Vincent van Gogh

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Alessandra Acconci
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Nella storia della pittura Vincent van Gogh occupa una posizione centrale nel trapasso dal realismo degli impressionisti all’uso del colore secondo valenze simboliche ed espressive. La sua opera condiziona la nascita della pittura fauve ed espressionista e la prima arte astratta. Più di 750 lettere scambiate con il fratello Theo (che era mercante di dipinti e assicurava a Vincent sostegno spirituale ed economico incondizionato) registrano, come un diario, i principi estetici del pittore. Sono una fonte straordinaria, che getta luce sull’intera opera.

I mangiatori di patate 

Quando nel 1880 Vincent van Gogh si risolve a fare il pittore, ha già 27 anni e una vita alle spalle segnata da scelte impulsive, dettate da aspirazioni di spiritualità e impegno sociale. Allora ricopre anche la carica di predicatore evangelico nella regione carbonifera del Borinage in Belgio, dove vive sentimenti di solidarietà per i lavoratori miserabili delle miniere. È allora che la sua inclinazione alla pittura, da esercizio privato, diviene vocazione esclusiva. Fin da subito, Vincent nutre completa fiducia nelle possibilità dell’arte di lenire la pena connaturata alla condizione umana, aprendo l’individuo verso uno stato spirituale più elevato, vicino alla penetrazione mistica proposta dal cristianesimo. Vincent, per i primi dieci anni della sua carriera, rincorrerà l’ideale di un’arte consolatoria profondamente partecipe della modernità. La sua personale visione dell’arte si fonda su letture appassionate di fonti molto diverse fra loro, tra cui testi cristiani, romanzi francesi, saggi di pensatori e storici romantici come lo scozzese Thomas Carlyle, Jules Michelet, e più tardi Richard Wagner. Per cinque anni si dedica a un esercizio incessante sulle norme della pittura. Tra Bruxelles, Etten (nel Brabante settentrionale), L’Aja, la regione olandese della Drenthe e infine ancora il Brabante, disegna e dipinge con furia autodidatta. Nell’aprile 1885 esegue il primo dipinto importante: I mangiatori di patate, che presenta una famiglia contadina seduta a un’umile cena. Vincent narra senza idealizzare la prostrazione e la fatica dovuta all’onesto lavoro che solca i volti espressivi, sofferenti e quasi animaleschi dei commensali. Una luce smorzata disegna i volumi nella stanza angusta. Vincent rivela da subito uno degli aspetti fondamentali della sua pittura, il debito con la pittura romantica di impegno sociale di Honoré Daumier e soprattutto di Jean-François Millet, che dipingeva nei toni bruni della terra opere di soggetto contadino, con un fremito di adesione morale. La tavolozza ripropone il luminismo della Scuola dell’Aja, soprattutto di Josef Israёls (1824-1911), che due anni prima aveva dipinto un soggetto analogo (Famiglia di operai a tavola, 1883).

Pittura d’avanguardia

All’inizio del 1886 lascia il Brabante per iscriversi alla Accademia di Belle Arti di Anversa, ma già in marzo abbandona definitivamente il Nord per Parigi dove, da più di un decennio, Edgar Degas, Camille Pissarro e Claude Monet sono le stelle polari dell’arte innovatrice. I colori luminosi dell’impressionismo sono ormai entrati nel gusto, van Gogh percepisce di colpo il ritardo della sua pittura a base di nero. Si mette così al lavoro sui colori. Discute con Émile Bernard, Henri de Toulouse-Lautrec, Pissaro e Paul Gauguin la nuova pittura di Georges Seurat, che aveva dominato la mostra impressionista del 1886. Vincent rigenera così la sua pittura con un bagno nella nuova tecnica che si fonda sulla giustapposizione di colori puri stesi sulla tela (e non sulla tavolozza) e si ritira a dipingere nel sobborgo di Asnières con PaulSignac, paladino di Seurat.

Il periodo parigino è una seconda fase di formazione, a contatto con gli artisti più progressisti, per ottenere un nuovo controllo sul colore e sui generi, in una direzione che porterà in pochi mesi a Il ritratto di Père Tanguy , un mercante sui generis, dalle idee socialiste (con un passato nella Comune del 1871) con grande attenzione verso gli artisti più audaci, Paul Cézanne, Gauguin, Émile Bernard, dei quali conserva una piccola galleria nel retrobottega.

Minute pennellate impressioniste evidenziano sul volto e negli abiti i punti di volume e le luci secondo le intuizioni della pittura di Seurat. Il fondo della composizione è gestito senza illusioni di spazio, il contorno marcato della giacca, il contrasto smagliante delle campiture sul fondo ricalca pattern e tinte brillanti di xilografie giapponesi, di grande attualità a Parigi in quegli anni. Ma il tecnicismo di Seurat e Signac non è un punto di arrivo per Vincent, che cerca una pittura in cui gli aspetti decorativi si leghino a una nuova espressività, in grado di muovere lo spirito dell’osservatore. Pochi mesi dopo, nel febbraio 1888 egli si trasferisce ad Arles, persuaso che al Sud potrà migliorare la padronanza del colore.

“Luce sulla luce”

Già ai primi di giugno del 1888, l’ispirazione di Vincent subisce un’accelerazione. Dopo un soggiorno sulla costa della Camargue, a Saintes-Maries-de-la-Mer (Barche di pescatori, conservato al Museo Pushkin di Mosca) rivela uno sguardo nuovo e un linguaggio più personale. L’intensità del mediterraneo lo spinge a forzare il colore, che ora stende a pennellate larghe. Abbandona la preparazione a disegno e la prospettiva diventa più libera. Progetta cicli di dipinti sull’alternarsi delle stagioni. La luce della Provenza inonda i campi di grano, che van Gogh dipinge en plein air nel sole di giugno. Esegue più di quindici tra disegni e dipinti sul tema della mietitura e ritorna ai soggetti di vita dei campi, per la prima volta dopo aver lasciato il Nord. Dipinge l’estate provenzale, guardando alle sfumature ramate delle Mietiture di Cézanne, racconta gli spazi a perdita d’occhio della pianura della Crau (fuori Arles): il cielo blu contro l’arancio dorato del grano, nel contrasto delle coppie complementari (blu e arancio, giallo e viola, rosso e verde), eredità della pratica neoimpressionista. Nelle azioni ripetitive dei mietitori condensa una metafora quasi religiosa del ciclico ripetersi della natura e delle stagioni.

Già a Parigi aveva studiato la qualità espressiva del colore diversamente sfumato in Natura morta con frutta dedicata al fratello Theo (Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh), combinata sulle variazioni del giallo. Natura morta con girasoli (agosto-settembre 1888) è l’esito di quella tecnica che van Gogh definisce della “luce sulla luce”. Conquistata una libertà nuova, aggiunge tocchi di verde e d’azzurro, che danno conto della disposizione degli elementi e della loro diversa reazione alla luce. Riassume in un capolavoro le pennellate grosse del suo nuovo stile provenzale e le forme chiuse delle stampe giapponesi. Fin dai tempi di Anversa, Vincent colleziona xilografie giapponesi, amando soprattutto la purezza delle campiture piatte di Ando Hiroshige. Nel marzo 1887 a Parigi, ha addirittura promosso una esposizione al ristorante Le Tambourin di boulevard de Clichy. Le stampe dalle sagome marcate, dalle giustapposizioni ardite sono un tema ricorrente nelle discussioni con Gauguin e gli amici dell’avanguardia. Il lontano Giappone, nell’immaginario degli artisti parigini, è un eden di moralità e di purezza di forme e colori. Vincent sente di aver trovato ad Arles quella stessa genuinità estetica. In Natura morta con girasoli marca i contorni tendendo a un’astrazione più giapponese. I girasoli, e il colore giallo, diventeranno quasi la firma di van Gogh, che elabora il simbolismo cristiano del fiore, largamente diffuso nell’Ottocento. Entusiasta dell’effetto, escogiterà diverse soluzioni per i vasi di girasoli, “candelabri luminosi”, segno di gratitudine alla natura incandescente della Provenza.

Verde e rosso

Van Gogh continua la ricerca sulla forza espressiva del colore e traduce in potenza cromatica anche i temi angoscianti. In tre sedute notturne nel settembre 1888 esegue Il caffé di notte. È una metafora vicina ai temi del romanzo francese naturalista, soprattutto di Émile Zola (L’Assommoir, 1877). Nelle lettere, van Gogh esprime il desiderio di dipingere con la crudezza e il realismo di quei romanzi. Il caffé di notte è un’arena di alcolismo, azzardo, prostituzione, abitata da larve umane senza speranza. Il rosso delle pareti chiude lo sguardo entro una prospettiva schiacciata da un soffitto incombente.

Ancora sul verde e sul rosso è impostato il magnifico Autoritratto con l’orecchio bendato e la pipa(gennaio 1889), eseguito allo specchio. Vi si legge una sofferenza colma di rassegnazione che registra lo stato d’animo di Vincent dopo il fallimento del progetto dell’Atelier du Midi (tra il 23 ottobre e il 25 dicembre 1888, infatti, nella casa di Vincent ad Arles, aveva preso forma, grazie all’aiuto di Gauguin, uno dei sogni artistici leggendari dell’arte moderna: un cenacolo di vita e pittura lungo tre mesi di confronto creativo). La benda protegge la ferita che si è inflitto da solo nella grave crisi psichica, culminata con la partenza di Gauguin da Arles. Da quel momento il male di vivere sempre più atroce scandirà i giorni del pittore. Quattro mesi dopo viene ricoverato a Saint-Rémy-de-Provence nell’ospedale di Saint-Paul-de-Mausole.

Ricordi del Nord

A Saint-Rémy, nei momenti di salute, maturano i frutti migliori del cenacolo di Arles. Nei tre mesi passati insieme a Gauguin, van Gogh esamina la propria pittura alla luce del modo di lavorare dell’amico, fatto di forme più astratte e stilizzate in studio. Nei primi tempi di Saint-Rémy, van Gogh rielabora i metodi di Gauguin e punta verso una pittura di linee e forme più marcate. Tra le opere di massima tangenza con Gauguin, Notte stellata (conservato al MoMa di New York) è una celebre astrazione antinaturalista della notte, dove riflessi e bagliori luminosi degli astri si fissano in pennellate quasi grafiche, in spirali nel cielo sopra le sagome stilizzate dei tetti e dell’orizzonte. Il dialogo con l’avanguardia parigina prosegue anche sul versante del soggetto oltre che dello stile.

Ad Arles viene affrontato il problema della interpretazione moderna di temi biblici. Gauguin dipinge Cristo nell’orto di Gethsemani e l’8 novembre 1889 manda uno schizzo per lettera a Vincent, che poco dopo vede anche una fotografia della versione eseguita da Émile Bernard. Van Gogh ha affrontato il tema del Gethsemani in due tele che egli stesso distrugge. Negli ultimi mesi studia le opere di Rembrandt, La pietà di Eugène Delacroix, , Cristo nell’orto (1849) di Jean-Baptiste-Camille Corot. Nello stesso periodo esegue anche una serie di cinque dipinti di ulivi (le Donne che raccolgono le olive di Washington e il Bosco di ulivi, giugno-luglio 1889) nella osservazione sempre più acuta delle gamme argentate di Corot.

Nell’ultimo anno di vita, lascia la casa di cura di Saint-Rémy e il Sud per sempre. Dal maggio 1890 vive a Auvers-sur-Oise (a nord-ovest di Parigi) dove frequenta la casa di un medico amico degli impressionisti, il dottor Paul Gachet. Il ritratto che van Gogh eseguirà di lui conoscerà una immensa fortuna nel XX secolo, diventando una delle metafore più penetranti del sentimento della malinconia. Ma la somma delle energie di Vincent, ancora a Auvers, è tesa a dipingere la natura. Studia i paesaggi dei maestri di Barbizon, di Charles-François Daubigny. Riscopre l’estro romantico e i contrasti luminosi della pittura di Jules Dupré che dieci anni prima nel Brabante gli aveva ispirato il tramonto di La Chaumière (maggio 1885). Sull’onda di questo ritorno alla natura esegue dipinti di grande fascino, senza figure, come Campo di grano sotto un cielo nuvoloso (luglio 1890). Nel lungo formato (50 × 100 cm), un cielo cobalto ingombra i due terzi della superficie e incombe sul verde del grano. Quasi astratto, a pennellate larghe, evoca una infinita solitudine spirituale.

Il 29 luglio 1890 la vita di Vincent van Gogh si chiude drammaticamente. La sua fortuna cambia di segno già nei primi anni Novanta. Dopo l’articolo del gennaio 1890 del critico Gabriel-Albert Aurier (Les Isolés: Vincent van Gogh sul “Mercure de France”), il mondo artistico parigino scopre van Gogh. Il favore cresce dopo la mostra personale curata da Theo e Bernard (settembre-dicembre 1890) e ancora di più, dopo le mostre del 1891 a Bruxelles (a febbraio, “Les Vingt”) e al “Salon des Indépendents” parigino. Negli anni seguenti la figura di van Gogh sarà decisiva per l’evoluzione del simbolismo fino alle avanguardie del Novecento. Grazie all’epistolario, letterati di grande livello come Antonin Artaud e Georges Bataille hanno animato il dibattito novecentesco sulle interferenze di arte, società e follia nella vicenda di van Gogh, che si innalza tra le figure di culto dell’arte moderna.

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