CUOCO, Vincenzo

Enciclopedia Italiana (1931)

CUOCO, Vincenzo

Felice Battaglia

Scrittore e uomo politico, nato a Civitacampomarano, nel Molise, il 1 ottobre 1770, morto in Napoli il 14 dicembre 1823. Nel 1787 si recò a Napoli per apprendervi leggi e iniziarsi alla pratica forense, che coltivò senza fortuna e svogliatamente, poiché preferì gli studî letterarî e filosofici, e in ispecie quelli economici, allora in voga. Amico dei più insigni uomini del tempo, entrò in particolare dimestichezza con G. M. Galanti e l'aiutò a raccogliere i materiali per il quarto volume della Descrizione geografica e politica delle Sicilie.

La rivoluzione intanto maturava nei cenacoli stessi degli studiosi frequentati dal C. e presto sommerse anche lui nel suo vortice, sebbene egli facesse fin d'allora ampie ideali riserve sul moto sovvertitore. Entrati nel gennaio 1799 i Francesi a Napoli e proclamata la repubblica, il C. ebbe nel nuovo regime una parte affatto secondaria; tuttavia, avendo contribuito a scoprire la congiura realista dei Baccher, col ritorno dei Borboni gli fu saccheggiata la casa, fu condannato (24 aprile 1800) a venti anni d'esilio e alla confisca del patrimonio. Esule a Marsiglia, ove approdò il 5 maggio, in Savoia, a Parigi, dopo Marengo tornò in Italia, a Milano, ove nel 1801 stampò in tre volumi il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, concepito e in parte steso nelle peregrinazioni, con in appendice i Frammenti di lettere a Vincenzo Russo, scritti durante la repubblica, in cui si criticava storicamente il progetto costituzionale di Mario Pagano, al C. fatto conoscere proprio dal Russo, il noto politico e utopista socialisteggiante della rivoluzione napoletana del 1799.

Il Saggio, più che una storia, è una meditazione sulla storia. La rivoluzione di Napoli è stata un movimento "passivo"; generata da un contraccolpo di eventi estrinseci, non ha saputo inserirsi nei concreti bisogni del popolo, approfondire i motivi storici originali della nazione. Anzi, allontanatasi sempre più da questi, nel nome di un'astratta politica d'universale democratizzazione, di una libertà senza sostanza, ha staccato il popolo, la vera forza delle rivoluzioni, dai patrioti, pochi idealisti impreparati. È un vero processo alla mentalità giacobina francese, che, concepita di pura ragione una forma perfetta di governo, credette possibile imporla a genti che già avevano una storia propria, uno sviluppo secolare autonomo, esigenze peculiari che andavano rispettate.

Reso presto noto, il C. trovò convenevole lavoro e scrisse per incarico le Osservazioni sul dipartimento dell'Agogna (Milano 1802, col nome del citt. L. Lizzoli) e attese alla Statistica della Repubblica italiana a lui affidata dal Melzi (ma lasciata incompiuta). Entrò quindi nel giornalismo ufficiale e, fondato nel 1804 il Giornale italiano, di cui assunse la direzione, agitò in quel foglio, pur nei limiti della politica napoleonica, tutti i problemi contemporanei, per formare uno spirito pubblico base all'unità nazionale.

All'apostolato patriottico del periodo milanese si collega il Platone in Italia, mediocre romanzo storico, nel quale, narrando di un viaggio d'istruzione di un giovane greco Cleobolo e del suo maestro Platone nella Magna Grecia al principio del sec. V di Roma, il C., ripresa la tesi vichiana del De antiquissima Italorum sapientia, si propone di dimostrare come la civiltà italica fu anteriore persino all'ellenica. L'opera va considerata esclusivamente sotto l'aspetto politico, e come tale annunzia nello spirito il Primato del Gioberti.

Ormai celebre, rifiutata una cattedra universitaria a Cracovia, il C., dopo la conquista del Regno fatta da Giuseppe Bonaparte, nel 1806 volle domiciliarsi a Napoli, dove continuò a scrivere nel Corriere di Napoli e nel Monitore delle Due Sicilie, per quanto glielo concedessero le altissime cariche cui fu presto chiamato e che gli furono conservate dal Murat e in parte dai Borboni. L'opera maggiore alla quale attese in quest'ultimo periodo della sua vita è il Rapporto al re G. Murat e Progetto di Decreto per l'ordinamento della Pubblica Istruzione del Regno di Napoli, il quale, benché tragga origine da un incarico speciale del governo, riflette un pensiero maturato attraverso un lungo studio di problemi pedagogici.

Sostenitore preconistico e sincero dell'istruzione popolare e dell'educazione femminile, il C. disegna un ordinamento scolastico in cui, attraverso tre gradi, sublime, medio, elementare, l'attività del docente non sia a priori vincolata, ma s'esplichi in piena libertà; in cui la religione trovi adeguato posto, specie nella formazione della coscienza infantile, senza soffocare l'autonomia dell'indagine scientifica nei gradi superiori del sistema; in cui, respinto ogni dogmatismo intellettualistico, si faccia appello alle vive potenze creative dello spirito. Un ordinamento moderno e ricco, che non ebbe, nella sua integralità, attuazione legislativa.

Ad altri lavori, lasciati in frammenti, attese fino a quando, nel 1815, lo colpì una malattia mentale, che non lo abbandonò più.

Ingegno essenzialmente politico, il C. deriva dal Machiavelli e dal Vico, del quale, peraltro, approfondì le esigenze storicistiche più che non il significato ideale della speculazione, e l'opera del Vico diffuse nel periodo milanese; facendola nota al Monti e al Manzoni e indirettamente al Foscolo, al Di Breme e a molti altri. In definitiva, rappresenta per l'Italia quella posizione storicistica che in parte si fonde con la filosofia antilluministica, posizione in Inghilterra tenuta dal Burke, in Francia dal De Maistre, e dal pensiero controrivoluzionario dell'emigrazione, in Germania dall'idealismo postkantiano e dalla historische Rechtsschule. Ancorché tali movimenti di pensiero il C. possa direttamente o indirettamente aver conosciuti, l'opera sua resta nei limiti della tradizione nazionale, che egli riconquistò alla filosofia ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si ricollegarono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso.

Edizioni: Del Saggio storico la prima edizione, uscita anonima e ora rarissima, è di Milano, dalla Tipografia milanese in Strada nuova, anno IX repubblicano, in tre voll.; la seconda, base di tutte le successive ristampe, è di Milano, Sonzogno, 1806. Ottime quella a cura di F. Nicolini, Bari 1912, e l'altra commentata da N. Cortese, Firenze 1926. Traduzioni: Historischer Versuch über die Revolution in Neapel, aus dem Italienischen übersetz vom B. M. (Mylius?), Berlino 1805, sulla prima ed. it.; Histoire de la révolution de Naples, Parigi 1807, sulla seconda italiana. - Del Platone la prima ed. è di Milano, Nobile e Giegler, 1804-1806, in tre voll. Traduzione: Voyage de Platon en Italie, Parigi 1807. - Del Rapporto sono varie ed., ma la prima critica è quella di G. Gentile, Scritti pedagogici inediti o rari di V. C., Roma 1909, seguita da F. Nicolini e N. Cortese nella ristampa inserita negli Scritti vari, Bari 1924, in due voll., contenenti, oltre al Rapporto, frammenti dispersi, alcuni articoli dal Giornale italiano, il catalogo ragionato della produzione giornalistica.

Bibl.: N. Ruggieri, V. C., Rocca S. Casciano 1903; M. Romano, V. C. politico, storiografo, romanziere e giornalista, Isernia 1904; A. Butti, La fondazione del "Giornale italiano" e i suoi primi redattori (1804-1806), estr. dall'Arch. storico lomb., XXXII (1905), pp. 102-174; G. Gentile, Un discepolo di G. B. Vico: V. C. pedagogista, in Rivista pedagogica, II (1908); pp. 161 segg., 257 segg., e poi raccolto in volume con altri scritti col titolo: V. C., Venezia 1927; P. Hazard, La révolution française et les lettres italiennes (1779-1815), Parigi 1911, p. 218 segg.; G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari 1922, p. 166 segg.; F. Battaglia, L'opera di V. C. e la formazione dello spirito nazionale in Italia, Firenze 1925; N. Cortese, Stato e ideali politici nell'It. merid. nel Settecento e l'esperienza d'una rivoluzione, Bari 1927.

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