SANGERMANO, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SANGERMANO, Vincenzo

Francesco Surdich

– Nacque ad Arpino il 22 aprile 1758.

A quindici anni entrò nel collegio dei barnabiti di S. Carlo di Arpino, da dove passò a quello di S. Carlo alle Mortelle di Napoli, nel quale, a partire dal 1774, svolse il noviziato, dimostrandosi assai versatile in filosofia, matematica e trigonometria; avrebbe poi insegnato retorica.

Su sua richiesta venne scelto, assieme al confratello Giuseppe D’Amato, compagno di studi e di dispute intellettuali, per recarsi a svolgere l’attività di evangelizzazione nei regni di Ava e di Pegu, in Birmania. Partiti da Livorno nel marzo del 1782 sulla grande nave austriaca Conte di Koloward, dopo un lungo viaggio reso difficoltoso dalle tempeste nelle quali si imbatterono all’altezza del Capo di Buona Speranza e dalla scarsità di acqua a bordo, i due missionari, dopo aver atteso la stagione favorevole a Malacca, giunsero a Rangoon nel luglio del 1783 su una nave a due alberi. A Sangermano venne assegnata Ava, anche se dopo il rientro in Italia di padre Gaetano Maria Mantegazza venne trasferito anche lui a Rangoon, che stava conoscendo una situazione politica delicata e turbolenta dopo l’ascesa al trono di Bodawpaya.

Oltre a dedicarsi allo studio della lingua birmana, a Rangoon, dove fece erigere un ospedale e diversi luoghi di ricovero per poveri e malati, Sangermano si occupò del collegio, che poteva ospitare fino a settanta alunni e sorgeva presso la chiesa di S. Giovanni Battista, dedicandosi personalmente all’insegnamento di grammatica, retorica, filosofia, nautica e matematica nelle scuole superiori. Si rivelò anche un abile cartografo, disegnando fra l’altro una mappa molto precisa del porto di Rangoon, che gli valse una pensione a vita della British East India Company.

Il 1° ottobre 1806 decise di rientrare in Italia per far presente la situazione precaria della missione, dovuta alla scarsità di missionari e all’incertezza della situazione politica. Toccati Calcutta e il Brasile sbarcò a Lisbona, da dove, a causa di un blocco imposto al porto per le turbolenze interne, proseguì via terra attraverso la Spagna, la Francia e l’Italia, giungendo a Roma nella primavera del 1808. Designato responsabile della casa del suo Ordine ad Arpino, riprese la stesura della Relazione del Regno Barmano, già iniziata a Rangoon.

Morì ad Arpino il 28 luglio 1819, quando si stava preparando a tornare nuovamente in Birmania.

Opere. La sua fama e la sua importanza derivano soprattutto dalla Relazione del Regno Barmano, edita a Roma nel 1833 a cura di Francesco Galazzi, di cui nell’Archivio storico dei barnabiti di Roma si conservano le schede per la biografia di Sangermano (nel 1885 venne pubblicata a Rangoon anche un’edizione inglese che sarebbe stata utilizzata da tutti gli ufficiali governativi e dagli studiosi della storia e civiltà birmana).

L’opera inizia con la presentazione della struttura e delle caratteristiche geografiche della Birmania, di cui sono elencati e descritti i regni, nonché la loro origine, sulla base del Maharazaven, ossia la «grande Istoria, o Annali dei Rè». Propone poi un’ampia traduzione della cosmografia birmana, tratta dal libro che lo zaradò, il gran maestro del re e sommo capo spirituale dei talapoini, i sacerdoti locali, redasse per il fratello del re Badonsachen, precisando che «in tutto quello che si dice delle superstizioni barmane, astrologia giudiziaria, religione, regole e costituzioni de’ Talapuini, e prediche di Godama non si sono seguite favole, ed opinioni popolari, ma soltanto quello che si è trovato scritto ne’ loro libri classici scritturali, chiamati Kiah» (p. 170): gli astronomi e astrologi birmani erano bramini provenienti dalla costa del Coromandel e di Ceylon e sapevano che la rivoluzione del Sole sopra l’eclittica si compieva in 365 giorni e un quarto circa, ma, dividendo l’anno in mesi lunari alternativamente di 29 e 30 giorni, poiché 12 lunazioni fanno un anno solare, ogni terzo anno se ne aggiungeva uno in più.

Dedica anche un capitolo alle malattie e ai loro rimedi, precisando che i birmani non si basavano sui principi dell’anatomia, né su quelli della meccanica, per cui gli unici rimedi per qualsiasi malattia erano radici e scorze di albero. La mancata guarigione veniva imputata esclusivamente a qualche spirito maligno o ai malefici delle streghe, come attestavano pure altri missionari, anche se Sangermano tendeva ad attribuirla all’eccesso di medicine: a suo parere, l’unico rimedio valido si doveva ritenere l’inoculazione contro il vaiolo, pratica introdotta in Birmania dagli arachanesi fatti schiavi dopo la conquista del loro regno. Pur criticando il criterio di diagnosi delle malattie seguito dai birmani e il loro metodo di cura, Sangermano mette in risalto la semplicità dei cibi che, secondo lui, erano in grado di liberarli da molte malattie tipiche degli europei, come l’angina, la podagra, il reumatismo e le malattie infiammatorie dei polmoni.

Oltre a questa importante relazione, che a oggi è stata ristampata in 14 lingue, Sangermano redasse pure un’Altra breve relazione delle missioni di Bengala e della Costa del Coromandel (ms. di 5 cc. che si conserva nell’Archivio storico dei barnabiti di Roma) e un Breve ragguaglio sullo stato della missione di Ava e Pegù nelle Indie Orientali. Data dal P. S. il mese di maggio anno 1808, pubblicato solo in parte in I barnabiti nel IV centenario della fondazione, 1533-1993, Genova 1933, pp. 85-87; oltre a una Carta corografica dell’Impero Barmano e a una Carta idrotopografica del porto della città di Rangoon.

Fonti e Bibl.: Documenti relativi a Sangermano si trovano sia nell’Archivio della casa milanese di S. Barnaba sia nell’Archivio storico della Congregazione di Propaganda Fide, Scritture riferite nei Congressi, Indie Orientali e Cina, voll. 37 e 38 (1782-1787), sia soprattutto nell’Archivio storico dei barnabiti di Roma, V.a.I.1-3, Birmania.

L. Gallo, Storia del cristianesimo nell’impero birmano, Milano 1862; A. Tescari, I missionari italiani in Birmania, Verona 1885; L.M. Levati, Monologia dei Barnabiti, I-XII, Genova 1932-1938; G. Boffito, Biblioteca barnabita illustrata, III, Firenze 1933, pp. 398-404, 415 s.; M. Cristallo, Il P. V. S. barnabita e la sua relazione del Regno Birmano, in I barnabiti, XIV (1933), 3, pp. 52-54; R. Carmignani, Birmania: storia, arte, civiltà, Pisa 1971, pp. 39 s.; ma soprattutto F.M. Lovison, La missione dei chierici regolari di S. Paolo (barnabiti) nei regni di Ava e Pegù (1722-1832), Roma 2014.

TAG

Congregazione di propaganda fide

Capo di buona speranza

Filosofia, matematica

Evangelizzazione

V. sangermano