MARTINELLI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 71 (2008)

MARTINELLI, Vincenzo

Ombretta Bergomi

Nacque a Bologna il 20 luglio 1737 da Giovan Battista e da Maria Maddalena Menghini. Il 18 genn. 1748 rimase orfano di padre e prese a frequentare lo studio del noto paesaggista bolognese C. Lodi che, privo di prole, lo accolse come un figlio e alla morte gli lasciò in eredità la bottega.

Dotato di buona indole, di ingegno vivace e attitudine per la pittura, il giovane trasse profitto dagli insegnamenti del maestro, divenendo l’esponente più importante del paesaggismo bolognese nella seconda metà del Settecento. Durante la lunga carriera fu sensibile al mutare del sentire artistico, dal tardo barocco al neoclassicismo, rilevabile nell’abbondante produzione, sempre stilisticamente aggiornata e di alta qualità. Dipinse a fresco, a tempera e a olio, su muro e su tela per committenti bolognesi e per collezionisti lombardi, di Roma, Venezia, Parigi, Londra e Pietroburgo. A lui si deve la realizzazione di suggestive «stanze paese» o «boscarecce»: camere dipinte interamente con motivi vegetali. Fu anche un apprezzato scenografo per i teatri e le cerimonie pubbliche, come le nozze di Ferdinando di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla, e Maria Amalia d’Austria, celebrate a Parma nel 1769, e l’arrivo di Napoleone a Bologna, nel 1805. Sovente approntò i Sepolcri del giovedì santo, apparati allestiti per Pasqua in diverse chiese di Bologna da équipes di artisti. Di questi suoi lavori effimeri rimangono alcune incisioni e rari disegni preparatori. Nel 1767 fu aggregato all’Accademia Clementina di Bologna e nel 1778 divenne socio del Veneto Collegio liberale di pittura di Venezia. Dell’istituzione bolognese fu per diversi anni viceprincipe, principe, segretario. In quest’ultima veste, dal 1797, fece parte della commissione addetta al censimento delle opere d’arte da salvare dagli espropri napoleonici.

Il M. iniziò l’attività pubblica nel 1759 allestendo il Sepolcro in S. Francesco e dipingendo gli ornati intorno alle figure di S. Francesco e della Sacra Famiglia di A. Bigari, di lato alla cappella dell’infermeria nel convento dell’Osservanza, ora perduti. In quell’anno, inoltre, si iscrisse ai corsi dell’Accademia Clementina di Bologna, che frequentò sino al 1763. Sempre all’Osservanza, nel 1760, dipinse la Veduta di un luogo desertico con palme nella cappella ai piedi del campanile della chiesa, ora scialbata (Corna). Ancora nel 1760 approntò il Sepolcro nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano. Nel 1762 realizzò il Sepolcro in S. Maria dei Servi ed eseguì per la villa la Sampiera sia le cinque soprapporte con Paesaggi, già riferite a Lodi e ora restituite al M., sia i cinque grandi Paesaggi dipinti nel 1764.

I dieci quadri per la Sampiera, oggi nelle collezioni della Cassa di risparmio in Bologna, sono vicini ai modi di Lodi ma con intonazioni meno rococò, una maggiore adesione al vero e un più accentuato contrasto luministico, caratteristiche che appunto connotano lo stile dell’artista. Il M. si differenziò decisamente dal fare del maestro nella Veduta di Bologna e S. Petronio, con figura di A. Crespi, eseguita nel 1766 per la cappella della Sampiera, oggi in collezione privata a Bologna, che presenta un paesaggio collinare con alberi nodosi e tozzi rilevati dalla luce radente e disposti secondo precisi piani prospettici, scanditi da dossi scoscesi e da sentieri sinuosi. In uno stile analogo, ricco di pathos, sono realizzati i due Paesaggi privi di figure della collezione Hercolani e i due quadri di soggetto mitologico della Pinacoteca nazionale di Bologna (inv. nn. 383-385), che dovrebbero risalire allo stesso periodo della sua attività. Solo in un momento successivo il M. dette corso a decorazioni di più ampio respiro, con vedute ariose costruite secondo uno studiato impianto scenografico: con alberi e casolari che fanno da quinta a paesaggi animati da vivaci macchiette eseguite da abili figuristi come A. Scartabelli, A. Beccadelli, N. Bertuzzi, F. Dalla Casa, E. Manfredi, G. Barbieri, G.C. Pedretti, D. e F. Pedrini, A. e G. Bigari, P. Fancelli.

Intorno al 1770 il M. accordava la tavolozza sul tipico verde bolognese, come nei Paesaggi per il casino Marsigli agli Alemanni, oggi in collezione privata a Bologna, e nelle tempere tuttora in palazzo Zacchia Rondanini, del 1773 circa; poi l’arricchì di tonalità chiare e sfumate, ispirate alla contemporanea pittura veneta. Per i soggetti prese spunto dall’ambiente circostante e dal materiale grafico presente in città. Nel 1773 J. Bruce aveva portato i disegni delle antichità romane d’Africa e d’Asia, realizzati da L. Balugani (oggi nelle collezioni reali di Windsor), fogli su cui il M. intervenne delineando brani di paesaggio; così come, nel 1776, W. Hamilton aveva fatto conoscere i disegni con le vedute del Regno di Napoli, che sembrano aver ispirato le tre grandi tempere del M. di casa Miliani, provenienti dalla villa Malvasia a Belpoggio, dai toni leggeri e varietà di effetti.

Appartengono a questo periodo i due ovali già in casa Gini, inseriti in cornici Luigi XVI (circa 1774), i due ariosi Paesaggi del 1775 dipinti su muro in una stanza del palazzo Monte del matrimonio e il Paesaggio con accampamento di zingari della Pinacoteca nazionale di Bologna. Si fanno risalire agli stessi anni la «stanza paese» nella villa Comelli a Calamosco, con una veduta della campagna sino alle propaggini dell’Appennino, e i due Paesaggi ovali su muro, nella camera adiacente.

Già nel 1780 il M. virava la tavolozza su colori meno variati, pur mantenendo la maniera larga, grandiosa e pronta, che tanto piaceva ai committenti, come nei Fatti di Mosè, con figure di Pedrini, del 1782, nella sala consigliare del Monte del matrimonio, in alcune tele già in collezione Boschi, e in altre opere segnalate dalle fonti, oggi in parte disperse o scialbate.

Lavorò a lungo come scenografo: al teatro Pubblico di Bologna eseguì le scene dell’Orfeo ed Euridice rappresentato il 19 maggio 1771, di Aristo e Temira nella primavera dello stesso anno, della Finta giardiniera il 21 maggio 1776, dell’Avaro nel giugno dello stesso anno, dell’Alceste il 9 maggio 1778, dell’Apelle e Campaspe il 24 maggio 1795; approntò, inoltre, al teatro Formagliari di Bologna le scene delle Pazzie di Orlando rappresentato nel 1773. Quanto ai Sepolcri, dal 1765 li allestì in S. Giovanni in Monte, in S. Maria della Grada (1766), in S. Niccolò di via S. Felice (1768), in S. Biagio (1769), al Ss. Crocifisso del Cestello (1771), in S. Giovanni Battista dei Celestini (1771), in S. Carlo (1773), ai Servi (1773), in S. Maria della Carità (1774), nella chiesa della Compagnia di Gesù (1774), in S. Domenico (1775), in S. Francesco (1779), in S. Maria delle Muratelle (1782), in s. Salvatore (1784), e in S. Maria Maddalena la sua parrocchia(1785), dove nel 1786 lavorò al grandioso apparato per il funerale del parroco. Successivamente approntò i Sepolcri in S. Colombano (1788) e in S. Maria della Pietà (1792).

Nel frattempo si era sposato con Anna Maria Caterina Foschi nella chiesa di S. Martino, il 22 ott. 1768; da questa ebbe un solo figlio, Ignazio, promettente paesaggista, nato il 19 ag. 1770 e morto prematuramente il 22 maggio 1792. Rimasto vedovo l’8 febbr. 1793, il M. si dedicò con rinnovato impegno al lavoro.

In questi anni portò a compimento nel palazzo Pallavicini il soffitto di una camera con l’allegoria del Commercio di Pedrini (1793) e due soprapporte (1795) ancora in loco; per i Bianchetti, un ovale con Paesaggio (1793) ancora di proprietà della famiglia; le tempere della villa Vecchietti a Mezzaratta, oggi in collezione privata, e quelle di casa Paleotti, poi passate ai Masini (1796 circa) e oggi in collezione privata; i quadri per la villa La Quiete di Mezzana (1797 circa), dispersi; sette tele per il palazzo Hercolani, oggi nella villa Hercolani di Bologna (1797 circa); alcune Vedute esotiche, un Paesaggio campestre e una Marina dipinti su muro in un appartamento del palazzo Lambertini (1798 circa). Risalgono a quegli anni anche diverse «stanze paese» che si sono conservate nell’appartamento del legato del palazzo comunale, nel palazzo Aldini Sanguinetti e nella villa Neri di Pontecchio.

A partire dagli anni Novanta il M. spesso rappresentò nei quadri il mutare delle stagioni, lo scorrere della vita in villa e alcuni avvenimenti eccezionali per i Bolognesi.

Nel cortile di casa Cospi Ballantini, nel 1791, dipinse una Mietitura, oggi scialbata; in una tela già in collezione Boschi raffigurò l’Incendio del casolare, evento occorso nel 1792 alla famiglia; in opere tuttora in collezione Weiss e in alcune della villa Gnudi Pallavicini (quattro sono nelle collezioni della Cassa di risparmio in Bologna, e altre disperse) fissò momenti dei pomeriggi in villa; nel quadro con La grande quercia, già nella collezione Masini (1796 circa), ritrasse un soldato napoleonico che riposa. Altri lavori presentano Vedute di fortificazioni, cascinali e chiese del territorio extraurbano con carrozze e viandanti affaccendati e grotte abitate da frati eremiti.

Nell’ultimo periodo di attività, poi, preferì tonalità scure e sorde, come nelle tempere della villa Cavallina del 1804 (disperse), di palazzo Grassi (ora nella Pinacoteca nazionale di Bologna) e di palazzo Fava Simonetti (1806 circa), in seguito portate nella villa Hercolani di Osimo.

Il M. morì il 23 apr. 1807 a Bologna nella casa in cui aveva trascorso l’intera vita.

Il giorno seguente venne sepolto nel chiostro della cappella del cimitero della certosa a spese della Municipalità; il monumento, significativo esempio di tomba dipinta, fu realizzato dai più cari collaboratori: L. Busatti, G. e P. Fancelli. Il successivo 27 aprile fu aperto il suo testamento depositato presso il notaio F.G. Masini.

Il M. fu pittore ricercato dall’élite bolognese che rinnovava le decorazioni nei palazzi e nelle ville, e per dar corso agli impegni assunti si avvalse di giovani collaboratori. Creò perciò una scuola di pittori valenti che sarebbero diventati gli esponenti più qualificati del paesaggismo bolognese nel primo Ottocento. A loro insegnò a trasporre nei quadri la natura mediata da una visione arcadica e trasmise l’esperienza maturata nell’allestimento dei Sepolcri del giovedì santo e come scenografo teatrale.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Ufficio del Registro, Copia degli atti notarili, 810, cc. 79-82; 1657, c. 389; Ufficio del Registro, Atti giudiziari e Demanio, 2-6479 (Compagnia di S. Maria della Grada), cc. 223-226; Malvezzi Lupari, 42, I (19 ott. 1790); Malvezzi de’ Medici, cart. 147, n. 1, [add.]; Bianchetti-Monti, Bianchetti, 258, nn. 159, 451, 259; Pallavicini, Conti fatture e spese, LXXII (1793), 42; LXXIX (1795), 92; Registri di contabilità, 140, c. 72v; 141, c. 49v; 214, c. 7v; Notarile, Notaio F.G. Masini, 5-18, n. 305; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Carrati, Battesimi, B.875, c. 200 (21 luglio 1737); B.878, c. 140 (20 ag. 1770); Mss. Gualandi, 2377, cc. 215, 255 (22 ott. 1768); Mss., B.3978: Le pazzie di Orlando; Mss. Gozzadini, 270, c. 167 (31 marzo 1775); Ibid., Chiesa della Maddalena, Archivio parrocchiale, Liber mortuorum, 6, anni 1722-57 (18 genn. 1748); 7, anni 1758-94 (22 maggio 1792; 8 febbr. 1793); C. Ricci, Teatri di Bologna, Bologna 1888, pp. 84, 171, 625 s.; A. Corna, Storia ed arte nel convento e nella chiesa dell’Osservanza (S. Paolo in Monte) presso Bologna, in Il Comune di Bologna, XI (1933), 7, p. 60; A. Emiliani, La Pinacoteca nazionale di Bologna, Bologna 1967, pp. 20, 415; G. Cuppini - A.M. Matteucci, Le ville del Bolognese, Bologna 1969, ad ind.; Le collezioni d’arte della Cassa di risparmio in Bologna, I, I dipinti, a cura di F. Varignana, Bologna 1972, pp. 397 s.; II, I disegni, a cura di A. Emiliani, ibid. 1973, p. 267; O. Bergomi, in L’arte del Settecento emiliano. Architettura, scenografia, pittura di paesaggio (catal.), Bologna 1980, pp. 340-344; M. Maragi, Il Monte del matrimonio in Bologna. 1583-1983, Bologna 1983, p. 77; F. Farneti, I maestri dell’Accademia Clementina, in Atti e memorie dell’Acc. Clementina, n.s., XXIII (1988), pp. 124-127, 129, 131; O. Bergomi, Prospero Pesci e V. M., in Francesco Fontanesi 1751-1759 (catal., Reggio Emilia), a cura di M. Pigozzi, Bologna 1988, pp. 193-210; Id., Pietro Fancelli e Filippo Pedrini, figuristi nei «paesi» di V. M., in Il Carrobbio, XIV (1988), pp. 19-28; Id., in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, pp. 785 s.; La pittura bolognese del Settecento, a cura di A. Cera, Milano 1994, ad ind.; A.M. Matteucci, I decoratori di formazione bolognese tra Sette e Ottocento. Da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, Milano 2002, ad ind.; O. Bergomi, Le tempere della «Sampiera» da Carlo Lodi a V. M., una restituzione dovuta, in Arti a confronto. Studi in onore di A.M. Matteucci, a cura di D. Lenzi, Bologna 2004, pp. 359-364; Id., in La pittura di paesaggio in Italia. Il Settecento, Milano 2005, pp. 256-258; Le collezioni d’arte della Cassa di risparmio in Bologna e della Banca popolare dell’Adriatico, a cura di A. Coliva, Milano 2005, pp. 156-161, 309; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 165 s.