MINNELLI, Vincente

Enciclopedia del Cinema (2004)

Minnelli, Vincente (propr. Lester Anthony)

Marco Pistoia

Regista cinematografico statunitense, nato a Chicago il 28 febbraio 1903 e morto a Los Angeles il 25 luglio 1986. Fra i più importanti registi della Hollywood 'classica', fu un maestro soprattutto nel dirigere musical di grande eleganza e spessore visivo, vere e proprie riflessioni sul mondo dello spettacolo, e intensi e aspri melodrammi familiari, ovvero i due generi che in prevalenza compongono la sua filmografia. In particolare con il melodramma M. ha sviluppato una sorta di commedia umana, composta da padri autoritari e da figure di derelitti e sconfitti. Tanto che dall'ideale combinazione dei registri brillanti e drammatici si ricava una configurazione a tutto tondo del lato spensierato e di quello amaro della vita. Nel 1959 ricevette l'Oscar come miglior regista per Gigi (1958).

Figlio di un direttore d'orchestra di origine italiana, Vincent Minnelli, e di un'attrice di origine francese, M. esordì a soli tre anni e mezzo nella compagnia del padre, il Minnelli Brothers Dramatic & Tent Show. Nel 1925 la famiglia si trasferì a Delaware e M., terminati gli studi, iniziò a lavorare in campo pubblicitario, frequentando nel frattempo il Chicago Art Institute. Indirizzatosi verso il mondo dello spettacolo, prima diresse il settore costumi dei teatri Balaban & Katz, quindi lavorò al Paramount Theater di New York. Nel 1933 entrò al Radio City Music Hall come capo costumista, e nel 1935 firmò come direttore artistico, nell'ambito delle Schubert Revues, il primo di tre spettacoli musicali rappresentati a Broadway, At home abroad. Poco dopo la Paramount lo chiamò come direttore di produzione, incarico che abbandonò presto per accettare quello di Arthur Freed alla Metro Goldwyn Mayer. Per alcuni anni M. lavorò con Busby Berkeley in musical interpretati da Judy Garland ‒ che nel 1945 divenne sua moglie ‒ e da Mickey Rooney, finché nel 1943 Freed non lo invitò a dirigere il suo primo film Cabin in the sky (Due cuori in cielo). Tratto da uno spettacolo allestito a Broadway dal grande coreografo George Balanchine, è un musical tutto interpretato da attori e cantanti neri (fra i quali la celebre Ethel Waters e un ancor giovane Louis Armstrong), impegnati nella storia di un peccatore che muore ma è salvato, grazie alla moglie, dalle grinfie di Lucifero. In esso già compaiono alcuni degli stilemi tipici del cinema di M. come i sinuosi ed elaborati movimenti di macchina, nonché la combinazione-confusione del piano onirico e di quello 'reale'.Dopo I dood it (1943; Il signore in marsina) realizzò Meet me in St. Louis (1944; Incontriamoci a Saint Louis), storia assai vivace di una famiglia-tipo americana, gli Smith. Ambientato al tempo dell'Esposizione universale di Saint Louis del 1903, il film è una deliziosa rievocazione d'epoca, che adatta le storie pubblicate sul "The New Yorker" da S. Benson. Il minuzioso realismo ‒ individuabile anche nei costumi di Irene Sharaff ‒ e l'uso del colore si combinano con elementi legati all'artificio e alla finzione, come nel caso dei numeri musicali affidati alla Garland. Artificio e finzione, sogno e realtà, memoria e rievocazione storica, passioni e drammi umani sono elementi ricorrenti nel cinema di M., che seppe alternarli con grande maestria e raffinatezza, anche culturale. In questa prima fase della sua opera è in particolare il mondo dello spettacolo a trionfare in musical già ricchi di notevoli brani: protagonista di Yolanda and the thief (1945; Jolanda e il re della samba), ambientato in uno spazio immaginario dell'America Latina, è un furfante (un perfetto Fred Astaire) che si finge angelo custode di un'ereditiera, salvo poi innamorarsi di lei; Ziegfeld follies (1945), film collettivo di cui tuttavia M. firmò molti brani, è invece un omaggio alla grande tradizione del musical teatrale; in The pirate (1948; Il pirata), tratto da una pièce di S.N. Behrman, Gene Kelly è un attore che si finge un pirata agli occhi di una giovane sognatrice in un susseguirsi di numeri ‒ tra cui il celebre Mack the black ‒ ideati in gran parte dallo stesso Kelly e da M., nonché da Robert Alton. Poco prima M. aveva diretto anche un tenero 'breve incontro' in una New York ricostruita con tale accuratezza da costituire, come voleva lo stesso regista, il terzo personaggio del film (The clock, 1945, L'ora di New York). È questa un'opera non musicale ma sorretta da un alto senso del ritmo e dalla sottolineatura ‒ anch'essa costante nella filmografia di M. ‒ del ruolo del tempo.

Nel 1949 realizzò invece un impegnativo adattamento letterario, Madame Bovary, nel quale l'eroina di Flaubert (interpretata da Jennifer Jones) è raffigurata con notevole complessità e ricchezza di sfumature. Il successivo Father of the bride (1950; Il padre della sposa) è uno dei film più celebri e fortunati di M., che si misurò con una commedia di nuovo non musicale, molto ben calibrata nelle sue complicazioni narrative ed efficace ritratto di un padre (Spencer Tracy) alle prese con le ambiziose nozze della figlia (Elizabeth Taylor). Ma fu nella nuova grande stagione del musical, quella degli anni Cinquanta, che M. offrì alcune delle sue prove più memorabili: An American in Paris (1951; Un americano a Parigi), The band wagon (1953; Spettacolo di varietà), Brigadoon (1954) e Gigi. Tra questi The band wagon costituisce il titolo di maggior rilievo sia in quanto ricco di numeri straordinari affidati all'estro ancora fertile di Fred Astaire e al nuovo astro Cyd Charisse, sia in quanto arguta riflessione sugli stessi meccanismi del musical e, a un tempo, rievocazione della sua tradizione. Ma anche An American in Paris non manca di brani di notevole maestria, con i duetti tra Gene Kelly e Leslie Caron impaginati dentro una serie colta e raffinata di rimandi pittorici, mentre Brigadoon ‒ che è anche il magico villaggio scozzese scoperto dai due protagonisti ‒ evidenzia il lato fiabesco del cinema di M., e Gigi, tratto da Colette e ancora con la Caron, quello sapientemente rievocativo, alla cui riuscita contribuì notevolmente il gusto di Cecil Beaton, ideatore dei costumi.

Tra l'uno e l'altro di questi musical M., in costante vena felice, seppe inserire una notevole riflessione sul mondo del cinema, The bad and the beautiful (1952; Il bruto e la bella), storia di uno spietato tycoon (Kirk Douglas) ‒ più blandamente ripresa, dallo stesso regista, molti anni dopo in Two weeks in another town (1962; Due settimane in un'altra città) ‒, una partecipata analisi delle costrizioni e dei vincoli dell'animo umano attraverso la metafora manicomiale, The cobweb (1955; La tela del ragno), e un intenso ritratto di V. Van Gogh, Lust for life (1956; Brama di vivere), una vera e propria biografia d'artista ricostruita anche attraverso l'esecuzione di alcuni quadri che divengono inquadrature del film. Nell'ambito del melodramma, tra i titoli più significativi spiccano Some came running (1959; Qualcuno verrà) e Home from the hill (1960; A casa dopo l'uragano). Il primo è un dolente e intenso spaccato di vita provinciale, dove la varia umanità che la abita è connotata soprattutto lungo la linea della marginalità (la prostituta, interpretata da Shirley MacLaine) o dell'eccentricità (lo scrittore, interpretato da Frank Sinatra) e dove, dopo un mirabolante finale al luna park, tutti risultano sconfitti. L'altro ‒ una storia di 'doppi', di padri e figli, legittimi e no ‒ è un notevole esempio di mélo familiare e uno spaccato, duro e pieno di pathos, di violenza e autoritarismo (la figura del padre, resa con grande potenza da Robert Mitchum). Autore per più versi legato al gusto e alla cultura europei, che amava, fra gli altri, registi quali Jean Renoir, Max Ophuls e Jean Cocteau, M. seppe ancora offrire, dopo questi appassionanti mélo, saggi del proprio stile e della propria visione del mondo soprattutto con il suo film testamentario, A matter of time (1976; Nina). Preceduto da un'opera girata con poca convinzione, The four horsemen of the Apocalypse (1962; I quattro cavalieri dell'Apocalisse) e da un'altra più ispirata, On a clear day you can see forever (1970; L'amica delle 51/2), ancora un musical nel quale passato (l'Ottocento) e presente idealmente si combinano e si sovrappongono, A matter of time ‒ storia del rapporto tra una giovane diva (interpretata dalla figlia Liza Minnelli) e un'anziana contessa (Ingrid Bergman) ‒ è, a un tempo, riflessione sul destino individuale e sulla logica che sovrintende il nesso, spesso labile, tra verità e menzogna. Ma anche una prepotente affermazione dell'io (in particolare l'ego dell'artista consapevole) a dispetto della sorte e dei vincoli (si pensi, in tal senso, al possibile richiamo all'emblematica figura di Van Gogh). Poco prima di girare questo suo ultimo film, nel 1974, M. pubblicò le proprie memorie dal titolo I remember it well.

Bibliografia

F. Truchaud, Vincente Minnelli, Paris 1966.

M. Vidal, Vincente Minnelli, Paris 1973.

R. Campari, Vincente Minnelli, Firenze 1977.

F. Guérif, Vincente Minnelli, Paris 1984.

Mr. Vincente. Omaggio a Minnelli, a cura di E. Bruno, Montepulciano 1984.

Vincente Minnelli, éd. P. Brion, Paris 1985.

S. Harvey, Directed by Vincente Minnelli, New York 1989.

J. Naremore, The films of Vincente Minnelli, Cambridge-New York 1993.

J.-P. Deloux, Vincente Minnelli: sous le signe du lion, Paris 2000.

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