VIOLONCELLO

Enciclopedia Italiana (1937)

VIOLONCELLO

Francesco VATIELLI
Mario CORTI

. Strumento musicale a corde, suonato con l'arco. Apparve dopo diversi anni del violino, alla cui famiglia appartiene, assumendone in proporzione tutte le caratteristiche, la forma e la struttura. Lo dice il nome stesso, che è un accrescitivo di violino o, con più probabilità, un diminutivo di violone. Nella seconda metà del sec. XVII lo si trova anche designato col termine "violoncino". Una raccolta di Sonate di Gaspare Gaspardini del 1683 porta l'indicazione: Sonate a tre: due violini e violoncino con il basso per l'organo. Ma contemporaneamente e anche prima non era infrequente l'uso della parola "violoncello" nelle intitolazioni delle musiche strumentali.

È probabile che il termine "basso di viola", che vediamo ricorrere ancora quando già sono caduti in dimenticanza gli altri membri della famiglia delle viole, rimanesse a designare a tutta prima il vero e proprio violoncello, mentre questo ne assunse l'ufficio quale esecutore della parte del "basso continuo" allo stesso modo che, più tardi, i pianoforti primitivi continuarono a essere designati col vecchio termine di cembali.

I primi modelli del violoncello dovevano essere di maggiori proporzioni che gli attuali, pur avendo modificato quei particolari morfologici che li distinguevano dai bassi di viola, come le fasce più basse e le spalle non spioventi, ma arcuate. Non è improbabile del resto che esistessero esemplari di violoncello, diciamo così, intermedî, che per la diversa proporzione usassero accordature più gravi e più acute, come nel caso delle viole (v. viola).

Il violoncello può essere considerato come il baritono del violino e, analogamente all'antica viola da gamba, era di modello piuttosto grande. Il sonatore, pur tenendolo fra le ginocchia, usava appoggiarlo su un panchetto; solo più tardi fu aggiunto all'estremità un piolo mobile per sostegno.

Come gli strumenti che lo precedettero, viola da gamba, bassetto, ecc., anche il violoncello per molti anni servì di basso al canto nelle funzioni religiose in chiesa e nelle processioni. I rapidi progressi della musica strumentale non tolsero questo strumento dalla funzione di basso e persino J. S. Bach, nella sua doviziosa polifonia, sentì di rado la necessità di sfruttarne le risorse sonore. Ai fattori che hanno ostacolato lo sviluppo del violoncello e della sua letteratura, tardiva e incerta nei confronti di quella del violino, si può aggiungere la tenace ostilità dei cultori della viola. In Italia già detronizzata, sul finire del 1500, dai nuovi strumenti di Gaspare da Salò, di P. Maggini e degli Amati, la viola contava ancora, specialmente in Francia, virtuosi di alto valore e dilettanti in ogni classe sociale.

Allo stato attuale delle ricerche sembra che alla scuola bolognese, ricca nel sec. XVII di musicisti d'ampia ispirazione melodica e di profonda dottrina armonica, si debbano le composizioni e gli esecutori che elevarono il violoncello a dignità di strumento solista.

I primi segni di riscatto del violoncello dalla parte di basso, timidi ma significativi, si riscontrano specialmente nella sonata a sette strumenti di Petronio Franceschini, manoscritto datato dal 1680, nelle Sinfonie a tre, due violini e violoncello con il basso per l'organo di G. B. Borri (Bologna 1688) e, più liberamente espressi, nelle Sinfonie a 2 e a 3 strumenti (due violini e violoncello) con basso continuo per l'organo di G. B. Bassani (Bologna 1688).

Di particolare interesse appaiono le Ricercate sopra il violoncello o clavicembalo scritte attorno al 1680, da G. B. degli Antoni, pregevoli non solo per la svelta struttura dei varî pezzi, ma anche per gli ardimentosi accorgimenti tecnici.

Nello stesso anno, Domenico Gabrielli (1650-1690), che si può ritenere il vero precursore dell'arte violoncellistica, aveva già raggiunto fama di virtuoso. Forse a lui, compositore fecondo, si devono le prime e più notevoli musiche per violoncello solista nelle Due sonate a violoncello con basso continuo in un Libro di ricercari per violoncello solo con un canone per due violoncelli, e in due Arie teatrali con violoncello obbligato.

Nell'ultimo decennio del sec. XVII la scuola bolognese offrì copiosa produzione di sonate a più strumenti nelle quali il violoncello aveva la sua parte ben distinta. Se ne ricordano di G. M. Bononcini, di G. B. Bassani, di A. Laurenti, di B. G. Torelli, di G. Ariosti, autore anche di Divertimenti da camera a violino e a violoncello (le sei sonate per violoncello dell'Ariosti edite dalla Casa Schott sono trascrizioni di A. C. Piatti, tratte da sei lezioni per viola d'amore), ecc. Allo stesso periodo appartengono Giuseppe Tacchini (1670?-1727) e G. B. Bononcini (1672-1755). Il primo, probabile allievo del Gabrielli, ha scritto Sonate per violino e violoncello solo da camera e varie Sonate per più strumenti col violoncello obbligato; il secondo, figlio di Giovanni Maria, raggiunta ben presto alta fama di virtuoso, percorse in lunghe peregrinazioni varî stati d'Europa.

Nelle musiche di entrambi questi maestri il violoncello ha passaggi e atteggiamenti da solista, e specialmente in quelle del Bononcini si trova già manifesta una notevole comprensione delle virtù dello strumento.

Ai bolognesi fecero seguito G. B. Struck detto il Battistin (Firenze 1680-1755) e Giacomo Cervetto (1682-1783), che vissero per molti anni in Inghilterra; Antonio de Pietri, detto Tonelli (Capri, 1686-1765), e il romano G. B. Costanzi (1704-1778), che dedicarono al nuovo strumento appassionata e proficua attività concertistica e pedagogica.

Col solo nome di Francischiello è passato alla storia un violoncellista napoletano, morto a Genova nel 1770, da A. Scarlatti chiamato "l'angelico". A lui si deve l'uso del pollice come capotasto e un'intensa propaganda concertistica svolta specialmente fra i popoli tedeschi.

Al principio del sec. XVIII le più sviluppate possibilità sonore del violoncello ispirarono a Benedetto Marcello due volumi di sonate, a Leonardo Leo i primi sei concerti, a J. S. Bach sei sonate per violoncello solo (l'ultima originale per viola pomposa). Luigi Boccherini (1743-1805), compresa la vera natura squisitamente umana del violoncello, ne studiò tutte le risorse e i mezzi atti a realizzarle, aprendogli così un luminoso e vasto orizzonte che nessuno finora ha potuto più oltre ampliare. Nelle sonate, come nei concerti, la tecnica, al servizio d'una sana e sempre viva ispirazione, raggiunse tale ricchezza d'espressione, da far ritenere ancora oggi la VI Sonata e il Concerto in si bemolle fra i più significativi esemplari di musica violoncellistica. Nel 1770 scrisse i quintetti per due violini, viola e due violoncelli (op. 12), complesso strumentale non prima d'allora usato, nei quali al primo violoncello è affidata una parte di speciale rilievo, sia che accentui la melodiosità dei tempi lenti, o la fresca gaiezza dei tempi allegri.

Dal Boccherini è necessario fare un salto di circa quarant'anni per trovare in piena attività Alfredo Piatti, un'altra grande figura del violoncellismo italiano. Allievo del parmense Vincenzo Merighi (1795-1849) al conservatorio di Milano, il Piatti arricchì la letteratura del suo strumento con preziose revisioni di sonate antiche e con molta musica originale, fra la quale i 12 Capricci, tuttora in grande pregio. Quasi contemporaneamente al Piatti percorreva l'Europa, raccogliendo ovunque calorosi consensi, Gaetano Braga (1829-1907), più abile violoncellista che buon compositore. Il Braga studiò al conservatorio di Napoli con Gaetano Ciaudelli, valente pedagogo, che fu maestro anche a Giuseppe Magrini (1857-1926). Il Magrini succedette a G. Quarenghi, noto per un suo Metodo, al conservatorio di Milano dove insegnò per quarant'anni. Col Ciaudelli studiò anche Ferdinando Forino (1837-1905), che fu il primo insegnante di violoncello del Liceo di Santa Cecilia a Roma, padre e maestro di Luigi, che gli succedette nella stessa cattedra dal 1901 al 1935. Entrambi i Forino hanno dedicato al loro strumento notevoli e numerose pubblicazioni musicali e didattiche. Dall'ottima scuola Magrini discendono Luigi Stefano Giarda (1868), che succedette al Laboccetta al conservatorio di Napoli, Luigi Broglio, che insegnò al conservatorio di Firenze dopo Jefte Sbolci (1833-1895), ed Enrico Mainardi (1897).

L'attuale scuola bolognese - che non ha nessun nesso con quella del sec. XVII - deve la sua alta rinomanza alla feconda attività di Francesco Serato (1843-1919) che, violinista prima, da solo imparò il violoncello. Il Serato insegnò a quel liceo musicale, dopo il Parisini, per ben 45 anni. Si può affermare che la maggior parte delle cattedre di violoncello in Italia siano oggi occupate da suoi allievi e da discendenti dalla sua scuola.

L'appassionata attività dei violoncellisti italiani, che per anni percorsero l'Europa ammirati, attirò l'attenzione e l'interesse al nuovo strumento che in breve volgere di tempo si guadagnò un'immensa schiera di ferventi studiosi. In Francia nel 1727 s'incontrano due fratelli Saint-Sevin, violoncellisti nell'orchestra dell'Opéra, e qualche anno dopo la suadente arte del Francischiello indusse M. Berteau a lasciare per il violoncello la viola da gamba, di cui era autorevolissimo esecutore, e attirò J. Barrière a Roma dove ebbe lezioni dallo stesso Francischiello. Al Berteau e al Barrière si deve l'inizio in Francia d'una vera scuola violoncellistica.

Del Barrère fu allievo Jean Duport (1741-1818) che a sua volta insegnò a suo fratello Louis (1748-1819) artista di grande valore e autore di uno dei più reputati Metodi. Mentre Jean Duport si trasferì a Berlino (chiamato da Federico Guglielmo II), dove iniziò una scuola che divenne presto fiorentissima, il fratello Louis a Parigi insegnò fra gli altri a J. H. Lavasseur e a N. Platel. Dal Levasseur scende A. Franchomme, considerato il capo dell'attuale scuola francese, e dal Platel, che nel 1805 si stabilì a Bruxelles, N. Batta e A. Servais (1807-66) ritenuto il più notevole artista della sua epoca.

La prima grande figura del violoncellismo tedesco è indubbiamente B. Romberg (1767-1841) compositore, esecutore e insegnante. Per opera del suo migliore allievo, F. Dotzauer (1783-1860), del pari fecondo autore di opere didattiche, la sua scuola scende gloriosamente sino ai giorni nostri con F. A. Kummer, Prell, K. Drechsler. Prell insegnò a Georg Goltermann e a Friedrich Grützmacher, autore di una raccolta di complicate difficoltà chiamata Tecnologia. A sua volta il Grützmacher fu maestro a Hugo Becker che usufruì a Londra dei consigli del Piatti. Il Becker (1863), virtuoso e pedagogo illustre, ha pubblicato con D. Rynar, Mechanik und Ästhetik des Violoncellospiels (Vienna 1929).

La permanenza in Inghilterra di Ariosti, Bononcini e Caporali suscitò vivo interesse per il nuovo strumento italiano. Robert Lindley (1777-1855), ritenuto il capo della scuola inglese, studiò con G. Cervetto (1747-1837).

Si è certi della presenza in Russia di violoncellisti italiani sulla metà del sec. XVIII e si fanno i nomi di Gaspare Dall'Oglio e Poliari. È necessario però arrivare al secolo XIX per trovare una figura di grande rilievo, Carlo Davidov (1838-1889) virtuoso e compositore insigne che fu anche direttore del conservatorio di Pietroburgo.

La Boemia ebbe in David Popper (1845-1913) un geniale virtuoso e un fecondo compositore, e la Spagna vanta il più grande esponente del violoncellismo contemporaneo, Pablo Casals (1876), autore di musica da camera e sinfonica, maestro al suo compatriota Gaspar Cassadó i Moreu e all'armeno Dirian Alexanian, al quale ha ispirato L'enseignement du violoncelle, testo di particolare valore.

Nella musica sinfonica, fino all'ultimo Settecento, il violoncello non trova altra funzione che quella di raddoppio del basso. Beethoven ne intuisce e ne esplica tutte le risorse artistiche. Basterà citare il tema dell'Andante della V Sinfonia, esposto dai violoncelli in unisono con le viole e, nella stessa opera, l'inizio dolce e carezzevole dello Scherzo, al quale è contrapposto il trio sbrigliato e tumultuoso, dove i violoncelli suonano in ottava con i contrabbassi.

Ai medesimi strumenti Beethoven ha affidato anche quel formidabile tema dell'ultimo tempo della IX Sinfonia che, nei suoi dinamici sviluppi, canta con cuore fremente tutti gli aspetti della gioia umana. Dopo Beethoven tutti i compositori si sono serviti con personali espressioni delle possibilità del violoncello. Tipico esempio di vibrante lirismo è l'introduzione della sinfonia del Guglielmo Tell di Rossini e di tragico sconforto il tema del Preludio del Tristano e Isotta di Wagner.

Il violoncello trova poi la sua più completa applicazione nella musica da camera e soprattutto nel Quartetto, che ne è l'espressione più omogenea e più pura. In questa forma il violoncello è, dopo il violino, la parte più importante, in quanto rappresenta la base armonica del complesso sonoro. Benché il Boccherini nei suoi quintetti avesse già messo in evidenza la ricca natura dello strumento, Haydn ancora gli affida nei suoi quartetti la sola parte di sostegno armonico, mentre Mozart se ne serve già con ampio respiro melodico. Nel più perfetto modello di dialogo melodico, nei quartetti di Beethoven, e specialmente negli ultimi, il violoncello trova l'impiego più alto di tutte le sue risorse.

Al violoncello è stata affidata anche la parte di solo con accompagnamento d'orchestra, ma con risultati inferiori a quelli del violino e del pianoforte, che per la ricchezza dei loro mezzi possono esprimere tutte le sfumature della fantasia del creatore. Pur possedendo il violoncello, come il violino, bellezza di suono e facoltà espressive, la natura della tecnica ne limita gli effetti, e il timbro sonoro, per la sua stessa qualità pastosa e dolce, resta facilmente assorbito dall'orchestra.

Molti compositori hanno tuttavia scritto concerti per violoncello e orchestra, di cui è facile citare una serie pregevolissima aggiungendo a quelli già menzionati di Leo e Boccherini, quelli di Haydn, G. Romberg (9), N. J. Platel, F.-A. Servais (2), Brahms (doppio concerto per violino e violoncello), Schumann, A. C. Piatti, E. Lalo, Goltermann (8), Rubinstein (2), Saint-Saëns (2), Dvořák, D. Popper, L. Forino, I. Pizzetti, R. Zandonai, A. Casella, M. Castelnuovo-Tedesco, ai quali si debbono aggiungere: D. Popper, Nella foresta, Suite; L. Boëllmann, Variazioni sinfoniche; E. Bloch, Schelomo; O. Respighi, Andante con variazioni.

Le relative difficoltà di risalto che il timbro del violoncello trova quando sia avviluppato dal complesso orchestrale, scompaiono totalmente se gli si accompagna uno strumento di timbro completamente diverso, quale è il pianoforte.

Nel campo della sonata infatti il violoncello sia come strumento cantante sia come fonte di effetti coloristici e caratteristici trova le più significative espressioni, tanto nella produzione romantica quanto nella contemporanea.

Basta ricordare da un lato le sonate di Beethoven (6), Mendelssohn (2), Chopin, Piatti (4), K. Goldmark, Brahms, Saint-Saëns (2), E. Grieg (2), G. Fauré (2), R. Strauss e M. Reger, e dall'altro le recenti produzioni di C. Debussy (con capricciosi, umoristici giuochi di sonorità), di S. Rachmaninov, J. Huré (2), J. Jongen, Z. Kodály (2), A. Honegger, Hindemith e, tra le italiane, quelle di F. Alfano, I. Pizzetti - l'ultimo tempo della quale si apre con un ampio monologo che impegna le più alte possibilità emotive dello strumento - di G. F. Malipiero, A. Casella, M. Castelnuovo-Tedesco, ecc.

Bibl.: M. Corrette, Méthode théorique et pratique pour apprendre en peu de temps le violoncelle, Parigi 1741; W. J. Wasielewski, Das Violoncell und seine Geschichte, 3ª ed., Lipsia 1925; B. Weigl, Handbuch der Violoncell-Literatur, Vienna 1911; L. Forino, Il violoncello, il violoncellista, i violoncellisti, Milano 1925; C. Liégeois e É. Nogué, Le violoncelle, son histoire et ses virtuoses, Bordeaux 1913; É. Nogué, La littérature du violoncelle, Parigi 1925; P. Vatielli, Primordi dell'arte del violoncello, Bologna 1913.