CAMUCCINI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMUCCINI, Vincenzo

Anna Bovero

Figlio di Giovanni Battista, commerciante in carbone di famiglia ligure, e di Teresa Rotti, nacque a Roma il 22 febbr. 1771. Incoraggiato e materialmente sostenuto dal fratello maggiore Pietro, iniziò il suo tirocinio pittorico nello studio di D. Corvi, stimato maestro e accademico di S. Luca.

Incline agli effetti drammatici dei contrasti di luce e d'ombra, di lontana ascendenza caravaggesca, il Corvi era tuttavia ossequiente alle soluzioni classicheggianti proposte alla pittura del Settecento romano dalla preponderante autorità di Pompeo Batoni; e agli alunni trasmise i modi tipici di quell'accademismo, tutt'altro che dogmatico, come dimostrano gli esiti diversi di un Landi e di un Cades, condiscepoli del Camuccini. Questi, in ogni modo, alieno da nostalgie settecentesche come da umori preromantici, imboccò senza esitare la via del classicismo e temprò la sua cultura non tanto sugli esempi del Batoni, quanto nello studio sistematico dell'antico e del Cinquecento: studio attestato da disegni numerosissimi e anche da qualche dipinto.

A prescindere dal Sacrificio di Noè, esercitazione di scolaro quattordicenne, convien citare, come già significativa dell'interpretazione neoclassica di Raffaello, la copia della Deposizione (1789) eseguita dal C. per lord Bristol (Roma, propr. Camuccini). A fondare teoricamente la cultura del giovane pittore provvedevano, fra il 1780 e l'84, le Opere del Mengs, edite dal D'Azara, gli scritti di F. Milizia e, soprattutto, la Storia delle arti del disegno presso gli antichi del Winckelmann, allora appunto tradotta in italiano; e vi provvedeva anche l'attività instancabile di Ennio Quirino Visconti, con le prime, esemplari illustrazioni del Museo Pio Clementino (1783-1807). Fra i pittori che in quei giorni tenevano il campo, il C. dovette seguire sopra tutti Gavin Hamilton come l'interprete più ortodosso del "bello ideale"; e, nella scia dell'inglese, egli si trovò a dipingere, nel 1790, la scena di Archelao con Paride fanciullo per un soffitto della villa Borghese, rinnovata in quegli anni sotto la direzione dell'Asprucci, e palestra dei giovani artisti romani. Degli anni successivi conserviamo un folto gruppo di schizzi a penna acquerellati (Cantalupo, coll. Camuccini) e alcuni bozzetti (ibid.; Roma, Gall. naz. d'arte moderna; Napoli, Gall. naz. di Capodimonte) a documentare la lunga e complessa elaborazione delle opere che dovevano assicurare al C. l'ammirazione del pubblico e far di lui il protagonista della pittura ufficiale in Roma: la Morte di Virginia (1793-1804) e la Morte di Cesare (1793-1807).

Poco ci dicono oggi le due vaste, scolorite, troppo rilisciate composizioni, esposte a Napoli, nella Galleria nazionale di Capodimonte; ben altrimenti interessanti riescono i bozzetti, rapidi e vivaci nell'estrema semplificazione delle forme, e ancor più i disegni, le "prime idee" che svelano chiaramente le profonde radici culturali del pittore nel classicismo del Seicento romano: poiché alla prospettiva raffaellesca egli non giunge per via diretta, ma per il tramite del Domenichino e del più severo Poussin, così come Guido Reni gli suggerisce l'equilibrio dinamico dei gruppi; i quali, violentemente percossi da luci e ombre obliquamente proiettate, traducono in spettacolo propriamente teatrale quell'eco del naturalismo caravaggesco ancora percettibile in tanta parte del primo Settecento romano. Ne risulta una declamatoria dignità, un'aspirazione a classico rigore, che non diventa (come nel Marat davidiano) eloquente espressione di appassionato impegno ideologico, così come non la sfiora l'inquietudine fantastica dei chiaroscuri preromantici. Quegli schizzi, tecnicamente affascinanti per la bella sicurezza del tratto, riflettono, in sostanza, il clima culturale in cui Vincenzo Monti pochi anni prima aveva elaborato l'Aristodemo e il Caio Gracco.

Il Monti, che era in rapporti personali con il C., abbandonò Roma durante la rivoluzione del 1798; anche il pittore se ne allontanò temporaneamente e, consigliato forse dall'amico P. Benvenuti, se ne andò a completar la propria cultura in Firenze, dove conobbe Luigi Sabatelli. Cozì si compiva quel cerchio di strettissimi rapporti e scambi di esperienze che già si era delineato con l'amicizia fra il C., il Bossi e l'Appiani. Passata la tempesta, il C. rimpatriava, e la sua fama crescente lo faceva accogliere, nel 1802, nell'Accademia di S. Luca, dove resta un suo Ritrovamento di Paride (ilbozzetto, conservato a Londra, propr. sir A. Blunt, è stato esposto nel 1972 alla mostra londinese The Age of Neo-Classicism:vedi catal., n. 40, p. 26). L'anno successivo Pio VII nominò il C. direttore dei mosaici di S. Pietro (Arch. della Rev. Fabbr. di S. Pietro: I piano, serie 3, pacco 14, f. 3171, ed egli fornirà per il transetto della basilica il cartone dell'Incredulità di S. Tommaso (Guattani, I, pp. 36 s.). Principe dell'Accademia di S. Luca dal 1806 (benché non avesse ancora l'età richiesta dallo statuto), il C. era ormai l'incontrastato dittatore della pittura romana. I quadri di soggetto religioso lo dimostrano fedele agli effetti chiaroscurali del suo maestro Corvi (Presentazione al Tempio, 1806, Piacenza, S. Giovanni; G. G. De Rossi, Lettera... baron de Schubart..., s.l. né d.; P. Giordani, Sopra un dipinto..., in Scritti..., I, Milano 1856, pp. 122-132); l'artista appare inoltre brillante, anche se non profondo osservatore, nei numerosi ritratti grandiosamente impostati dei personaggi più in vista nella società e nella cultura: Thorvaldsen, 1808, Roma, Accademia di S. Luca (altra versione a Roma, propr. Di Bagno); il Duca di Blacas, 1819, Cantalupo, collezione Camuccini; l'Autoritratto (è stato distrutto dalla guerra l'Autoritratto più celebre del pittore, ill. in Capitolium, VIII [1932], p. 71, ne esiste un altro, in età matura, incompiuto, nella collezione Camuccini, a Cantalupo), o in altri pittoricamente piacevoli per le tinte prevalentemente chiare e la franchezza del tocco, sì da riuscire di una freschezza insospettabile nelle opere di tono ufficiale: così ritratti dei figli Giovan Battista e Teresa (Cantalupo, coll. Camuccini). Stabilitosi il dominio francese in Roma, piovvero sul pittore onori e ordinazioni. Visitò Monaco e Parigi nell'anno 1810; attorno a questa data dipinse il Tolomeo Filadelfo e il Carlo Magno che convoca i dotti italiani, oggi a Montecitorio, per Carlo IV di Spagna una Deposizione, per l'ex ministro Godoy un Orazio Coclite (Thieme-Becker) e intanto si cimentava onorevolmente con la recente tecnica della litografia (IDioscuri). Fece il ritratto di Maria Luisa di Borbone (Pitti) e per la stessa dipinse Cornelia madre dei Gracchi (Lucca, Pal. ducale); seguirono le Storie di Attilio Regolo per casa Capeletti, a Roma; il Furio Camillo del palazzo reale di Genova; per casa Baglioni a Perugia, nel 1812, l'Ingresso di Malatesta Baglioni IV a Perugia e Astorre II Baglioni riconquista una bandiera (S.Siepi, Descriz. topologico-istorica della città di Perugia, Perugia 1822, II, pp. 642 s., pitture vendute in Francia agli inizi del secolo). Nel 1812-13 il C.con G. Landi fu tra gli artisti scelti da A. Stern per il rinnovo del pal. del Quirinale (D. Ternois, Napoléon et la décorat. du palais..., in Revue de l'art, 1970, 7, pp.68-70). La medesima scolastica compostezza impronta i soggetti classici e quelli tratti dalla storia più recente, in un eclettismo grato agli illustri committenti, mentre, col passar degli anni, si appesantisce il chiaroscuro dei quadri sacri (Giuditta, 1812, Alzano Lombardo, parrocchiale; lo stesso soggetto, 1826, Bergamo, Accademia Carrara). Reintegrato nei suoi domini, Pio VII si fece ritrarre dal C. (Tarquinia, Museo) e il 12 ag. 1814 lo nominò ispettore alla conservazione delle pubbliche pitture in Roma, carica che mantenne con "encomiabile serietà" sino al 1824 (Corbo).

Ferdinando I di Napoli già aveva posato per il C. (Napoli, pal. reale; bozzetto a Roma, propr. Camuccini); Francesco I, sul trono nel 1825, lo nominò direttore dell'Accad. napoletana a Roma e lo incaricò di riordinare la Galleria di Napoli. Nel clima della Restaurazione s'infittiscono, com'è naturale, le ordinazioni di soggetto sacro: dal S.Orso (1821) per il duomo di Ravenna ai SS.Simone e Giuda per S. Pietro. Benché non abbandoni i temi classici (un Congedo di Attilio Regolo, 1824, recentemente adattato come sovrapporta in palazzo Altieri [vedi A. Schiavo, Pal. Altieri, Roma s. d., p. 122]; un Ritrovamento di Romolo e Remo, 1825, Roma, Accademia di S. Luca; un Collatino celebrante la virtù di Lucrezia, 1825, per il conte Apponyi), il pittore fra il 1823, e il '25 s'impegna in una serie di ottantaquattro litografie sui Fatti della vita di Nostro Signor Gesù Cristo:significativa testimonianza dell'"arte sacra" negli anni di papa Leone XII. Pio VIII, appena eletto, volle un ritratto dal C. (1829, Cesena, Pinacoteca), che nominò barone; e l'anno dopo gli affidò il riordinamento della Pinacoteca vaticana. Qui il pittore fece trasportare, fra l'altro, il Platina inginocchiato davanti a Sisto IV di Melozzo da Forlì, dalla basilica dei SS. Apostoli, la Crocifissione di s. Pietro di Guido Reni e la Comunione di s. Girolamo del Domenichino (sostituì gli ultimi due con copie di sua mano sugli altari di S. Pietro in Montorio e S. Girolamo alla Carità). Intanto forniva un Miracolo di S. Francesco da Paola all'omonima chiesa di Napoli (1830-35; tuttora in loco), un S. Agostino e un S.Gregorio a S. Nicola di Catania (1833). Del C. è la lunetta con S. Paolo sollevato al terzo cielo nell'abside della ricostruita basilica ostiense (1840), per la quale già aveva dipinto (1823) una Conversione di s. Paolo, altare del transetto sinistro, e una Assunta (dispersa). Nella collezione degli eredi, a Cantalupo inSabina, si trova ancora una Deposizione, destinata al duomo di Terracina (1841: vedi T. Barberi, Dell'ultimo lavoro del barone V. C., Roma 1845), a cui si possono aggiungere una Madonna del Soccorso in S. Pietro a Montelanico e una Madonna del rifugio a Torri in Sabina. Finché una paralisi, il 19 febbraio del 1842, non gli vietò l'uso dei pennelli, il C. continuò la sua attività di ritrattista (Ilcard. Benedetto Naro Patrizi Montoro, Roma Gall. Spada; Lo scultore G. De Fabris, 1830, Roma, Pontificia Accademia dei Virtuosi al Pantheon). In questo campo oltreché nei disegni, giustamente pregiati dal Cicognara, il C. lasciò il meglio di sé, e la critica recente lo ha avvicinato all'inglese Th. Lawrence per le sue doti di mondana eleganza.

Il C. morì a Roma il 2 sett. 1844.

Nel 1841 il C., che già si era occupato della divisione della collezione Barberini tra i Barberini stessi e gli Sciarra Colonna, fu tra i compilatori del catalogo dei quadri della collezione del cardinale Fesch.

Il figlio Giovanni Battista, con il ricavato (80.000 scudi) della vendita, al duca di Northumberland, della collezione di quadri iniziata da Pietro Camuccini e ampliata dal C., acquistò (1855) il castello di Cantalupo in Sabina; in esso si conservano tuttora, oltre a opere del C., dipinti dell'originaria collezione, autografi, reperti archeologici, armi.

Fonti e Bibl.: Cantalupo in Sabina, Arch. privato Camuccini; oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 482 s., si veda: [G. A. Guattani], Memorie enciclopediche romane…, I (1806), pp. 10, 36 s.; II (1807), pp. 58 s.; III (1808), pp. 99 ss.; Lettere di L. Cicognara a F. Nenci, in Paragone, XV (1964), 177, pp. 67-75; V. Pulli Filotico, Su tre quadri... per Napoli..., Napoli 1841; P. E. Visconti, Notizie intorno la vita e le opere del barone V. E., Roma 1845; A. D'Este, Mem. di A. Canova, Firenze 1864, pp. 438, 448, 452 s.; C. Falconieri, Vita di V. C. ..., Roma 1875; G. Stopiti, C. V., Roma s.d.; F. Pfister, Disegni di V. C., in Boll. d'arte, VIII (1928), pp. 21-30; B. Lupi Manciola, Il pitt. V. C., in Latina Gens, XIII (1935), pp. 148-162 (è descritta anche la coll. Camuccini); E. Lavagnino L'arte moderna, I, Torino 1956, ad Indicem;C. M. Brizio, Ottocento, Novecento, Torino 1962, ad Indicem;A. Ottino Della Chiesa, Il neoclassicismo nella pittura italiana, Milano 1967, p. 92; J. B. Hartmann, La vicenda di una dimora principesca romana (... pal. Torlonia ... ), Roma 1967, ad Ind.;A. M. Corbo, Il restauro delle pitture a Roma dal 1814…, in Commentari, XX (1969), pp. 237-243; F. Ceccopieri Maruffi, V. C. pitt. romano, in Strenna dei romanisti, XXX (1969), pp. 80-83; A. P.Quinsac, Ottocento painting, Columbia Museum of Art, Columbia, S. C., 1972 (catal.), pp. 59 s.; Cultura neoclassica e romantica nella Toscana granducale, Firenze 1972, ad Indicem;S.Pinto, Quadri neoclassici a Lucca..., in Arte illustrata, 1973, 55-56, pp. 393-395; Enc. Ital., VIII, pp. 620 s.

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