SCARPETTA, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCARPETTA, Vincenzo

Valentina Venturini

SCARPETTA, Vincenzo. – Nacque a Napoli il 19 giugno 1877, unico figlio dei coniugi Eduardo Scarpetta e Rosa De Filippo.

Trascorse la sua infanzia nella casa paterna insieme alla sorella Maria (figlia del padre e di Francesca Giannetti) e al fratello Domenico concepito dalla madre, Rosa De Filippo, con il re Vittorio Emanuele II, prima del matrimonio con Eduardo Scarpetta.

Attore e autore teatrale, musicista, capocomico, maestro d’attori, è oggi riconosciuto tra i pionieri del cinematografo nel quale lavorò, sin dall’epoca del muto, come attore, autore e regista. Vincenzino (affettuoso diminutivo che gli rimase per tutta la vita) era un enfant prodige: fin da bambino dimostrò inclinazione per la musica (al cui studio Eduardo Scarpetta avviò tutti i suoi figli) tanto che a sei anni tenne un concerto pubblico (un assolo per pianoforte) al teatro del Fondo (1883). Aveva una vocina così intonata che il padre non poté trattenersi dallo scrivergli delle cavatine, ex post definite ‘macchiette’ (il genere non era ancora nato), che il piccolo eseguiva da solo, dopo la commedia paterna. Fu così che con Li pulicille de Mariantonia esordì al teatro Rossini (1885).

Tre anni dopo il piccolo erede in erba debuttò ufficialmente nella compagnia paterna: era la ‘prima’ di Miseria e nobiltà, opera che il padre scrisse per lui costruendo il Peppeniello di «Vicienzo m’è pate a mme!», il celebre figlioletto di Felice Sciosciammocca (personaggio con il quale esordirono tutti i figli di don Eduardo, compresi i fratelli De Filippo).

Dai dodici ai diciassette anni (1889-94), grande per rappresentare i piccoli e piccolo per rappresentare i grandi, si dedicò alla musica, sviluppando quel talento che gli consentì, poi, di scrivere canzoni e di musicare, oltre alle opere del padre (in particolare le riviste), tutti i propri testi teatrali.

Alle soglie del Novecento, mentre Leopoldo Fregoli trionfava al Salone Margherita, Vincenzo lo imitava al Fiorentini in un atto unico da lui composto, A chiar’ ’e luna, («bozzetto drammatico a trasformazione» tratto da un celebre numero di Fregoli, A guardar la luna) nel quale, interpretando quasi contemporaneamente sei personaggi, cantava da tenore, da baritono e in falsetto, come il grande trasformista. Tra il pubblico la ‘stellissima’ dei varietà parigini, Eugénie Fougère, la quale, entusiasta, gli offrì un contratto per l’Olympia di Parigi, centro del varietà internazionale. Scarpetta la ringraziò costruendo su di lei un’audace parodia. Tutte le sere, finito il suo numero al Margherita, la «sfolgorante Étoile de Paris» correva ad applaudire «la sua incredibile incarnazione fatta da un attore brillantissimo» (Cangiullo, 1938, p. 158).

Parigi era dietro l’angolo. Il padre, nel frattempo, lo aveva assunto stabilmente in compagnia, lasciando alla sua vocazione di trasformista solo lo spazio del ‘numero’ che si rappresentava a conclusione dello spettacolo. Vincenzo era tentato, ma al momento della fuga si sentì mancare il fiato. Il padre sognava in lui la sua continuità teatrale, e lui, che amava il padre e il suo teatro, accettò il suo destino di Sciosciammocca (di cui vestì i panni per la prima volta nella commedia Li nepute de lu sinneco, nel 1896).

Il suo Felice fu però, sin dall’inizio, ‘suo’: un tipo di cui seppe cucire gli abiti sulla sua personalità d’attore, un interprete moderno, elegante, colto, antitradizionalista ed eclettico. Nel 1911 Felice I cedette lo scettro del comando a Felice II e allo Sciosciammocca interpretato secondo il ruolo del ‘mamo’ subentrò quello letto attraverso il ruolo del brillante. Di qui ebbe inizio la seconda stagione scarpettiana, quella dell’affermazione dell’identità e dell’autonomia artistica di Vincenzo che, prese le redini della compagnia paterna, al repertorio ‘di famiglia’ affiancò altri autori (cimentandosi anche nella riduzione in napoletano di capolavori del teatro in lingua quali La maschera e il volto di Luigi Chiarelli che divenne Chello che simmo e chello che parimmo nel 1925 e Liolà di Luigi Pirandello nel 1931) virando, con sempre maggior convinzione, verso la rivista. Con il cognato Mario Mangini (Kokasse) e con la sorella Maria Scarpetta (Mascaria) scrisse alcuni dei capolavori del genere quali Era nuova (1925) e La direttissima Napoli-Roma (1927) che Mascaria e Kokasse rappresentavano al Nuovo di Napoli e che Vincenzo, invece, allestiva a Roma, al Manzoni, dove era scritturato, con la compagnia di famiglia, per la maggior parte della stagione. Nel 1932 Vincenzo decise di deporre le armi di Felice II per dirigere una compagnia a lui più consona, la Molinari del teatro Nuovo che, dopo i clamorosi successi delle riviste scritte da Michele Galdieri (Strade, del 1932 e Il progresso si diverte, del 1933) venne ribattezzata compagnia delle TRE ESSE (Scarpetta, Tecla Scarano, Agostino Salvietti).

Tra il 1940 e il 1941 lo ritroviamo «scritturato illustre» della compagnia di Raffaele Viviani, interprete d’eccezione di Miseria e nobiltà (lui nel ruolo del cuoco Semmolone, Viviani in quello di Sciosciammocca). Capeggiò ancora molte altre e diverse compagnie. Le sue tracce ‘di scena’ arrivano al 1946, sulle sue spalle più di sessant’anni di teatro.

Morì a Napoli il 3 agosto 1952 e tra le sue ultime volontà quella di far esporre la maschera funebre del padre (gelosamente conservata nella sua casa e oggi al teatro San Ferdinando di Napoli) e quella, ancor più significativa, di esser sepolto accanto al genitore, con la testa nella stessa direzione.

Nel 1911 Vincenzo aveva sposato l’attrice figlia d’arte Amelia Bottone, dalla quale ebbe Eduardo, Sisso e Dora, moglie di Vittorio Viviani, figlio del grande Raffaele. Proseguirono nel teatro Mario (1953-2004), figlio di Eduardo, e, per brevi periodi, Dora e poi sua figlia Corallina. A oggi l’unico discendente attore è Eduardo Scarpetta, figlio di Mario.

Opere. La sua produzione teatrale, tra commedie originali e riduzioni da autori francesi e italiani, conta un centinaio di titoli. Tra questi, oltre a quelli citati, ricordiamo: Ddoje gocce d’acqua (1904); Tanta guaje pe’ durmì (1906); La signorina Cochelicò (1907); ’O figlio ’e papà e Il Signor 39, entrambi del 1908; ’O tuono ’e marzo (1911), ripreso poi in televisione da Eduardo De Filippo con Rina Morelli e Paolo Stoppa; La donna è mobile (1918); L’uomo è stabile (1919); Tu mo che faciarrisse? (1925). Affascinato dal nascente cinematografo, nel 1907 firmò un contratto con la Ditta Fratelli Troncone di Napoli, la prima casa cinematografica napoletana, nata nel 1906, poi divenuta Partenope Film, e nel 1910 sperimentò anche la regia con i film Il suonatore di chitarra e Marito distratto e moglie manesca. Seguirono, con Vincenzo attore protagonista: Tutto per mio fratello (1911), Il gallo nel pollaio (1916), Le nozze di Vittoria (1917), Scarpetta e l’americana (1918), Scarpetta vuol fumare e Scarpetta cerca moglie (1920 ca.); ma anche Gli ultimi giorni di Pompeo (1937), La dama bianca (1938), Eravamo sette vedove (1939) e Miseria e nobiltà (1940).

Fonti e Bibl.: G. Longone, Intervista a Maria Di Majo Viviani, Napoli s.d. [1981 ca.], dattiloscritto inedito conservato nell’Archivio privato di Raffaele Viviani.

F. Cangiullo, V. S., in Le novelle del varietà, Napoli 1938, pp. 157-160; N. Leonelli, S. V., in Id., Attori tragici e attori comici, II, Roma 1946, s. IX, p. 351; R. Minervini, I due Scarpetta, in Il Fuidoro. Cronache napoletane, II (1955), n. 3-4, pp. 124-126; V. Viviani, S. V., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, p. 1580; E. De Mura, S. V., in Id., Enciclopedia della canzone napoletana, I, Napoli 1969, pp. 163-164; P. De Filippo, Una famiglia difficile, Napoli 1976; R. Minervini, Vincenzino, in Id., La Napoli di Roberto Minervini, Napoli 1999, pp. 85-87; V. Venturini, “Scritturato illustre”: V. S., in Ead., Raffaele Viviani. La compagnia, Napoli e l’Europa, Roma 2008, pp. 169-174; C.A. Addesso, «Una figura simme, identica, perfetta, chi vede a me adda dicere: Lu figlio de Scarpetta». Per una rivalutazione del profilo artistico di V. S., in Il lato oscuro del teatro, a cura di G. Scognamiglio, Napoli 2012, pp. 137-170; Gli Scarpetta e i De Filippo. Una famiglia d’artisti, a cura di G. Scognamiglio - P. Sabbatino, Napoli 2014; S. V., Teatro, a cura di M.B. Cozzi Scarpetta, I, (1910-1920), Napoli 2015; II, (1900-1910), 2016; Pionieri del cinema napoletano. Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta, a cura di P. Iaccio - M. B. Cozzi Scarpetta, Napoli 2016 (in partic. C.A. Addesso, V. S. «Sciosciammocca in miniatura»?, pp. 5-33).

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