avancorpi porticati, raccordati da un terzo braccio di chiusura, che in proporzioni molto maggiori si ritrova nella v. tiburtina ritenuta di Orazio, dove l'area del giardino recintato è più del triplo di quella coperta dal corpo edilizio vero e proprio. La V. di Asellius presso Boscoreale nel peristilio centrale a tre bracci prelude alle v. ad U frequente specialmente nell'area provinciale centroeuropea. Il lunghissimo giardino porticato della v. ercolanese dei Pisoni (v. ercolano) aveva una lunga piscina longitudinale e terminava con un'esedra panoramica. L'asse del giardino era ortogonale rispetto a quello della v., in rapporto all'ingresso, con un adattamento al terreno della usuale sequenza assiale delle domus. Il prospetto degli horti Aciliani (?) sul Pincio con scalinate e un'esedra nella linea del complesso templare prenestino, che realizzava una successione di episodi, portava a frammentare l'unità del complesso. A terrazze, rilevate da xysti, era la v. tusculana di Cicerone. Già da questi esempî noti appare l'estrema varietà della casistica, difficile a tradursi in conoscenza diretta perché le v. interamente scavate con tutte le loro dipendenze sono pochissime. Oltre ai quartieri residenziali e servili, l'impianto termale è già di norma in tutte le ville. L'adattamento al terreno e al paesaggio trovava particolare maniera di esplicarsi nelle zone marittime (v. di Baia, case a terrazze verso il mare a Pompei) dove la v. sfruttava anche la possibilità dell'allevamento con avancorpi spinti nell'acqua. La v. di Val Catena dell'isola di Brioni offre il singolare esempio dell'inserimento nel complesso e nelle sue dipendenze di un piccolo fiordo. In altro senso, per la sua posizione dominante, il dominio del paesaggio è affermato nella v. tiberiana di Capri e l'utilizzazione di elementi naturali nel complesso della v. appare nella trasformazione in ninfeo marittimo dell'antro naturale di Sperlonga (v.), singolarmente arricchito di statue e gruppi plastici. Nella seconda metà del I sec. d. C. le molteplici esperienze acquisite nella costruzione di v. si riflettono sulla Domus aurea neroniana, nella sua articolazione e nel suo compenetrarsi di elementi architettonici e naturali, e in parte anche sulla domus palatina dei Flavi, sia nell'organizzazione interna che nel prospetto scenografico sul Circo Massimo. Un'articolazione molto sensibile e un'enfatizzazione scenografica caratterizzava la v. di Nerone sul litorale di Anzio, con il prospetto ad esedra, sulla quale in parte e più pacatamente si modellò la v. di Domiziano sul lago di Paola. Erano i precedenti da cui mosse la realizzazione di V. Adriana (v.) con la personale partecipazione dell'imperatore. Le costruzioni palatine dei Flavi proponevano il problema della sovrapposizione di piani, mentre la domus aurea e in parte poi anche V. Adriana si fondavano sulla distribuzione di nuclei costruiti su una grande superficie. D'altra parte il II sec. segna il largo diffondersi della v. in ampie aree provinciali. Quella dei Laberii di Uthina frammenta il complesso intorno a un peristilio e a peristili minori. La v. di Sirmione (v.), ampliata su un nucleo repubblicano che forse appartenne davvero ai Valerii Catulli, impostata su un vasto cortile porticato e avvolgente con portici e ambulacri sovrapposti uno sperone di roccia, si apre in gallerie esterne come a compenetrarsi di atmosfera.

Nelle province transalpine si consolida il tipo ad U, che si amplia (Blankenheim, La Hosté) in un lunghissimo corpo con porticato in fronte, fermato da due avancorpi agli estremi. Su queste tipologie si orientano le architetture private della Gallia settentrionale, del Reno e della Britannia, con aspetto esteriore in genere assai più modesto e funzionale delle più pompose e colte v. d'Italia. Ai Sette Bagni e nella V. dei Quintili sull'Appia, dell'età di Antonino Pio, la macrotettonica adrianea è riecheggiata nella grandiosità delle proporzioni e nel gioco degli elementi rettilinei, ma torna ad imporsi un fermo limite perimetrale che definisce la v. in un rettangolo, e rafforza il senso della massa muraria costruita.

Nelle province europee si consolidano e si ampliano i temi proposti sviluppando articolazioni interne con prevalenza degli elementi rettilinei e sovrapposizioni di piani che dichiarano energiche masse costruite; spesso una rigorosa simmetria (Nennig) si sostituisce all'assialità, oppure la costituzione in complessi di masse salienti (Fliessen), con l'esempio isolato di una pianta a bumerang risultante da portici raccordanti gruppi di fabbriche (Wittlich). Le v. grandiose di Chiragan in Gallia e della Dehesa de la Cocosa in Spagna comprendevano entro immensi perimetri numerosi padiglioni isolati con impianti e officine. Più tardi a Welschbilling si riprendeva la lunga piscina con transenne sostenute da erme. Una sistematica raccolta dei tipi della v. romana si ha adesso per la Pannonia, ad opera di Edith B. Thomas. Lo sviluppo più tardo della v. romana s'incentra sui due esempî, approssimativamente coevi, di Piazza Armerina (v.) e di Spalato (v.). Nella prima l'assialità si dissimula nel complicato giustapporsi di elementi curvilinei, con sale absidate e cruciformi e un peristilio a lati curvi e con un contorno eccezionalmente frastagliato, in una corrispondenza stretta fra la sontuosità dell'architettura e l'eccezionale decorazione musiva. Nel palazzo salonitano di Diocleziano il fermo limite perimetrale ritmato da torri riflette un rigido ordinamento interno con complessi separati da strade ortogonali di tipo castrense e la concentrazione in questo schema anche di un edificio sacro e del mausoleo, mentre la loggia a mare fra le torri d'angolo continuava la tradizione "provinciale" dei secoli precedenti. In realtà la v. di Diocleziano risulta dalla compenetrazione del palazzo, del fortilizio e della città, continuando nella compattezza del suo assieme la tendenza alla grandiosità edilizia più che naturale alla fine del III sec. nel generale clima dell'architettura romana. Ne partecipano alcuni grandi complessi privati come quello di Teting con i suoi corpi rettangolari raccordati da un vasto emiciclo. Così doveva essere forse la v. di Sidonio Apollinare ad Avitiacum (Carm., xxii, 150 e 240 ss.); mentre era trapezoidale lo schema di Rouhling e rettangolare aperto quello di Cadeilhan-St. Clair. L'Africa, terra di grandi intraprese edilizie nel tardo Impero, ha avuto un'architettura privata orientata sulla concentrazione in un grande blocco compatto, spesso con torri, ma aperto da finestre e da logge. Il giardino è esterno a questo complesso ed ha carattere di natura aperta. In realtà a questo orientamento non poté essere estranea la contingenza di uno status di incertezza, che nelle zone di confine ha determinato le case a torre recintate (Bir Sedecena, Kana). Queste v. africane continuano ancora nel V sec. e dai mosaici che le rappresentano ricaviamo un'impressione di grandiosità e di fasto; per le forme sono state messe in rapporto con le v. germaniche, tanto più che in Germania si è avuto forse uno sviluppo omologo con accrescimento in altezza, se è antico l'edificio a torri e corte centrale di Pfalzel. Più aperte, nonostante la comune tendenza a recintarsi, le v. orientali, con corpi a piani sovrapposti e logge (Ruweiha, Refade in Siria).

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